XVI DIRITTO DI PROPRIETÀ

I Neri cominciarono a ululare prima del canto del gallo. Cavil Planter non si svegliò subito; il rumore in qualche modo andava d’accordo col suo sogno. In quel periodo nei suoi sogni comparivano abbastanza di frequente Neri che ululavano. Alla fine tuttavia Cavil si svegliò e subito balzò giù dal letto. Fuori cominciava appena ad albeggiare; per avere abbastanza luce da trovare i calzoni dovette aprire le tende della finestra. Riuscì a distinguere alcune ombre in movimento davanti alle baracche degli schiavi, ma non capì che cosa stesse accadendo. Naturalmente pensò subito al peggio, e si affrettò a staccare il fucile dalla rastrelliera fissata alla parete della camera da letto. I proprietari di schiavi, nel caso non l’aveste capito, tengono sempre le armi da fuoco nella stessa stanza in cui dormono.

Una volta in corridoio, andò quasi a sbattere contro una donna. Questa gettò un grido. A Cavil fu necessario un istante per riconoscere sua moglie Dolores. Poiché di solito quest’ultima usciva di camera sua a ore fisse, Cavil a volte si scordava che sua moglie era in grado di camminare. Semplicemente, non era abituato a vederla scendere dal letto e muoversi per la casa senza un paio di schiave a cui appoggiarsi.

«Zitta, Dolores, sono io, Cavil.»

«Ah, Cavil, che c’è? Che cosa sta succedendo là fuori?» Gli si era aggrappata al braccio, e lui non poteva muoversi.

«Non credi che saprei dirtelo se tu mi lasciassi andare?»

Dolores gli si aggrappò ancor più convulsamente. «Non farlo, Cavil! Non andare là fuori da solo! Potrebbero ucciderti!»

«E perché dovrebbero farlo? Non sono forse un padrone giusto? Il Signore non vorrà proteggermi?» Ciononostante, Cavil fu attraversato da un brivido di paura. Possibile che fosse scoppiata la rivolta che ogni padrone di schiavi temeva, ma di cui nessuno osava parlare? In quel momento si rese conto che in realtà quel pensiero si agitava in un angolo della sua mente dal momento in cui si era svegliato. Ora Dolores l’aveva tradotto in parole. «Sono armato» disse Cavil. «Non darti pensiero per me.»

«Ho paura» piagnucolò Dolores.

«Lo sai di che ho paura io? Che tu possa inciampare al buio e farti male sul serio. Torna a letto, in modo che io non debba preoccuparmi anche per te mentre vado a vedere che cos’è successo.»

Qualcuno cominciò a picchiare alla porta.

«Padrone! Padrone!» gridò uno schiavo. «Abbiamo bisogno di voi, padrone!»

«Hai visto? È Volpe Grassa» esclamò Cavil. «Se fosse scoppiata una rivolta, amor mio, l’avrebbero immediatamente strangolato»

«E questo dovrebbe rassicurarmi?» chiese lei.

«Padrone! Padrone!»

«A letto» ordinò Cavil alla moglie.

Per un istante la mano di lei si posò sul freddo e duro metallo del fucile. Poi Dolores si voltò e, come un pallido fantasma grigiastro nell’oscurità del corridoio, scomparve fra le ombre verso la sua camera.

Volpe Grassa era così agitato che riusciva a stento a star fermo. Come sempre, Cavil lo guardò con disgusto. Sebbene avesse bisogno di lui per sapere chi fra gli schiavi parlasse a sproposito dietro le sue spalle, non era certo tenuto a trovarlo simpatico. Salvare l’anima di un Nero di sangue puro era un’impresa assolutamente disperata. Erano tutti nati nella più profonda corruzione, come se avessero abbracciato il peccato originale e l’avessero succhiato insieme al latte delle loro madri. Con tutta la malvagità di cui erano impregnate, c’era da meravigliarsi che quel latte non fosse nero. Cavil avrebbe voluto soltanto che il processo d’immettere nelle vene dei Neri una quantità sufficiente di sangue bianco (in modo che valesse la pena tentare di salvare le loro anime) non fosse così lento.

«È la piccola Salamandy, padrone» disse Volpe Grassa.

«Il bambino sta nascendo in anticipo?» chiese Cavil.

«Oh, no» esclamò Volpe Grassa. «No, non è il bambino, no, padrone. Oh, per favore venite giù. Non è il fucile che vi serve, padrone. È il vostro coltello da caccia credo, quello grande.»

«Lascia che sia io a decidere che cosa mi serve» sbottò Cavil. Se un Nero ti consiglia di metter via il fucile, ebbene quello è il momento di tenerselo ancora più stretto, pensò.

Cavil si avviò a lunghi passi verso gli alloggi delle schiave. Ormai era abbastanza chiaro per vedere dove metteva i piedi e individuare così i Neri che scivolavano tra le baracche, guardandolo fisso con quegli occhiacci bianchi. Quegli occhi erano sicuramente un dono di Dio, altrimenti al buio uno non avrebbe avuto modo di vederli.

Davanti alla porta della capanna di Salamandy si era riunito un gruppetto di donne. Vicina com’era al parto, la ragazza era stata esentata dal lavoro nei campi, e dormiva su un letto con un buon materasso. Nessuno avrebbe potuto dire che Cavil Planter non si prendesse cura delle sue fattrici.

Una delle donne — nell’oscurità non riusciva a vederla bene, ma dalla voce doveva essere Coppy, quella battezzata col nome di Agnes, ma che si era scelta quel soprannome perché gli altri dicevano che somigliava a un copperhead, un serpente a sonagli — insomma, una di loro esclamò: «Ah, padrone, stavolta dovete proprio lasciarci sgozzare un pollo!»

«Nessun abominio pagano sarà mai praticato in questa piantagione» disse risolutamente Cavil. Ma in quel momento capì che Salamandy era morta. Meno di un mese al parto, ed era morta. Si sentì trafiggere il cuore. Un bambino di meno. Un’altra fattrice perduta. Ah, Signore, abbi pietà di me! Come posso servirti adeguatamente, se mi porti via la mia migliore concubina?

Nella stanza c’era un puzzo insopportabile, per via degl’intestini che le si erano vuotati nelle convulsioni dell’agonia. Si era impiccata con il lenzuolo. L’uomo si maledisse per averglielo lasciato. Visto che Salamandy era incinta del suo sesto bambino mezzo Bianco, Cavil le aveva generosamente concesso di coprire il materasso con un lenzuolo, e lei gli si era rivoltata contro, ringraziandolo in quel modo.

I piedi della ragazza penzolavano a non più di un palmo da terra. Probabilmente era salita sul letto per poi saltar giù. In quel momento, mentre il cadavere dondolava lievemente per lo spostamento d’aria dovuto all’ingresso di Cavil nella stanza, i suoi piedi urtarono contro il fianco del letto. A Cavil non ci volle più di qualche istante per capire che cosa ciò significasse. Poiché non si era rotta l’osso del collo, per morire soffocata le era stato sicuramente necessario un sacco di tempo e per tutto quel tempo il letto si trovava solo a qualche pollice di distanza, e lei lo sapeva. Per tutto quel tempo, avrebbe potuto salvarsi la vita in qualsiasi momento. Avrebbe potuto cambiare idea. Quella donna aveva voluto morire. No, aveva voluto uccidere. Assassinare il bambino che portava in grembo.

Una nuova prova di quanto i Neri fossero pervicaci nella loro malvagità. Piuttosto che dare alla luce un bambino mezzo Bianco con una speranza di salvezza, aveva preferito impiccarsi. Dunque non c’era limite alla loro perversione? Com’era possibile per un uomo timorato di Dio salvare simili creature?

«Si è ammazzata, padrone!» esclamò la donna che gli aveva rivolto la parola in precedenza. Cavil si voltò a guardarla, e ormai la luce era sufficiente per fargli vedere che si trattava proprio di Coppy. «Se non sgozziamo un pollo per lei, domani notte sicuramente ammazzerà qualcun altro!»

«Mi dà la nausea, pensare che possiate usare la morte di questa povera donna come scusa per arrostirvi un pollo senza motivo. Salamandy avrà una sepoltura come si deve, e la sua anima non farà del male a nessuno, anche se come suicida brucerà sicuramente in eterno fra le fiamme infernali.»

A queste parole, Coppy lanciò un grido disperato. Le altre donne si unirono alle sue lamentazioni. Cavil ordinò a Volpe Grassa di mettere insieme una squadra di giovani maschi e di andare a scavarle una fossa… non nel cimitero degli schiavi, si capisce, poiché in quanto suicida non poteva riposare in terra consacrata. Laggiù tra gli alberi, senza alcun segno di riconoscimento, come si addiceva a una bestia che aveva tolto la vita alla sua stessa prole.

Salamandy venne sepolta prima del tramonto. Poiché era morta suicida, Cavil non poteva certo chiedere al pastore battista o al prete cattolico di venire a dare il loro contributo. In realtà aveva una mezza intenzione di pronunciare l’orazione funebre egli stesso, se non si fosse dato il caso che quella sera egli avesse già invitato a cena un predicatore itinerante. Il predicatore arrivò in anticipo, e gli schiavi lo rimandarono al boschetto, dove trovò la sepoltura in corso e si offrì di dare una mano.

«Non dovete disturbarvi» disse Cavil.

«Non sia mai detto che il reverendo Philadelphia Thrower non abbia profuso amore cristiano verso tutti i figli di Dio… Bianchi e Neri, maschi e femmine, santi e peccatori.»

A quelle parole gli schiavi drizzarono le orecchie, e così fece Cavil, sebbene per motivi opposti. Quelli erano discorsi da Emancipazionista, e Cavil tremò all’idea di aver invitato in casa propria il demonio in persona, sotto le vesti di quel predicatore presbiteriano. D’altra parte, concedere a un vero pastore di amministrare il rito funebre avrebbe senz’altro contribuito ad acquietare i timori superstiziosi dei Neri. E difatti, una volta pronunciata l’orazione e riempita la fossa, tutti parvero molto più tranquilli: niente più ululati da accapponar la pelle, insomma.

A cena il predicatore — Thrower, si chiamava — dissipò gran parte dei timori di Cavil. «Sono convinto che l’arrivo dei Neri in catene nel continente americano sia parte del grande disegno divino. Come i figli di Israele, che dovettero sopportare anni di cattività in Egitto, così queste anime nere sono soggette alla sferza del Signore, che le plasma secondo i Suoi fini. Gli Emancipazionisti hanno compreso una grande verità — che Dio ama anche i suoi figli neri — ma tutto il resto l’hanno frainteso. Pensate, se potessero fare a modo loro e liberare tutti gli schiavi in una volta sola, ciò gioverebbe agli scopi del demonio, e non a quelli di Dio, perché senza schiavitù i Neri non avrebbero alcuna speranza di sollevarsi al di sopra della loro condizione animalesca.»

«La vostra mi sembra ottima teologia» commentò Cavil.

«Possibile che gli Emancipazionisti non capiscano che ogni Nero fuggito dal suo legittimo padrone per rifugiarsi al Nord è condannato alla dannazione eterna insieme alla sua prole? Per i vantaggi che può trovare al Nord, sarebbe stato meglio per lui restare in Africa. I Bianchi di lassù odiano i Neri, com’è giusto che sia, giacché solo i più malvagi, orgogliosi e superbi osano recare offesa a Dio abbandonando il loro padrone. Ma voi che abitate negli Appalachi e nelle Colonie della Corona amate i Neri d’autentico amore, giacché solo voi siete disposti ad assumervi la responsabilità di queste pecorelle smarrite, aiutandole a progredire sulla strada dell’autentica umanità.»

«Può ben darsi che siate presbiteriano, reverendo Thrower, ma sicuramente conoscete la vera religione.»

«Sono felice di sapere che mi trovo nella casa di un uomo timorato di Dio, fratello Cavil.»

«Mi auguro di potermi davvero ritenere vostro fratello, reverendo Thrower.»

Così continuarono a conversare e ad apprezzarsi sempre di più col procedere della serata. Quando scese la notte, uscirono in veranda per godersi la frescura: allora Cavil cominciò a pensare di aver incontrato il primo uomo al quale poter rivelare almeno una parte del suo grande segreto.

Cavil la prese alla larga. «Reverendo Thrower, non pensate che anche al giorno d’oggi il Signore Iddio possa rivolgersi direttamente a qualche essere umano?»

La voce di Thrower si fece solenne. «Sono sicuro che ciò possa avvenire.»

«E non credete che possa rivolgersi perfino a una persona qualsiasi… a un uomo come me?»

«Non dovete sperarlo, fratello Cavil» disse Thrower «perché il Signore agisce secondo la Sua volontà, e non secondo la nostra. Eppure so per certo che il più umile degli uomini può ricevere un… un messo.»

Cavil sentì come un vuoto allo stomaco. Accidenti, sembrava quasi che Thrower fosse già al corrente del suo segreto. Ma ancora non osò rivelare tutto quanto. «Volete sapere che cosa penso?» disse Cavil. «Penso che il Signore Iddio non possa apparire nella Sua vera forma, perché la Sua gloria potrebbe incenerire un semplice mortale.»

«Ne sono convinto anch’io» approvò Thrower. «Come quando Mosè desiderava ardentemente una visione del Signore, e il Signore gli coprì gli occhi con la mano, permettendogli solo di vederlo di spalle mentre si allontanava.»

«Ma che ne direste se un uomo come me avesse visto il Signore Gesù in persona, non simile alle figure dei libri, bensì per esempio con l’aspetto di un sorvegliante? Per quanto mi riguarda, sono convinto che un mortale non possa vedere la vera maestà di Dio, ma solo qualcosa che possa fargli comprendere la potenza di Dio.»

Thrower annuì pensosamente. «Può darsi» disse. «È una delle spiegazioni possibili. Oppure può darsi che abbiate visto un angelo.»

Dunque c’era arrivato… e in fondo era stato così semplice. Da «che ne direste se un uomo come me…» a «può darsi che abbiate visto un angelo». Era davvero straordinario quanto loro due si somigliassero. Perciò, dopo quasi sette anni, Cavil raccontò per la prima volta tutta la storia dall’inizio alla fine.

Quando ebbe finito, Thrower gli prese la mano e la strinse fraternamente, guardandolo diritto negli occhi con un’espressione quasi spiritata. «Quale sacrificio da parte vostra: unire la vostra carne a quella di tante Nere al solo scopo di servire il Signore. Quanti figli avete avuto?»

«Venticinque nati vivi. Stasera mi avete aiutato a seppellire il ventiseiesimo, ancora nel grembo di Salamandy.»

«E dove sono questi piccoli mulatti dei quali possiamo augurarci la salvezza?»

«Ah, l’altra metà dell’opera sta proprio in questo» disse Cavil. «Fino al Trattato sugli Schiavi Fuggiaschi, li vendevo il più presto possibile al Sud, in modo che, crescendo, diffondessero il sangue bianco nelle Colonie della Corona. Ciascuno di loro sarebbe divenuto una specie di missionario attraverso il suo seme. Naturalmente gli ultimi li ho tenuti qui. Ma la cosa non è esente da rischi. Tutti i miei schiavi in età da riproduzione sono Neri di pura razza, e la gente prima o poi comincerà a chiedersi di dove vengono questi piccoli mulatti. Fino a ora, però, l’unico che li ha visti è Lashman, il mio sorvegliante e, anche supponendo che se ne sia accorto, ha sempre tenuto la bocca chiusa.»

Thrower annuì, ma evidentemente i suoi pensieri erano altrove. «Solo venticinque, avete detto?»

«Non ho potuto fare di meglio» si giustificò Cavil. «Neanche una Nera può restare incinta subito dopo aver figliato.»

«Voglio dire… Ecco, anch’io ho ricevuto una… una visita. È per questo motivo che mi trovo qui, in viaggio per gli Appalachi. Mi era stato detto che avrei incontrato un piantatore che conosceva il mio Messo e che aveva prodotto ventisei doni di Dio vivi e vegeti.»

«Ventisei?»

«Vivi e vegeti.»

«Ecco, vedete… In realtà le cose stanno proprio come avete detto. Non avevo compreso nel conto il mio primogenito, perché sua madre è fuggita portandolo con sé pochi giorni prima che io lo consegnassi al suo nuovo proprietario. Così ho dovuto restituire a quest’ultimo la somma che mi aveva pagato. Neanche mandarle dietro i cani è servito a niente, nessuno è riuscito a ritrovare la sua pista. Tra gli schiavi girava la storia che si fosse trasformata in un corvo, volando via, ma sapete bene quanta fantasia abbia quella gente.»

«Perciò in realtà sono ventisei. E ditemi ancora: il nome ‘Agar’ vi dice per caso qualcosa?»

Cavil trasalì. «Nessuno sa che chiamavo la madre con quel nome!»

«Il mio Messo mi ha rivelato che Agar vi aveva trafugato il vostro primo dono.»

«È Lui. Allora l’avete visto anche voi.»

«A me si manifesta come… non come un sorvegliante. Uno scienziato, piuttosto: un uomo d’insondabile sapienza. Immagino che ciò avvenga perché anch’io sono uno scienziato, al di là della mia vocazione pastorale. Ho sempre immaginato che Egli fosse un semplice angelo — ascoltatemi bene, un semplice angelo — perché non avrei mai osato sperare che Egli fosse… il Maestro in persona. Ma ora che me lo dite… È forse possibile che entrambi siamo stati al cospetto del Signore? Ah, Cavil, come posso dubitarne? Per quale altro motivo il Signore avrebbe dovuto farci incontrare? Questo significa che sono stato… perdonato.»

«Perdonato?»

A questa domanda, l’espressione di Thrower si rannuvolò.

Cavil si affrettò a rassicurarlo. «No, se non volete dirmelo non ha nessuna importanza.»

«Quasi… quasi non riesco a pensarci. Ma ora che evidentemente sono stato giudicato degno — o per lo meno mi è stata concessa un’altra possibilità — ve lo posso dire. Fratello Cavil, una volta mi è stata affidata una missione, una missione oscura, difficile e segreta come la vostra. Ma mentre voi avete avuto il coraggio e la forza di portarla a termine, io ho fallito miseramente. Ho tentato, però non ho avuto l’acume o il vigore necessari a sconfiggere le forze diaboliche. Allora ho temuto di essere stato respinto, escluso. Ecco perché sono diventato un predicatore itinerante: mi sentivo indegno di un pulpito solo per me. Ma ora…»

Cavil annuì, stringendo la mano dell’uomo, mentre le lacrime gli rigavano le guance.

Finalmente Thrower alzò lo sguardo. «In che modo pensate che il nostro… Amico intenda farmi contribuire alla vostra opera?»

«Non saprei» disse Cavil. «Francamente, così su due piedi, riesco a pensare un modo soltanto.»

«Fratello Cavil, non sono certo di potermi assumere un compito così ributtante.»

«Secondo la mia esperienza, il Signore può rafforzarvi al punto da renderlo… sopportabile.»

«Ma nel mio caso, fratello Cavil… Vedete, non ho mai conosciuto una donna nel senso in cui ne parla la Bibbia. Solo una volta le mie labbra hanno toccato quelle di una donna, ed è accaduto contro la mia volontà.»

«Allora farò del mio meglio per aiutarvi. Che ne direste se pregassimo insieme a lungo e con tutto il cuore, e poi io vi facessi vedere come si fa?»

Be’, a quanto pareva, così su due piedi, non riuscirono a trovare un’idea migliore, e così ci provarono. A dire il vero, il reverendo Thrower imparò piuttosto in fretta. Cavil fu enormemente sollevato dal fatto di non essere più solo, per non parlare poi dello strano piacere che provò nel farlo mentre qualcun altro lo guardava, e poi guardare l’altro mentre lo faceva a sua volta. Mescolare il loro seme nello stesso ricettacolo, se mi concedete l’espressione, era come cementare la loro fratellanza. Come ebbe a dire lo stesso reverendo Thrower: «Quando giungerà l’ora del raccolto, fratello Cavil, non potremo sapere di chi sarà il seme giunto a maturazione, perché stavolta il Signore ha concesso a entrambi di fecondare lo stesso campo».

Quindi il reverendo Thrower chiese come si chiamasse la ragazza. «Be’, l’abbiamo battezzata con il nome di Hepzibah, ma lei si fa chiamare Scarafaggio.»

«Scarafaggio!»

«Prendono tutti quanti il nome di un animale. Penso che non abbia una grande opinione di se stessa.»

A queste parole, Thrower allungò la mano verso quella della ragazza dandole un colpetto affettuoso, un gesto delicato, come se Thrower e Scarafaggio fossero stati marito e moglie. Cavil quasi scoppiò a ridere. «Ascolta, Hepzibah» disse Thrower. «D’ora in poi devi usare il tuo nome cristiano, e non quello degradante di un animale.»

Scarafaggio si limitò a fissarlo a occhi sgranati, rannicchiata sul materasso.

«Perché non risponde, fratello Cavil?»

«Ah, in queste circostanze non parlano mai. Gliel’ho fatto intendere a forza di botte: cercavano sempre di convincermi a non farlo. Ho pensato che fosse meglio il silenzio piuttosto che sentirmi dire da loro ciò che il diavolo voleva farmi ascoltare.»

Thrower si rivolse nuovamente alla donna. «Ma ora sono io che ti chiedo di parlarmi, Scarafaggio. Non pronuncerai parole diaboliche, vero?»

Per tutta risposta, lo sguardo di Scarafaggio vagò verso l’alto, fino al punto in cui un pezzo di lenzuolo era ancora annodato a una delle travi del soffitto. Qualcuno l’aveva tranciato di netto sotto il nodo.

Thrower sbiancò in volto. «Vuoi dire che questa è la stessa stanza in cui… La ragazza che abbiamo seppellito…»

«È quella che ha il letto migliore» spiegò Cavil. «Meglio non farlo su una stuoia di paglia, se non è assolutamente necessario…»

Thrower non rispose. Si limitò a uscire in tutta fretta dalla stanza, gettandosi a testa bassa nell’oscurità. Cavil sospirò, prese la lanterna e lo seguì. Trovò Thrower piegato in due sulla cisterna dell’acqua. Udì anche Scarafaggio scivolar fuori dalla capanna in cui era morta Salamandy, diretta al proprio alloggio, ma la ragazza in quel momento era l’ultimo dei suoi pensieri. Il problema era Thrower: sicuramente quell’uomo non era così fuori di sé da vomitare nell’acqua potabile!

«Sto bene» mormorò Thrower. «È solo che… la stessa stanza… non è per superstizione, capite. Mi sembrava poco rispettoso verso la defunta.»

Quella gente del Nord. Anche quando capivano qualcosa a proposito della schiavitù, non riuscivano a sbarazzarsi dell’idea preconcetta che i Neri fossero esseri umani come loro. Smetteresti forse di usare una stanza solo perché c’è morto un topo, o perché una volta hai schiacciato un ragno contro la parete? Abbatteresti forse la stalla solo perché c’è morto il tuo cavallo preferito?

Comunque, finalmente Thrower si riprese, si tirò su i calzoni, riabbottonandoseli come si deve, e poi rientrarono in casa. Fratello Cavil lo fece dormire nella camera degli ospiti, una stanza che evidentemente non veniva usata molto spesso, perché quando Cavil diede una manata sulla coperta si alzò una nuvola di polvere. «Avrei dovuto immaginare che in questa stanza gli schiavi avrebbero battuto la fiacca» disse fratello Cavil.

«Non importa» lo rassicurò Thrower. «In una notte così calda, non ho bisogno di coperte.»

Percorrendo il corridoio verso la sua camera da letto, Cavil si fermò un istante per ascoltare il respiro di sua moglie. Come talvolta accadeva, la udì gemere sommessamente. Il dolore doveva essere quasi insopportabile. Oh, Signore, pensò Cavil, quante volte ancora debbo compiere la Tua volontà prima che Tu abbia pietà di me e guarisca la mia Dolores? Ma Cavil non varcò quella soglia: non poteva fare niente per aiutarla, oltre a pregare, e aveva bisogno di dormire. Lui e Thrower avevano fatto tardi, e l’indomani era un giorno di lavoro come tutti gli altri.

Dolores doveva aver proprio passato una brutta notte: infatti all’ora di colazione era ancora profondamente addormentata. Perciò Cavil finì col consumare il primo pasto della giornata insieme a Thrower. Il predicatore divorò una straordinaria quantità di salsicce e pane tostato. «Il servizio del Signore fa venire una fame da lupi!» Tutti e due ci fecero sopra una bella risata.

Dopo colazione uscirono a fare quattro passi. Il caso volle che passassero accanto alla macchia in cui era stato sepolto il corpo di Salamandy. Se Thrower non avesse proposto di andare a vedere la tomba, probabilmente Cavil non avrebbe mai saputo che cos’avevano combinato i Neri la notte prima. La tomba era stata tutta pesticciata, e la terra si era trasformata in fanghiglia. Il fango quasi secco brulicava di formiche.

«Formiche!» esclamò Thrower. «Impossibile che sentano il corpo sepolto là sotto.»

«No» disse Cavil. «Quello che sentono è più fresco e in superficie. Guardate… pezzi d’interiora.»

«Non avranno per caso… esumato il corpo e…»

«Non sono le sue viscere, reverendo Thrower. Probabilmente uno scoiattolo, un merlo o qualche altro piccolo animale. Durante la notte hanno compiuto un sacrificio al demonio.»

A bassa voce, Thrower attaccò immediatamente una preghiera.

«Sanno bene che nella mia piantagione queste cose sono proibite» sibilò Cavil. «Entro stasera ogni prova sarebbe sicuramente scomparsa. Pensavano di farla franca dietro le mie spalle. Ma io non lo tollererò.»

«Ora comprendo la grandezza dell’opera che sta di fronte a voi proprietari di schiavi. Il demonio ha una presa ferrea sulle loro anime.»

«Be’, non preoccupatevi. Oggi stesso la pagheranno. Vogliono versare del sangue sulla sua tomba? Ebbene, quel sangue sarà il loro. Signor Lashman! Dove siete? Signor Lashman!»

Il sorvegliante era appena arrivato, e stava per cominciare un’altra giornata di lavoro.

«Una mezza vacanza per i Neri stamattina, signor Lashman» disse Cavil.

Lashman non ne chiese il motivo. «Quali volete far frustare?»

«Tutti. Dieci frustate a testa. Tranne le donne gravide, s’intende. Ora che ci penso, però… anche a loro una frustata ciascuna, sulle cosce. E tutti devono guardare.»

«Quando sono tutti insieme tendono a diventare inquieti, signore» borbottò Lashman.

«Ci saremo anche io e il reverendo Thrower» annunciò Cavil.

Mentre Lashman radunava gli schiavi, Thrower mormorò qualcosa a proposito del fatto che non aveva molta voglia di assistere alla punizione.

«Dobbiamo compiere l’opera del Signore» gli ricordò Cavil. «Per quanto mi riguarda, ho abbastanza stomaco da assistere a un atto di giustizia. Ieri sera mi è sembrato che lo stesso valesse anche per voi.»

Perciò entrambi guardarono gli schiavi che venivano frustati uno alla volta: il loro sangue colava sulla tomba di Salamandy. Dopo un po’ Thrower smise perfino di trasalire. Cavil ne fu lieto: quell’uomo non era un debole, dopo tutto; si era solo un po’ rammollito con l’educazione in Scozia e con la vita facile nel Nord.

Più tardi, mentre il reverendo Thrower si preparava alla partenza — aveva promesso di predicare in una cittadina a mezza giornata di cavallo verso sud — chiese a Cavil di togliergli una curiosità.

«Ho notato che tutti i vostri schiavi sembrano… non vecchi, mi capite, ma nemmeno molto giovani.»

Cavil alzò le spalle. «È per via del Trattato sugli Schiavi Fuggiaschi. Anche se la mia piantagione prospera, non posso comprare né vendere schiavi. Adesso anche noi facciamo parte degli Stati Uniti. La maggior parte dei piantatori ha risolto il problema allevandoseli in casa, ma, come sapete, sino a poco tempo fa tutti i piccoli che nascevano li spedivo al Sud. E ora ho perso un’altra fattrice, per cui sono rimasto con cinque donne soltanto. Salamandy era la migliore. Alle altre non restano più molti anni per figliare.»

«Mi viene in mente…» disse Thrower. Tacque per riflettere meglio.

«Che cosa?»

«Ho viaggiato molto nel Nord, fratello Cavil, e quasi in ogni cittadina dell’Hio, del Suskwahenny, dell’Irrakwa e del Wobbish vivono un paio di famiglie di Neri. Ora, tutti e due sappiamo benissimo che non sono nati e cresciuti sugli alberi del Nord.»

«Tutti fuggiaschi.»

«Senza dubbio alcuni hanno acquistato legalmente la libertà. Ma molti di loro sono certamente fuggiaschi. Be’, mi risulta che tutti i padroni di schiavi hanno l’abitudine di serbare un ciuffo di capelli o qualche pezzetto di unghia di ogni schiavo, e…»

«Sì, certo, li mettiamo da parte subito dopo la nascita o non appena li acquistiamo. Per i Cacciatori.»

«Esattamente.»

«Ma non possiamo mandare i Cacciatori a perlustrare ogni piede quadrato di terreno dell’intero Nord nella speranza di recuperare un certo schiavo fuggiasco. Costerebbe molto di più del valore dello schiavo.»

«Mi sembra che ultimamente il prezzo degli schiavi sia salito parecchio.»

«Se volete dire che non ne possiamo comprare a nessun prezzo…»

«Voglio dire proprio questo, fratello Cavil. E se i Cacciatori non fossero costretti a perlustrare il Nord alla cieca, affidandosi al caso? Se uno assumesse un gruppo di persone che al Nord spulciasse tutti i documenti su cui riesce a mettere le mani, prendendo nota del nome e dell’età di tutti i Neri che vi sono menzionati? Allora i Cacciatori potrebbero partire già provvisti d’informazioni.»

L’idea era così buona che Cavil restò quasi interdetto. «In questa proposta dev’esserci qualcosa che non funziona, altrimenti qualcuno ci avrebbe già pensato.»

«Ah, sono sicuro di no, e se volete saperne il motivo ve lo spiego. Nel Nord c’è molto malanimo verso i proprietari di schiavi. Anche se quelli del Nord odiano i loro concittadini neri, la loro coscienza mal guidata non permette loro di collaborare con chiunque voglia rintracciare uno schiavo fuggiasco. Perciò qualsiasi abitante del Sud che vada al Nord in cerca di uno schiavo, capisce ben presto che, senza un Cacciatore, o nel caso che la pista sia ormai fredda, ogni ricerca è vana.»

«È la pura verità. Quelli del Nord sono soltanto una manica di ladri, che cospirano per impedire di recuperare il bestiame perduto.»

«Ma se al Nord fosse possibile trovare qualcuno disposto a collaborare alle ricerche? Se al Nord voi aveste un agente, magari un pastore, capace di conquistare alla causa altre persone e di trovare gente di cui fidarsi? Un’iniziativa del genere costerebbe parecchio, però, data l’impossibilità di acquistare nuovi schiavi qui negli Appalachi, non credete che la gente sarebbe disposta a pagare cifre sufficienti a finanziare il recupero dei loro schiavi fuggiaschi?»

«Pagare? La gente pagherebbe il doppio di qualsiasi cifra che uno possa chiedergli, e per di più in anticipo, nella sola speranza che la cosa possa riuscire.»

«Immaginiamo di far pagare venti dollari solo per registrare lo schiavo fuggiasco — data di nascita, nome, descrizione, epoca e circostanze della fuga — e altri mille dollari nel caso riuscissimo a reperire le informazioni necessarie a recuperarlo?»

«Bisogna far pagare almeno cinquanta dollari per la registrazione, oppure non la riterrebbero una cosa seria. E altri cinquanta ogni volta che ricevono qualche informazione, anche se alla fine si rivelasse inutile. E tremila dollari se lo schiavo fuggiasco viene recuperato in buona salute.»

Thrower sorrise appena. «Non vorrei approfittare più del lecito di un’opera compiuta per timor di Dio.»

«Approfittare! Da queste parti c’è un sacco di gente disposta a pagare fior di quattrini per un lavoro ben fatto. Ascoltatemi, Thrower: mettete giù un contratto e poi incaricate il tipografo giù in città di stamparvene mille copie. Poi ve ne andate in giro, e in ogni città degli Appalachi in cui vi capita di passare spiegate il vostro piano a un proprietario di schiavi. Sono sicuro che di quel contratto dovrete farvene stampare altre mille copie nel giro di una settimana. Qui non parliamo di approfittare di una situazione, bensì di un servizio prezioso. Ehi, sono pronto a scommettere che riceverete contributi anche da gente che non ha mai avuto uno schiavo fuggiasco. Se riuscirete a fare in modo che il fiume Hio non sia più l’ultimo ostacolo prima della libertà, non solo riporterete indietro gli schiavi scappati, ma scoraggerete gli altri inducendoli a restare a casa!»

Non più di mezz’ora dopo, Thrower era di nuovo in sella: con sé aveva una bozza del contratto e lettere di presentazione per il tipografo e l’avvocato di Cavil, insieme a lettere di credito per un totale di cinquecento dollari. Quando Thrower aveva protestato che era troppo, Cavil non l’aveva neanche ascoltato. «Per avviare l’attività» aveva sostenuto Cavil. «Entrambi sappiamo al servizio di Chi facciamo tutto questo. Ci vogliono soldi. Io ne ho e voi no, perciò prendeteli e datevi da fare.»

«Questo è un atteggiamento da vero cristiano» aveva commentato Thrower. «Come i santi della Chiesa primitiva, che mettevano tutto in comune.»

Cavil allora aveva dato una pacca sulla coscia a Thrower, seduto come un manichino impiccato… Quella gente del Nord non aveva la minima idea di come si stava in sella. «Abbiamo più cose in comune di chiunque altro su questa terra» gli aveva sussurrato. «Abbiamo avuto la stessa visione e compiuto la stessa opera: tutto ciò ci rende assai simili…»

«La prossima volta che vedrò il Messo, se avrò questa fortuna, sono sicuro che ne sarà compiaciuto.»

«Amen» aveva concluso Cavil.

Poi, dopo aver dato una pacca al cavallo di Thrower, lo guardò scomparire in lontananza. La mia Agar. Sì, ritroverà la mia Agar e il suo bambino. Sono trascorsi quasi sette anni da quando quella donna ha rapito il mio primogenito. Ora tornerà, e stavolta resterà in catene e mi darà altri figli finché non sarà più in grado di partorirne. In quanto al ragazzo, sarà il mio Ismaele. Ecco come lo chiamerò: Ismaele. Lo terrò qui alla fattoria e lo tirerò su in modo che diventi forte, obbediente, un vero cristiano. Quando sarà abbastanza grande lo affitterò a giornata agli altri piantatori, e durante la notte proseguirà la mia opera, spargendo il seme eletto in tutti gli Appalachi. Allora la mia prole sarà numerosa come la sabbia del mare, proprio come quella di Abramo.

E chi lo sa? Forse allora potrà accadere il miracolo, e la mia amata moglie guarirà, e potrà concepire e dare alla luce un figlio di pura razza bianca, il mio Isacco, che possa ereditare tutte le mie sostanze e proseguire la mia opera. O Sorvegliante, mio Signore, abbi pietà di me.

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