Il portuale più vicino legò la loro cima a un palo sul molo, e Orem era sul punto di saltare a terra, quando Glasin gli lanciò un’occhiataccia e gli ordinò di restare. Aspettarono, e ben presto parecchi uomini con sgargianti brache del sud si avvicinarono per guardare i due e la zattera.
— Non sembra molto robusta quella zattera — disse uno.
Glasin si voltò a guardare un altro uomo. — Tutta quercia — disse con aria di sfida.
— Tenuta assieme con sputo e budella di gatto — ribatté l’uomo.
— Buona solo per legna da ardere — disse un terzo. — E ci vogliono anche tre giorni per farla asciugare. In cambio ti do un carro.
— Un carro e venti denari — disse un altro.
Glasin sbuffò e voltò la schiena.
— Un carro e un asino — disse l’uomo che aveva parlato per primo.
— Se ci aggiungi quattro scudi d’argento, ti do la zattera e la tenda.
— Scudi! E cosa ci farei io con una tenda?
Glasin alzò le spalle.
Un altro uomo annuì. Il terzo voltò le spalle, scuotendo la testa. Il primo, il quale aveva un occhio di falco che rimaneva sempre aperto a fissare, anche quando l’altro era chiuso, alzò le mani. — Dio manda dal fiume ladri travestiti da droghieri — disse. — Due scudi, un asino e un carro, ma per l’amor di Dio, tieniti la tenda.
Glasin guardò l’altro mercante, ma quello non alzò l’offerta. L’affare fu concluso.
O quasi. Occhio-di-falco guardò Orem. — Il ragazzo è in vendita? — chiese.
In vendita? Orem rimase costernato: come potevano prenderlo per uno schiavo? Non aveva anelli sulla faccia, non aveva marchi sulla pelle! Ma l’uomo aveva chiesto lo stesso, e il droghiere non aveva detto di no, ma stava pensando.
— Sono un uomo libero — disse Orem con forza, ma Occhio-di-falco non diede segno di averlo sentito, continuò a fissare Glasin. Alla fine il droghiere scosse la testa. — Io sono un Uomo di Dio, e questo ragazzo è libero.
Il compratore non disse altro, gettò solo due monete luccicanti a Glasin, che le afferrò al volo perché non si infilassero fra le fessure dei tronchi perdendosi nel fiume. Il compratore fece un segno e quattro uomini arrivarono. Uno conduceva un asino dall’aria triste e un carretto, mentre gli altri scaricarono rapidamente la zattera, mettendo sul carro tutto quello che ci stava e accatastando il resto sul molo. Quando tutto fu finito, il portuale annuì, piantò un chiodo rosso nel palo e se ne andò.
Orem salì sul molo e si fermò vicino al mucchio delle merci. Non che il droghiere glielo avesse chiesto; sembrava essersi quasi dimenticato della sua esistenza. Orem semplicemente non sapeva dove andare e cosa fare. Il grande spiazzo di fronte al porto era pieno di carretti e uomini, con qualche donna, e tutti gridavano e imprecavano. Altre zattere venivano scaricate ad altri ormeggi, e Orem era a terra solo da qualche momento che già gli uomini di Occhio-di-falco avevano slegato la zattera e la stavano spingendo in mezzo al fiume.
— La portano all’Isola delle Navi — disse il droghiere. — La taglieranno in tavole e ci costruiranno le navi. Dall’Isola delle Navi al mare, vanno e vengono le grandi navi. La metà del mio guadagno viene dalla zattera; l’asino da solo mi procurerà il doppio di quel legname, a nord, e il carretto vale tutto il mio carico quando compro nei mercati di campagna. Bene, ragazzo, che facciamo adesso?
Orem non capiva.
— Se rimani qui a sorvegliare le mie cose, e non lasci che nessuno le prenda, qualsiasi cosa ti offrano, ti darò cinque denari quando torno.
— Dove vai?
— Al mercato, a procurarmi un posto. Se vado subito, mentre tutti gli altri droghieri stanno ancora caricando i loro carri, posso trovare un posto migliore, capisci? Ma posso fidarmi di te?
Orem si limitò a guardarlo irritato. Chiedere a un uomo se ci si poteva fidare di lui era come chiedere a una ragazza non ancora sposata se era vergine. La domanda non era secondaria, ma porla era un insulto.
— D’accordo, allora — disse il droghiere. — Torno fra poco. Tu non parlare con nessuno.
Orem annuì, e immediatamente il droghiere partì di buon passo, sparendo fra la folla.
Attorno a sé Orem osservò gli altri droghieri litigare, contrattare, sminuire le merci degli altri. Qua e là c’erano dei portuali che facevano la guardia, come Orem; sospettava che loro venissero pagati molto di più dei pochi soldi di rame che avrebbe ricevuto lui. Non importava. Aveva appreso il valore astratto delle monete nella Casa di Dio, ma mai in vita sua era stato costretto a imparare quanto si poteva vivere con una certa quantità di denaro. E anche se lo avesse imparato, a Inwit tutti i valori erano diversi. Sei denari potevano mantenere per un mese una famiglia discretamente numerosa, a Banningside. Qui era diverso.
C’erano altre differenze. Orem non era così ingenuo da non sapere cosa stava succedendo quando un uomo con le brache color oro passò una borsa piccola e pesante a un uomo che faceva la guardia. La guardia voltò la schiena, mentre due carri venivano avvicinati al mucchio delle merci e gli uomini cominciarono a caricarle. Orem si aspettava di sentire grida di “Al ladro!” e di vedere la folla lanciare l’allarme; ma non avvenne niente del genere. Neppure Orem alzò un grido, perché aveva paura a farlo in un posto dove un crimine poteva essere commesso alla luce del sole. Aveva il sospetto che la somma di denaro costituisse solo la metà dell’affare. C’era una suggestione di violenza negli uomini dall’aria dura che caricavano i carri; si chiese se facendo resistenza il guardiano non sarebbe finito nel fiume.
Ben presto un uomo con i pantaloni rossi e braccialetti d’oro gli si fermò vicino.
— Ho qui una borsa di denari — disse sottovoce — che darò a un ragazzo che guarda il fiume. Venti denari, ragazzo mio.
Orem non sapeva cosa dire. Era una buona offerta, e gli dava un’idea di quanto fosse stato tirchio Glasin. Gli venne in mente che Glasin doveva avere molta fiducia in lui… oppure era convinto che Orem fosse uno sciocco senza alcuna idea del denaro.
L’uomo trasse le sue conclusioni dal silenzio di Orem. — Sono disposto ad arrivare a cinquanta denari. Cinquanta denari… ma ti dico una cosa, ragazzo: i pesci del fiume hanno una gran fame, e noi cerchiamo di dargli da mangiare carne ostinata.
Eccoli: il denaro e la minaccia, e lui era solo un ragazzino di quindici anni. I facchini dall’aria dura aspettavano sui carri vuoti. Che speranze poteva avere Orem se lo buttavano nel fiume? Si sarebbero impadroniti della mercanzia del droghiere sia che lui lo volesse o no; allora perché non guadagnarci almeno un po’ di soldi?
Ma non c’era nessuna poesia in cinquanta denari, proprio nessuna, e neppure un nome o un posto.
— Be’, sei sordo? Lo sai almeno cosa significa questo? — E nelle mani dell’uomo apparve un coltello. Per un momento Orem fu tentato di usare un trucco che il sergente gli aveva insegnato tanto tempo prima; ma era passato troppo tempo, e Orem non sapeva se aveva la forza e la velocità per rifarlo contro un uomo così grosso. Chi poteva dire cos’era capace di fare un uomo con le brache? Ma cosa aveva detto, l’uomo? Sei sordo?
— Oh, signore, come sei generoso! — gridò Orem a squarciagola. — Oh, sei saggio e generoso! — Non aveva i polmoni del vecchio Yizzer, alla porta della Casa di Dio, ma la sua voce era forte abbastanza dopo anni di canti e preghiere. — Oh, la tua faccia è gentile, signore, e Dio conosce il tuo nome più segreto. Dio e io conosciamo i tuoi nomi più segreti e li diremo! — E dicendo questo Orem allungò una mano e passò il palmo sulla punta del pugnale. Il sangue sgorgò con un dolore acuto, ma Orem sapeva dalle magie viste nella fattoria di suo padre cosa significava un atto del genere. Sollevò la mano e lasciò che il sangue colasse lungo il braccio, fino alla manica. — Io dirò i tuoi nomi!
Bastò quello. Oh, se bastò! Per vederlo scappare, con i pantaloni che frusciavano mentre le gambe si muovevano svelte. Orem però non era sicuro di aver fatto la cosà giusta; era una cosa terribile fingere di avere la magia. Una cosa terribile versare il sangue senza scopo; pagare un prezzo senza richiesta; ma era tutto quello a cui aveva pensato al momento; e l’uomo se ne stava andando: lanciandogli occhiate torve, è vero, ma lui e i suoi servi dall’aria losca scappavano. Fu un’illuminazione per Orem. Sì, si ripeté più volte, sì, questo è un luogo profondo e alto, ma hanno ancora paura della magia qui, nella città stessa della Regina Bella non sanno distinguere un mago sordo da un ragazzino disperato.
Ma non solo il ladro era rimasto spaventato: gli altri droghieri lo guardavano con aria sospettosa. Solo il portuale più vicino parve capire: gli strizzò l’occhio e si tracciò un segno sui pantaloni. Ma il cerchio era per congratularsi con lui o per tenere lontano il suo presunto potere? Orem immaginò la prima cosa; e capì anche che i portuali dovevano esigere un prezzo alquanto alto, poiché nessun ladro si dava la pena di avvicinarsi a uno di loro che fosse di guardia. Anche cento denari non potevano tentarli, e con centinaia di uomini dalla camicia verde nei dintorni, Orem immaginava che neppure il più disperato degli uomini avrebbe osato buttarne uno nel fiume, anche se respinto. La vita a Inwit era apertamente criminale, ma c’erano delle forme di protezione, e una di queste era trovarsi in una compagnia di uomini leali. Orem si chiese vagamente che aspetto avrebbe avuto con la camicia verde dei portuali.
Era quasi mezzogiorno quando Glasin tornò, sorridendo tutto contento. — Ho trovato un posto nel Mercato Grande — disse — e non devo dare una percentuale a nessuno. — Orem sentì che il fiato gli puzzava di birra. Il droghiere aveva davvero avuto fiducia in lui, per essersi fermato a bere durante il ritorno al molo. — Ma tutta la mia roba non ci sta sul carretto. Aspetta qui un’altra ora; per altri tre denari. — Il droghiere lo guardò con un sopracciglio sollevato.
Ormai Orem aveva capito quanto ci guadagnava il droghiere con i suoi servizi. Glasin non aveva dovuto pagare un portuale, né aveva dovuto dare una percentuale per il suo posto al Mercato Grande a qualche altro droghiere per guardargli le mercanzie sul molo. E a Orem venne in mente che Glasin aveva preso in considerazione l’idea di venderlo come schiavo. Poteva essere il Prezzo di Corth, ma era anche un furbacchione. E se avesse lasciato sul molo le cose che non poteva vendere? E se Orem lo avesse aspettato tutto il giorno, e lui non fosse più tornato?
— Per prima cosa i miei cinque denari — disse Orem.
Era un rischio calcolato; un uomo onesto avrebbe potuto mandarlo al diavolo, sentendosi offeso. Ma Glasin si limitò a ridere. — E va bene: sei denari, se aspetti ancora.
Dunque voleva davvero imbrogliarlo. — Prima i cinque che ho guadagnato.
Fu solo a questo punto che Glasin diventò sospettoso. — Eh, già: così quando torno non trovo più né te né la mia roba? Ti pago solo a lavoro finito.
Orem non poté sopportare l’accusa di essere un ladro, quando aveva rischiato la sua incolumità per salvare le mercanzie di Glasin.
— Un uomo mi ha offerto cinquanta denari, e mi avrebbe ucciso! Io l’ho fatto scappare per te, e tutto in cambio di cinque denari!
Glasin non gli credette. — E che razza di uomo potresti far scappare tu? Non mi faccio prendere per il naso con una bugia così sciocca, io!
Automaticamente, Orem si rivolse alle guardie e ai droghieri vicini, per avere una conferma della sua storia. — È vero, voi avete visto! — gridò. Ma nessuno diede segno di averlo sentito.
— E perché qualcuno dovrebbe testimoniare per te? — chiese Glasin. — Con cosa potresti pagarli?
— Potrei pagarli con i miei cinque denari.
— E allora vattene! Cerchi di imbrogliarmi. Dopo che ti ho lasciato venire sulla mia barca, buono a nulla che sei! Tieniti i tuoi cinque denari, che non ti sei guadagnato. E adesso sparisci, prima che chiami le guardie e ti denunci come ladro! Via! Sparisci!
A questo punto, con sorpresa di Orem, gli altri droghieri intervennero. — Il ragazzo ti vuole imbrogliare? — chiamò uno. — Buttiamolo nel fiume! — gridò un altro.
— Ai pesci, il ragazzo!
Che altro poteva fare, a questo punto, se non andarsene? Era furibondo per l’ingiustizia subita, ma era evidente che allo stesso modo in cui i portuali trovavano sicurezza nella reciproca compagnia, così i droghieri erano solidali fra loro; e avrebbero dato una mano a un altro droghiere, da qualsiasi parte stesse il diritto, contro un ragazzo vagabondo come Orem. Era un gruppo debole e poco sicuro, perché non avevano fatto né detto nulla quando un ladro aveva preso le merci di uno di loro, ma era lo stesso un gruppo. E quello di Orem dov’era? Chi avrebbe protetto lui? Era come nella Casa di Dio, con i suoi nemici che potevano gettarlo nel fuoco perché non aveva amici.
Allora scappò dal droghiere, stringendo in mano le sue poche monete di rame. Ma paura o non paura, voleva essere sicuro; così si fermò poco lontano, a guardare: e proprio come aveva pensato, Glasin riuscì a far stare tutta la sua mercanzia nel carretto, a parte la roba marcia. E per proteggere del cibo marcio, Orem avrebbe dovuto aspettare tutto il giorno, senza essere pagato. Non c’era onore a Inwit, neanche un briciolo, e questo lo rese più timoroso che mai della punta del pugnale che gli era stata puntata contro la pancia. Un pugnale aveva solo una punta, ma un traditore colpisce da qualsiasi parte, dicevano, e solo adesso Orem capiva quanto fosse vero.
Dove andare ora? Nelle sue chiacchiere, durante il viaggio, Glasin aveva parlato molto degli ingressi in città. A questo punto Orem non si sentiva troppo disposto a seguire i consigli di Glasin… ma in quel posto quale altra guida aveva? Glasin non poteva aver avuto alcun vantaggio nel mentirgli con i suoi racconti circa la città. Orem non aveva altra scelta che fidarsi. Cosa gli aveva detto Glasin? La Porta del Piscio, e tre giorni per trovare lavoro prima che lo buttassero fuori. Bene, allora non c’era altro da fare che andarci, poiché passare attraverso il Buco era pericoloso, aveva detto Glasin. E quali potevano essere quei pericoli, se il molo era pieno di trappole?
— Non comprare niente fuori dalla porta — gli aveva consigliato il droghiere. — E non comprare nulla da chi ti offre le cose. Capirebbero che sei un contadino alla prima occhiata, e ti chiederebbero dieci volte il prezzo abituale. — Era tutta la saggezza su cui Orem poteva contare, era la sua sola armatura, quando si trovò nella Via dei Macellai, dove quattro lunghe file di carri e di animali attendevano di superare le guardie alla Porta dei Maiali.
Le guardie indossavano gonnellini di placche metalliche e corazze di ottone; palesemente non erano i soldati che difendevano la città, poiché gli uomini di Palicrovol portavano cotte di acciaio e avevano spade che avrebbero spezzato come carta quelle corazze di ottone. E anche se le mura della città erano alte, e le porte di legno ben solide, Orem si chiese perché accadeva che Re Palicrovol, con un esercito che dicevano fosse il più forte mai visto al mondo, non fosse mai riuscito a minare o aprire una breccia nelle mura, e neppure, dicevano, a uccidere uno solo dei soldati della Regina Bella. Senza dubbio la Regina doveva avere un esercito terribile nascosto, e quelle guardie con le divise arcaiche dovevano essere solo di rappresentanza.
Di rappresentanza, tranne per il fatto che erano un ostacolo all’ingresso di Orem in città quanto potevano esserlo uomini in cotta d’acciaio e con spade d’acciaio. Li guardò, e vide che non si facevano fare troppa fretta dalla folla imprecante di droghieri e macellai; ogni visto era controllato per bene, e più di un uomo venne fatto aspettare mentre gli altri gli passavano davanti. E sopra tutti, c’erano gli arcieri, in cima alle torri della porta, attenti a tutto quello che succedeva sotto di loro. Non c’era modo per Orem di passare senza farsi notare, anche se lo avesse voluto.
— Non serve a niente guardare, contadino — disse una voce alle sue spalle.
Orem si voltò e vide un uomo dall’aria astuta, più basso di lui di quasi un palmo, che gli sorrideva. Sorrisi come questi, pensò Orem, li fanno i cani che hanno messo con le spalle al muro il loro scoiattolo.
— Non sono un contadino — disse Orem.
— Allora non puoi passare dalla Porta dei Maiali, no?
— Sto cercando la Porta del Piscio.
L’uomo annuì. — Tutti la cercano, ragazzo, tutti la cercano. Bene, quando avrai finito con la Porta del Piscio, troverai qui il vecchio Braisy, e potrai passare. Ti farà entrare in Inwit per la modica somma di cinque denari e un favore, sicuro. — Poi Braisy se ne andò, e poiché era molto piccolo, Orem lo perse quasi subito di vista fra il mare di teste che si muovevano in ogni direzione sulla Via dei Macellai.
Per quanto poco invitante fosse la città, Orem doveva trovare il modo di entrare. Fece delle domande, e fra tante risposte scorbutiche, raccolse informazioni sufficienti per arrivare alla Via del Letame, Ghe passava prima fra i puzzolenti recinti per il bestiame, e poi in mezzo alla Città dei Mendicanti. — Troverai facilmente le torri della Porta del Piscio, se guardi in alto e tieni le mura alla tua destra — gli aveva detto un uomo con il grembiule da macellaio sporco di sangue. Ma la Via del Letame era diventata rapidamente stretta, e si era allontanata dal flusso principale del traffico. Più andava avanti, meno insegne incontrava: tanto, chi sapeva leggere in un posto del genere? Poiché la Città dei Mendicanti era formata da coloro che non avevano trovato lavoro con i visti dei poveri e non potevano rimanere entro le mura della città. Era un posto per poveri, con squallidi negozietti di legno che lasciarono a poco a poco il posto a edifici chiusi con assi di legno, in cui, malgrado fossero pericolanti e sporchi, abitava della gente; e anche questi cominciarono a sembrare un lusso, man mano che delle baracche spuntavano fra i vecchi edifici cadenti. Le casupole invadevano la strada; la gente accoccolata all’ombra, sul lato a est della strada, aveva un’aria affamata; Orem cominciò ad aver paura dei ladri, perché in posti come quello anche cinque denari potevano valere la vita di un uomo.
Ben presto si trovò perso. Soltanto le mura rimanevano sempre uguali, alte e grigie, dominando la lurida città che era già tre volte più grande di Banningside. Orem non osava chiedere la strada a nessuno di quelli che incontrava lungo la strada. Si teneva il più lontano possibile dalle case. E più camminava, meno persone vedeva, fino a quando non ci fu nessuno, e in quel momento vide le due torri gemelle di una porta. Le case erano chiuse con assi o, cosa ancora più minacciosa, lasciate aperte, senza tetti e senza finestre, come se non fossero state finite. Non c’era un’anima in vista; neppure lo sbattere di una porta aperta rompeva il silenzio. Orem sapeva che quella non poteva essere la Porta del Piscio, da dove i poveri entravano nella città di Inwit. Ma questo non lo fermò, perché capì quale doveva essere quella porta, e ancor più volle vederla.
Si fermò ai piedi delle torri, guardando in alto. La strada si era allargata, formando una piazza, poi era sparita. Dove avrebbe dovuto aprirsi la grande porta in legno, delle case si alzavano appoggiandosi alle torri, coprendo lo spazio intermedio, e lasciando vedere solo in cima il legno della porta. C’era uno strano effetto ottico: un momento sembrava che la porta sorreggesse le case, quello successivo che le case sorreggessero le mura, impedendo loro di cadere addosso a Orem e di schiacciarlo.
— Ehi, ragazzo!
Orem sobbalzò, perché aveva creduto di essere solo.
— Cosa fai lì?
All’ombra di una delle case chiuse, c’erano due guardie. Le loro corazze di bronzo sembravano meno lucide di quelle delle guardie alla Porta dei Maiali. Ma questo le rendeva ancora più minacciose. Senza pensare, Orem decise che questa era la volta di sembrare ciò che era in realtà: un ragazzo di campagna, perso nei bassifondi della città.
— Sto cercando la Porta del Piscio — disse. — È la prima volta che vengo qui. Hanno chiuso la porta?
Le guardie si guardarono e sorrisero. C’era della derisione nel loro sorriso, e Orem si sentì a disagio.
— Questa non è di sicuro la Porta del Piscio. Quella la si riconosce dalla puzza dei ladri e dei contadini che arrivano dal fiume sperando di diventare ricchi in città. — Le guardie gli si avvicinarono, e Orem si accorse che ce n’era più di una dozzina; erano rimaste nascoste nell’ombra o, sospettava Orem, nei gusci delle case che non erano chiuse con le assi.
— Io non spero di diventare ricco — disse Orem, cercando di sembrare spaventato, e riuscendoci meglio di quanto si fosse aspettato.
— Da dove vieni, ragazzo?
— Da una fattoria, la fattoria di mio padre. Vicino a Banning.
Le guardie si fecero più all’erta, e Orem notò che le mani si erano posate sulle impugnature, e le dita si erano chiuse attorno alle asce. — C’è una persona illegale vicino a Banningside — disse una guardia.
Una persona illegale? Il Re, naturalmente. E per un terribile momento, Orem temette che lo prendessero per una spia. Le spie, lo sapeva, erano scuoiate vive e costrette a ingoiare il loro cuore. Doveva far finta di non sapere che Palicrovol era venuto in quella regione? No, non l’avrebbero mai creduto. Era impossibile non accorgersi che un esercito così grande veniva a foraggiarsi in una zona. — So soltanto che i sergenti andavano in giro a reclutare i soldati. E io non volevo entrare nell’esercito.
La guardia che sembrava a capo del gruppo lo guardò dalla testa ai piedi e rise. — Se hai rischiato di essere arruolato, vuol dire che i ribelli sono più disperati di quanto si credesse.
Alla risata, Orem cercò di sorridere, sperando di farseli amici. La sua allegria li offese. Il comandante non lo prese per la camicia: lo prese per la pelle della vita, in una stretta che strappò a Orem un grido. — Lo sai quanto sei vicino a morire?
— No, signore.
Un’altra guardia aveva aperto la bisaccia di Orem. Dentro c’era solo la sua fiasca, ancora piena con l’acqua della sorgente di suo padre, e l’ultimo pezzo di pane, che ormai era duro come un sasso. Le sue monete erano in un posto più sicuro.
— È uno ricco, si vede — disse la guardia ributtandogli la bisaccia.
Orem osò fare una domanda: — Perché è chiusa questa porta?
— Starai meglio se non saprai mai la risposta a questa domanda.
Una guardia dai capelli bianchi, che aveva l’aria di uno che ha commesso tutti i peccati e ancora non è soddisfatto, parlò a bassa voce: — È uno sciocco campagnolo. È pieno giorno.
— Io dico di interrogarlo — disse un altro.
La guardia dai capelli bianchi parlò a voce ancora più bassa. — Merda. Le spie lo sanno come entrare in città, e non usano il Buco a metà pomeriggio.
Il comandante diede una spinta a Orem, facendogli male al fianco anche nel lasciarlo andare. — Vattene via di qui, ragazzo, e non tornare. Se cerchi la Porta del Piscio, segui il muro verso nord, e non allontanartene.
— Oppure torna a casa tua — disse la guardia dai capelli bianchi. — Non c’è niente a Inwit per te. Non lo sai che questa città divora i bambini e scuoia vivi uomini forti?
Orem sorrise come se non capisse, e indietreggiò. — Grazie signori. Buona giornata a voi. Non tornerò più.
— Il tuo nome, ragazzo! — disse il comandante. — E non mentire!
— Orem ap Avonap!
La guardia dai capelli bianchi rise forte. — Che nome! Solo a un contadino verrebbe in mente!
Le altre guardie si diedero delle gomitate e risero pure loro. Ma lo guardarono lo stesso sparire alla vista, e Orem ebbe il sospetto che uno lo seguisse per un bel pezzo.
Lo fece arrabbiare che avessero riso di lui, ma quello che lo irritava di più era che si era meritato le loro risate. Uno sciocco, ecco cos’era stato, e non era stata una finta, anzi!
Più si spostava verso nord, meno il luogo appariva morto; un bambino che giocava nella strada, poi un mendicante che dormiva steso a terra, e infine cominciarono ad apparire dei rifiuti ai bordi della strada, e in mezzo un canale di scolo, fetido per la sporcizia in decomposizione. La Città dei Mendicanti era tornata viva, lontano dal Buco, e le facce che prima lo avevano spaventato adesso erano un sollievo. Orem cominciò a vedere non la loro estraneità, non la crudeltà e la sporcizia, ma la debolezza e il dolore. La maggior parte indossavano abiti eleganti, ma così a brandelli e sporchi che i colori un tempo brillanti erano ridotti a un marrone o un grigio uniformi. C’era qualcosa di spento anche negli occhi, come se la vita, nella Città dei Mendicanti, togliesse la mente dalla testa, come se la gente potesse attraversare le sue giornate senza mai svegliarsi completamente.
Orem cominciò ad avere pietà di loro, e quasi perse la sua paura, fino a quando un uomo con una faccia vuota come tutti si avvicinò a un altro uomo, non lontano da Orem, e con calma gli infilò un pugnale in un occhio. La vittima cadde senza un grido, col sangue che sgorgava sulla sua faccia e sulla strada. Orem provò più angoscia che paura, poiché se un uomo con una faccia morta come quello poteva uccidere, se i morti potevano alzarsi e trascinare i vivi nelle loro tombe, che speranze aveva lui di conservare la sua vita?
Sul molo il ladro era stato ignorato dai testimoni del suo crimine, ma qui vigeva un altro codice. Mentre l’assassino stava spogliando la sua vittima, cinque o sei uomini si raccolsero attorno e cominciarono a gettare pietre contro il ladro. Il ladro cercò di scansarle senza molta convinzione, e alla fine rinunciò a impadronirsi della camicia del morto. Mentre si allontanava dalla sua vittima, gli uomini lo raggiunsero, lo presero a calci, lo gettarono a terra, lo picchiarono in silenzio, senza una parola. Il ladro dapprima cercò di ripararsi dai colpi, ma alla fine rinunciò a difendersi. Non aveva perso la conoscenza, vide Orem; né gli uomini che lo battevano erano spinti dall’odio. Semplicemente lo presero a calci, finché un uomo saltò con entrambi i piedi sulla testa e sul collo dell’uomo. Il collo si ruppe. La bocca si apri, con la mascella penzolante, e tuttavia gli occhi non sembrarono più morti di prima. Gli uomini che avevano ucciso l’assassino lo lasciarono sulla strada vicino alla sua vittima. I topi già si stavano radunando, e nessuno si mosse per coprire i corpi. Orem sentì di aver visto tutto ciò che c’era da vedere della ruota della vita, in quel luogo. Lì non c’era nascita: solo morte, solo i topi che rodevano i cadaveri.
Il pugnale era rimasto infilato nell’occhio della vittima, dritto in aria. D’impulso, Orem si avvicinò al cadavere e allungò una mano per prenderlo; nello stesso istante, una mano lunga e sottile si allungò anch’essa verso il cadavere. Per un momento, Orem pensò che qualcun altro volesse impadronirsi dell’arma. Ma non era così: era una vecchia, e teneva in mano una tazza con cui raccoglieva il sangue che ancora colava. Una strega, dunque, che poteva servirsi anche di sangue non guadagnato. Orem si chiese che razza di lurida magia poteva essere praticata con sangue di un cadavere trovato nella strada, mentre faceva un passo indietro e la lasciava fare.
Lei finì. Alzò gli occhi a guardarlo e gli sorrise. Poi si chinò e baciò il pugnale. Per un momento, Orem pensò di non prenderlo più: chissà cosa significava quel bacio. Ma poi ci ripensò. Anche un ragazzo istruito da prete poteva usare un pugnale, se ne avesse avuto la necessità, e in quel luogo non aveva intenzione di sottomettersi passivamente a quello che potevano decidere per lui i cadaveri viventi. Così fece un passo avanti e tirò fuori il coltello, facendo uscire dall’occhio un ultimo fiotto di sangue. In mancanza di un mezzo migliore, pulì il pugnale sugli abiti del morto. Poi lo mise nella bisaccia.
La donna parlò, con una voce che sibilava come l’ultimo respiro di una scrofa macellata. — Ci sono tre cose in natura che non conoscono moderazione, nel bene e nel peccato. — Inclinò di lato la testa e aspettò.
Orem ebbe un brivido. Conosceva la litania, e sapeva bene che non poteva rimanere incompleta. Se lei si fermava, toccava a lui continuare. — Quando sono governate dalla virtù — disse a bassa voce — sono eccellentissime in virtù.
— La lingua — disse la donna. — E un prete.
— Ma quando sono corrotte, non vi è fondo che possa fermare la loro caduta infernale. — È sufficiente, pensò Orem, o devo dire il terzo nome?
— E una donna. — La vecchia sorrise e annuì con aria di intesa, come se condividessero qualcosa di bello; poi prese la tazza di sangue che si stava coagulando, e se ne andò.
Orem sentiva il pugnale nella bisaccia come un piccolo fuoco, che gli bruciava la pelle anche se non poteva toccarlo direttamente. Cosa aveva voluto significare facendogli cantare l’Ambivalenza? Avvertirlo di frenare i suoi desideri malvagi? Ma io non ho alcun desiderio veramente innominabile, pensò, e poi non sono più un prete. Perché dovrei preoccuparmi degli avvertimenti di una donna già tanto corrotta da usare sangue trovato? Tuttavia, non poteva non sentire un brivido. E ancora il pugnale gli bruciava la schiena. Ancora il pugnale gli gelava la schiena, finche non ebbe camminato un bel po’, ed ebbe pensato abbastanza ad altre cose, ed ebbe cantato mentalmente abbastanza canzoni perché la litania dei tre sconfinati amici e nemici di Dio svanisse dalla sua mente, e dimenticasse anche il pugnale che portava.
Finalmente, la Porta del Piscio. Da lontano, sembrava uguale alla Porta dei Maiali e al Buco; da vicino, aveva un carattere tutto suo. Quel luogo non apparteneva ai suoi abitanti permanenti. Non era silenzioso e disperato. La fila era lunga, e andava avanti a forza di spintoni, e solo la presenza di molte guardie impediva alle discussioni di degenerare in scontri. Quanto alle guardie, erano arcigne e molto occupate; sei erano a cavallo, e andavano su e giù lungo la fila. Non c’erano morti fra quelli che aspettavano di entrare. Potevano essere arrabbiati o stupidi o spaventati o sottomessi o allegri, ma non erano morti. Orem si riconobbe in molte facce della fila, vergognandosi per l’evidente ingenuità degli altri della sua età, e insieme sollevato perché era possibile essere lì con qualche speranza. Gente di campagna; gente che sognava di trovare qualche tesoro in città. Orem prese il suo posto nella fila e si sentì più piccolo, ma anche più al sicuro che nelle strade della Città dei Mendicanti.
Aveva appena preso posto, che la fila alle sue spalle si era già allungata di un centinaio di persone. Le guardie alla Porta dei Maiali facevano passare tre o quattro droghieri insieme, ma qui non avevano tanta fretta. Le grandi porte non erano spalancate: solo una porticina serviva a far passare i poveri. E tuttavia la gente manifestava gli stessi segni di fretta dei droghieri e dei macellai: come se pensassero che passando davanti a qualcuno, potessero avere per sé il lavoro che quello avrebbe potuto avere. Dentro la Porta c’era la risposta a tutto, se solo si riusciva a passare e a fare le domande per primi. Un lavoro; un visto da lavoratore; il diritto di rimanere in città; quella era la porta del paradiso, e gli angeli nelle loro corazze di bronzo tenevano le catene della salvezza. Orem non poteva fare a meno di veder il mondo come lo vedevano i preti; e non poteva fare a meno di sentirsi divertito all’idea che quelle guardie dalle facce sporche fossero angeli. Sono questi il ponte d’argento, e la porta d’oro, e le catene di acciaio? Provate a parlarne al catechismo, diacono Dobbick.
— È la prima volta?
Era l’uomo davanti a lui, che aveva tre sottili cicatrici sulla guancia, due vecchie e bianche, raltra appena un po’ rosea. Non aveva un’aria amichevole, ma almeno gli aveva parlato.
— Sì — disse Orem.
— Be’, ti do un consiglio: non accettare alcun lavoro dagli uomini che ci sono appena dopo la porta.
— Io voglio un lavoro.
L’uomo storse la bocca. — Promettono di prenderti per un anno, ma dopo tre giorni ti consegnano alle guardie, senza visto. E non ti pagano. Così fai tre giorni di lavoro gratis, e sei fuori di nuovo. I veri lavori sono più in centro.
— Dove?
— Se lo sapessi, sarei ancora qui a fare la fila?
E finalmente, con il sole che illuminava coi suoi raggi rossi e caldi la piccola porta, arrivarono davanti alle guardie. L’uomo che aveva parlato con Orem rispose scontrosamente alle domande: Nome, cittadinanza, mestiere. Rainer, falegname in cerca di lavoro, cittadino di Cresting. La guardia gli prese il mento e gli fece girare la testa, per vedere le cicatrici sulla guancia. Fu quella rosa che fece arrabbiare la guardia.
— È ancora rossa, Rainer. Accidenti, sei cieco?
— Non ho lo specchio — rispose Rainer. — La mia donna mi ha detto che era bianca.
— Lo immaginavo: solo una donna cieca potrebbe volerti. Vattene e ritorna quando il tempo è passato.
E adesso Orem era il primo della fila, vagamente consapevole che Rainer il Falegname era ancora lì.
— Nome?
— Orem.
La guardia aspettò, poi chiese impaziente: — Tutto il nome!
Orem ricordò le risate al Buco per il suo cognome. Rainer aveva usato come cognome quello della sua professione, e così aveva fatto Glasin. Bene, Orem non aveva lavoro. Perché avevano riso? Forse non usavano il nome del padre, lì.
— Orem e basta.
La guardia lo guardò divertita. — Vieni da un villaggio molto piccolo, eh? — Gli guardò il corpo, e gli parve ancora più divertito. Orem maledisse la sua magrezza e la bassa statura. — Allora ti chiameremo Orem Fianchi-Magri, eh? Fianchi-Magri! — lo ripeté ad alta voce, e le altre guardie risero. — Mestiere?
— Cerco un lavoro.
— Che tipo di lavoro?
— Uno qualsiasi.
— Uno qualsiasi? Ne: uno prende un uomo che non sa fare qualcosa. Questa non è una fattoria, dove c’è bisogno di asini per portare i carichi.
Non l’avrebbero lasciato passare, senza un mestiere? E lui cosa sapeva fare? So a memoria tutte le preghiere. Posso elencare le lettere maiuscole, le lettere corporali e le lettere spirituali, i numeri reali, i numeri interi, i numeri variabili. — So leggere e scrivere.
La guardia fece una faccia di finta sorpresa. — Uno studioso, eh? — Ma non aveva più voglia di divertirsi con lui. Gli prese la bisaccia e l’aprì. Una fiasca di acqua, un pezzo di pane, e un pugnale con ancora un po’ di sangue. Non il piccolo coltello che Orem portava alla cintura e che serviva per tagliare il formaggio. Quello era evidentemente un coltello per uccidere, lungo e appuntito. La guardia lo sollevò. — Leggere e scrivere. Oh, l’ho già sentita questa. E questo cosa sarebbe, la tua penna?
Orem non sapeva cosa dire. Il pugnale gli era sembrata una bella cosa mentre passava per la Città dei Mendicanti, adesso poteva essere un ostacolo al suo ingresso in città, o peggio.
Ma in quel momento, Rainer il Falegname parlò. — È mio — disse.
— Tuo! — disse la guardia.
— L’ultima volta che sono entrato mi hanno derubato, e non avevo intenzione di farmi derubare un’altra volta. Pensavo che non avreste guardato nella bisaccia del ragazzo. Lui non sapeva di averlo.
La guardia guardò dall’uno all’altro. L’espressione di stupore sulla faccia di Orem era sincera, e nulla si poteva leggere negli occhi di Rainer. Alla fine la guardia alzò le spalle. — Rainer, sei uno sciocco. Lo sai che ti avremmo frustato con una verga di vetro per una cosa del genere, se fossi riuscito a farla passare.
— Una verga di vetro o il randello di piombo di uno spaccateste, ditemi voi la differenza — disse Rainer. E la guardia tornò a scrivere sul visto di Orem. — Cittadinanza?
— Banningside, a Waterswatch Alta.
Ancora una volta la guardia lo guardò con sospetto. Ancora una volta Orem fu costretto ad affermare che fuggiva dall’arruolamento coatto nell’esercito di Palicrovol. Ancora una volta loro risero del suo corpo, e lui avrebbe voluto prenderli a pugni, e mandare in frantumi i loro sorrisi di derisione. Ma finalmente poté entrare, finalmente ebbe fra le mani il suo visto, e tutto grazie a Rainer il Falegname, un uomo che non conosceva. Proprio quando Orem era giunto alla conclusione che non ci fosse altruismo in quel luogo, uno straniero aveva mentito per farlo entrare in città. Orem non osò voltarsi per ringraziarlo: questo avrebbe rovinato tutto. Ma parte del suo nome e della sua poesia sarebbe stata una ricompensa per quel favore. Rainer avrebbe scoperto che non era senza profitto aiutare Orem ap Avonap.
Venne guidato dentro la porta dalle mani rudi ed efficienti delle guardie. Ma una volta entrato, non avevano ancora finito con lui. C’era una guardia con un corto rasoio, e prima che Orem potesse rendersi conto di quello che stava succedendo, due guardie lo afferrarono e gli tennero la testa, mentre la terza gli faceva un taglio sulla guancia. Era un taglio corto e poco profondo, ma il sangue sgorgò subito dalla ferita e gli macchiò la camicia.
Una bocca parlò vicino al suo orecchio. — Stai attento: sappiamo per esperienza quando questa ferita è abbastanza rimarginata perché siano passati tre giorni. Ogni guardia che vedrà la ferita, controllerà il tuo viso, e se sei rimasto troppo ti taglierà un orecchio. Capito? Se verrai preso due volte, ti tagliamo le palle. Hai tre giorni. Fino al tramonto, chiaro? E una volta fuori, la cicatrice dovrà essere bianca prima che ti facciamo rientrare. E stai lontano dalla Strada di Pietra. Vai. — Con uno spintone nella schiena, Orem fece il suo ingresso a Inwit.