Braisy lo condusse attraverso un labirinto di stradine nella Città dei Mendicanti, fino a una taverna lontana dalle torri gemelle del Buco. Non era una taverna dipinta a colori vivaci come il Badile e la Fossa, ma un posto squallido, cadente all’esterno, sporco e corrotto all’interno. Braisy mostrò una moneta, e il padrone annuì.
La moneta roteò nell’aria. Prima che il padrone l’afferrasse, Orem notò che era d’argento. Non di rame. Fu allora che ebbe paura. Se il primo prezzo che Braisy doveva pagare era di tanto più grande dell’intera somma che gli pagava Orem, voleva dire che qualcun altro pagava Braisy per il passaggio di Orem.
— Devo pisciare — disse Orem.
— Non adesso — rispose Braisy. Non se la sarebbe cavata così facilmente. Con una stretta dolorosa al braccio, Braisy lo spinse su per le scale, e dentro una porta aperta.
Solo una debole luce filtrava dalle fessure di una finestra chiusa da assi. C’era qualcun altro nella stanza. Era troppo buio per vedere più di un’ombra che si disegnava contro le fessure della finestra. Un respiro pesante e un fiato puzzolente.
— Nome. — Era un sussurro, e ancora Orem non riusciva a capire se fosse un uomo o una donna, vecchio o giovane, gentile o crudele.
— Orem.
— Nome.
— Mi chiamano Fianchi-Magri.
— Nome.
— Di Banningside. Orem Fianchi-Magri di Banningside. — Ancora il respiro pesante. L’ombra non gli credeva.
— In nome di Dio, è vero — disse Orem.
Un sospiro; come il lamento appena udibile di un Querulo. — Non vedo né verità né menzogna.
— Lo infilzo, allora? — chiese Braisy.
Orem si preparò a scappare: non voleva morire di pugnale in un posto simile. Ma Braisy era forte, più forte di quanto si potesse pensare per un uomo così piccolo. Poi la mano secca dell’ombra, fragile e leggera come carta, gli accarezzò il braccio nudo. — Calma, calma — si sentì il sussurro. — Calma, calma. — Poi una puntura sul braccio, qualcosa di affilato come un rasoio, o una pietra aguzza, che raccoglieva il sangue che si era senza dubbio formato, e l’ombra si allontanò.
— Dolce dolce Sorella sorella sorella — venne il sibilo da un angolo della stanza. — Nulla, nulla.
— E allora cosa si fa? — chiese Braisy. La sua voce parve un grido, nella stanza così silenziosa.
— Passa o resta, resta o passa, è lo stesso, cosa posso dire?
Esitazione.
— Devo pisciare.
La mano di Braisy si strinse più forte attorno al suo braccio. — Non ora, non ora. Sto pensando. Chi sei, ragazzo?
Uno che ha paura di morire, ecco chi sono. Mi hai preso il sangue, in nome di Dio! Lasciatemi andare. — Orem ap Avonap — disse. — Prova questo nome.
L’ombra tornò in fretta. — Il figlio di Avonap? Ma è una bugia, una bugia, una bugia, non c’è il seme del grano dorato dentro di te.
— Lo giuro su Dio.
— C’è la voce — disse l’ombra — di un sapiente dottore.
— Questo ragazzo gli potrebbe essere utile?
— Chi può dirlo? Prendi la via bassa, la via di Segrivaun, e chiedi il vetro della pubblica morte.
— Merda — mormorò Braisy.
— O niente.
— E io dico merda. E va bene. Va bene. La via bassa, maledizione a te.
— E maledizione a te — sussurrò l’ombra.
Braisy trascinò Orem fino all’angolo opposto della stanza, dove un buio più profondo si apriva nel buio della parete. Braisy si fermò e lo spinse dentro. Per un terribile momento Orem credette di cadere in un pozzo. Poi il suo piede trovò un gradino. Angolo sbagliato. Vacillò, scivolò giù di tre gradini, e quando riuscì a fermarsi, aveva un dolore terribile al piede ed era spaventato.
— Attento ragazzo — disse Braisy.
— Non ci vedo.
Una porta si chiuse adagio sopra di loro. Solo allora Braisy cercò di accendere una luce. Clic; scintilla. Clic; scintilla. Clic; luce. Una fiammella di un batuffolo di lana secca. Con le mani nude Braisy accostò adagio la lana a una piccola lampada. La lampada si accese. La scala scendeva ripida, senza piegare. I gradini erano larghi un palmo e alti almeno una spanna, e la scala conduceva molto più in profondità di quanto potesse giungere la casa. La via bassa.
E se scappo? Dovrei ricordare la strada per tornare. Su per le scale, oltre la porta, se si apre, e oltre l’ombra sussurrante, a sinistra nel corridoio, giù per le scale, e fuori. Formò un filo nella sua mente, un filo di parole che divennero numeri e numeri che divennero parole. Escogitò piccoli trucchi mnemonici. Strada di Sassi Strada di Ossi. Le scale finirono in un tunnel scavato nella terra che non andava mai in linea retta per più di quindici spanne, con svolte improvvise e buchi in alto e buchi in basso e rivoletti di acqua sporca che lo attraversavano.
Le pareti di terra si trasformarono in mattoni, con aperture ogni tanto, larghe un quarto di mattone. Da alcune di esse usciva un sottile filo di liquido. Pioveva di sopra? Perché era stato costruito quel tunnel? Cane nero, cane cielo, sozza acqua, sotto l’acqua. Il filo della strada divenne più lungo, e Orem si chiese se sarebbe riuscito a tenerlo tutto nella mente. E sempre, lungo le pareti, le piccole fessure.
Il tunnel girò a sinistra, scendendo; il pavimento era fango liscio e duro, con un velo d’acqua che scorreva sopra. Orem scivolò si appoggiò alla parete, e infilò un dito in una delle aperture nei mattoni. L’acqua gli scivolò lungo il braccio.
— In nome di Dio — disse Braisy. — Tira via la mano.
Orem staccò il dito dal buco.
— Guardati il braccio.
Era bagnato. Braisy avvicinò la lampada, scrutò dove era scorsa l’acqua. — Dovrebbe essere nero. Dovrebbe essere nero, ragazzo… È dove mettono le ceneri dei morti, e se l’acqua ti tocca… Ma non sei diventato nero. Chi sei, ragazzo?
Arrivarono a una scala che scendeva. L’acqua scorreva come una cascata lungo i gradini. Scesero un gradino alla volta. L’acqua cominciò a gocciolare dalla volta in mattoni. Ogni tanto la lampada mandava un sibilo, quando una goccia la colpiva. Braisy aveva un sobbalzo ogni volta che una goccia lo colpiva.
— Zitto, qui — disse l’uomo a bassa voce. — Le guardie hanno delle gallerie che arrivano fin qui, per prendere quelli come noi che cercano di passare dal Buco. E se pensi di chiamare aiuto, ricordati di questo: tutti quelli che vengono presi nelle gallerie del Buco dicono sempre di essere stati costretti con la forza, dicono sempre di essersi persi nelle Tombe. Le guardie li tagliano a pezzi lo stesso, in piccoli pezzi, ragazzo. Li tagliano in piccoli pezzi. Pensaci, prima di gridare aiuto.
Le scale finirono, e adesso c’era la pietra sopra di loro. Qui e là c’erano dei pali che sorreggevano il soffitto del tunnel. L’acqua scorreva pigra; dove si sarebbe riversata, alla fine? Nel fondo del mondo? — Cosa farete di me? — sussurrò Orem.
— Zitto — rispose Braisy.
Altre svolte e giravolte, e Orem sentì che il pavimento si inclinava verso l’alto. L’acqua si fece più bassa, e cominciò a scorrere nella direzione opposta al loro cammino, e finalmente cominciarono a salire a spirale nella roccia. Quando ebbero fatto tre giri, i gradini e le pareti di roccia furono sostenuti dal legno.
— Adagio — sussurrò Braisy. — Non farlo scricchiolare.
Un passo alla volta, appoggiando i piedi sul bordo della scala, avanzarono. D’improvviso Orem batté la testa. C’era un soffitto sopra di loro, assi lisce che coprivano tutta la scala. E la scala le incontrava e si fermava.
— Perché non bussi, già che ci sei? — sussurrò Braisy. — Vuoi proprio che ci peschino? Non si può dire che tu sia molto sveglio, eh? — Braisy si arrampicò vicino a lui, e tastò con le dita fino a trovare un buco in una delle assi. Ci infilò un dito, muovendolo, poi avvicinò la lampada al buco. La fiamma si appiattì, poi balzò verso l’alto. Per più di un minuto tenne la lampada lì, poi l’asse si sollevò, poi quella vicina, e quella successiva, fino a che non ci fu lo spazio per salire. Le assi erano abilmente incernierate e silenziose.
— Stai cercando di bruciarci tutti quanti? — chiese una donna immensamente grassa. La sua voce era bassa, ma tagliente. — Vuoi appiccare un incendio? Dobbiamo arrostire un topo sul buco? Braisy, sei un porco in calore, ecco cosa sei. Sali, entra.
La donna diede loro una mano e li tirò in una stanza che, con sorpresa di Orem, era illuminata dalla luce del giorno. Non era notte. Non era stato per ore in quelle gallerie? Oppure era già la mattina successiva? No, non era così stanco. Non c’erano finestre, solo delle fessure nella parete di legno, con un rotolo di spessa tela nera in alto, pronta a essere calata per non rivelare la luce delle candele. Orem si chiese se quella donna trascorresse lì tutta la sua vita. Forse. Ci guadagnava bene: Braisy le porse due scudi d’argento.
— Ah — disse la donna grassa. I seni le pendevano fin sotto la vita, come se contrabbandasse dei sacchi di grano sotto la camicia. La pancia le dondolava quando camminava, e anche la faccia era coperta di pieghe di grasso; perfino la fronte le pendeva sugli occhi, e dovette addirittura sollevarsela con una mano per guardare in volto Orem.
— Chi è? Perché da questa parte? Certamente non è per il Re, questo!
— Un’ombra mi ha detto di portarlo da te, Segrivaun, e che tu ci avresti portato al vetro della pubblica morte.
Segrivaun distolse lo sguardo, e lasciò ricadere la fronte sugli occhi. — Per lui?
— Ha detto che gli mancava qualcosa.
— Oh, sì. Hanno portato qui quello che gli manca giusto un’ora fa, zoccolo fesso e due uomini che lo tenevano legato. Solo quattro corna, ma abbastanza, abbastanza, uno piccolo ma sufficiente. Non voglio saperne niente. Andate avanti, per di qui.
Fece strada in un corridoio cavernoso. Costretto a chinarsi nel basso passaggio, proprio dietro la donna, Orem non poté difendersi dal fetore che emanava; era schifosa. Ma la strada non era lunga. Arrivarono in una stanza con un buco circolare nel soffitto e due corde che ne scendevano. Una era tesa, e legata a un grosso anello di ferro attaccato al pavimento; anche l’altra era tesa, ma pendeva in un buco vicino all’anello, scendendo nelle profondità della casa.
La donna grassa li fece fermare di fronte a lei e li avvertì di non toccare le corde, mentre avvolgeva praticamente la corda legata con la pancia e coi seni, stringendo l’altra con due mani. Grugnì, e tirò. Il pavimento si sollevò sotto di loro.
Non tutto il pavimento, ma un cerchio, e dondolava paurosamente. Salirono un piano, due, e si fermarono al terzo. Segrivaun li sollevò di qualche pollice sopra il pavimento, poi cominciò a oscillare. Era un movimento spaventoso, e Orem non riuscì a tenere l’equilibrio e cadde. Ma quando cadde, cadde anche la piattaforma, e abbastanza da appoggiarsi al pavimento. Segrivaun si spostò sul bordo, e tenne ferma la piattaforma con il suo peso.
Braisy spostò rapidamente la lampada di qualche passo, afferrò una grossa tavola di legno e la infilò sotto il cerchio con cui erano saliti. Segrivaun scese, e adesso, apparentemente, la necessità di sussurrare era finita.
— Alzati — disse Braisy impaziente.
Orem si alzò, allontanandosi rapidamente dal buco. Fuoco arde, bimbo piange, dita contano, Strada di Sassi, Strada di Ossi. Il filo era completo. Orem seppe che quella era l’occasione buona: se si lasciava scivolare nel buco lungo la corda, poi rifaceva la strada al contrario…
La grossa mano di Segrivaun si chiuse attorno, al suo braccio. Orem cercò di staccarsi.
— Alcuni ci hanno provato — disse Segrivaun. — Sono morti tutti. Si sono persi nelle catacombe.
— Io non mi perderò.
— Ma Braisy ha già pagato tre scudi, e non ti vuole morto né perso. Vieni.
Segrivaun aprì una porta, ed entrarono in una piccola stanza. Braisy chiuse la porta dietro di loro e appoggiò la lampada su una mensola, in alto. Tirò un profondo respiro. — Spogliati — disse.
E parlava sul serio, perché cominciò anche lui a togliersi i vestiti. Orem si slacciò la cintura e si tolse la camicia, inquieto perché non sapeva cosa sarebbe successo. Anche Segrivaun si stava spogliando. Per modestia, lei voltò loro le spalle e si tirò acri di vestiti sulla testa. Le sue natiche, vide Orem, erano pendenti come i seni, e quasi arrivavano a terra.
— Anche le mutande — disse Braisy. — E i sandali.
Orem si slacciò i sandali dalle caviglie, li lasciò cadere a terra. Braisy li buttò con un calcio in un angolo. Poi, quando Orem fu troppo lento con il suo perizoma, lo afferrò e glielo strappò. Le ultime monete di Orem caddero a terra, rotolando. Braisy afferrò i tre denari prima che si fossero fermati. — Gli ultimi che mi devi.
— Non ti lasci scappare neppure un centesimo, eh? — disse ridacchiando la grassona. Incrociò le braccia sul petto, in una parodia di modestia; i grossi capezzoli neri delle mammelle le pendevano molto più in basso di quanto potessero giungere le mani. — Sono pronti, di là; prontissimi.
Orem raccolse i vestiti, li arrotolò e se li infilò sotto un braccio. Braisy glieli ributtò a terra, subito dopo aprì una porta.
C’era luce. Una stanza rotonda, con pareti di pietra é nessuna finestra. Una scala si alzava lungo una parete, curvandosi. C’erano delle candele nel muro, e un piccolo fuoco in un braciere di terracotta, da cui emanava un profumo dolce e intenso che bruciava le narici di Orem. Le pietre dei muri erano così grosse che Orem capì immediatamente che quella era una delle torri del Buco. Una delle torri, e senza dubbio le torri erano guardate dai soldati, e senza dubbio era stato tradito.
Poi vide il cervo con quattro corna in mezzo alla stanza, e non pensò più alle mura o ai soldati.
Il cervo era vivo, i suoi occhi spalancati per il terrore. Giaceva sulla schiena, in una posa innaturale e impotente, le quattro zampe legate a dei pioli piantati a terra e tirate nelle quattro direzioni. Nel punto in cui le zampe posteriori si univano alla pancia, era stato praticato un taglio, da cui il sangue del cervo usciva a lenti fiotti e veniva raccolto in un bacile di rame tenuto da un vecchio. Un vecchio nudo, se non per una pelle di cervo sulle spalle; anzi: di cerva, perché la testa, che appoggiava sui suoi capelli grigi e arruffati, era senza corna.
— Assassino! — gridò Orem con voce soffocata. E nel momento in cui quel nome risuonò nell’aria immobile e silenziosa, il cervo morì. La sua testa ricadde indietro, la lingua penzolò di fianco.
Fu una voce profonda quella che rimbombò da sotto la pelle di cerva. — Un ragazzo — disse. — Da Waterswatch Alta, dove mantengono la memoria del Cervo. Cosa mi hai portato?
— Il suo nome è…
Ma Braisy venne interrotto da un gesto della mano. La mano dalle lunghe dita del vecchio pareva possedere troppe nocche, troppe giunture. Un dito si alzò dritto nell’aria, ma dal dorso della mano, così che l’angolo era doloroso solo a guardarlo; tutte le altre dita verso il basso, e quella sola puntata verso l’alto.
Aspettarono. E la mano non si mosse.
La donna avanzò pesantemente. Il vecchio immerse un dito dell’altra mano nel bacile di rame, e appoggiò la punta rossa sulla lingua della donna. Anche Braisy ne assaggiò, e anche Orem si trovò il dito sulla punta della lingua e leccò il sangue che si stava raffreddando. Era dolce, dolce, e gli bruciò la gola.
Braisy e Segrivaun lo fissarono con occhi spalancati e spaventati. Cosa non andava? Orem si spaventò e si guardò alle spalle, ma non c’era nulla. Era lui ad averli spaventati. Quale cambiamento aveva operato in lui il sangue del cervo, perché lo guardassero con tale orrore?
— Qual è il prezzo? — chiese Segrivaun con voce acuta. — Oh, Dio, una trappola da pellegrino!
Braisy ridacchiò nervosamente. — Non me l’avevi detto, ragazzo. Imbroglione, imbroglione. Dio odia i bugiardi.
Orem non capiva. Cos’erano quei discorsi di Dio e di pellegrini, con un cervo morto dissanguato sul pavimento, con il gusto del sangue del cervo nelle loro bocche?
Qualcosa di caldo gli toccò la gamba. Orem guardò. Era la mano del mago, ancora allargata come la bocca di un Querulo, che lo stringeva.
— Non sei un pellegrino, vero? — disse la voce profonda. Sembrava gentile. — Non un pellegrino, eppure ti vediamo, noi tutti vediamo tutto, mentre tutto avrebbe dovuto svanire con il gusto del sangue di cervo.
Avrebbero dovuto svanire. E la colpa era sua.
— Perdonami, Vetro-di-Forca — cominciò Segrivaun.
— Perdonarti? Ti perdonerò con una dozzina di scudi, ecco come ti perdonerò. Quale pena mi hai portato. Quale tribolazione c’è in questo miserabile ragazzo. Una dozzina di scudi, Segrivaun. Tu non sai cosa ha guidato i tuoi passi lungo la via bassa, Braisteneft. Tu non sai cosa hai sollevato sul tuo filo di ragno, Segrivaun.
Vetro-di-Forca si alzò. Era alto per essere un vecchio. Guardò Orem all’altezza degli occhi. — Così presto, e così giovane. Che fretta.
Orem non capiva cosa volesse dire il vecchio. Sapeva solo che gli occhi di Vetro-di-Forca erano pieni di lacrime, eppure la sua faccia aveva un’espressione avida.
— Quanto tempo credi che ti lasceranno restare? — disse a bassa” voce, come a se stesso. — Abbastanza, forse. Troppo, forse? Ma ne vale la pena, sì. Se puoi imparare… se io posso insegnare…
Di scatto la mano di Vetro-di-Forca si alzò e si fermò di fronte alla faccia di Orem, e il singolo dito puntato verso l’alto si abbassò adagio per appoggiarsi sull’occhio di Orem. Sull’occhio nudo, eppure Orem non batté la palpebra. Si limitò a fissare il cerchio nero, bordato di rosa, del dito, vagamente consapevole che scottava. D’improvviso il dito si mise a fuoco in maniera impossibile. Ogni verticillo e piega divennero visibili e dentro di essi poteva vedere, come a una profondità di cento passi, vertiginosamente affondati nel dito, migliaia di persone che si agitavano, urlavano, sollevavano le mani verso di lui dal labirinto di vorticilli, implorandolo perché li liberasse.
— Non posso — sussurrò.
— Oh, sì che puoi — disse il mago. E adesso la sua voce non era più vecchia e profonda. Era quella di un giovane, di un adolescente. Era la voce di Orem, che gli parlava dalla bocca del mago. — Puoi. Posso appena contenerti, con il sangue del cervo, finora. Cosa mi hai rubato, col solo entrare in questa stanza?
— Niente — disse Orem. Cosa avrebbe potuto rubargli, nudo com’era? Il mago staccò il dito dall’occhio di Orem. Adesso l’occhio gli bruciava terribilmente, e Orem lo fregò con le mani, mentre le lacrime scorrevano alleviandogli il dolore dal vetro screpolato della sua vista. — Non lo sai, Segrivaun che un pellegrino rimarrebbe visibile solo lui? Invece sei visibile anche tu, e Braisteneft, e io, e il cervo. Non è un pellegrino. Ma qualcosa di mio, senz’altro di mio. Una borsa piena di scudi, Braisteneft. E dieci scudi per te, Madama Segrivaun. Bastano? Bastano?
— Oh, sì, bastano, Vetro-di-Forca! — gridò Braisy.
— Bastano perché vi dimentichiate di aver portato un ragazzo qui?
— Già dimenticato.
— Bastano perché vi dimentichiate di un cervo il cui sangue ha fallito mentre era caldo?
— Già dimenticato, mio signore — disse Segrivaun.
Vetro-di-Forca rise. — Voi siete pronti a spergiurare cento volte al giorno. No. Giureremo per il Cervo, capito? Per il Cervo. — Perciò tutti, anche Orem, si inginocchiarono attorno all’inguine del cervo, e ognuno infilò un dito nel taglio morbido e umido di sangue della ferita, e tutti, anche Orem, giurarono. Era un giuramento terribile, e Orem seppe che in quel momento il suo filo era tagliato. Ricordava tutti i suoi incantesimi, ma non c’era modo di ritornare da quella parte, adesso.
Una borsa di monete cambiò di mano. Orem sapeva cosa stava accadendo. Era stato venduto. Non era più libero. Aveva lasciato Inwit senza un visto perché non aveva voluto essere il servo di un servo. Adesso sarebbe stato… qualcosa, per quel Vetro-di-Forca. E non libero.
Eppure, non gli importava.
Gli altri uscirono, e Vetro-di-Forca diede a Orem i suoi vestiti. Si vestirono insieme, Orem con i suoi abiti sporchi da viaggiatore, Vetro-di-Forca con una tunica verde scuro.
— Cosa mi sta succedendo? — chiese Orem.
— Sei stato assunto.
— Per quanto tempo?
— A vita, credo, qualunque sia questo tempo. Ma non disperare. Avrai la libertà della città, e i migliori visti falsi che si possano trovare sul mercato, dal momento che con te non posso usare incantesimi che rendano cieche le guardie. E tutto quello che dovrai fare, ragazzo mio, sarà di servirmi.
— Io volevo solo entrare in città.
Vetro-di-Forca gli gettò la cintura. — E ci sei entrato. O lo farai fra un momento.
— Cosa ti fa pensare che io voglia lavorare per te?
Vetro-di-Forca si limitò a sorridere gentilmente, battendo con la mano sul disegno a cerchi che aveva sul davanti della tunica. Sul momento gli sembravano i sette cerchi di un Uomo di Dio. Ma i cerchi erano otto. Due doppie coppie di due. Era una cosa terribile da pronunciare. Verso l’alto significava: il mio sangue. E verso il basso: Acqua secca. E seguendo la rotazione del due, del due, del due e del due, diceva: Nessuna speranza.
— Sei spaventato, ragazzo?
— Sì.
— Dimmi: hai visto già della magia durante la tua vita?
— Qualcuna.
— Ma quali di queste magie hanno effettivamente funzionato, davanti a te?
Nessuna. Era per questo che agognava tanto vederne. La magia era qualcosa di cui aveva sentito parlare, che tutti avevano visto dalla sua infanzia in poi, ma mai durante la sua vita aveva visto il momento del cambiamento. Perché quando c’era lui la magia non funzionava mai a dovere, per quanti sforzi facessero.
— Proprio così, ragazzo. Nessuna. Mai durante la tua vita. Tua madre, faceva qualche incantesimo?
Orem annuì.
— Ma ti mandava fuori di casa quando li faceva, vero? Quando tesseva e quando cucinava ti mandava fuori di casa.
Il mago minacciava di liberare un diluvio di amarezza. — Sì — disse Orem.
— Ti mandavano sempre via. Perché, ragazzo? Perché? Quando dicevano l’incantesimo della forza su di te non funzionava, vero? Non hai mai fatto i muscoli, non sei mai diventato forte. Il sergente del villaggio non ti ha voluto, vero? Perché dovunque tu sia, ragazzo, si apre un buco nel tessuto del mondo. Tu sei un Pozzo, ragazzo. Un Pozzo.
Orem non aveva idea di cosa volesse dire. Era un bene o un male? Se intende punirmi per questo, non accetterò senza protestare. — Io sono Orem Fianchi-Magri.
— Cosa credi che sia la magia, Fianchi-Magri?
— Potere. Comprato col sangue.
— Comprato. Sì, questa è la descrizione migliore che potresti darne, immagino. Ma non si tratta di comprare. Non come fanno i mercanti, con i soldi. Loro separano il guadagno dall’acquisto, mettendoci in mezzo il denaro, in maniera che il prezzo possa salire e scendere, e perdere il suo legame con il lavoro. In maniera da poter imbrogliare. Ma i prezzi con il sangue non cambiano.
— Qualcosa che ci si guadagna, allora.
— Neppure questo, ragazzo. Perché non puoi fare di più e avere di più. È dentro di te, ecco tutto. In ogni cosa vivente, secondo il sangue. Il sangue della vita è una ragnatela, una rete che ci tiriamo dietro, catturando con essa la vita del mondo. Tutto il sangue vivente attira forza, e la trattiene, così che quando uno come me, che conosce l’uso di questa forza, versa il sangue caldo può formare, può costruire, può creare e uccidere. Ma non con il tuo sangue, Orem Fianchi-Magri. Oh sì, tu catturi la vita mentre passi; sì, la forza scorre dentro di te come in ogni altro. Meglio che negli altri, perché la tua rete è grande, si allarga dietro di te e attorno a te, e succhia il potere e la vita da tutti, li succhia verso di te. Ma tu ti riempi di forza? C’è una forza più grande in te?
— No.
— Tu rubi la magia direttamente dal sangue, ma poi essa scorre via da te, si riversa nella terra, per essere assorbita dagli alberi e dall’erba, per sciogliersi nell’aria, per essere mangiata dal bestiame, per posarsi nuovamente nel sangue di altri uomini. Tu non puoi usarla. Scorre dentro di te e se ne va.
— Quanta?
— Hai assorbito il sangue di un intero cervo in un istante, Fianchi-Magri. Questa è forza, ragazzo. Non c’è limite in te. Sorelle, Sorelle, nessun limite se non per la forma delle tue reti, Grande Pescatore, e per la posizione delle tue ragnatele, Maestro Ragno. Io ti insegnerò.
— Mi insegnerai?
— Come sistemare la tua ragnatela. Come inghiottire forza quando e dove vorrai. Mi deruberai, disferai la magia ogni volta che te lo dirò. Chi potrà resistermi allora? Chi oserà sfidare Vetro-di-Forca? Sfidatemi pure, tutti quanti, e il mio Pozzo, il mio Fianchi-Magri, si insinuerà nel cuore della vostra forza e vi prosciugherà.
— Perché tu?
— Perché sei venuto da me. Non è stato un caso. La forza viene a te, e tu vieni alla forza. Io sono il più grande dei dottori della Via dei Maghi. Tu sei venuto da me per la forza. Oh, è un rischio quello che corro, un sacrificio che faccio. Quanto ci metterai a imparare? Finché non avrai imparato non ci sarà magia nella mia casa. Sei un pericolo per me. Se diventerai troppo pericoloso ti ucciderò, naturalmente, ti ucciderò. Perciò impara in fretta, ragazzo. Impara in fretta.
— Lo farò.
— Per tutta la vita ho letto storie sui Pozzi, ma non avrei mai creduto di vederne uno. Seguimi, ragazzo.
La strada per uscire era altrettanto difficoltosa quanto quella per entrare, ma questa volta Orem non cercò di memorizzare il cammino. Era giunto nella Inwit che aveva sognato, la Inwit dell’antica magia del tempo prima di Dio.
Alla fine si trovarono in una casa immersa nel buio, da cui si scorgevano, lontani, i profili delle due torri. — La Porta Occidentale — disse Vetro-di-Forca. — Bella l’ha fatta chiudere appena un anno dopo che Palicrovol aveva lasciato la città. Ma Porta Occidentale non era il suo vero nome, neppure allora. Prima di Palicrovol era la porta principale della città. Traccia del Cervo, questo era il suo nome, e l’antica città non era Inwit, ma Speranza del Cervo. Speranza del Cervo, poiché molto prima che i sette cerchi fossero tracciati sulla Porta di Dio, il candeliere dalle cento braccia veniva acceso nelle grandi case. E non andavano al Grande Tempio. I pellegrini arrivavano alla Via del Santuario, al piccolo albero spezzato che non muore. Anche Palicrovol, che crede di essere un Uomo di Dio, anche lui conosce la verità. Credi che in trecento anni si sia dimenticato di aver abbandonato il Cervo?
Poi il mago lo fece uscire sulla strada, mentre nascondeva magicamente l’ingresso del passaggio. Lo fece uscire con un avvertimento: non hai visto, non cercare di scappare. Mentre rimaneva ad aspettare nella strada buia, Orem era felice. La Speranza del Cervo. La Traccia del Cervo. L’albero spezzato che non sarebbe morto. La città che era prima dell’arrivo di Dio. Era la città che Orem era venuto a cercare.