Una sera Orem era sotto un porticato che dominava dall’alto un giardino pensile. Veniva spesso lì, per guardare la piccola foresta. Malgrado avesse provato molte volte, non era ancora riuscito a trovare la strada per arrivare al giardino attraverso il labirinto del palazzo. Talvolta pensava che così doveva sembrare il mondo a Dio: vicino quasi da poterlo toccare, ma così infinitesimamente piccolo che non osava toccarlo per paura di romperlo.
Fuori dal Parco del Palazzo, con la sua perpetua primavera, una tempesta di neve imperversava sulla città, la prima dell’anno. Erano passati undici mesi dalla nevicata delle gabbie, quando aveva guardato la morte in faccia. Ripensandoci, ricordava di non aver avuto paura. Aveva combattuto la morte, ma con ostinazione, non con paura. E neppure con passione. La sua vita era così tranquilla nel palazzo che era arrivato a credere di essere, per natura, un uomo pacifico. Diciassette anni, e già si trovava a suo agio nella vita contemplativa.
Naturalmente non era vero. Era represso, frustrato, ma questi sentimenti lo lasciavano languido e imbronciato, cosicché più sentiva bisogno di azione, meno riusciva a fare qualcosa. Questa era la ragione per la quale andava nel portico che guardava sul giardino, desiderando di poter abitare in quel piccolo posto; per questo guardava la città, chiedendosi cosa stesse facendo Pulce quella sera, nella neve. Poi dal basso sentì delle voci.
— Guarda. Di nuovo la neve. — Era Coniglio.
— Di già? È passato così in fretta il tempo — Donnola.
— Undici mesi. Piuttosto lunghi, pensavo. — Urubugala.
Lo sanno che sono qui? pensò Orem. Quasi offrì loro un’isola nella Vista della Regina, perché potessero conversare in privato; poi gli venne in mente che potevano esserci delle cose da imparare, ascoltando senza essere notato. Per un momento, e per caso, poteva fare quello che la Regina faceva sempre.
— Come attendiamo tutti con ansia il giorno gioioso — disse Coniglio. — La nascita del piccolo erede.
— La rinascita e il rinnovamento di Bella. Il potere per qualche altro secolo. Il Piccolo Re conosce la sua parte in questo evento?
— Credo di no — disse Donnola. — No.
— Dovremmo dirglielo? — chiese Coniglio.
Donnola rispose subito: — Credo che dobbiamo.
— No — disse Urubugala.
— È sempre meglio conoscere la verità.
— Può impedirlo? — chiese Urubugala. — Se cercasse di farlo, tutto sarebbe distrutto. Perché la Regina possa rinnovarsi, tutto il suo potere deve trovarsi nel sangue vivente. Reciterà meglio la sua parte se non sa nulla.
— È più pietoso così — ansimò Coniglio.
— Sì — disse Donnola. — Ma vi ringrazierà per questa misericordia?
— Non mi importa nulla dei suoi ringraziamenti — disse Urubugala. — Il costo del potere non è mai pagato da chi lo detiene.
Poi silenzio. Non li sentì nemmeno andarsene.
Orem non sapeva nulla dei libri di magia. Ma dal suo soggiorno con Vetro-di-Forca sapeva questo: che il prezzo del potere era il sangue, e che qualsiasi cosa dava il sangue doveva morire. Bella si stava avvicinando al momento della sua rinascita. E loro non volevano dire a Orem quale fosse il suo ruolo, perché tutto il potere di Bella era nel sangue vivente. In quel momento, Orem raggiunse la conclusione ovvia. Il sangue di un cervo è più potente di quello di un topo; il sangue di un uomo più potente di quello di un cervo; e il sangue di un marito più potente di quello di un estraneo.
Quale sangue spargerà Bella per il suo potere quasi infinito? Il sangue di suo marito, il sangue del Piccolo Re.
D’improvviso la sua vita quasi inutile nel palazzo acquistò un senso. Era il vitello ingrassato. Bella aveva concepito un figlio da lui perché altrimenti lui non sarebbe stato il suo vero marito, e non avrebbe avuto abbastanza potere per lei. Probabilmente attendeva solo la nascita del bambino, poi sarebbe morto.
Si appoggiò alla balaustra, perché le gambe non lo reggevano. Era ancora nelle gabbie, dopo tutto. Non era stato salvato quando Bella l’aveva mandato a prendere. Era stato semplicemente inserito nei suoi piani. Per un’ora, guardò la neve e si compianse.
Mentre si compiangeva, immaginò molte versioni della sua morte. Si sarebbe fatta beffe di lui, anche nei suoi ultimi momenti? O l’avrebbe ringraziato per il suo sacrificio? Più potente del sangue di un marito, sarebbe stato il sangue di un marito volontariamente disposto a versarlo. E se Bella mi chiedesse di versare il sangue di mia volontà? Ha pensato che un uomo potrebbe essere felice di morire per lei? Immaginò se stesso andare da lei e offrirle la propria vita… Ma sapeva che lei avrebbe riso. Lo considerava ridicolo anche adesso. Non poteva compiere un grande gesto mentre lei lo guardava, perché sarebbe sembrato ridicolo anche a lui.
Pensò anche di scappare. Ma dopo averci pensato, rigettò l’idea con disprezzo. Era venuto da Banningside a Inwit, era venuto dalla Strada dei Maghi in quel palazzo, solo per fuggire proprio nel momento che doveva dare significato alla sua vita? Aveva desiderato un nome, una canzone, un posto, no?
E dopo un’ora passata a pensare simili pensieri, decise che poteva sopportare di terminare la sua vita in quel modo. Si era riconciliato all’idea di essere una pedina nel gioco di Bella.
Poi, all’improvviso, ricordò quando si era sdraiato nella gabbia perché era troppo stanco per camminare, e nevicava. Sentì gli altri sputargli sulle spalle e sulla faccia. Anche quando non hai alcuna speranza, non muori dormendo se puoi morire combattendo. Perché sono stato portato qui? Perché? Bella non sa che sono un Pozzo. Sono state le Sorelle a mostrarle la mia faccia in sogno. Forse non è per caso che ho sentito questa conversazione, perché mi ricordi che la Regina Bella è mia nemica. Anche se la sogno ancora, anche se balbetto e mi sento uno sciocco quando sono con lei, forse sono destinato a usare il mio potere per indebolirla. Se devo morire, che non sia un sacrificio volontario. Che muoia sapendo che anche se lei può prendere la mia vita, io posso prendere qualcosa da lei. Forse ho sufficiente tempo, nei giorni che precedono la nascita del figlio, per aiutare Palicrovol. Sono qui da un anno, e in questo tempo non ho fatto nulla con il potere che possiedo, eccetto tenere qualche segreta ma triviale conversazione. Forse sono debole, ma sono anche l’unica persona che può contrastare la Regina. E se mi scopre, tanto meglio. Che mi uccida con rabbia, così che molto del mio sangue venga versato e sprecato. Sarà la mia volta di ridere di lei.
Fu una storia molto soddisfacente questa che mi raccontò, e lo condusse a fare tutto quello che doveva fare. Nessuno, tranne Orem, avrebbe avuto un danno dal sapere che lui non era affatto destinato a morire.
Quella notte Orem riprese la guerra che era iniziata con un singolo scontro quasi un anno prima. Trovò Re Palicrovol più vicino dell’anno precedente, ma non di molto. Il cambiamento più grande era dato dal numero di uomini che erano con lui: stava radunando un esercito, adesso, e Orem non riusciva neppure a indovinarne il numero. Il cerchio di maghi era ancora con lui, e dentro a quello un cerchio di preti, e dentro Re Palicrovol, assalito dalla dolce e terribile magia della Regina.
Con calma e determinazione Orem disfece tutte le magie di Bella attorno al Re. Questa volta fu più selettivo, e lasciò gli incantesimi dei maghi di Palicrovol. La Regina non rispose immediatamente, e Orem approfittò della sua lentezza per aprire grandi squarci nel mare asfissiante della sua Vista. Allargò con cautela la zona dove lei era cieca, e ben presto fu chiaro che lei non poteva neppure trovare Re Palicrovol. Orem aprì gli occhi e guardò la candela vicina al letto. Aveva lavorato un’ora sola, e lei già brancolava nel buio.
Di nuovo in azione. Questa volta sapeva di avere appena iniziato. Non era sufficiente accecarla attorno a Palicrovol. Si tese al massimo e cancellò dalla Vista della Regina intere città, intere contee, mentre lei si concentrava per ritrovare Palicrovol. All’interno della città di Inwit, devastò per intero il suo potere. Da porta a porta, e per un miglio e più all’intorno, disfece tutti i suoi incantesimi. Soltanto la Cittadella Reale lasciò intatta, non perché non potesse distruggere la sua potenza lì, ma perché era meglio lasciarle credere che il suo avversario non poteva superare quelle difese.
In questo modo trascorse altre due ore, poi tornò da Palicrovol. La Regina ancora non l’aveva trovato. Ma per essere più tranquillo, cancellò la sua Vista per una zona così vasta intorno che le ci sarebbe voluto un giorno o più per ritrovarlo, se cercava con la stessa velocità. Che Palicrovol avesse un giorno intero di riposo. E domani gliene darò un altro, se potrò.
Tu ricordi quella notte e quella mattina, Palicrovol. Vennero quasi un anno dopo il primo sollievo, quando per la prima volta apprendesti che c’era un’altra potenza nel mondo. Per tutta la notte aspettasti la vendetta di Bella, ma non venne. Il mattino, i tuoi maghi cercarono di farti credere che erano stati loro a salvarti, ma tu sapevi che non era così. I preti dissero che avevano detto una nuova ed efficace preghiera, ma tu ridesti di loro. Sapevi che non c’era modo di spiegare quello che era successo, ma che qualsiasi cosa fosse, quella potenza era benevola nei tuoi confronti. C’era nuovamente un equilibrio nel mondo, la ruota era girata, e tu iniziasti la tua marcia lunga un anno verso Inwit, verso la città che da troppo tempo ti era preclusa. Questa volta, credevi, avresti vinto.
Benché si fosse addormentato molto più tardi del solito, Orem si svegliò prima dell’alba. Riconobbe il debole chiarore che filtrava dalla finestra. Era l’Ora del Cerchio Esterno, l’ora in cui era abituato a svegliarsi nella Casa di Dio. Non solo era sveglio, ma si sentiva fresco e vigoroso per la prima volta da mesi. Si alzò e camminò su e giù per la stanza, accorgendosi con sorpresa di quanto fosse bello muoversi velocemente di nuovo. Era un soldato; era in guerra; era vivo.
Orem andò alla finestra e guardò quanto della sua opera di distruzione della sera precedente Bella era stata capace di riparare. Vide compiaciuto che aveva fatto ben poco. Palicrovol era ancora invisibile alla sua Vista. E cosa forse ancora più importante, la stessa Inwit non era ancora tornata alle condizioni precedenti. Ciascuno dei membri del suo corpo di guardia era stato legato a lei da un incantesimo di lealtà e ai suoi commilitoni da uno di amicizia. Molte delle guardie in città erano state riportate sotto controllo, ma non tutte. Non avevano cominciato immediatamente a litigare fra di loro o a tradirla, naturalmente. La cosa importante era che Orem, in una singola notte, poteva disfare più di quanto lei riuscisse a rifare mentre lui dormiva.
Era troppo esultante, quella mattina, per starsene chiuso. Benché il cielo avesse appena cominciato a schiarire, si vestì e attraversò le innumerevoli stanze del palazzo diretto alla porta più vicina sul Parco. Aveva bisogno di alberi, della parte selvaggia e non curata dai giardinieri, dove era una calda mattina d’estate, malgrado il pesante mantello di neve che copriva la città fuori dalle mura del castello.
I servitori che incontrò si muovevano in fretta, agitati e talvolta anche impauriti. Questo era un segno certo che la Regina non era normale. I servitori in questi casi correvano sempre. In silenzio Orem si scusò per aver reso loro la giornata un po’ più difficile del solito. La Regina Bella, la sua povera moglie, aveva forse dormito poco.
Rapidamente si perse nel bosco, vagando senza meta finché non si trovò nei pressi del muro occidentale del castello. Lo seguì verso nord, fino all’Angolo del Castello, dove si alzava il Piccolo Mastio, la prigione dei grandi, più pericolosa a suo modo delle gabbie. Sentì giungere, dall’interno, un grido lontano; forse, pensò, viene dalla città, da dietro le mura. Non era così. Orem appoggiò l’orecchio alle pietre della torre, e il grido gli giunse chiaro. Era il grido di un uomo; era il grido che nasceva dal terrore peggiore che un uomo potesse conoscere. Non la paura della morte, ma la paura che la morte tardasse a venire.
Orem non riusciva a immaginare quale tortura potesse strappare un simile grido da una gola umana. La pietra a cui era appoggiato era fredda, ed ebbe un brivido. Il sole era ancora seminascosto dietro il muro orientale, e l’aria era fredda. Abbandonò la torre, e l’uomo che soffriva dentro di essa. Si chiese se la sua gola sarebbe mai riuscita a produrre un suono come quello. In questo caso, non l’avrebbe mai sentito: quando un suono simile viene prodotto, il suo autore non può più sentirlo.
Tornò per una strada diversa, nel bosco, ma questa volta passando fra i rovi, scostando i rami e lasciando che gli sferzassero la faccia. La camicia si strappò, il viso cominciò a sanguinargli; il dolore era un linguaggio delizioso, che poteva comprendere. E giunse d’improvviso alla Piscina della Regina.
Era l’acqua proveniente dalla Casa dell’Acqua, la pura sorgente che scorreva perpetua, come se Dio stesso la pompasse, proprio nel cuore del castello. I bagni della Casa dell’Acqua erano pubblici, e l’acqua buona; ma la maggior parte dell’acqua andava da altre parti: ai templi, alle grandi case, alle ambasciate lungo la Strada del Re e l’ancor più esclusivo Viale degli Scavi, e attraverso condutture di bronzo raggiungeva il Parco degli Stagni, dove gli artisti abitavano fuori dal palazzo, e giungeva lì, nella Piscina, dove pochi si bagnavano, e l’acqua era pura come le lacrime di un bambino. Orem rimase fra gli alberi guardando l’acqua increspata dalla brezza, trasparente, verde e profonda, perché il sole non si era ancora levato abbastanza da riflettersi sulla superficie.
Mentre guardava, due visitatori giunsero alla piscina. Il primo fu un vecchio con un perizoma, e Orem lo conosceva: il servo pazzo che diceva di essere Dio e non aveva pupille. Arrivò e si fermò dall’altra parte della piscina, di fronte a Orem, guardando nell’acqua. Orem non si mosse. Sembrò che aspettassero per sempre, due statue nel giorno che schiariva.
Poi giunse il secondo visitatore, e non vide né Orem né il vecchio. Donnola-Bocca-di-Verità, orribile all’alba come nella luce del giorno pieno. Si fermò vicino all’acqua e si spogliò per bagnarsi. Era una scortesia da parte sua guardare il povero corpo di Donnola, piegato e deforme. Si sarebbe senza dubbio vergognata che un uomo vedesse i suoi seni che pendevano come sacche vuote, le gambe e le ginocchia sgraziati e ossuti. E tuttavia Orem non riuscì a muoversi, mentre lei scendeva i gradini della piscina, in parte perché aveva la sensazione che benché non desse segno di vederlo, sapesse che il vecchio era lì… anzi, che fosse venuta per incontrarlo.
Nuotò lentamente, increspando appena la superficie e senza sollevare spruzzi. Il suo nome è sbagliato, pensò Orem: non la donnola, ma la lontra è il suo io animale. Poi lei si tuffò sotto la superficie.
Ora il servo che diceva di essere Dio si mosse, spalancando le braccia. I suoi occhi mandarono un lampo verde, così luminoso che Orem distolse gli occhi. E quando si voltò a guardare ancora, il vecchio servo era nudo, e pisciava con un getto verde brillante nell’acqua, gli occhi verdi e luminosi che fissavano il bosco. Ancora Donnola non era riemersa. Il verde si sparse luccicando sull’acqua, finché la piscina non fu interamente soffusa di quella luce viva. E ancora Donnola era sotto. Il vecchio si chinò e si inginocchiò accanto alla piscina, e immerse la testa nell’acqua fino al collo. Allora Donnola riemerse, tenendo solo la testa fuori, come se quelle due facce non potessero stare dalla stessa parte della superficie. Parve non notare il colore della piscina.
Il quadro si ruppe. Il vecchio tirò fuori la testa dall’acqua e Donnola si voltò verso di lui, allungò una mano e lo toccò. Forse si parlarono: Orem non poté sentire. Lei gli baciò la fronte, e il servo… pianse? Emise un singhiozzo, e disse una parola che Orem non riuscì a capire. Poi si alzò, prendendo il perizoma, e si avviò con passo incerto lungo il sentiero che l’avrebbe portato al palazzo. Donnola nuotò ancora qualche minuto, finché l’acqua non tornò normale. Ma non Donnola. Orem la guardò e si rese conto che non era un caso che la Regina se la tenesse vicino. Quelli più vicino alla Regina erano quelli più torturati; la donna silenziosa e brutta che era venuta tante volte con lui, con Timias e con Belfeva, era senza dubbio più di quanto sembrasse, o la Regina non l’avrebbe tormentata.
Gettò per lei la sua rete, e contò gli strati di incantesimi, la profondità delle magie che la Regina aveva usato per intrappolarla; e come sospettava, lei era legata e torturata. Chi sei, Donnola? Prigioniera qui come me, e forse altrettanto priva di speranza. Io che sono destinato a morire sono forse più fortunato di te? Perché presto sarò libero da lei, e tu no, legata per sempre a una Regina che ti dà tutto il male che può; e lo sa fare con tanta raffinatezza.
Fu allora che per la prima volta Orem amò Donnola Bocca-di-Verità. Non la sua carne: Orem aveva conosciuto il corpo della Regina. Non per pietà: la conosceva troppo bene per vederla dalla distanza che la pietà richiede. L’amò perché l’ammirava. Per come sopportava senza lamentarsi il fardello che la Regina le aveva posto sulle spalle. Per essere ancora gentile e buona, quando aveva mille ragioni per essere amareggiata e inacidita. E perché mentre nuotava nella piscina e baciava il servitore che si faceva chiamare Dio, era stranamente bella. Ti sorprende, Palicrovol? Che fra tutti proprio tuo figlio potesse guardare Donnola Bocca-di-Verità e trovarla bella?
Orem tornò al palazzo molto prima dell’ora a cui di solito si svegliava, e adesso si sentiva stanco per il poco sonno e per l’esercizio a cui non era abituato. Aveva intenzione di riposare un po’, ma un servitore lo aspettava alla porta.
— La Regina Bella vi ha cercato.
— Oh — disse Orem.
— Desidera che andiate subito da lei.
Per un momento terribile pensò che la sua guerra con lei fosse già terminata, che l’avesse scoperto e che intendesse ucciderlo subito. Non si sentiva più così coraggioso come il giorno prima sul portico. Poi si rese conto che se era la sua morte che lei cercava, non avrebbe affidato il messaggio a quel mite servitore.
Perciò lo seguì fino a un luogo del labirinto che non aveva saputo esistesse; l’appartamento di Bella era ben mascherato, sia con la magia che con l’illusione di abili artigiani. Tuttavia, essendo andato da lei una volta con una guida, l’illusione per Orem era svanita, e avrebbe potuto ritrovare facilmente la strada. Quanto agli incantesimi, non funzionavano per nulla con lui.
La Regina Bella giaceva sul letto, guardando dalla finestra quando lui arrivò. Il servitore lo lasciò immediatamente solo con lei. La porta si chiuse, e la Regina si voltò verso Orem.
— Mio Piccolo Re — disse.
La sua bellezza era immutata, ma la stanchezza non poteva essere nascosta. Dopo tutto, era una bellezza vivente quella che lei aveva, e la sua faccia non era inespressiva. Bella era stanca, era preoccupata, era adirata, e la sua pancia era gonfia del figlio che aveva portato per undici mesi.
Solo allora venne in mente a Orem che la gravidanza poteva aver prosciugato le sue forze, e che fosse questa la ragione per cui lei non era stata in grado di reagire con prontezza ai suoi attacchi notturni.
— Temo di averti ignorato troppo a lungo — disse.
— Mi sono fatto degli amici.
— Lo so — disse lei. — Donnola mi dice che sei una piacevole compagnia.
Orem non poté nascondere il fatto che gli faceva piacere sapere che Donnola avesse detto una cosa simile… era abbastanza giovane per dare alla cosa più importanza di quanta ne avesse. — Davvero?
— C’è tuo figlio nella mia pancia, lo sai. Sono stanca di aspettare, e il bambino mi pesa. Dovresti tenermi allegra.
— Come?
— Raccontami qualcosa. Raccontami della tua casa in campagna. Raccontami della tua giovinezza. Dicono che le vostre storie di contadini siano divertenti.
Fu un’ora grottesca quella che trascorse con Bella, raccontando storie di Waterswatch Alta alla donna che intendeva ucciderlo. Lo infastidiva raccontare a lei di suo padre e di sua madre, ma quali altre storie poteva raccontarle? Lei rise un poco quando le disse dei suoi primi tentativi di fare il soldato, e di come il sergente l’aveva giudicato inadatto. Parve interessata a ogni cosa, anche a come un contadino sa quando il grano è pronto per essere mietuto, e se una mucca è pregna di due gemelli, e quali sono i segni di un temporale imminente.
— Guarda fuori e dimmi se sta per arrivare un temporale.
Orem guardò. — Nessun temporale per oggi o domani — disse.
— Ma ci sarà lo stesso un temporale. Per il sangue del Cervo, non vedo l’ora che arrivi.
Orem si voltò a guardarla, chiedendosi se parlasse del temporale o del bambino che cresceva in lei. Teneva le mani intrecciate sulla pancia gonfia sotto le coperte del letto, ma non guardava né la finestra né la pancia. Quando fosse nato il bambino la sua vita sarebbe rapidamente terminata, lo sapeva.
Ma senza dubbio sarebbe vissuto fino a vedere suo figlio. Senza dubbio il suo futuro non gli avrebbe vietato questo.
Alla fine, verso mezzogiorno, lei si stancò di lui.
— Vai adesso — mormorò. — Ho bisogno di dormire.
Orem si avviò verso la porta, con un canto di trionfo nel cuore. Aveva bisogno di dormire, sicuro. Era opera sua, e sarebbe passato molto tempo prima che riuscisse di nuovo a dormire bene, se poteva fare a modo suo.
Ma lei lo fermò sulla soglia. — Torna da me — disse. — Domani, alla stessa ora.
— Sì, mia signora — rispose Orem.
— Ti ho trattato male, vero? — disse lei.
— No — mentì Orem.
— Gli dèi sono inquieti — disse Bella. — Non sopportano la disciplina. E tu?
Orem non comprese. — Sono sotto disciplina?
— L’ho notato solo oggi. Assomigli a lui.
— Chi?
— Lui — disse lei. — Lui. — Poi si voltò per dormire, e Orem uscì.
Orem non comprese, e io non glielo dissi, ma tu sai, vero Palicrovol? Cominciò ad amarlo, allora. E una parte della ragione per cui lo amò, fu che assomigliava a te. Ti fa ridere. Trecento anni di tortura, e il suo odio per te si era trasformato in amore. Non che intendesse liberarti. Mai. Ma lo stesso dovrebbe lusingarti. Sei il tipo di nemico che il tuo nemico ama.
Questo è il modo in cui i sentieri delle nostre vite si intrecciano e si separano. Se l’avesse mandato a chiamare il giorno prima, lui avrebbe potuto amarla. Ma lo cercò solo quando cominciò ad avere paura; e non ebbe paura finché lui non cominciò a disfare il suo lavoro; e lui non disfece il suo lavoro fino a quando non ebbe smesso di amarla. Se solo potessimo stare fuori dalle nostre vite e guardare quello che facciamo, potremmo porre rimedio a tanti danni prima che siano fatti.