La signorina Larner non aveva intenzione di cedere nemmeno di un pollice. Aveva udito storie abbastanza tremende sui comitati scolastici delle cittadine di frontiera e sapeva bene che avrebbero tentato di scansare la maggior parte degl’impegni presi per lettera. E infatti quella gente ci stava già provando.
«Nella vostra lettera mi avevate comunicato che, come parte del mio compenso, avrei avuto un alloggio a mia esclusiva disposizione. E una locanda io non la definirei certo un alloggio privato.»
«Avrete una camera tutta per voi» precisò il dottor Physicker.
«Ma sarò obbligata a consumare i miei pasti alla tavola comune. È inaccettabile. Se resto, trascorrerò tutte le mie giornate in compagnia dei bambini di questa città, e al termine del lavoro voglio preparare i miei pasti in privato e consumarli in solitudine, per poi trascorrere la serata in compagnia dei miei libri, senza distrazioni né fastidi. Questo, signori, in una locanda non sarebbe possibile, e di conseguenza una camera in una locanda non può certo dirsi un alloggio privato.»
Coloro che le stavano di fronte evidentemente la stavano valutando. Alcuni erano intimiditi dalla precisione del suo linguaggio: la signorina Larner sapeva bene che gli avvocati di provincia potevano darsi delle arie con la loro rozza clientela, ma erano incapaci di tener testa a una persona veramente istruita. Le uniche difficoltà potevano venire dallo sceriffo Pauley Wiseman. Pauley, non Paul, pensò la donna. Assurdo che un uomo adulto continuasse a usare un diminutivo infantile.
«Adesso ascoltatemi, signorina mia» disse lo sceriffo.
La signorina Larner inarcò un sopracciglio, offesa da quell’appellativo. Da un uomo come Pauley Wiseman non ci si poteva aspettare di più: si sentiva in diritto di chiamarla «signorina mia», neanche fosse una bimbetta capricciosa, soltanto perché era nubile. Il fatto che, almeno in apparenza, quella donna avesse ben più di quarant’anni, non aveva importanza.
«Che cosa dovrei ascoltare, sceriffo?»
«Ecco: Horace e Peg Guester in realtà ci avevano offerto una casetta dove avreste potuto stare da sola, ma noi gli abbiamo detto di no, chiaro e tondo, abbiamo detto di no a loro e diciamo di no pure a voi.»
«Benissimo, allora. Vedo che alla resa dei conti non intendete mantenere la vostra parola. Fortunatamente, signori, non sono una maestra alle prime armi costretta ad accontentarsi del primo lavoro che le venga offerto. Avevo un ottimo lavoro alla Penn School, e vi assicuro che sarebbero ben felici di riassumermi in qualsiasi momento. Buon giorno.»
La maestra si alzò. Così fecero tutti gli uomini tranne lo sceriffo, ma non per cortesia.
«Vi prego.»
«Sedete.»
«Parliamone.»
«Non prendete decisioni affrettate.»
A scendere in campo fu il dottor Physicker, il perfetto conciliatore, che lanciò allo sceriffo un’occhiata di fuoco. Lo sceriffo, tuttavia, non sembrava particolarmente disposto a lasciarsi zittire.
«Signorina Larner, la nostra decisione a proposito della casa non è irrevocabile. Ma vi pregherei di considerare i problemi che ci preoccupavano. Anzitutto, temevamo che la casa non fosse adatta a voi. In realtà non è una vera casa, ma un’unica stanza, ricavata da un vecchio deposito sopra una sorgente…»
Il vecchio deposito. «È riscaldata?»
«Sì.»
«Ha finestre? Una porta che io possa chiudere a chiave? Un letto, un tavolo e una sedia?»
«Sì, certo.»
«Ha il pavimento di legno?»
«Sì, nuovo di zecca.»
«Allora non credo proprio che la sua precedente funzione di deposito possa infastidirmi. Avevate altre obiezioni?»
«Sì, maledizione!» esclamò lo sceriffo Wiseman. Poi, accorgendosi dell’espressione scandalizzata che si era dipinta sul volto degli astanti, aggiunse: «Mi scuso con la signora per la volgarità del mio linguaggio».
«Sono molto curiosa di ascoltare le vostre obiezioni» disse la signorina Larner.
«Una donna da sola, in una casa isolata nel bosco! Non sta bene, cavolo!»
«In quanto ad abitare da sola, vi assicuro che lo faccio da molti anni e in tutto questo tempo non sono mai stata molestata. Vi sono per caso altre abitazioni a portata di voce?»
«La locanda da una parte e la casa del fabbro dall’altra» spiegò il dottor Physicker.
«Perciò se fossi aggredita o provocata, posso assicurarvi che mi farei sentire, nella certezza di essere prontamente soccorsa. O forse temete, signor Wiseman, che io possa dedicarmi volontariamente ad attività disdicevoli?»
Naturalmente era proprio a questo che lo sceriffo aveva pensato, e il rossore che si diffuse sul suo viso lo dimostrò.
«Credo abbiate sufficienti referenze riguardo alle mie qualità morali» proseguì la signorina Larner. «Comunque, se avete qualche dubbio in proposito, sarebbe molto meglio che tornassi immediatamente a Filadelfia. Se alla mia età non mi si ritiene capace di vivere rettamente senza supervisione, come potreste affidarmi l’educazione dei vostri figli?»
«Non è decoroso!» esclamò lo sceriffo.
La signorina Larner sorrise benevolmente. «Nella mia esperienza, sceriffo Wiseman, ho potuto constatare che, quando una persona presuppone che gli altri siano inclini a commettere atti contro la decenza non appena se ne offra loro l’occasione, quella persona non fa altro che esibire la battaglia che ha luogo nel suo cuore.»
Pauley Wiseman non capì che la maestra gli aveva appena rivolto un’accusa, o almeno non prima che alcuni avvocati si fossero messi a ridacchiare, coprendosi la bocca con la mano.
«A mio parere, signori del comitato, avete solo due possibilità. La prima consiste nel ripagarmi il battello fino a Dekane e la diligenza fino a Filadelfia, più il salario del mese che avrò trascorso in viaggio.»
«Se non lavorate, niente salario» sbottò lo sceriffo.
«Siete troppo precipitoso, signor Wiseman» disse la signorina Larner. «Sono convinta che gli uomini di legge qui presenti potranno informarvi che le lettere del comitato scolastico costituiscono un contratto che, in questo caso, voi non avreste rispettato, e che di conseguenza potrei esigere non il salario di un mese, bensì di un anno intero.»
«Be’, questo resterebbe da vedere, signorina Larner…» obiettò uno degli avvocati.
«L’Hio adesso fa parte degli Stati Uniti» rispose la signorina Larner «ed esistono ampi precedenti stabiliti dai tribunali di altri Stati, precedenti vincolanti anche per voi, a meno che lo Stato dell’Hio non deliberi di legiferare altrimenti. Ma una simile legge per adesso non esiste.»
«Abbiamo assunto una maestra o un’avvocatessa?» chiese un altro avvocato, e tutti risero.
«La seconda possibilità consiste nel permettermi di visitare questa… questo deposito, in modo che io possa stabilire se lo ritengo adatto alle mie esigenze e, nel caso che così fosse, permettermi di alloggiarvi. Dal canto mio, posso assicurarvi che se mai doveste sorprendermi impegnata in attività meno che irreprensibili, sarà vostro diritto licenziarmi immediatamente.»
«Per certe cose c’è la prigione, signorina» disse Wiseman.
«Ebbene, signor Wiseman, non stiamo correndo un po’ troppo parlando di prigione, quando debbo ancora decidere a quali atti moralmente riprovevoli abbandonarmi?»
«Sta’ zitto, Pauley» tagliò corto uno degli avvocati.
«Quale alternativa scegliete, signori?» chiese la maestra.
Il dottor Physicker non aveva nessuna intenzione di permettere a Pauley Wiseman di esercitare ulteriori pressioni sui membri meno risoluti del comitato. Non era il caso di protrarre la discussione. «Per deliberare su una questione del genere non abbiamo bisogno di ritirarci, vero, signori? Qui a Hatrack non siamo quaccheri e non siamo abituati a pensare che una donna possa vivere da sola, esercitare una professione, predicare in chiesa e via dicendo, ma certamente siamo persone di larghe vedute che non rifiutano quanto di buono può venire da fuori. Signorina Larner, abbiamo bisogno dei vostri servigi e ci atterremo ai termini del contratto. Tutti a favore?»
«Sì.»
«Contrari? Mozione passata.»
«No» tuonò Wiseman.
«La votazione è finita, Pauley.»
«Troppo in fretta, dannazione!»
«Il tuo voto negativo è stato messo a verbale, Pauley.»
La signorina Larner sorrise gelidamente. «Potete star certo che io non me ne dimenticherò, sceriffo Wiseman.»
Il dottor Physicker batté sul tavolo col suo martelletto. «La seduta è aggiornata a martedì prossimo alle tre. E ora, signorina Larner, sarei felice di accompagnarvi al deposito dei Guester, se l’ora non vi è di eccessivo incomodo. Non sapendo quando sareste arrivata, hanno consegnato la chiave a me pregandomi di aprirvi la casa; loro verranno a darvi il benvenuto più tardi.»
La signorina Larner era ben consapevole, come del resto lo erano tutti i presenti, che era quanto meno strano che il padrone di casa non accogliesse personalmente l’ospite.
«Vedete, signorina Larner, non erano sicuri che accettaste la casa. Volevano che prendeste la vostra decisione dopo averla vista… e non in loro presenza, perché non doveste sentirvi imbarazzata nel caso non vi fosse piaciuta.»
«Allora si sono comportati con grande tatto» sorrise la signorina Larner «e di questo li ringrazierò alla prima occasione.»
Che umiliazione per la vecchia Peg salire al deposito da sola per supplicare quella vecchia zitella spocchiosa di Filadelfia. Sarebbe stato molto più giusto che ci andasse Horace, per parlare con lei da uomo a uomo. A giudicare dalle apparenze, era proprio quello che credeva di essere, non una signora, ma un signore… anzi, un gran signore. Potrebbe benissimo venire da Camelot: una principessa che pretende che la gente comune stia tutta ai suoi ordini. Be’, in Francia ci avevano pensato una volta per tutte, quando Napoleone aveva messo a posto il vecchio Luigi. Ma le gran signore come questa maestra, questa signorina Larner, sempre con la puzza sotto il naso, non ricevevano mai la punizione che si meritavano, continuavano ad andare avanti convinte che la gente che non parlava come un libro stampato fosse troppo inferiore a loro per poterla degnare della propria considerazione.
E Horace dov’era, adesso che ci sarebbe stato bisogno di mettere a posto la signora maestra? Seduto davanti al fuoco. A fare il broncio. Come un bambino di quattro anni. Nemmeno Arthur Stuart era capace di metter su un broncio così.
«Quella donna non mi piace» aveva detto Horace.
«Be’, che ti piaccia o no, se Arthur deve prendere lezioni sarà da lei o da nessuno» aveva risposto la vecchia Peg col suo solito buon senso… Ma Horace la stava ascoltando? Avrebbe fatto meglio a riderci sopra.
«Può benissimo abitare lassù e dare lezioni ad Arthur se le va, o non dargliele se non le va, ma quella donna continua a non piacermi e non sono affatto contento che abiti nel vecchio deposito.»
«Perché, è forse terra consacrata?» aveva chiesto la vecchia Peg. «O maledetta? Avremmo dovuto costruirle un palazzo su misura, a Sua Altezza Reale?» Ah, quando Horace si metteva in testa un’idea, smuoverlo era impossibile. Perché dunque si ostinava a tentare?
«No, certamente no, Peg» aveva borbottato Horace.
«E allora che ti prende? O non hai più bisogno di buoni motivi? Tu decidi, e gli altri debbono soltanto farti ala?»
«Perché quello è il posto della piccola Peggy, ecco perché, e non mi piace che adesso ci stia quella rompiscatole.»
Chi l’avrebbe mai detto? Era proprio tipico di Horace, tirar fuori la figlia che era scappata e che da allora non aveva scritto loro neanche una riga, lasciando Hatrack senza fiaccola e Horace senza l’amore della sua vita. Sissignora, proprio questo era per lui la piccola Peggy, l’amore della sua vita. Se io scappassi, Horace, o Dio non voglia — morissi, custodiresti forse il mio ricordo senza permettere a un’altra donna di prendere il mio posto? Penso proprio di no. Sono convinta che la mia parte del letto non farebbe in tempo a raffreddarsi che tu ci avresti già messo qualcun’altra. La vecchia Peg la sostituiresti in un batter d’occhio, ma la piccola Peggy… Per lei dobbiamo considerare quel deposito come un tabernacolo e io debbo venir qui da sola per affrontare quella vecchia trombona e scongiurarla di dare lezioni a un bambinetto nero. Figuriamoci, sarà già una fortuna se non cercherà di comprarmelo.
Anche per aprirle la porta la signorina Larner se la prese calma, e quando finalmente comparve aveva un fazzoletto, probabilmente profumato, davanti al viso… per non dover sentire l’odore di una onesta contadina.
«Se non le dispiace, avrei da parlarle di un paio di cosette» disse la vecchia Peg.
La signorina Larner fissava un punto sopra la testa della vecchia Peg, come per studiare qualche uccello su un albero lontano. «Se si tratta della scuola, prima di accettare l’iscrizione degli allievi e iniziare la sessione autunnale mi è stata concessa una settimana per sistemarmi.»
Dalla parte del pendio, più in basso, la vecchia Peggy udì il ting-ting-ting di uno dei fabbri che lavorava alla forgia. Senza volerlo, non poté fare a meno di pensare alla piccola Peggy, che detestava cordialmente quel rumore. Forse, nella sua stupidità, Horace aveva ragione. Forse in quel vecchio deposito si avvertiva ancora la presenza della piccola Peggy.
Ma ora sulla soglia c’era la signorina Larner, ed era con lei che la vecchia Peg doveva fare i conti. «Signorina Larner, sono Margaret Guester. Mio marito e io siamo i proprietari di questa casa.»
«Oh, vi prego di scusarmi. Siete la mia padrona di casa, e io sono stata così scortese. Vi prego, entrate.»
Così andava meglio. La vecchia Peg oltrepassò la soglia e si arrestò un istante per abbracciare la stanza con lo sguardo. Solo il giorno prima le era sembrata spoglia ma pulita, un luogo pieno di promesse. Ora era quasi accogliente: sul cassettone c’erano un centrino e una fila di libri, sul pavimento un piccolo tappeto intrecciato, e dai ganci attaccati alla parete pendevano due vestiti. Il baule e le borse erano accatastati in un angolo. Sembrava già che ci abitasse qualcuno. La vecchia Peg non avrebbe saputo dire che cosa si fosse aspettata. Era naturale che la signorina Larner possedesse altri vestiti oltre a quello nero da viaggio che ancora indossava. Semplicemente, la vecchia Peg non riusciva a immaginarsela fare qualcosa di così ordinario come cambiarsi d’abito. Eppure, quando si toglieva un vestito, prima di mettersene un altro probabilmente anche lei se ne stava lì in sottoveste come tutte le donne.
«Sedetevi, signora Guester.»
«Da queste parti non siamo abituati a tutti questi ‘signore’ e ‘signora’, a meno che non ci sia di mezzo un avvocato, signorina Larner. Il più delle volte mi chiamano Goody Guester, oppure semplicemente Vecchia Peg.»
«Vecchia Peg. Che nome… interessante.»
La vecchia Peg pensò per un istante di spiegarle che la chiamavano così perché aveva una figlia che si chiamava nello stesso modo, ma era scappata e via dicendo. Però, rifletté, sarebbe già stato abbastanza difficile spiegare alla signora maestra in che modo si era trovata ad avere un figlio mezzo Nero. Perché darle l’impressione che la sua vita familiare fosse ancora più bizzarra?
«Signorina Larner, non ho intenzione di menare il can per l’aia. Voi avete qualcosa di cui io ho bisogno.»
«Ah?»
«Cioè, non io, per dire la verità, ma mio figlio, Arthur Stuart.»
Se la signorina Larner si era resa conto che si trattava del nome del re, non ne diede alcun segno. «E che cosa potrei fare per vostro figlio, Goody Guester?»
«Insegnargli a leggere nei libri.»
«Questo è ciò che sono venuta a offrire a tutti i bambini di Hatrack, Goody Guester.»
«Non ad Arthur Stuart. Almeno non se quei vigliacchi mascalzoni del comitato scolastico riescono ad averla vinta.»
«E perché dovrebbero escludere vostro figlio? È forse troppo grande?»
«No, ha esattamente l’età giusta, signorina Larner. Ma è del colore sbagliato.»
La maestra la fissò con volto inespressivo.
«È Nero, signorina Larner.»
«Per metà, vorrete dire» disse premurosamente la maestra.
Naturalmente la donna stava cercando d’immaginarsi in che modo la moglie del locandiere fosse arrivata a partorire un bambino dalla pelle scura. La vecchia Peg provò una certa soddisfazione nel vedere che la maestra cercava di comportarsi educatamente mentre sicuramente dentro di sé doveva essere inorridita. Comunque non era il caso di lasciarla riflettere troppo a lungo su un’idea del genere, vero? «È adottato, signorina Larner» spiegò la vecchia Peg. «Diciamo che la sua mamma nera era imbarazzata da un bambino mezzo Bianco.»
«E voi, spinta dalla generosità del vostro cuore…»
Possibile che nel tono della signorina Larner vi fosse un’ombra di malignità? «Volevo un bambino. Non mi sono presa cura di Arthur Stuart per pietà. Adesso è mio figlio.»
«Capisco» disse la maestra. «E la brava gente di Hatrack ha stabilito che se due orecchie mezze nere avessero ascoltato le mie parole in mezzo a quelle perfettamente bianche dei loro figli, l’educazione di questi ultimi avrebbe potuto risentirne.»
Il tono della signorina Larner aveva assunto nuovamente un che di maligno, solo che adesso la vecchia Peg osò in cuor suo rallegrarsi, udendo il modo in cui la maestra aveva pronunciato quelle parole. «Allora lo prenderete, signorina Larner?»
«Goody Guester, debbo confessarvi di aver vissuto troppo a lungo nella città dei quaccheri. Avevo dimenticato che in questo pianeta esistono luoghi in cui individui dalle vedute ristrette hanno l’impudenza di punire un fanciullo innocente per il peccato di essere nato con la pelle di una tinta più scura. Posso assicurarvi che mi rifiuterò categoricamente di aprire la scuola se tra i miei alunni non vi sarà anche il vostro figlio adottivo.»
«No!» esclamò la vecchia Peg. «No, signorina Larner, state correndo troppo.»
«Sono una Emancipazionista convinta, Goody Guester. E non mi unirò a una cospirazione mirante a privare un bambino nero del patrimonio intellettuale della nazione.»
La vecchia Peg non aveva la minima idea di che cosa diavolo fosse il patrimonio intellettuale della nazione, ma sapeva che la signorina Larner si stava scaldando troppo. «Dovete ascoltarmi fino in fondo, signorina Larner. Quelli là non faranno altro che prendersi un’altra maestra, e io sarò nei guai peggio di prima, come pure Arthur Stuart. No, vi chiedo soltanto di concedergli un’ora la sera, due o tre volte la settimana. Durante il giorno ci penserò io a farlo studiare, perché impari bene quello che voi gli spiegate. È un ragazzo sveglio, ve ne accorgerete. Sa già le lettere dell’alfabeto, e dovreste sentirlo come le recita, dall’A alla Z, meglio di Horace… voglio dire mio marito, Horace Guester. Perciò non vi chiedo altro che qualche ora la settimana, se potete dedicargliele. Ecco perché abbiamo risistemato il vecchio deposito, pensando che in questo modo poteva venire da voi senza che nessuno se ne accorgesse.»
La signorina Larner si alzò dal bordo del letto dove era rimasta seduta fino a quel momento, e mosse qualche passo verso la finestra. «È qualcosa che non avrei mai immaginato di dover fare: dar lezioni a un bambino in segreto, quasi fosse un delitto…»
«Agli occhi di certa gente lo è, signorina Larner.»
«Ah, di questo non ho il minimo dubbio.»
«Anche voi quaccheri non vi riunite a pregare in silenzio? In fondo non vi chiedo altro che una specie di riunione silenziosa…»
«Non sono quacchera, Goody Guester. Sono semplicemente un essere umano che si rifiuta di misconoscere l’umanità di un altro essere umano, a meno che non siano le sue stesse azioni a dimostrarlo indegno di questo nobile legame di fratellanza.»
«Allora lo prenderete?»
«Dopo le ore di scuola, sì. In questa casa, che voi e vostro marito mi avete così cortesemente concesso, sì. Ma in segreto? Mai! Proclamerò a tutti la mia volontà di dare lezioni private ad Arthur Stuart, e non solo qualche sera la settimana, bensì tutti i giorni. Dopo le ore di scuola sono libera di dare lezioni a chi voglio — il mio contratto lo prevede esplicitamente — e, purché io non violi il contratto, quella gente dovrà sopportarmi per almeno un anno. Vi sta bene?»
La vecchia Peg guardò la donna con vera ammirazione. «Che mi prenda un colpo» disse «ma siete cattiva come un gatto con un pruno nel sottocoda.»
«Mi rincresce di non aver mai visto un gatto in una situazione così incresciosa, Goody Guester, talché non posso valutare l’accuratezza della vostra similitudine.»
La vecchia Peg non aveva capito un’acca di ciò che la signorina Larner aveva detto, ma le parve di scorgere nello sguardo della maestra uno scintillio malizioso, per cui concluse che andava bene così.
«Quando posso mandarvi Arthur?» chiese.
«Come vi ho spiegato all’inizio, ho bisogno di una settimana per sistemarmi. Quando la scuola aprirà per i bambini bianchi, aprirà anche per Arthur Stuart. Resta da definire soltanto la questione del compenso.»
La vecchia Peg restò per un attimo interdetta. Era arrivata lì pronta a offrire del denaro, ma, dopo aver sentito la signorina Larner parlare in quel modo, si era fatta l’idea che alla fin fine mandare Arthur a scuola non le sarebbe costato niente. D’altra parte l’insegnamento era l’unica fonte di reddito della signorina Larner, per cui la vecchia Peg non trovava affatto sbagliato pagarla. «Avevamo pensato di offrirvi un dollaro al mese, che sarebbe una cifra alla nostra portata, ma se vi serve di più…»
«Oh, non parlavo di denaro, Goody Guester. Pensavo solo di chiedervi se non potreste concedermi di svolgere una lettura settimanale di poesia presso la vostra locanda, la domenica sera, alla quale invitare tutti coloro che a Hatrack aspirano ad acquistare maggiore familiarità con il fior fiore della letteratura inglese.»
«Non credo che in città ci sia molta gente che apprezzi la poesia, signorina Larner, però, se volete provarci, sarete la benvenuta.»
«Credo che resterete piacevolmente sorpresa nel constatare quante persone desiderino essere considerate istruite, Goody Guester. Avrete difficoltà a trovare sedie sufficienti per tutte le signore di Hatrack che costringeranno i loro mariti ad accompagnarle per udire i versi immortali di Pope e Dryden, Donne e Milton, Shakespeare e Gray, e — sì, oserò anche questo — Wordsworth e Coleridge, e forse perfino un poeta vagabondo della nostra terra, un inventore di storie bizzarre che porta il nome di Blake.»
«Non vorrete per caso riferirvi al vecchio Scambiastorie, eh?»
«Ritengo che questo sia il soprannome con il quale è più comunemente conosciuto.»
«E voi avete qualche sua poesia?»
«Qualcosa di scritto? No, non ne ho bisogno. È un mio carissimo amico, e ho mandato a memoria molti dei suoi versi.»
«Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe arrivato così lontano… A Filadelfia, figuriamoci!»
«Il nostro Blake ha illuminato col suo genio molti salotti di quella città, Goody Guester. Dunque, che ne direste di tenere la nostra prima soirée domenica prossima?»
«La sua re? E che sarebbe?»
«Soirée. Una riunione serale, magari con un bel ponce allo zenzero…»
«Ah, in quanto a ricevere la gente non potete insegnarmi nulla, signorina Larner. E se è questo il prezzo che devo pagare per l’istruzione di Arthur Stuart, ho una gran paura di approfittarmi di voi, perché in questo modo mi sa che saremo noi a guadagnarci due volte.»
«Siete molto gentile, Goody Guester. Ma debbo rivolgervi una domanda.»
«Chiedete pure. Anche se non posso promettervi che sarò molto brava a rispondere.»
«Goody Guester… Conoscete il Trattato sugli Schiavi Fuggiaschi?»
La paura e la rabbia trafissero il cuore della vecchia Peg al solo udire quelle parole. «Un’opera proprio diabolica!»
«La schiavitù è certamente un’opera diabolica, ma questo trattato è stato firmato per rendere possibile l’unione degli Appalachi al Patto Americano, ed evitare alla nostra fragile nazione una guerra con le Colonie della Corona. E la pace non può certo esser definita una cosa diabolica.»
«Sì che lo è, se è una pace che dice che possono mandare i loro maledetti Cacciatori negli Stati liberi per riacciuffare i Neri e farli tornare schiavi!»
«Può darsi che abbiate ragione, Goody Guester. Si potrebbe addirittura sostenere che il Trattato sugli Schiavi Fuggiaschi non è tanto un trattato di pace quanto una dichiarazione di resa. Ciononostante, è la legge di questa terra.»
Solo allora la vecchia Peg si rese conto di ciò cui la maestra intendeva alludere. Perché mai avrebbe dovuto tirar fuori il Trattato sugli Schiavi Fuggiaschi se non per accertarsi che la vecchia Peg sapesse che Arthur Stuart non era al sicuro, che i Cacciatori potevano arrivare in qualsiasi momento dalle Colonie della Corona e rivendicare la sua proprietà in nome di qualche famiglia di cosiddetti bravi cristiani? Peggio ancora, quel discorso significava anche che la signorina Larner non aveva creduto a una sola parola della sua storia a proposito della provenienza di Arthur Stuart. E se la maestra aveva smascherato così facilmente la sua menzogna, come poteva la vecchia Peg pensare che tutti gli altri ci credessero? Per quanto ne sapeva, forse l’intera città di Hatrack aveva da tempo capito che Arthur Stuart era uno schiavetto nero, riuscito in qualche modo a scappare e a trovarsi una mamma bianca.
E se lo sapevano tutti, chi avrebbe potuto impedire a qualcuno di fare la spia, inviando nelle Colonie della Corona la notizia che in una certa locanda vicino al fiume Hatrack viveva uno schiavetto fuggiasco? Il Trattato sugli Schiavi Fuggiaschi rendeva evidentemente illegale la sua adozione di Arthur Stuart. Avrebbero potuto strapparle il bambino dalle braccia e non farglielo più rivedere. Anzi, se mai la vecchia Peg si fosse recata al Sud, avrebbero potuto arrestarla e impiccarla in base alle leggi sulla detenzione illegale di schiavi promulgate da re Arthur. E l’idea di quel mostruoso re acquattato nella sua spelonca di Camelot le rammentò la cosa più orrenda di tutte: se mai le avessero tolto Arthur Stuart per portarlo al Sud, gli avrebbero sicuramente cambiato nome. Nelle Colonie della Corona possedere uno schiavo con lo stesso nome del re sarebbe stato un atto di alto tradimento. Perciò il povero Arthur si sarebbe trovato di colpo con un altro nome mai udito prima. La vecchia Peg non poté fare a meno di pensare a quel povero bambino in preda alla più totale confusione, con qualcuno che lo chiamava e lo richiamava e poi lo frustava perché non aveva risposto… Ma come avrebbe potuto rispondere se nessuno lo chiamava col suo vero nome?
Il suo viso doveva aver illustrato perfettamente i pensieri che le attraversavano la mente, perché la signorina Larner le si avvicinò posandole con delicatezza le mani sulle spalle.
«Da me non avete nulla da temere, Goody Guester. Ricordate che vengo da Filadelfia, dove la gente discute apertamente della necessità di opporsi a quel trattato. Un giovane della Nuova Inghilterra chiamato Thoreau ha già fatto molto rumore sostenendo che a una cattiva legge bisogna ribellarsi, che un bravo cittadino dev’essere pronto a rischiare personalmente la prigione piuttosto che sottomettervisi. Se lo sentiste parlare, vi sarebbe di grande conforto.»
La vecchia Peggy non era così sicura. Il solo pensiero di quel trattato la raggelava. La prigione? A che sarebbe servita, se nel frattempo Arthur Stuart veniva condotto al Sud a suon di frustate, in catene? Comunque fosse, non era certo cosa che riguardasse la maestra. «Non capisco perché mi diciate tutte queste cose, signorina Larner. Arthur Stuart è nato libero da una Nera libera. Il Trattato sugli Schiavi Fuggiaschi non mi riguarda nemmeno di lontano.»
«Allora non ci penseremo più, Goody Guester. E ora, se volete perdonarmi, sono un po’ stanca per il viaggio, e avevo sperato di poter andare a letto presto, anche se fuori è ancora chiaro.»
La vecchia Peg balzò in piedi, estremamente sollevata all’idea di non dover più parlare di Arthur e del Trattato. «Ma certo. Comunque non andrete a letto senza fare il bagno, eh? Non c’è niente come un bagno per chi ha viaggiato.»
«Sono senz’altro d’accordo, Goody Guester. Temo tuttavia che nel mio bagaglio non vi fosse posto anche per una vasca.»
«Appena arrivo a casa vi mando Horace con la vasca di riserva e, se non le spiace accendere la stufa, possiamo attingere l’acqua dal pozzo di Gertie: in un momento sarà calda al punto giusto.»
«Ah, Goody Guester, temo proprio che prima di notte mi avrete convinto di essere ancora a Filadelfia. Per me sarà quasi una delusione, perché mi ero corazzata contro i rigori di una vita primitiva in mezzo ai boschi, e adesso scopro che siete pronta a offrirmi tutti i benefici della civiltà.»
«Immagino che più o meno mi abbiate ringraziato, perciò vi rispondo che il piacere è tutto mio, e che sarò di ritorno in un batter d’occhio con Horace e la vasca. E non azzardatevi ad attingere l’acqua voi stessa, almeno non stasera. Mettetevi lì buona a leggere, a filosofare o qualsiasi cosa facciano le persone istruite invece di addormentarsi.»
La vecchia Peg uscì dal deposito e corse verso la locanda come se avesse avuto le ali ai piedi. Dunque la signora maestra non era poi così male come le era sembrata all’inizio. Sì, quando si metteva a usare quei paroloni, la vecchia Peg non capiva neanche la metà di quello che diceva, ma se non altro non si rifiutava di parlare con la gente come lei… e poi avrebbe dato lezioni gratis ad Arthur, e per giunta avrebbe anche tenuto letture di poesia giù alla locanda. Soprattutto, però… soprattutto forse sarebbe stata disposta a fare quattro chiacchiere con la vecchia Peg, e forse col tempo un po’ della sua intelligenza le sarebbe rimasta attaccata. Non che a una donna come la vecchia Peg l’intelligenza potesse poi servire a molto, ma in fondo non era la stessa cosa di un anello prezioso al dito di una ricca signora? E se frequentare quell’istruita zitella dell’Est avesse dato alla vecchia Peg anche solo un briciolo di comprensione in più del vasto mondo al di là di Hatrack, sarebbe stato più di quanto la vecchia Peg avesse mai sperato di raggiungere in vita sua. Sarebbe stato come applicare una macchiolina di colore sull’ala di un banale moscerino. Non avrebbe trasformato il moscerino in una farfalla, però il moscerino non si sarebbe più gettato nel fuoco per la disperazione.
La signorina Larner guardò la vecchia Peg allontanarsi sul sentiero. Mamma, sussurrò. No, neanche lo sussurrò. Non schiuse nemmeno le labbra che però si contrassero lievemente.
Fingere la faceva soffrire. Aveva giurato di non mentire mai, e in un certo senso non mentiva nemmeno adesso. Il nome che si era data, Larner, non significava altro che «maestra», e siccome faceva la maestra, quello poteva dirsi il suo vero nome, come quello di suo padre era Guester, cioè locandiere, e quello di Makepeace, Smith, cioè fabbro. E quando gli altri le rivolgevano qualche domanda, lei non rispondeva mai con una bugia, sebbene si rifiutasse di dire cose che potevano rivelare all’interlocutore più dello stretto necessario, suscitando in lui curiosità inopportune.
Eppure, nonostante la cura con cui evitava di mentire apertamente, aveva una gran paura d’ingannare solo se stessa. Come poteva pensare che la sua presenza in quel luogo, sotto quel travestimento, fosse qualcosa di diverso da una menzogna?
Eppure in fondo anche quell’inganno rispondeva a verità. Non era più la stessa persona di quand’era la fiaccola di Hatrack. E il legame che la univa a quelle persone era cambiato. Se avesse sostenuto di essere la piccola Peggy, allora sì che quella sarebbe stata una menzogna più grande del suo travestimento, perché tutti avrebbero visto in lei la ragazzina di una volta, e l’avrebbero trattata di conseguenza. Dunque il suo travestimento era un riflesso di ciò che lei era veramente, almeno in quel luogo e in quel momento: istruita, riservata, zitella per propria scelta, sessualmente inaccessibile.
Non si trattava affatto di una menzogna, quindi; era semplicemente un modo per mantenere un segreto, il segreto di ciò che era stata e ormai non era più. Il suo giuramento non era stato infranto.
Sua madre era già scomparsa da tempo fra gli alberi che crescevano fra il vecchio deposito e la locanda, ma Peggy continuava a guardare in quella direzione. E, se avesse voluto, Peggy avrebbe potuto ancora vederla, non con lo sguardo bensì con la sua vista interiore, cercando la fiamma vitale di sua madre, penetrandovi dentro, esplorandone ogni recesso. Mamma, non sai che il tuo cuore non può avere segreti per tua figlia Peggy?
Ma ormai sua madre avrebbe potuto serbare per sé tutti i segreti che voleva. Peggy non avrebbe più scrutato nel suo cuore. C’erano voluti anni di studio, e montagne di libri letti così in fretta da farle temere che in America non ve ne fossero abbastanza per poter placare la sua sete di sapere… Ma finalmente, dopo tanti anni e tanti libri, aveva acquistato un solo nuovo talento di cui potesse dirsi sicura. Aveva finalmente padroneggiato la capacità di non vedere nel cuore degli altri a meno che non fosse lei stessa a volerlo. Aveva finalmente domato la sua vista da fiaccola.
Certo, continuava ancora a guardare nel cuore degli altri quando ne aveva bisogno, però accadeva di rado. Persino di fronte al comitato scolastico, per indurre quella gente a cambiare idea, non aveva dovuto ricorrere che alla sua conoscenza della natura umana per intuire i loro pensieri e agire di conseguenza. E in quanto ai futuri contenuti nella fiamma vitale di ciascuno, Peggy non vi prestava più alcuna attenzione.
Non sono più responsabile dei vostri futuri, chiunque voi siate, pensò. Tanto meno del tuo, mamma. Mi sono immischiata anche troppo nella tua vita, nella vita degli altri. Se conosco i vostri futuri, cittadini di Hatrack, allora avverto l’imperativo morale di agire in maniera tale da far sì che ciascuno di voi si trovi dinanzi il più felice tra i futuri possibili. Ma, così facendo, io stessa cesso di esistere. Il mio futuro diventa l’unico privo di speranza. Per quale motivo dovrei subire una simile condanna? Chiudendo gli occhi di fronte a ciò che accadrà veramente, divento una persona come voi, capace di vivere la mia vita in base alle mie ipotesi riguardo a ciò che potrebbe accadere. La felicità non potrei assicurarvela comunque, e in questo modo per lo meno anch’io avrò una possibilità di raggiungerla.
Anche nel giustificarsi, sentì montare dentro di sé il gusto amaro del senso di colpa. Rifiutando il suo dono, peccava contro il Dio dal quale lo aveva ricevuto. Un grande maestro, Erasmo, aveva affermato: «Il tuo dono è il tuo destino. Non conoscerai mai la gioia se non seguendo la via aperta dinanzi a te da ciò che si trova dentro di te». Ma Peggy si rifiutava di sottomettersi a quella crudele disciplina. La sua infanzia le era stata già sottratta, e a che pro? Sua madre non l’amava, gli abitanti di Hatrack avevano paura di lei e spesso addirittura la odiavano, anche se la consultavano con insistenza, cercando risposte alle loro meschine, egoistiche domande; l’accusavano aspramente tutte le volte che si ritenevano colpiti da qualche disgrazia, e non la ringraziavano mai per averli salvati da qualche catastrofe, perché, non essendone stati colpiti, non potevano sapere in che modo Peggy li avesse salvati.
Non era della gratitudine che andava in cerca, bensì della libertà. Quel fardello si era rivelato troppo pesante. Aveva cominciato a portarlo fin da piccola, e nessuno si era mai chiesto se fosse giusto sfruttarla in quel modo. Le loro paure l’avevano sempre avuta vinta sul suo bisogno di vivere un’infanzia spensierata. Forse che qualcuno l’aveva mai capito? Forse che qualcuno si era mai reso conto del sollievo con cui se li era lasciati alle spalle?
Ora Peggy la fiaccola era tornata, ma loro non l’avrebbero mai saputo. Non sono tornata per voi, gente di Hatrack, né per mettermi al servizio dei vostri figli. Sono tornata per un unico allievo, l’uomo che in questo momento lavora alla forgia, la cui fiamma vitale arde così luminosa che la vedo anche quando dormo, anche nei miei sogni. Sono tornata dopo avere imparato tutto ciò che il mondo poteva insegnarmi, così che a mia volta io potessi aiutare quel giovane a compiere un’Opera molto più grande di chiunque di noi. Il mio destino, se ne ho uno, è questo.
Nel frattempo cercherò di fare del bene, per quanto mi sarà possibile: darò lezioni ad Arthur Stuart, cercando di realizzare i sogni per i quali una giovane madre coraggiosa ha dato la vita; farò scuola a tutti gli altri bambini, insegnando loro tutto ciò che saranno disposti a imparare nelle ore previste dal contratto che ho firmato; porterò nella città di Hatrack sapere e poesia a beneficio di tutti coloro che sapranno approfittarne.
Forse più che ascoltare poesie vorreste avere a vostra disposizione le mie doti di fiaccola, la mia conoscenza dei vostri possibili futuri: per parte mia sono sicura che la poesia vi sarà molto più utile. Perché conoscere il futuro vi renderebbe pavidi e compiacenti, mentre la poesia può fare di voi quel genere di anime che riescono ad affrontare qualsiasi futuro con coraggio, saggezza e nobiltà d’animo, cosicché non abbiate bisogno di conoscere il futuro, cosicché qualsiasi futuro possa costituire per voi un’occasione di grandezza, se in voi vi è della grandezza. Saprò mai insegnarvi a vedere in voi stessi ciò che vi scorse Gray?
Un cuore una volta colmo di fuoco celeste,
mani che avrebbero potuto impugnare
lo scettro di un impero
o destare all’estasi la lira vivente.
Ma Peggy dubitava che tra le anime di Hatrack si celasse davvero un Milton silenzioso e senza gloria. Pauley Wiseman non era certo un Cesare in potenza. Magari nutriva anche ambizioni in tal senso, ma gli mancavano l’intelligenza e l’autocontrollo. Whitley Physicker non era un Ippocrate, per quanto cercasse di guarire e conciliare: a rovinarlo era l’amore per il lusso e, come molti altri medici di belle speranze, aveva intrapreso quella carriera per amore non del lavoro in sé ma di ciò che gli poteva fruttare.
Peggy prese il secchio che si trovava dietro la porta. Per quanto stanca, non aveva nessuna intenzione di mostrarsi debole, nemmeno per un istante. Quando suo padre e sua madre fossero arrivati, avrebbero scoperto che la signorina Larner aveva già fatto da sola tutto ciò che si poteva fare prima dell’arrivo della vasca.
Ting-ting-ting. Ma Alvin non si riposava mai? Non sapeva che laggiù a ponente il sole faceva ribollire il cielo, tingendolo di rosso prima di scomparire dietro gli alberi? Mentre scendeva il pendio verso la fucina, Peggy ebbe improvvisamente una gran voglia di mettersi a correre, di volare giù per la discesa sino alla fucina come aveva fatto il giorno in cui Alvin era nato. Quel giorno pioveva a dirotto, e la madre di Alvin era rimasta imprigionata su un carro coperto impantanato a metà del guado. Era stata Peggy a vederli, a scorgere in lontananza le loro fiamme vitali nell’oscurità della pioggia e del fiume in piena. Era stata Peggy a dare l’allarme, e ancora lei ad assistere al parto, vedendo i futuri di Alvin nella sua fiamma vitale, la fiamma vitale più luminosa che avesse mai visto o che le sarebbe mai accaduto di vedere in vita sua. Era stata Peggy a salvargli la vita staccandogli dal viso il cappuccio placentare; e sempre Peggy, usando pezzetti di quel cappuccio, a salvargli tante volte la vita nel corso degli anni. Se Peggy aveva potuto rinunciare a essere la fiaccola di Hatrack, non avrebbe mai potuto rinunciare a lui.
A metà discesa, tuttavia, si fermò. Che cosa le era saltato in mente? Non poteva andare da lui, non in quel momento, non ancora. Era lui che doveva venire da lei. Solo così avrebbe potuto diventare la sua maestra; solo in quel modo lei stessa avrebbe avuto l’opportunità di diventare qualcosa di più.
Peggy si voltò e riprese a camminare tagliando diagonalmente il pendio in direzione del pozzo. Aveva visto Alvin scavare quel pozzo — i due pozzi — e per una volta non era riuscita a difenderlo dal Distruttore quando questi era sopraggiunto. Ad attirare il nemico era stato lo stesso Alvin, con la sua rabbia e la sua voglia di distruggere, e quella volta, nonostante il cappuccio, Peggy era stata del tutto impotente. Aveva potuto solo osservarlo mentre egli si purificava dalla distruzione che si trovava nel suo cuore: e in tal modo aveva sconfitto, seppur temporaneamente, il Distruttore in agguato fuori di lui. Ora quel pozzo sorgeva come un monumento tanto ai poteri di Alvin quanto alla sua fragilità.
Peggy lasciò cadere nel pozzo il secchio di rame, e la corda cominciò a scorrere verso il basso, facendo girare vorticosamente la carrucola. Un tonfo attutito. Peggy attese qualche istante che il secchio si riempisse, quindi cominciò a tirarlo su. Arrivò pieno fino all’orlo. Peggy aveva avuto intenzione di versare l’acqua nel secchio di legno che aveva portato con sé, e invece si portò il secchio di rame alle labbra e bevve una lunga sorsata della fredda acqua che conteneva. Erano anni che voleva assaggiare quell’acqua, l’acqua che Alvin aveva domato la notte in cui aveva domato se stesso. Peggy l’aveva osservato terrorizzata per tutta la notte, e quando al mattino finalmente lui aveva riempito la buca scavata per ripicca, lei aveva pianto di sollievo. Sebbene quell’acqua non fosse salata, le sembrava ancora di sentire il gusto delle lacrime.
Ora il martello taceva. Come sempre, Peggy trovò immediatamente la fiamma vitale di Alvin senza nemmeno bisogno di pensarci. Stava uscendo dalla fucina e si dirigeva proprio in quella direzione. Sapeva che lei si trovava lì? No. Quando smetteva di lavorare, veniva sempre ad attingere l’acqua. Naturalmente Peggy non poteva voltarsi dalla sua parte, o quanto meno non prima di avere udito i suoi passi. Eppure, sebbene sapesse che stava arrivando e fosse in ascolto, non riuscì a udirlo; si muoveva in silenzio come uno scoiattolo tra i rami di un albero. Lo udì solo quando lui le rivolse la parola:
«Niente male come acqua, eh?»
Peggy si voltò di scatto. Troppo in fretta, troppo ansiosamente… Il secchio era ancora trattenuto dalla corda, per cui le sfuggì dalle mani, la schizzò d’acqua e ricadde rumorosamente nel pozzo.
«Sono Alvin, ricordate? Non volevo spaventarvi, signora… signorina Larner.»
«Stupidamente non ho pensato che il secchio fosse legato» disse lei. «Sono abituata alle pompe e ai rubinetti. A Filadelfia non ci sono molti pozzi come questo.»
Così dicendo, si voltò nuovamente verso il pozzo per tirare su il secchio caduto.
«Lasciate fare a me» si offrì lui.
«Non importa. Ce la faccio benissimo da sola.»
«Ma perché dovreste farlo voi, signorina Larner, se sono felice di aiutarvi?»
Peggy si fece da parte e lo guardò azionare la manovella con una mano sola, con la stessa facilità di un bambino con una corda per saltare. Il secchio quasi balzò fuori dal pozzo. Lei gettò lo sguardo nella sua fiamma vitale, solo una rapida occhiata, per capire se Alvin voleva farsi bello ai suoi occhi. Ma così non era. Alvin non poteva vedere quanto fossero poderose le sue spalle, o come i muscoli gli guizzassero sotto la pelle a ogni movimento del braccio. Non poteva nemmeno vedere la tranquillità del proprio viso, la stessa pacata, intrepida compostezza che si può scorgere nel muso di un cervo adulto. In lui non c’era traccia d’inquietudine. Alcune persone avevano lo sguardo in continuo movimento, come se fossero perennemente all’erta contro qualche pericolo, o magari in cerca di prede. Altri tenevano lo sguardo fisso, concentrato su ciò che facevano. Ma lo sguardo di Alvin aveva un che di pacatamente distaccato, come se egli non nutrisse un particolare interesse in ciò che lui stesso o gli altri stavano facendo, ma invece fosse assorbito da un suo dialogo interiore che nessun altro poteva udire. Di nuovo le echeggiarono alla mente le parole dell’Elegia di Gray.
Via dall’ignobile lotta della pazza folla,
i loro sobri desideri non appresero mai l’eccesso;
nella fresca, isolata valle della vita
serbarono il silenzioso tenore del loro cammino.
Povero Alvin. Quando avrò finito con te, non vi saranno più fresche valli isolate. Ripenserai al tuo apprendistato come all’ultimo periodo tranquillo della tua vita.
Con una mano sola, Alvin afferrò per il bordo il pesante secchio pieno d’acqua e lo inclinò senza sforzo per versare l’acqua nel secchio di legno che reggeva con l’altra mano; il tutto con la stessa facilità di una massaia che travasa la panna da una tazza all’altra. Che cosa succederebbe se quelle mani stringessero le mie braccia con la stessa noncuranza? Forte com’è, potrebbe anche spezzarmele. Mi sentirei imprigionata nella sua stretta irresistibile? Oppure m’incenerirebbe al calor bianco della sua fiamma vitale?
Peggy tese la mano verso il secchio.
«Permettetemi di portarvelo fino a casa, signora… signorina Larner.»
«Non è necessario.»
«So di essere tutto sporco, signorina Larner, ma posso portarvelo fino alla porta e metterlo dentro senza insudiciare nulla.»
Possibile che con questo travestimento io appaia così mostruosamente riservata da farti pensare che io rifiuti il tuo aiuto per eccessiva schizzinosità? «Volevo solo dire che non intendevo farti lavorare ancora. Per oggi mi hai già aiutato abbastanza, credo.»
Egli la guardò fisso negli occhi. Quell’espressione pacifica adesso era scomparsa. Anzi, nel suo sguardo passò un lampo di rabbia. «Se avete paura che voglia esser pagato, non preoccupatevi. E se questo dollaro è vostro, potete riprendervelo. Non lo voglio.» Così dicendo, le porse la moneta che Whitley Physicker gli aveva lanciato dalla carrozza.
«Ho espresso la mia riprovazione al dottor Physicker. Mi pareva un insulto che egli presumesse di pagarti per il servizio che mi avevi reso per cavalleria. Che lui si sia comportato come se gli eventi di stamattina valessero esattamente un dollaro è stato umiliante per entrambi.»
Lo sguardo di Alvin si raddolcì.
Peggy continuò con la voce della signorina Larner. «Ma devi perdonare il dottor Physicker. La ricchezza lo fa sentire a disagio, ed egli è sempre in cerca di occasioni per farne parte agli altri. Però non ha ancora imparato a farlo con il tatto necessario.»
«Ah, ma a me non importa più niente, visto che l’idea non è stata vostra.» Alvin si rimise in tasca la moneta e si avviò col secchio pieno d’acqua sul pendio che portava al vecchio deposito.
Evidentemente non era abituato a camminare accanto a una signora. Procedeva a passi troppo lunghi e rapidi perché lei potesse stargli dietro. Per giunta, Peggy non poteva nemmeno seguirlo… Alvin infatti sembrava non curarsi della pendenza. Non era come un adulto, ma come un bambino che prende la via più diretta, anche se ciò significa oltrepassare ostacoli che potrebbero benissimo essere scansati.
Eppure ho soltanto cinque anni più di lui. Possibile che mi sia lasciata condizionare dal mio travestimento? Che a ventitré anni io pensi, agisca e viva come una donna di quarantasei? Anch’io una volta amavo camminare proprio come lui, scegliendo i passaggi più difficili, per il gusto di dimostrare a me stessa che potevo superarli…
Ciononostante, Peggy prese la via più facile, costeggiando la collina e salendo dove il pendio era più lungo e agevole. Alvin era già arrivato e l’attendeva davanti alla porta chiusa.
«Perché non hai aperto la porta e non hai messo dentro il secchio? La porta non era chiusa a chiave» disse lei.
«Scusate, signorina Larner, ma questa è una porta che non vuole essere aperta, che sia chiusa a chiave oppure no.»
Dunque, pensò Peggy, vuole esser sicuro che io sia a conoscenza dei talismani nascosti che ha inciso nella serratura. Non erano molti coloro che potevano vedere un talismano nascosto… A dire il vero, non ne sarebbe stata in grado nemmeno lei. Se osservandolo da lontano non glieli avesse visti fabbricare, non avrebbe avuto modo di venirne a conoscenza. Naturalmente però non poteva dirglielo. Perciò chiese: «Ah, c’è forse qualche protezione che io non posso vedere?»
«Ho solo messo un paio di talismani dentro la serratura. Niente di speciale, ma dovrebbero renderla abbastanza sicura. E un altro l’ho messo sulla stufa, in modo che le scintille non potessero far danni.»
«Hai molta fiducia nei tuoi talismani, Alvin.»
«In tutta sincerità, sono bravo. Un talismano purchessia lo sa disegnare la maggior parte delle persone, signorina Larner. Ma non sono molti i fabbri capaci d’inciderli nel ferro. Volevo solo che lo sapeste.»
Non era solo questo che voleva farle sapere, naturalmente. Perciò Peggy gli diede la risposta che egli sperava. «Mi sembra di capire, dunque, che abbia contribuito anche tu a risistemare il vecchio deposito.»
«Ho fatto le finestre, signorina Larner. Vanno su e giù che è un piacere, e con i cavicchi potete fermarle all’altezza che volete. E la stufa, la serratura e le cerniere. Le pareti, invece, le ha raschiate il mio aiutante, Arthur Stuart.»
Per essere un giovanotto cresciuto in mezzo ai boschi, stava manovrando la conversazione con una certa abilità. Per un momento Peggy pensò di giocare con lui, di fingere di non capire a che cosa alludesse, tanto per vedere come se la cavava. Ma no… Alvin voleva soltanto chiederle che cosa fosse venuta a fare. Non c’era nessun bisogno di rendergli la vita difficile. Ciò che lo attendeva era già abbastanza duro.
«Arthur Stuart» ripeté lei. «Dev’essere lo stesso ragazzo a cui Goody Guester mi ha chiesto di dar lezioni private.»
«Ah, ve l’ha già chiesto? O forse non avrei dovuto farvi questa domanda?»
«Non ho intenzione di tenere la cosa segreta, Alvin. Sì, darò lezioni ad Arthur Stuart.»
«Ne sono contento, signorina Larner. È il ragazzo più in gamba che ci sia da queste parti. Ed è un imitatore! Pensate, gli basta sentire qualcosa una volta e lui subito la ripete con la stessa voce. Una cosa da non credersi.»
«Spero soltanto che non si metta a fare giochetti del genere durante la lezione.»
Alvin aggrottò la fronte. «Ecco, signorina Larner, non è proprio un gioco. Lo fa senza volere. Insomma, se gli si dice qualcosa e lui lo ripete, non lo fa per prendere in giro o roba del genere. Il fatto è che, quando sente dire qualcosa, se lo ricorda insieme alla voce di chi glielo ha detto, se capite quello che voglio dire. Non riesce a separare le parole dalla voce che le ha pronunciate.»
«Lo terrò presente.»
Peggy udì sbattere una porta in lontananza. Subito spinse lo sguardo fin laggiù e vide le fiamme vitali di suo padre e di sua madre muoversi nella sua direzione. Stavano litigando, naturalmente, e se Alvin aveva qualcosa da chiederle avrebbe dovuto farlo subito.
«Volevi per caso domandarmi qualcos’altro, Alvin?»
Era il momento che Alvin attendeva, ma la timidezza prese il sopravvento. «Ecco, avevo idea di chiedervi… Ma badate che se vi ho portato l’acqua fin qui non l’ho fatto perché vi sentiste obbligata o roba del genere. L’avrei fatto comunque, per chiunque, e riguardo a quello che è successo stamattina, be’, non sapevo che eravate la nuova maestra. Voglio dire che forse avrei potuto immaginarmelo, ma non ci ho pensato… Perciò quello che ho fatto l’ho fatto perché mi veniva, e voi non mi dovete proprio nulla…»
«Penso che spetti a me decidere quanta gratitudine debbo provare, Alvin. Che cosa volevi chiedermi, dunque?»
«Sicuramente sarete occupata con Arthur Stuart, perciò non penso che avrete molto tempo libero, magari solo una volta la settimana, per un’ora. Potremmo farlo di sabato… In quanto al compenso chiedetemi pure quel che volete: il mio padrone mi ha lasciato un po’ di tempo libero, e io ho messo da parte qualcosa, e…»
«Insomma, Alvin, vorresti che io ti facessi da istitutrice?»
Alvin non capì.
«Che ti facessi da istitutrice. Che ti dessi lezioni private.»
«Sì, signorina Larner.»
«La tariffa è cinquanta centesimi la settimana. Verrai insieme ad Arthur Stuart. Arriverai quando arriverà lui, e te ne andrai quando se ne andrà lui.»
«Ma come potrete insegnare a tutti e due insieme?»
«Ho l’impressione che parte di ciò che insegnerò a lui potrà servire anche a te, Alvin. E, quando gli assegnerò qualche esercizio di calcolo o di scrittura, avrò tutto il tempo di conversare con te.»
«È solo che non vorrei portare via del tempo ad Arthur.»
«Pensaci bene, Alvin. Non sarebbe opportuno che tu venissi a prendere lezioni da solo. Anche se ho qualche anno più di te, c’è gente che sarebbe ben felice di cogliermi in fallo, e dare lezioni private a un giovane scapolo darebbe certamente adito alle chiacchiere. Invece Arthur Stuart sarà sempre presente alle tue lezioni, e la porta di casa resterà sempre aperta.»
«Potremmo andare alla locanda, e voi potreste darmi lezioni laggiù.»
«Alvin, le mie condizioni sono queste. Vuoi che ti faccia da istitutrice o no?»
«Sì, signorina Larner.» Alvin si ficcò la mano in tasca e ne tirò fuori una moneta. «Ecco un dollaro per le prime due settimane.»
Peggy guardò la moneta. «Credevo che questo dollaro volessi restituirlo al dottor Physicker.»
«Non vorrei che con tutti quei soldi si sentisse a disagio, signorina Larner.» E sorrise.
Sarà anche timido — pensò Peggy — ma non riesce a star serio troppo a lungo. In lui ci sarà sempre una vena d’ironia, appena sotto la superficie, e prima o poi vena fuori.
«No. Direi di no» commentò lei. «Le lezioni incominceranno la settimana prossima. Grazie per l’aiuto.»
In quell’istante, comparvero sul sentiero suo padre e sua madre. Horace barcollava sotto il peso di una grande vasca che portava capovolta sulla testa. Alvin corse immediatamente ad aiutarlo… o meglio, a prendere la vasca e a portarla lui stesso.
Fu così che Peggy vide la faccia di suo padre per la prima volta dopo più di sei anni: tutta rossa e sudata, mentre egli ancora ansimava per lo sforzo. E adirata, per giunta, o quanto meno irritata. Sebbene mamma gli avesse senza dubbio assicurato che la nuova maestra non era assolutamente arrogante come sembrava a prima vista, suo padre era ancora risentito per quell’estranea che si era piazzata nel vecchio deposito, luogo che ai suoi occhi apparteneva soltanto alla figlia da lungo tempo scomparsa.
Peggy avrebbe voluto corrergli incontro, chiamarlo «papà», e assicurargli che ad abitare in quel luogo era proprio sua figlia, che tutta la fatica che aveva sopportato per trasformare il deposito in una casa era stata in realtà un dono d’amore per lei. Com’era consolante vedere quanto egli l’amasse, rendersi conto che egli non l’aveva dimenticata dopo tutti quegli anni; ma allo stesso tempo le spezzava il cuore sapere che non poteva ancora rivelarsi nemmeno a lui, se voleva compiere la missione che l’attendeva. Anche con lui avrebbe dovuto comportarsi esattamente come con Alvin e con sua madre: non rivangare gli affetti e i debiti del passato, bensì conquistarsi da capo il suo amore e la sua amicizia.
Non poteva tornare a casa come una figlia di quei luoghi, nemmeno con suo padre, che sarebbe stato il solo a gioire con tutto se stesso per il suo arrivo. Doveva tornare a casa come un’estranea. E infatti proprio un’estranea era diventata, anche senza travestimenti. Dopo tre anni di apprendistato a Dekane, e altri tre di scuola e di studio, non era più la piccola Peggy, la giovane fiaccola silenziosa ma dalla lingua tagliente; da lungo tempo si era trasformata in un’altra persona. Molte cose le aveva imparate sotto la supervisione di Modesty; molte altre dai libri e dagl’insegnanti. Era davvero cambiata. Esclamare: «Papà, sono tua figlia, la piccola Peggy» sarebbe stata una menzogna, esattamente come lo era ciò che disse in quell’occasione: «Signor Guester, sono la signorina Larner, la vostra nuova inquilina. Molto felice di fare la vostra conoscenza».
Horace si avvicinò a lei ancora boccheggiante e le tese la mano. Nonostante i suoi cattivi presentimenti, nonostante il modo in cui aveva evitato d’incontrarla quando era arrivata alla locanda un’ora prima, era un locandiere troppo consumato per rifiutarsi di salutarla cortesemente, o per lo meno con le rozze maniere contadinesche che in quella cittadina di frontiera passavano per cortesia.
«Piacere di conoscervi, signorina Larner. Spero che l’alloggio sia di vostro gradimento.»
Peggy provò una certa tristezza nell’udirlo rivolgersi a lei con quelle espressioni ricercate che era solito usare con i clienti da lui considerati «di riguardo», ossia di condizione sociale superiore alla sua. In tutto questo tempo ho imparato molte cose, papà, e la più importante è questa: che nessuna condizione è inferiore o superiore a un’altra, se chi la occupa è una persona di buon cuore.
Del fatto che Horace fosse una persona di buon cuore Peggy era assolutamente convinta, anche se si trattenne dal guardare la sua fiamma vitale. In passato l’aveva esplorata con un’intensità quasi eccessiva. Adesso, se l’avesse osservata da vicino, avrebbe potuto scoprire cose che una figlia non aveva il diritto di sapere. Anni prima era stata troppo piccola per controllarsi quando esplorava la fiamma vitale di un altro; nell’innocenza dell’infanzia, aveva appreso cose tali da rendere impossibili tanto l’innocenza quanto l’infanzia. Ma ora che il dono di Peggy era stato domato, lei poteva lasciare a lui solo l’intimità del suo cuore. Glielo doveva, a lui come a mamma.
E soprattutto doveva a se stessa la possibilità di non conoscere esattamente ciò che essi pensavano e provavano a proposito di qualsiasi cosa.
Sistemarono la vasca nella casetta. Mamma aveva portato un altro secchio e una grande pentola, e ora papà e Alvin cominciarono a far la spola tra la casa e il pozzo, mentre mamma faceva bollire l’acqua sulla stufa. Quando il bagno fu pronto, gli uomini furono licenziati; e poco dopo Peggy riuscì a mandar via anche sua madre, non senza rimostranze da parte di quest’ultima.
«Vi sono grata per la vostra sollecitudine» le disse «ma è mia abitudine fare le mie abluzioni in completa solitudine. Siete stata straordinariamente gentile, e mentre farò il bagno, da sola, potete star certa che penserò a voi con gratitudine in ogni momento.»
Quel fiume di parole forbite era più di quanto mamma potesse sopportare. Finalmente la porta fu chiusa, la chiave girata, le tendine tirate. Peggy si tolse l’abito da viaggio, appesantito dalla polvere e dal sudore, quindi si sfilò la camiciola e le mutande, che le aderivano sgradevolmente alla pelle. Uno dei vantaggi del suo travestimento era che non doveva sopportare il fastidio aggiuntivo del busto. Nessuno si aspettava che una zitella dell’età che Peggy si era attribuita avesse lo stesso giro vita perversamente sottile di quelle povere giovani vittime della moda che si strizzavano nel busto al punto di non poter più respirare.
In ultimo si levò gli amuleti, i tre che le pendevano dal collo e quello nascosto nella crocchia. Quegli amuleti le erano costati parecchio in tutti i sensi, e non solo perché si trattava del tipo più nuovo e costoso che agiva su ciò che gli altri realmente vedevano anziché sulla loro opinione in proposito. Erano state anche necessarie quattro visite prima che il fabbricante di talismani si convincesse che Peggy voleva veramente apparire brutta. «Una bella ragazza come voi non ha bisogno della mia arte» le aveva risposto più e più volte, finché lei non l’aveva preso per le spalle dicendo: «Ecco perché ne ho bisogno! Per smettere di essere bella». L’uomo aveva ceduto, brontolando che era male nascondere ciò in cui Dio aveva profuso tanti sforzi.
Dio o Modesty, pensò Peggy. In casa di Modesty… là sì che ero bella. Chissà se lo sono tuttora, qui dove nessuno può vedermi all’infuori di me stessa, che sono la meno portata ad ammirarmi?
Finalmente nuda, finalmente se stessa, si inginocchiò davanti alla vasca e tuffò la testa nell’acqua per cominciare a lavarsi i capelli. Immersa nell’acqua calda, provò la stessa sensazione di completa libertà che aveva provato tanti anni prima nel deposito sulla sorgente: quell’umido isolamento in cui nessuna fiamma vitale riusciva a penetrare, così che poteva essere davvero se stessa e restare finalmente sola con i suoi pensieri.
In casa non c’erano specchi, né lei se n’era portati dietro. Ciononostante, quando uscì dalla vasca e si asciugò davanti alla stufa, già ricominciando a sudare nella stanza piena di vapore, in quel tardo pomeriggio d’agosto, seppe di essere davvero bella, come Modesty le aveva insegnato a essere; seppe che se Alvin l’avesse vista com’era veramente, l’avrebbe desiderata, non per il suo sapere, bensì in virtù di quell’amore più superficiale e passeggero che qualsiasi uomo prova per una donna che diletti il suo sguardo. Perciò, proprio come una volta era fuggita da lui affinché egli non la sposasse per pietà, ora si celava a lui affinché egli non la sposasse per una fanciullesca infatuazione. Quella sua identità, quel suo corpo giovane e flessuoso, gli sarebbero rimasti nascosti in modo che la vera identità di Peggy, la sua mente acuta e pazientemente educata, potesse far emergere in lui il vero uomo, l’uomo che avrebbe potuto diventare non un amante, ma un Creatore.
Ah, se Peggy avesse potuto in qualche modo celare alla propria vista anche il corpo di lui, così da non essere costretta a immaginare il suo tocco, delicato come quello dell’aria sulla pelle, quando lei si muoveva da una parte all’altra della stanza…