18 LA DANZA DELLA DISCESA

Come Orem Fianchi-Magri incontrò la Regina Bella e l’amò.

Gli alberi torturati

Lo portarono a palazzo su una carrozza con dodici ruote tirata da undici cavalli, ma non gli venne in mente di contare. Benché non si fosse ancora ripreso dalle gabbie, rimase abbagliato dalle meraviglie del palazzo, e guardò a occhi spalancati, attraverso i finestrini, le pareti coperte di mosaici, i minareti dorati, i tetti di turchese, le sculture dai vivaci colori che si alzavano a profusione ai due lati del viale di pietra bianca. Le storie che raccontavano erano sconosciute a Orem, ma riconobbe la perfezione di quelle opere delle mani dell’uomo.

Quando però vide il giardino all’interno del cerchio formato dal viale del palazzo, rimase turbato. Altri avevano visto gli alberi e i cespugli cresciuti in maniera da formare elefanti e rose giganti, e li avevano ammirati. L’ingegnosità degli amanti fatti di foglie; l’eroica scultura della Battaglia delle Montagne Grigie… a Orem non sembravano né ingegnose né nobili. Aveva in se stesso abbastanza del sangue di sua madre per odiare la violenza fatta agli alberi, e abbastanza del sangue di suo padre per essere profondamente turbato nel vedere foglie verdi all’inizio dell’inverno.

Poi vennero le mani dei servitori, tante mani che lo toccavano silenziosamente, che lo aiutarono a scendere dalla carrozza. — Non cadono le foglie, qui? — chiese.

— Per una settimana, quando sceglie la Regina — disse un uomo anziano. — Ogni tanto le piace l’autunno, se non altro per avere la primavera il giorno dopo.

Fu allora che Orem comprese la potenza della Regina. Si meravigliò di aver osato sfidarla. Qualsiasi punizione intendesse infliggergli, sapeva ora che non c’era speranza di resisterle. Era stato uno squalo che cercava di mangiare la spiaggia, pericoloso e dai denti aguzzi, ma indegno del suo avversario.


La danza del vergine

Lo fecero passare attraverso sale più grandi della città di Banningside, i cui soffitti sembravano lontani quanto il cielo. Tutte le pareti avevano sette strati di arazzi, grate di ferro, pietra. Non c’era lastra di marmo che non fosse viva con le figure di uomini e di animali, variamente occupate nell’uccidere e nell’accoppiarsi. Non c’era ferro che non fosse argentato, e nessun argento che non fosse intarsiato d’oro. I mobili erano fatti di legni duri, ma tutti delicatamente intagliati, così che c’erano migliaia di piccolissime finestre nel legno, e sembrava che il peso dei mobili fosse sostenuto da un trina scura e priva di sostanza. E per tutto il tragitto nessuno gli parlò, e fu solo a poco a poco che Orem comprese che non era per vendicarsi che la Regina l’aveva chiamato.

Nei villaggi e nelle fattorie veniva fatto solo simbolicamente, perché erano poveri. Era la Danza della Discesa, naturalmente, l’ultima cosa che Orem si sarebbe aspettato. E veniva eseguita realmente. Si rese conto adesso che la carrozza che l’aveva portato al palazzo aveva dodici ruote, che uno dei tiri da sei era incompleto. Mentre entrava nel palazzo, venne circondato da dieci uomini in armatura, con gli scudi segnati da nove pietre nere. Il barbiere dalla camicia rossa gli tagliò i capelli con otto colpi di forbice, e sette donne nude con sangue sulle cosce lo immersero sei volte nell’acqua calda e cinque in quella fredda, così che ricevette il sacramento delle Dolci Sorelle l’unica volta nella vita in cui un uomo può riceverlo.

L’unica volta nella vita in cui un uomo può riceverlo, e a questo punto finalmente pensò di contare; contò le donne, e ancora non riuscì a credere. Non potevano averlo portato al palazzo per quello. E tuttavia, quando le donne uscirono, quattro porte si aprirono e da ognuna di esse uscì un giovinetto, nudo, senza i peli della pubertà. Non poteva dubitare, anche se non capiva. Lui stesso era stato uno dei quattro Giovinetti Vergini alla Danza della Discesa di tre dei suoi fratelli. Nella fattoria, i Tre Oli erano stati grasso di maiale, grasso di pecora e grasso di gallina, e avevano scherzato mentre ungevano e raschiavano. Non ci fu alcuno scherzo, adesso. I quattro giovani che si inginocchiarono intorno a lui mentre giaceva sul pavimento di pietra erano seri e lavoravano con vigore.

Gli oli non puzzavano di animale: avevano un aroma delicato ma forte, e i giovinetti li strofinarono fermamente nella pelle, ogni olio a turno, raschiandogli il corpo fra un olio e l’altro. Non parlarono neppure per chiedergli di voltarsi, ma lo afferrarono con le piccole mani da bambini e lo voltarono senza che lui collaborasse, ma senza fargli male. L’aroma degli oli gli andò alla testa, e sentì un lieve dolore fra gli occhi. E tuttavia era un dolore delizioso, e il raschiamento del suo corpo era un piacere a cui non era preparato. Lo lasciò debole, rilassato e tremante, e prese con gratitudine la prima delle Due Coppe, quando gli venne offerta. Non erano certo fatte di rozza creta, lì. La Coppa della Mano Sinistra era di cristallo dentro una rete d’oro appoggiata su un sottile gambo a spirale. Il liquido all’interno era verde e sembrava vivo di luce, una luce uniforme, che pareva non tremolare con i riflessi delle lampade alle pareti. Mentre prendeva la coppa con la sinistra Orem si sentì riempire di paura. Quello era un argomento per una poesia, ma non era pronto, non era stato avvertito. Sono come Glasin il Droghiere, scelto a caso per un’avventura che solo le Dolci Sorelle avrebbero potuto prevedere. Non sono pronto, gridò dentro di sé; ma tuttavia la sua mano prese la coppa, e benché tremasse, non versò una sola goccia della verde bevanda. Nei villaggi, era un infuso di menta; qui era un vino, e quando gli toccò la lingua, il sapore lo attraversò come un ghiaccio, portando l’inverno in ogni parte del suo corpo, fino alla punta delle dita, e le sue natiche si strinsero involontariamente. E tuttavia lo bevve tutto, anche se quando ebbe finito il suo corpo tremava violentemente e i denti gli battevano. Dalla coppa vuota si alzava del vapore.

La Coppa della Mano Destra era fatta di pietra, pietra non lisciata e senza nessun intaglio, tranne che era scolpita in maniera da avere la curva richiesta anche nella fattoria. Aveva bevuto l’anima della donna, adesso prese con la destra l’anima dell’uomo. La coppa non era pesante come si era aspettato, e quasi rovesciò il contenuto, ma il liquido bianco era denso e pesante, lento come fango, e non si rovesciava facilmente.

Questa voltala bevanda era calda, e non penetrava rapidamente come il freddo. Nella fattoria era crema, e forse anche lì era crema; ma era dolce, dolorosamente dolce e tanto calda da bruciargli la lingua. Tuttavia bevve fino in fondo, e mise da parte adagio la coppa, mentre il calore dentro di lui combatteva il freddo e vinceva. Sapeva che la sua pelle era arrossata. Ansimò e si inginocchiò carponi, mentre il suo corpo assorbiva il calore dell’anima dell’uomo.

Poi i servitori portarono via le Due Coppe, e altri lo condussero a una sedia d’oro coperta da un folto drappo di velluto, dove si sedette in attesa dell’Unico Anello Rosso. Non era fatto di legno dipinto, l’anello che portarono: era intagliato intero da un rubino, una cosa il cui valore era così al di là della comprensione di Orem che solo molto tempo dopo si rese conto che sarebbe stato sufficiente a comprare mille fattorie come quella di suo padre, e anche diecimila schiavi per lavorarle.

Quale dito? Come avevano fatto a decidere i suoi fratelli? Tutto il suo futuro poteva dipendere da quella scelta.

Sollevò la sinistra, la mano della passione, senza pensare molto al significato, solo perche quella era la mano che voleva alzare. Il servitore prese l’anello fra l’indice e il pollice, e aspettò la decisione di Orem. E Orem decise: il dito che nessun uomo avrebbe mai scelto. L’ultimo dito, il mignolo, il dito della debolezza e della resa. Arrossì di vergogna per la sua scelta, ma sapeva che non poteva farne un’altra. Perché? si chiese.

Ma non sapeva il perché di alcuna cosa quel giorno. Era tutto troppo veloce, troppo strano, troppo inesorabile. Aveva pensato di guadagnarsi una poesia. Invece, aveva appena terminato la Danza della Discesa, e lì vicino, da qualche parte, c’era la donna che doveva sposare. Sposarsi ora, a sedici anni; e con tutto quello che era successo durante la Danza della Discesa, Orem aveva pochi dubbi su chi sarebbe stata la moglie, anche se era un pensiero così assurdo che non avrebbe mai osato pronunciare il suo nome ad alta voce.

Con sua sorpresa, non gli venne chiesto di alzarsi dalla sedia. Invece, con l’anello di rubino sul dito più a sinistra, rimase seduto mentre dei portatori passavano dei pali attraverso gli anelli sui lati della sedia, lo sollevavano e lo portavano fuori dalla stanza. Non c’era alcuna porta ma la parete stessa si aprì dal soffitto al pavimento in due metà, e Orem fu portato alla presenza della Regina.


Il dolce matrimonio di Bella con il figlio di suo marito

Dietro di lui le porte si richiusero, e la sola luce della stanza era quella della luna che entrava dalle grandi finestre, ed era riflessa dai mille specchi sulle pareti. Nella luce argentea e variegata, la vide sola e nuda in mezzo alla stanza, i piedi bianchi e lisci come il freddo marmo in cui sembravano scolpiti. Dubitate che io possa descriverla? I suoi capelli erano lunghi e folti, e le giungevano sotto la vita; non c’erano altri peli sul suo corpo, e avrebbe potuto essere una bambina, non fosse stato per i piccoli seni perfetti, che nel loro lieve sollevarsi e abbassarsi erano l’unica prova che fosse viva.

La faccia Orem la riconobbe. Era la faccia perfetta, implorante, innamorata, inevitabile, della donna nei suoi sogni. Èra la vergine, che implorava il suo amore. Era la Regina Bella, e ora era sua moglie.

Si alzò dalla sedia, profondamente consapevole del suo corpo magro e mal proporzionato, abbronzato dalla cintola in su; e tuttavia ci fu ben poco spazio nei suoi pensieri per la vergogna di aver così poco da offrire all’unica donna perfetta del mondo. Poiché lei alzò la mano, ed era la mano destra, e l’anello d’oro che portava era sul dito impossibile, il dito che lui non avrebbe osato sperare: il mignolo, il dito più a destra di tutti. E mentre camminava verso di lei, con la mano alzata, gli anelli delle loro dita erano posti alla stessa distanza dalla punta.

Se lui aveva scelto di rinunciare a ogni sua passione, lei aveva scelto di rinunciare alla propria volontà.

— Sei vergine? — sussurrò lei, con voce morbida e intensa.

Lui annuì.

Non era sufficiente. Impaziente, lei chiese ancora: — Ragazzo mio, marito mio, mio Piccolo Re, il tuo seme è mai stato versato nel grembo di un’altra donna?

E Orem parlò, anche se non seppe bene dove trovò la voce. — Mai.

Lei si chinò in avanti e lo baciò. Fu un bacio freddo, ma lungo, e Orem avrebbe voluto che non finisse mai. Mentre lo baciava, i seni di Bella gli sfiorarono il petto, poi le loro anche si toccarono, e la mano sinistra di lei gli scivolò dietro la schiena, e lo strinse; Orem non pensò alle sorelle senza faccia o alla puttana che non era riuscito a usare; non aveva né la necessità né il desiderio di preoccuparsi di ciò che il suo corpo poteva o non poteva fare. Il bacio terminò. — Non ti amerò mai — sussurrò lei. — Non avrai mai il mio cuore. — Ma il tono della sua voce era pieno di amore, e Orem tremò per il potere che lei aveva senza usare alcuna magia.

Doveva rispondere? Non poteva. Poiché aveva messo l’anello nella mano della passione, e questo era un voto di amore, per sempre e totalmente. E tuttavia nel suo cuore sapeva, senza sapere il perché, che non l’avrebbe mai amata. Il suo cuore si era arreso, ma non a lei; la volontà di Bella si era arresa, ma non a lui.

— Avremo un figlio — disse lei a bassa voce, conducendolo in un punto dove il pavimento cedeva il posto a un letto grande come il mare.

— Sarà un maschio — disse, mentre si inginocchiavano insieme, e la sua mano lo toccava dolcemente.

— Io gli darò tutto — disse Bella — ed è per questo che non ci sarà nulla di me per te.

Giacquero insieme tutta la notte, e il bambino di dodici mesi venne concepito. Orem seppe il momento in cui accadeva, perché la Regina gridò di gioia, e per un momento i suoi occhi furono troppo luminosi per poterli guardare. Sono in te e parte di te, disse Orem silenziosamente.

Due volte tu possedesti il suo corpo, Palicrovol. La prima lei non ti voleva, e la seconda tu non volevi lei. Ma hai mai guardato il suo viso, e hai mai detto: Io sono in te e parte di te? Tu non le desti alcuna Danza della Discesa, Re di Burland. Forse non le perdoni questo: di aver avuto, una volta nella sua vita, un uomo che l’amò con tutto il cuore, anche se solo per un momento.

E se ti tortura sapere che un altro uomo fu con lei durante la sua vita, consolati pensando a questo: che lui la conobbe una sola volta, ma per settimane, in seguito, doveva solo pensare a qualche momento di quella notte con Bella perché il suo corpo si risvegliasse e si esaurisse nel giro di pochi secondi, semplicemente per il ricordo. Quando Bella possiede un uomo, Palicrovol, deve poi quest’uomo essere tenuto responsabile di ciò che fa il suo corpo?

E tuttavia non dirò che lei l’abbia forzato come ha forzato te. Orem sapeva come nessun altro poteva sapere che non c’era alcuna magia. Non gli aveva fatto alcun incantesimo quella notte. Non avrebbe potuto, poiché un figlio di dodici mesi non può essere concepito magicamente. Ciò che Orem provò per lei era genuino, e non soltanto per amore della sua carne perfetta. Io conosco bene Orem; e so che quando amò la sua sposa, non fu una Regina che amò; ma piuttosto la fanciulla Asineth come lei avrebbe potuto essere se non fosse stata distrutta nella sua infanzia.

È per questo che lo odi tanto, Palicrovol? Perché lui conosce la donna che lei avrebbe potuto essere?

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