«Cinquemila miglia!»
«E io che ti avevo detto?» replicò in tono divertito Cadiz. «Ehi, hai un colorito verdastro. Non pensi che sarà un viaggio molto divertente?»
«Quanto tempo ci vorrà?» chiese Delanna con voce fioca.
«Dipende,» rispose Cadiz. «Tre settimane e mezzo. Quattro. Cinque. Due mesi.»
«Scusatemi, signore,» le interruppe Jay. «Questo treno trasporta un bel po’ del mio carico e mi piacerebbe scaricarlo di persona. A bordo ci sono delle cose preziose.» Fece l’occhiolino a Delanna. «Avrò bisogno del tuo aiuto con le oche. Senza dubbio Sonny starà già occupandosi della cassa che ha ritirato da Sakavva.»
«E io andrò ad aiutare Sonny,» affermò Cadiz, uscendo nel corridoio con la sua andatura provocante.
«Stai davvero morendo di curiosità visto che non sai cosa c’è in quella cassa, vero?» chiese Jay, seguendo Cadiz.
Cadiz girò l’angolo e l’assordante fischio del treno inghiottì la sua risposta.
Cinquemila miglia.
Delanna si abbandonò sul sedile, fissando fuori dal finestrino, tentando di non piangere. La piattaforma era polverosa, ma alle spalle c’era un sentiero di mattoni pulito che avrebbe avuto un aspetto invitante, se non fosse stato fiancheggiato da arbusti alti e sottili i cui tronchi erano quasi piegati su se stessi, forzati dalla massicce palle rosse dei frutti che crescevano sulle punte dei rami scheletrici. Alcuni degli alberelli dall’aria triste si chinavano su un muretto di mattoni che delimitava un cortile davanti a un insieme di edifici le cui facciate erano coperte dalle inevitabili mattonelle di ceramica, tutte in qualche sfumatura di verde: verde muschio, verde oliva, acquamarina, verde malachite, verde bottiglia, verde mela e smeraldo; tutti gli edifici avevano un tetto color rosso fuoco e Delanna pensò che somigliavano a tante olive farcite ritte su un’estremità.
Alcuni uomini erano usciti dagli edifici e stavano percorrendo il sentiero di mattoni verso il treno; tutti indossavano una camicia a fiori in tinte vivaci. Un dito che batteva sul finestrino fece sussultare Delanna. Era Jay Madog, che indicò prima lei e poi il rimorchio di oche che aveva appena fatto fermare. Le oche stavano emettendo starnazzi eccitati.
«Non sono la guardiana delle oche di Sonny,» commentò Delanna in tono rabbioso, ma Jay si era già girato, gridando e salutando qualcuno all’estremità opposta della piattaforma. In ogni caso, non sarebbe riuscita a sentirla attraverso il finestrino. Le oche continuarono a starnazzare freneticamente, molte di loro stavano beccando qualcosa all’angolo della gabbia. «Per me possono pure continuare a starnazzare,» affermò Delanna, rivolta al vuoto. «Non me ne importa un fico secco se il baccano farà impazzire tutti. Anzi, spero che lo faccia. Spero…» Vide lampeggiare un arcobaleno, poi notò un luccicare perlaceo di unghie su una sbarra della gabbia delle oche. «Cleo!» Ecco perché Jay aveva voluto che si prendesse cura delle oche! Aveva nascosto Cleo nella gabbia con loro. Improvvisamente Delanna si rese conto che gli uomini sul sentiero di mattoni erano quasi arrivati alla banchina della stazione.
Afferrò con un unico movimento la sacca, la busta con la scatola del pranzo e i vestiti, poi si precipitò oltre la porta dello scompartimento. Corse lungo il corridoio… e inciampò mentre scendeva lungo la scaletta verso la banchina; i tacchi alti le impedirono di riprendere l’equilibrio prima di cadere a gambe levate nella polvere. Le oche starnazzarono, spaventate dal tonfo. Un uomo, che avrebbe potuto essere il fratello di Frank Fuller, stava correndo verso di lei. Delanna si alzò, ignorando il dolore alla caviglia e gridò, «Sto bene! Davvero, sto bene!» poi zoppicò verso la gabbia delle oche, sventolando pantaloni, camicia, maglione e sacca verso l’uomo. Doveva avere un aspetto minaccioso perché l’aspirante soccorritore si fermò con un piede sulla banchina. «Sto bene,» ripeté Delanna, stringendo al petto la sacca e i vestiti.
«Bene.»
«Lei deve essere la moglie di Sonny Tanner,» affermò l’uomo.
«Eh, sì, devo proprio esserlo,» rispose Delanna in tono falsamente gioviale.
«Allora questo spiega tutto.» Si toccò il cappello, si girò e seguì gli altri uomini verso l’estremità della piattaforma.
Spiega cosa? si chiese per un attimo Delanna mentre si girava verso la gabbia delle oche. Non vide più le unghie di Cleo, ma sentì il suo ruggito. Nella gabbia volavano piume d’oca e gli animali stavano strombazzando a più non posso. «Cleo,» sussurrò Delanna mentre apriva i chiavistelli della porta in filo metallico. Pensava di trovare il piccolo scarabeo in preda al panico, invece, in un angolo della gabbia, Cleo sembrava al culmine della gioia, appollaiata sul sacco di grano da cui era ovviamente fuggita. Aveva sparso qualche chicco di grano sul pavimento della gabbia e con i suoi arti telescopici si divertiva a sottrarre i chicchi dai becchi delle oche. Gli stupidi pennuti si limitavano a cercare un altro chicco, di solito per farsi sottrarre anche quello. Tutte e sei le zampe dello scarabeo erano impegnate in quel continuo furto di grano. «Cleo, vieni qui!» ordinò Delanna. Era così sollevata di sapere che lo scarabeo era sano e salvo che non se la sentì di rimproverarlo per essersi preso gioco delle oche. Cleo ammiccò con le membrane nittitanti e zampettò sul pavimento della gabbia verso le mani di Delanna. Le oche si gettarono avidamente sul grano.
«E io che per tutto questo tempo ho pensato che tu fossi raggomitolata a palla per la paura!» commentò Delanna, rimproverando scherzosamente il piccolo scarabeo mentre lo stringeva al petto. Ma Cleo era chiaramente felice di vederla. Estese le zampe, simili a quelle dei ragni, intorno a Delanna e premette il ventre caldo contro il suo collo, sistemandosi sotto il mento della ragazza come un pendente ingioiellato… visibile a chicchessia. Delanna usò la camicia a fiori per coprire la camicetta che indossava, ma non servì a molto per nascondere Cleo. Allora indossò i pantaloni sulla gonna corta e li allacciò alla vita. «Nella tasca, tesoro,» ordinò, staccando le zampe di Cleo dal collo. Lo scarabeo si raggomitolò a palla e Delanna lo fece scivolare nella tasca, dove entrò comodamente. Delanna si infilò nell’altra tasca uno dei grossi frutti contenuti nella scatola di Maggie, assicurandosi che fosse visibile una parte della buccia giallo-verde. Cleo non era grossa come il frutto, ma Delanna pensò che le due protuberanze nelle sue tasche non avessero un aspetto particolarmente sospetto. E fece appena in tempo. Cadiz, Sonny e metà degli uomini sulla banchina era diretti di nuovo verso l’ultima carrozza, con Jay Madog che latrava ordini mentre faceva strada.
«Tirate fuori le scatole da sotto i sedili nell’ultima carrozza,» stava dicendo Jay agli uomini, «e trascinate questa cassa di oche fino al punto di raccolta.» Si girò verso Delanna. «Come sei riuscita a farle stare zitte?»
«Ho dato loro da mangiare,» rispose Delanna. Infilò la mano in tasca, chiudendola sullo scarabeo raggomitolato e sorridendo quando lo sentì iniziare a fare le fusa.
«Hanno trovato il grano, eh?» commentò Sonny, dando un’occhiata nella gabbia.
Cadiz osservò distrattamente la gabbia. «Perderanno tutte quelle piume per tutto il viaggio di ritorno?» chiese.
«Attacca il rimorchio delle oche alla fine della carovana,» ordinò Jay all’uomo che era arrivato per trainare a mano il rimorchio. «In questo modo potranno mutare tutte le piume che vogliono senza dare fastidio al resto della carovana.» Rivolse un’occhiata a Delanna. «Se per te va bene, cioè. Sembrano sul punto di diventare i tuoi animali preferiti.» Le rivolse un sogghigno.
Delanna annuì con aria felice. «E darò perfino loro da mangiare per tutto il viaggio,» si offrì. «Capisci, mi occuperò io di dare loro il grano.» E, disse a se stessa, nasconderò Cleo ogni volta che sarà necessario, senza che nessuno, specialmente Sonny, lo venga a sapere.
Jay Madog batté una mano sulla spalla dell’uomo, segnalandogli di avviarsi.
Cadiz stava studiando gli abiti di Delanna. «Credo che quella camicia abbia fatto tornare un po’ di colore sulle tue guance,» commentò, calcandosi di nuovo in testa il cappello sformato e abbassandone l’orlo per proteggere gli occhi dai raggi del sole, adesso lunghi e obliqui. «Però quei pantaloni ti fanno i fianchi larghi.»
«Andiamo,» la interruppe Jay. «Andiamo a prendere una stanza d’albergo. Ho fame e, se conosco Chancy, servirà la cena non appena il sole sarà calato oltre l’orizzonte.»
Tese le braccia per guidare tutti lungo il sentiero. Per la prima volta, Delanna si rese conto che una dozzina di altre persone si erano unite a loro sulla banchina: erano passeggeri scesi dal treno. Delanna rimase indietro fino a quando la maggior parte di loro non ebbe imboccato il sentiero di mattoni tra gli alberi sovraccarichi di frutti.
«Non ho avuto occasione di ringraziarti in modo appropriato,» si scusò quando Jay la guardò con aspettativa.
«E adesso per quale motivo stai ringraziando Jay?» chiese Cadiz che li precedeva di almeno dieci metri. Deve avere l’udito di un gatto, pensò Delanna. «Ah, certo, per la camicia. Probabilmente sarebbe felice di avere indietro i pantaloni, vero, Jay?»
Delanna ignorò i commenti salaci di Cadiz. «Ti sono davvero grata,» disse rivolta a Jay e si sollevò sulle punte dei piedi per baciarlo sulla guancia.
«Allora, venite sì o no?» chiese Sonny, comparendo da sotto i rami curvi dell’albero più vicino.
«Andiamo,» affermò Jay. «Se consegnarti un sacchetto da parte di Maggie ti rende abbastanza grata da baciarmi, non vedo l’ora di scoprire quello che succederà quando ti consegnerò il tuo baule.»
Percorsero il sentiero fino alla locanda ed entrarono nell’edificio con la sfumatura verde più intensa. Si ritrovarono in un atrio con un luccicante pavimento di ceramica e una grande scrivania. Dietro di essa, un unico impiegato digitò qualcosa su un terminale vega negli intervalli tra le occhiate che rivolgeva ai nuovi arrivati mentre premevano i loro pollici sull’identificatore, dalla cui fessura caddero targhette numerate, che fungevano da chiavi, ancora sfrigolanti, visto che un raggio laser aveva inciso su di esse i duplicati delle impronte digitali di ciascuno. L’impiegato lesse con una certa difficoltà il numero della stanza sulle targhette ancora calde, le gettò agli ospiti e li indirizzò attraverso il cortile verso le loro stanze.
Grazie a Dio siamo in un posto civile almeno a metà, pensò Delanna. Sperò che le chiavi significassero vere stanze, con bagni e saune; in ogni caso significavano la presenza di porte dotate di serratura, che le avrebbero permesso di tenere Sonny fuori della stanza.
«Cadiz,» disse l’impiegato quando la ragazza premette il pollice sull’identificatore. «Non ti aspettavamo, ma penso che riusciremo a infilarti da qualche parte.»
Una targhetta uscì dalla fessura. Cadiz la afferrò prima ancora che l’impiegato potesse impedirglielo. «Cinquantatré,» lesse. «Conosco la strada, Chancy.»
Chancy annuì bonariamente e poi sollevò lo sguardo. «Sonny e Mrs. Tanner,» esclamò con un largo sorriso. «La suite matrimoniale, presumo?»
«Vogliamo camere separate,» replicò Delanna in tono gelido.
«Ah, Ah,» rise Chancy. «Questa è buona. Stanze separate per lo sposo e la sposa. Avevo già sentito dire per radio che ha un bel caratterino. Bene, poggi anche lei il pollice sull’identificatore, Mrs. Tanner, così le farò un’altra targhetta.»
Delanna si girò verso Sonny. «Questo non è divertente.»
«È stata una giornata molto lunga per la signora,» commentò Sonny. «Vorrei che avesse una camera separata, in modo che possa godere di un po’ di riposo.»
«Be’, ovviamente sarei lieto di accontentarti,» rispose Chancy, apparentemente esterrefatto. «Ma la suite matrimoniale è l’unica stanza rimasta. E qualsiasi litigio voi sposini abbiate avuto…»
Delanna poggiò il pollice sull’identificatore e prese la targhetta che uscì dalla fessura, insieme a quella di Sonny, che si era raffreddata nel cestino. «Tu puoi dormire con le oche,» informò Sonny mentre lo piantava in asso.
«Ehi, aspetta un minuto,» iniziò a dire Sonny.
«O magari Cadiz ti ospiterà in camera sua,» aggiunse Delanna in tono allegro.
Cadiz, con le sue orecchie da gatta — non si era ancora diretta verso la sua stanza — si girò e sogghignò.
«Dormirò nel solaris,» mormorò Sonny.
A Delanna non importava dove avrebbe dormito Sonny o chiunque altro, fino a quando lei avrebbe potuto godersi un lungo bagno caldo e un letto tutto per sé. Attraversò il cortile, sorpresa di scoprire che era pieno di piante graziose, di un verde vivo, non di ceramica dai colori chiassosi. Trovò la porta con il numero che corrispondeva a quello inciso sulle targhette che aveva in mano, premette l’identificatore e là porta si aprì. La suite matrimoniale aveva un letto a forma di cuore con lenzuola bianche di raso e cuscini orlati di pizzo. Nella stanza non c’erano altri mobili. Le finestre che davano sul cortile erano coperte da pesanti tende che erano state premurosamente chiuse. Per la coppia in luna di miele, pensò Delanna con irritazione. Sbatté la porta, tirò Cleo fuori dalla tasca e affondò sul letto.
«Noi non abbiamo bisogno di nulla tranne che di un letto, vero, Cleo?» chiese allo scarabeo raggomitolato a palla. Cleo non sporse neppure il muso. Giocare con le oche doveva averla stancata e, ovviamente, si era sentita abbastanza al sicuro da addormentarsi nella tasca di Delanna, che pensò che le sarebbe piaciuto sentirsi altrettanto al sicuro. Ma non credeva che si sarebbe mai sentita al sicuro su Keramos, con le sue folli leggi e i suoi abitanti ancora più folli. Tirò al centro del letto uno dei cuscini orlati di pizzo e vi depose Cleo. Lo scarabeo allungò pigramente un’unghia, la immerse nei ricami di pizzo e la lasciò lì.
L’altoparlante sul letto emise un crepitio e Delanna poté udire la voce di Chancy che annunciava, «La cena è servita in sala da pranzo.» L’altoparlante venne spento e poi riacceso. «Venite a prenderla.»
Per un istante Delanna fissò con invidia lo scarabeo addormentato, ma sapeva che se si fosse stesa, sia pure per un minuto, non si sarebbe svegliata fino al mattino seguente e lo stomaco vuoto avrebbe brontolato per tutta la notte. Non aveva mangiato nulla da quando era scesa sulla navetta. Sospirando, andò nel bagno, che era dotato di una vasca, ma non della sauna, si spruzzò dell’acqua sul volto da un lavandino di ceramica a forma di cuore e si asciugò con un asciugamani ornato con cuoricini e angioletti. Si passò la spazzola tra i capelli; avrebbe dovuto lavarli per dare loro un bell’aspetto, ma non le importava. Non c’era nessuno per cui volesse apparire bella, tranne, forse, Jay Madog. Dopo tutto, almeno lui si era preoccupato abbastanza per lei da salvare Cleo, che era più di quanto si potesse dire di Sonny Tanner. Ma probabilmente Sonny non aveva nessun pensiero, dunque figuriamoci se poteva venirgli in mente di rubare Cleo dalla gabbia di Doc Lyle!
Delanna prese un po’ di schiuma modellante dalla sacca e la strofinò sui capelli, poi li spazzolò di nuovo. Adesso i suoi luminosi riccioli rossi le scendevano lungo le guance con un bell’effetto. Soddisfatta, Delanna si raddrizzò la camicia a fiori e l’abbottonò, lasciandola cadere sui pantaloni. Aveva quasi dimenticato che, sotto, portava ancora la gonna; sicuramente non sarebbe riuscita a capirlo osservando la forma dei pantaloni. Infilando una mano sotto la cintura, Delanna tirò la gonna fino a quando non fu arrotolata intorno alla vita, poi aprì la cucitura per toglierla. La infilò nella sacca e si avviò verso la porta, fermandosi accanto al letto per assicurarsi che Cleo stesse ancora dormendo, cosa che stava facendo. Delanna aprì la porta e uscì all’esterno.
Durante i pochi minuti che era stata nella stanza, il sole era tramontato, lasciando il cortile immerso nel buio tranne la luce emessa dalle foglie fosforescenti delle piante che delimitavano i viottoli. Delanna seguì le piante fino all’atrio della locanda, dove pensava di avere scorto una sala da pranzo. Aveva ragione. I tavoli erano coperti di grandi foglie verdi che evitavano che i piatti e le posate facessero rumore sui ripiani di ceramica e su ciascun tavolo c’era una composizione di fiori di un giallo vivace che avrebbero potuto essere i gemelli delle bocche di leone che crescevano nei prati dell’Abbazia. Su metà dei tavoli era già stata servita la cena. Delanna si chiese dove avrebbe dovuto sedersi. Notando Chancy sul lato opposto della sala da pranzo, impegnato a infilare un fiore tra i capelli di una donna, Delanna si avviò per chiederlo a lui.
«Le piacerebbe un accompagnatore?» sentì sussurrarle Jay Madog alle spalle.
Delanna si girò e scoprì che Jay aveva indossato una giacca bianca sui pantaloni color kaki, si era pettinato i capelli e profumava di acqua di colonia. «Non sapevo che avremmo dovuto vestirci da sera per la cena,» commentò Delanna, abbassando lo sguardo con dispiacere sui pantaloni informi.
«Scoprirai che su Keramos una signora deve soltanto infilarsi un fiore tra i capelli per essere vestita per l’occasione,» replicò Jay, e, con un gesto galante, fece apparire un mazzolino di fiori bianco crema attaccati a una forcina. «Questi ventagli-di-dama hanno bisogno di una chioma rossa che faccia spiccare il loro colore. Mi permette?»
«Ma certo,» rispose Delanna, sorridendo nonostante la stanchezza che provava. Le dita di Jay le sfiorarono la guancia quando le fissò i fiori tra i capelli e Delanna pensò che le sue mani indugiassero anche dopo che i fiori fossero stati sistemati. Sollevò lo sguardo e incontrò gli occhi di Jay. «Cosa farei senza di te?»
«Probabilmente staresti già mangiando seduta a tavola,» intervenne Cadiz dalla porta che dava sul cortile. Aveva il cappello floscio sotto il braccio ed era china in avanti nel tentativo di fissare un fiore dietro l’orecchio. Scoprendo che non ci sarebbe mai riuscita senza posare il cappello, lo mise sul tavolo appena oltre la porta. «Mi ero quasi dimenticata che a Chancy piace che le signore siano vestite eleganti per le sue cene,» affermò, riuscendo finalmente a fissare il fiore. «Ecco fatto. Così andrà bene.» Si avviò con la sua andatura flessuosa verso Jay e lo prese a braccetto. «Non vorrai mica farmi aspettare, o che sia Chancy a farmi sedere, vero?» chiese, trascinandoselo dietro.
Jay si fermò, facendo quasi cadere Cadiz, e offrì l’altro braccio a Delanna. «Due bellissime signorine,» commentò. «Quale privilegio!»
Delanna fece per prendere il suo braccio.
«Delanna, aspetta!» gridò qualcuno.
Lei si voltò e vide Sonny entrare di corsa nell’atrio, gesticolando animatamente verso di lei.
«Sonny Tanner, non puoi entrare qui dentro senza una giacca,» lo rimproverò Chancy, frapponendosi tra Sonny e la sala da pranzo. «Lo sai benissimo. E per giunta è il giorno del tuo matrimonio.»
«Devo parlare con Delanna,» rispose Sonny.
«Tua moglie ha già iniziato a mettere la roba dove non puoi raggiungerla?» gli chiese Chancy con un sogghigno.
«No, è…» Sonny sussurrò freneticamente qualcosa a Chancy, ma l’altro scosse la testa.
«Mi dispiace, nessuna eccezione, Sonny. No, corri a prenderla.»
Sonny diede l’impressione di voler discutere, poi si allontanò in direzione delle camere.
«Delanna?» chiese Jay, sfiorandole la mano e lasciando cadere quella di Cadiz per farlo. Delanna sollevò lo sguardo verso di lui, vide il suo sogghigno sbarazzino, e glielo restituì. «Il tavolo è da questa parte,» la informò con un gesto.
Jay fece sedere Delanna mentre Cadiz batteva nervosamente il piede, e poi fece sedere anche lei. Cadiz stese le gambe sulla quarta sedia. «La conserverò per Sonny,» dichiarò.
Delanna pensò che Jay sembrava dispiaciuto quasi quanto lei. Il pensiero di dover tenere una conversazione sia pure educata con Sonny Tanner sembrava un’impresa decisamente proibitiva, e Delanna era sicura di essere troppo stanca perfino per effettuare un tentativo.
Sonny tornò in tempo per la portata principale, indossando una giacca le cui maniche erano leggermente corte, con i capelli spettinati come prima e sul viso un’espressione ancora ansiosa. Aveva con sé il cappello di Cadiz e lo reggeva da entrambi i lati dell’orlo.
«Ti sei dimenticata il cappello,» commentò, ma prima che Cadiz potesse prenderlo, lo poggiò sotto il tavolo e tirò la sua sedia, facendo quasi cadere Cadiz, che vi teneva ancora i piedi poggiati.
«Sonny, ma non guardi mai prima di fare qualcosa, vero?» commentò Cadiz, riuscendo a stento a togliere i piedi dalla sedia prima che Sonny si sedesse.
Sonny non rispose. Passò il braccio davanti a Delanna per servirsi una cucchiaiata di verdure, quasi rovesciando il calice di ambrosia nel farlo. Poi passò di nuovo il braccio davanti a Delanna, per prendere la sua porzione del piatto principale, ancora sul vassoio. Lei si affrettò a spostare il calice di ambrosia in modo che Sonny non lo rovesciasse.
È davvero un imbecille, pensò. Non solo non sa camminare, ma non sa neppure come si mangia. Ne fu sicura quando Sonny iniziò a ingurgitare il cibo come se non mangiasse da un mese. Perfino Jay e Cadiz lo fissarono con stupore.
Delanna riprese a mangiare gli ultimi bocconi del suo piatto, tentando di non guardare Sonny con la coda dell’occhio. Quel tizio non sapeva neppure dove stessero di casa le buone maniere. Sua madre le aveva detto che lui e i suoi fratelli erano praticamente degli animali, e aveva avuto ragione. Almeno Jay Madog aveva dei modi educati. Gli rivolse un sorriso, ma lui non stava mangiando: stava fissando la porta.
«Cosa ci fa qui Doc Lyle?» esclamò Jay, mentre si puliva l’angolo della bocca con il tovagliolo.
Cadiz sollevò lo sguardo oltre l’orlo del calice di ambrosia. Sonny tenne bassa la testa, divorando ancora il suo cibo come un animale affamato. Delanna si irrigidì, la forchetta a metà strada tra il piatto e la bocca.
Il veterinario era sulla soglia: discuteva con Chancy su qualcosa e indicava il loro tavolo. Delanna lasciò cadere la forchetta, che urtò sonoramente contro il piatto, ma lei non se ne accorse neppure. Sapeva perché Doc Lyle era lì, a Last Chance, dove non avrebbe dovuto trovarsi. Aveva scoperto che Cleo era sparita e sapeva anche dove cercarla. Oh, non avrebbe dovuto mettere Cleo nella sacca. Stava informando Chancy che aveva un mandato di arresto per lei? O stava esigendo la chiave della sua stanza?
No. Apparentemente la causa dell’animata discussione con Chancy era il fatto che il veterinario non avesse la giacca, poiché la discussione terminò quando Chancy diede a Doc Lyle la propria. Le maniche erano troppo lunghe, ma apparentemente la giacca rispettava il codice di abbigliamento di Chancy, che annuì e lasciò entrare Doc.
Jay lanciò un’occhiata preoccupata a Sonny, che stava ancora mangiando. «C’è qualcosa che non va in quei tuoi permessi delle oche?» chiese a Sonny. «Doc Lyle è diretto verso di noi, e sembra decisamente infuriato. ’Sera, Doc,» terminò in tono dolce.
«Hai fatto tutta questa strada per partecipare ai festeggiamenti di nozze?» chiese Sonny, pulendo il piatto con un pezzo di pane. «È stato molto gentile da parte tua. Non è così, tesoro?» chiese a Delanna.
Doc Lyle lo ignorò.
«Chi di voi ha preso la scarabeo?»
«Quale scarabeo?» ribatté Sonny.
«L’unico esistente su Keramos,» ribatté Doc Lyle. «Il suo,» aggiunse, indicando Delanna.
«Hai perso lo scarabeo di Delanna?» gli chiese Jay. «Questa è una faccenda molto seria, Doc. La diffida di Maggie ti rendeva responsabile del suo benessere per i prossimi trenta giorni.» Emise uno tsk di disapprovazione.
«So che è stato uno di voi a prenderlo,» ribatté Doc Lyle, con le vene che sporgevano sulla fronte.
«Uno di noi!» replicò Cadiz in tono offeso. «La tua accusa mi offende. Non ruberei uno scarafaggio più di quanto ruberei un marito. A differenza di alcune persone.»
«Non tu, Cadiz. Lui,» replicò il veterinario, indicando Jay Madog. «O lui,» proseguì, spostando l’indice su Sonny. «Sono gli unici che potrebbero essere entrati nel recinto la notte scorsa. Uno di loro ha rotto il sigillo della gabbia isolante e lo ha preso.»
«Puoi provare le tue affermazioni?» chiese Sonny, sollevando finalmente lo sguardo dal piatto, che adesso era pulito quanto quelli di tutti gli altri seduti al tavolo. «Potrebbe essere stato uno dei minatori di China Dome. Sai che ruberebbero qualsiasi cosa su cui riescano a mettere le mani. O qualcuno di Grassedge.»
«Non ho prove, però so questo: avete preso quello scarabeo e ce l’avete qui con voi. Ho aggirato le regole per tenere quell’animale per ventiquattro ore. Avrei dovuto distruggerlo quando l’ho trovato nella sua sacca,» affermò Doc Lyle, indicando Delanna. «E questa volta, non appena l’avrò trovato, lo distruggerò. E dopo averlo fatto, accuserò chiunque di voi sia il colpevole di importazione illegale di animale pericoloso, e dunque di avere seriamente messo in pericolo la flora e la fauna indigene di Keramos.»
«Sappiamo entrambi che questo non è vero,» ribatté Sonny. «Lo scarabeo ha fatto tutte le vaccinazioni. Ed è uno scaraeoptera. Su Keramos non c’è nulla a cui potrebbe far venire neppure il raffreddore, e tu lo sai.»
«Le leggi sono leggi!» insistette Doc Lyle mentre il suo volto diventava paonazzo. Invece le nocche delle mani serrate a pugno erano bianche. «Mi fidavo di voi, mi fidavo di entrambi, l’ho fatto per anni, e guardate un po’ cosa avete avuto il coraggio di fare. Avete violato le leggi di Keramos, e pagherete per questo. Troverò quell’animale, anche se dovessi perquisire ogni camera di questo albergo e ogni solaris della vostra carovana. E quando lo troverò, accuserò tutti e due di tentato omicidio.» Si girò e uscì con andatura furiosa.
«E di avere violato le leggi,» mormorò Cadiz. «Il che, per Doc Lyle, è anche peggio. Uno di voi è in un mucchio di guai.»
«Se vuole cercare stanza per stanza, gli ci vorrà metà della notte,» commentò Jay.
«Fa’ qualcosa,» lo implorò Delanna, rivolgendogli un’occhiata ansiosa. «Per favore!»
«Sì, Jay, perché non vai a dare una mano a Doc Lyle?» intervenne Sonny. «Sai che se non trova quello che sta cercando, ti costringerà ad aprire ogni bagaglio della carovana.»
«Maledizione,» borbottò Jay. «Rimarremo bloccati qui per almeno tre giorni.» Si alzò. «A meno che, ovviamente, non trovi quello che sta cercando. Lo farà?»
«Spero di sì,» rispose Sonny. «Non vorrai tenere sulla corda il vecchio Doc troppo a lungo. Manderà all’aria la tabella di marcia della carovana.»
«Devo andare a prendere Cleo,» affermò Delanna, iniziando ad alzarsi in preda al panico. La mano di Sonny si posò sulla sua coscia e la costrinse a sedersi di nuovo. «Jay, aiutami!» esclamò allora, quasi fuori di sé per l’agitazione. «Sonny manderà all’aria tutto quello che abbiamo fatto, pur di tornare al suo prezioso Milleflores.» Tentò di alzarsi di scatto dalla sedia, ma Sonny la costrinse di nuovo a rimanere seduta.
«Siediti,» le ordinò, «e abbassa la voce. Certo che Doc troverà qualcosa,» spiegò a Jay, «a meno che non venga distratto da tutto questo baccano. Nella cucina di Chancy ci sono alcune scaglie di scarabeo. Accanto allo smaltitore dei rifiuti.»
«Hai ucciso Cleo!» esclamò Delanna, terrorizzata.
«No. È stato il cuoco di Chancy,» spiegò Sonny a Jay. «L’ha trovata in un mucchio di mangime per le galline, l’ha colpita con un apri-palle di cannone e poi l’ha buttata nell’inceneritore tanto per non correre rischi. Di Cleo non è rimasto nulla, tranne poche scaglie.» Si girò di nuovo verso Delanna, che aveva premuto una mano sulla bocca per l’orrore. «E per giunta questo scherzetto mi è costato tutti i crediti che avevo, più altri venti. Ho detto al cuoco di Chancy che lo avresti pagato quando la carovana sarebbe partita. Immaginavo che saresti stato disposto a spendere una simile somma, pur di non avere Doc Lyle alle nostre calcagna fino a Milleflores.»
«Sarei stato disposto a spendere anche di più,» commentò Jay, rivolgendo un’occhiata verso la cucina. «Sei sicuro che il cuoco di Chancy abbia capito bene la storia che deve raccontare?»
Sonny annuì.
«Storia?» Stupefatta, Delanna fissò i due uomini.
«E sei sicuro che Doc Lyle non troverà per caso qualcos’altro prima di arrivare in cucina?» chiese Cadiz.
«Assolutamente,» rispose Sonny. «Però tenetelo sotto il cappello.»
«Il mio cappello,» affermò Cadiz, abbassando lo sguardo verso il cappello. «Sonny Tanner, non mi starai dicendo che hai messo quella cosa orribile nel mio cappello?»
«Lascialo lì,» le ordinò Sonny. «Sei peggio di Delanna e, già che ci siamo, perché non guardi anche tu il cappello, Jay, o magari preferisci fare un annuncio all’intera sala da pranzo?» commentò Sonny, appoggiandosi allo schienale della sedia con aria disgustata.
«Cleo è nel cappello?» sussurrò Delanna, facendo uno sforzo per non guardarlo. «Non è morta?»
«Cleo è morta,» affermò Sonny. «Il cuoco di Chancy le ha dato una bella botta in testa, e tu farai meglio a ricordarlo, oppure Cleo morirà davvero. Doc Lyle diceva sul serio: se la trova, la incenerirà. Dunque, bevi un sorso di ambrosia e da’ l’impressione di starti divertendo.» Sollevò distrattamente il suo calice e bevve un sorso.
Cadiz si sporse sul tavolo e gli sussurrò, «Ma come ti è saltato in mente di portare qui quello scarafaggio?»
«Be’, non potevo certo lasciarlo dove l’aveva lasciato Delanna, proprio al centro del letto.»
«Non è questo che volevo dire e tu lo sai,» sibilò Cadiz.
Sonny la ignorò. «Non è il posto migliore in cui mettere un animale fuggiasco, Delanna. Da ora in poi dovrai tenerlo nascosto. E non preoccuparti, non le ho fatto del male. Ho solo staccato qualche scaglia da lasciare intorno allo smaltitore in modo che Doc Lyle creda alla storia del cuoco.»
«Come facevi a sapere che era nella mia stanza?» gli chiese Delanna. «Come hai fatto a entrare?»
«E in che altro posto avresti potuto metterla? E poi è anche la mia stanza.»
«Ma come mai sapevi che ce l’avevo io?»
«E chi altro avrebbe potuto averla? Hai detto di avere trovato il grano, ed era proprio lì che l’ho messa. Pensavo che non sarei mai riuscito a infilare tutte quelle zampe nel sacco,» aggiunse, scuotendo la testa.
«Sei stato tu? Ma io pensavo…» Delanna guardò Jay Madog, che sorrise con aria confusa. «Sei stato tu a rubarla dallo spazioporto, Sonny?» chiese Delanna.
«Nessuno l’ha rubata,» la corresse Sonny. «Noi non sappiamo neppure di cosa stia parlando Doc Lyle. Vero?» aggiunse, guardando Cadiz e Jay.
«No,» confermò Jay. «Forse dovrei andare ad aiutare Doc Lyle.» Si allontanò dal tavolo, spingendo la sedia il più possibile lontano dal cappello. «Forse posso guidarlo direttamente alla cucina di Chancy prima che inizi ad aprire i bagagli della carovana.» Superò in fretta i tavoli diretto verso l’atrio.
«Sarà meglio che vada ad aiutarlo,» affermò Cadiz. «Jay Madog è trasparente quanto la ragnatela di un insetto-violinista bagnata di rugiada. Quanto a voi due, tenete pure il cappello. Consideratelo un mio regalo di nozze.»
Delanna osservò Cadiz cercare la strada tra i tavoli mentre il suo posteriore ben formato, profilato contro le luci dell’atrio, attraeva numerosi altri sguardi oltre quello di Delanna. Solo Sonny non stava guardando: beveva ancora la sua ambrosia e fissava Delanna.
«Non guardare adesso, ma il tuo cappello si sta muovendo,» le mormorò. «E per favore, non tentare di prenderlo.»
Con aria mite, Delanna obbedì. Allungò le gambe e con i talloni bloccò entrambi gli orli del cappello. «Va’ a dormire, Cleo,» sussurrò, sperando ardentemente che lo scarabeo smettesse almeno di muoversi. Sentì Cleo premere contro il cappello prima di ritrarre gli arti. Sonny stava ancora fissando Delanna; adesso aveva entrambi i gomiti poggiati sul tavolo, il piatto spinto avanti a sé, la dita intrecciate intorno al gambo del suo calice di ambrosia. Delanna si morse il labbro. Anche se lei aveva creduto che fosse stato Jay Madog a salvare Cleo, in realtà era stato Sonny a farlo. E l’aveva salvata una seconda volta, ma lei non l’aveva neppure ringraziato. «Grazie,» disse. «Non so cosa farei senza Cleo.»
«Il tuo sorriso è un ringraziamento sufficiente,» replicò Sonny.
«Stavo sorridendo?»
Sonny annuì. «Prima. Accanto al treno. Quando l’hai trovata la prima volta. Hai sorriso.»
«All’uomo sbagliato,» gli ricordò Delanna.
Sonny scrollò le spalle. «Io l’ho visto. Questo è sufficiente.»
Ha degli occhi molto belli, pensò Delanna, di un colore grigio chiaro. Allungò una mano verso il calice di ambrosia, poi ci ripensò. Aveva lo stesso aspetto della bevanda che le aveva bruciato la gola nel locale di Maggie il giorno precedente. Era già il giorno precedente? Sospirò e si appoggiò allo schienale della sedia, osservando Sonny che beveva la sua ambrosia.
«Voi sposini gradite il dessert?» chiese Chancy.
Delanna sussultò. Nessuno dei due lo aveva sentito avvicinarsi.
Chancy non attese una risposta prima di mettere davanti a loro due piccoli monticelli di crema rosa. «Stavamo per prepararvi una torta nuziale,» spiegò, «ma abbiamo avuto un piccolo incidente in cucina.»
«Sul serio?» chiese Sonny.
Delanna prese il cucchiaino, stando attenta a tenere basso lo sguardo, e mangiò un boccone di crema.
«Il cuoco ha ucciso una specie di scarafaggio e Doc Lyle si è fatto venire una crisi d’isterica. Sai come la pensa sugli animali.»
«Sì,» confermò Sonny. «E ancora lì fuori?»
«Sì, sta sbraitando contro il mio cuoco,» commentò Chancy. «Voleva smontare l’inceneritore, ma io gli ho detto che se non era in grado di rimontarlo, gliene avrei fatto pagare un altro importato da Carthage. Com’è il suo dessert, Mrs. Tanner?»
«Ottimo,» rispose Delanna. Non aveva neppure fatto caso al sapore della cucchiaiata che aveva assaggiato.
«Dopo che Doc Lyle sarà andato via,» proseguì Chancy, «vi prepareremo una torta da portare con voi.»
«Grazie,» rispose Delanna.
«E tu, prenditi cura di tua moglie, Sonny,» disse Chancy e fece cadere un pallina di carta in grembo a Sonny. «Da parte di Jay,» sussurrò in tono da cospiratore, poi si allontanò per andare a servire i dessert al tavolo accanto.
«Cosa dice il biglietto?» chiese Delanna, piluccando il dessert. Aveva un sapore forte ma dolce. In effetti, aveva davvero un buon sapore.
«Ci avverte di rimanere qui fino a quando Doc Lyle non sarà andato via.»
«Non l’hai ancora letto,» obiettò Delanna.
Sonny passò la pallina di carta a Delanna. Lei la apri. «Hai ragione. Dice di rimanere qui fino a quando Doc Lyle non sarà andato via.»
«Davvero?»
«Più o meno. In realtà, dice, ‘Lui morde. State attenti.’ Penso che non voglia che Doc Lyle giri intorno al cappello di Cadiz. Come facevi a sapere cosa avrebbe detto il biglietto?»
Sonny scrollò le spalle. «Era la cosa più sensata. Non avevo bisogno di leggerlo. Jay dimostra di avere un po’ di buon senso… ogni tanto.» Allungò il braccio oltre il tavolo e poggiò la mano su quella di Delanna. «Non sollevare lo sguardo adesso, ma Doc Lyle è sulla porta.»
Cleo premette contro il cappello.
«Hai la mano fredda,» commentò Sonny, allargando le dita su quelle di Delanna.
«Ho paura: Cleo vuole uscire,» sussurrò lei.
«L’hai bloccata?» le chiese Sonny.
Delanna annuì.
Sonny avvicinò la sedia e passò il braccio intorno a Delanna. «Io…» Lei fece per protestare, poi comprese che Sonny aveva poggiato il piede sull’orlo del cappello.
«Dammi l’altra mano,» la invitò lui. «Non sappiamo nulla su Cleo. Ci stiamo semplicemente godendo la nostra luna di miele.»
«Ma non è così,» ribatté Delanna, però Sonny si era già impadronito di entrambe le sue mani.
«Questa scenetta è solo a beneficio di Doc Lyle,» la tranquillizzò Sonny. «Non vuoi che venga a chiederci perché abbiamo i piedi sul cappello di Cadiz, vero?»
Il cappello sussultò improvvisamente tra le caviglie di Delanna, che sentì una zampa sfiorarle l’alluce. «No,» rispose e lasciò che Sonny sollevasse la mano e le carezzasse la guancia.
«Non se ne è ancora andato?» gli sussurrò.
Sonny sollevò lo sguardo verso la porta. «Uh-oh,» commentò.
«Uh-oh cosa?»
«Non guardare,» la avvertì Sonny. «Guarda me.»
Delanna lo guardò dritto negli occhi. Erano più verdi che grigi, e molto luminosi.
Dopo un lungo istante, Sonny annunciò, «Penso che l’abbiamo convinto,» poi allontanò le mani, tentando di far sì che Delanna continuasse a distogliere lo sguardo dalla porta, ma lei vi rivolse un’occhiata. «Ma lì non c’è nessuno!» esclamò in tono accusatorio.
Sonny le prese di nuovo la mano, poi si rilassò e prese il calice pieno davanti a Delanna. «Hai intenzione di bere questa ambrosia?»
«Non penso che Doc Lyle sia mai stato lì,» commentò Delanna, chiedendosi perché avesse creduto a Sonny.
«Infatti non c’era,» ammise Sonny, bevendo l’ambrosia. «Devo pur riscaldarmi in qualche modo. Non posso usare le batterie del solaris per produrre calore, oppure domani non ci sarà energia sufficiente per il viaggio.»
«Ti riferisci al fatto che stai bevendo la mia ambrosia o all’avermi ingannato per tenermi la mano?»
Non la stava neppure ascoltando. Osservava Chancy che, accanto alla porta, stava parlando con tre uomini. «Mettiti il cappello,» le ordinò Sonny. «Ti accompagnerò alla tua stanza.»
«Cosa c’è?» chiese Delanna, di nuovo ansiosa. Chancy e gli uomini stavano ancora confabulando con aria da cospiratori.
«Tu bada solo a tenere il cappello in testa,» la avvertì Sonny. Allungò una mano sotto il tavolo, raccolse il cappello e lo mise sulla testa di Delanna con lo stesso gesto abile di quando l’aveva infilato sotto il tavolo. Le unghie di Cleo si aggrapparono ai capelli della ragazza.
Sonny si alzò e tirò via la sedia di Delanna, che si alzò, tentando di resistere all’impulso di stringere il cappello con entrambe le mani. Infilò una mano in tasca. Sonny le prese l’altra.
«Questo è assolutamente necessario?» gli sussurrò lei in tono tagliente.
«È sempre a beneficio di Doc.»
Chancy e i tre uomini smisero di parlare non appena lei e Sonny si avvicinarono e Chancy annunciò, «Abbiamo risolto il piccolo problema in cucina, Sonny. Doc Lyle è andato via molto infuriato, non prima di avere multato il mio cuoco di venti crediti per non avere consegnato alle autorità un animale importato di contrabbando. E così adesso tu e tua moglie potete proseguire nella vostra luna di miele.»
«Grazie, Chancy,» rispose Sonny, poi trascinò Delanna lungo il viottolo.
I tre uomini e Chancy iniziarono a parlare di nuovo l’istante in cui Sonny e Delanna si furono avviati. Il cuore di Delanna iniziò a battere forte, ma nessuno li seguì attraverso il cortile verde immerso nell’ombra.
Delanna fece per prendere la chiave, ma Sonny stava già aprendo la porta. «Dove hai preso la chiave?» gli chiese lei.
«Me l’ha data Chancy» rispose Sonny, precedendola nella stanza. «Ha detto che odia vedere dei novelli sposi che litigano.»
«Noi non siamo sposi novelli,» ribatté Delanna. Si erano fermati appena oltre la soglia. «Voglio ringraziarti per avere salvato…»
Sonny avvicinò un dito alle labbra.
«Per avermi riportato il mio cappello. Sai quanto significhi per me.»
Lui sogghignò. «Certo, ti sta benissimo.»
Delanna aprì la porta. «Bene, buona notte,» gli augurò.
«Devo parlarti di alcune cose,» annunciò Sonny, chiudendo la porta.
«Quali cose?» Delanna si tolse il cappello di Cadiz e vi infilò dentro una mano per prendere Cleo. Lo scarabeo strinse l’orecchio di Delanna con le zampe e si sistemò lì. «E non dirmi che devi rimanere qui a beneficio di Doc Lyle, perché è andato via.»
«Non si tratta di Lyle,» ribatté Sonny, liberando i capelli di Delanna dalla presa di due delle zampe di Cleo. «Vedi, su Keramos, quando ci si sposa…» Staccò Cleo dall’orecchio di Delanna.
«Noi non siamo sposati!» ribatté in tono enfatico Delanna, tentando di liberare un ricciolo di capelli da una delle giunture di Cleo. «E non voglio sapere nulla dei vostri costumi matrimoniali locali. In effetti, non voglio sentire una parola di più su questo pianeta dimenticato da Dio. Ho già sentito e visto troppo.»
Cleo improvvisamente ritrasse tutti gli arti e si raggomitolò. Sonny la tolse dalla testa di Delanna e gliela passò.
«Qualsiasi altra cosa tu voglia dirmi,» proseguì Delanna, «tipo che siamo seduti su una linea di faglia o che le scimmie sacrificano le spose novelle, potrà aspettare fino a domani mattina. Io me ne vado a letto.» Poggiò Cleo sul letto. Lo scarabeo zampettò fino al centro del materasso e iniziò a farsi il nido tra i cuscini di pizzo.
«Be’, in effetti, andare a letto è proprio quello di cui volevo parlarti. Vedi, su Keramos, quando le persone si sposano…»
«Noi non siamo sposati,» ripeté Delanna, «e se hai in mente di reclamare i tuoi diritti coniugali…»
«Shh,» disse Sonny, inclinando la testa di lato. Si avvicinò alla finestra e scostò leggermente le tende.
«E non tentare di usare di nuovo con me quella solfa di «Doc Lyle sta tornando». Ci hai già provato nella sala da…»
«Shh.» Sonny si allontanò dalla finestra e andò dall’altro lato del letto. Scostò le tende della finestra che si apriva su quel lato e fece passare la mano lungo il davanzale.
«È per questo che hai salvato Cleo?» gli chiese Delanna. «Pensavi che ti sarei stata tanto grata da caderti tra le braccia?»
Sonny smise di fare qualsiasi cosa stesse facendo alla finestra. «Io non pensavo nulla,» ribatté. «Stavo pensando a te. Io…»
«Ci scommetto. Stavi pensando a come entrare nella mia stanza con qualche pretesto. ‘Shh. C’è qualcuno alla finestra. Forse sarà meglio che rimanga per la notte.’ Be’, non funzionerà. Devi essere un vero pazzo per avere pensato che avrebbe funzionato.»
Sonny aprì la porta. «Sarò nel solaris, se deciderai di avere bisogno di me.»
«Non avrò bisogno di te!» gli gridò dietro Delanna, poi sbatté la porta.
«Qual è il problema, Sonny?» chiese una voce maschile all’esterno della finestra. Sembrava quella di Chancy. «Voi due avete avuto un altro litigio?»
Delanna scostò cautamente la tenda e guardò fuori. Chancy e i tre uomini con cui lo aveva visto parlare erano al centro del cortile. Delanna chiuse a chiave la porta e poi si guardò intorno, cercando qualcosa con cui sbarrarla.
Cleo si era distesa sui cuscini come un ragno che tesseva il pizzo. Delanna la sollevò con gentilezza, prese tutti i cuscini, tranne uno, e riempì lo spazio tra la porta e il letto con i cuscini e gli asciugamani che riuscì a trovare. Poi aprì la sacca, tirò fuori la sua camicia da notte e incastrò la sacca tra i cuscini e il letto. Cleo era strisciata sul cuscino di Delanna, che la scostò e si mise a letto.
Qualcuno bussò alla porta. «Vattene,» gridò Delanna e poi, improvvisamente, pensò, E se lì fuori c’è davvero Doc Lyle? Il suo cuore iniziò a martellarle in petto. «Chi è?» chiese.
«Sono io, Mrs. Tanner. Chancy. Andiamo, lasci rientrare Sonny. Si è pentito, qualsiasi cosa abbia fatto.»
«O non abbia fatto!» esclamò un’altra voce. Ci furono più risate di quante potessero produrne due uomini. Chi altro c’era lì fuori? Delanna si mise a sedere sul letto, le coperte di pizzo tirate fino al collo, guardando con aria dubbiosa la porta e chiedendosi se avrebbe dovuto tentare di spostare il letto.
«Forse Mrs. Tanner si rabbonirà se le cantiamo un paio di canzonane,» disse una terza voce quando le risate si furono calmate.
«Una buona idea,» approvò Chancy. «Mrs. Tanner, non so se lo sa o no, essendo nuova del nostro bel pianeta, ma, su Keramos, quando due persone si sposano, abbiamo l’abitudine di cantare per farle addormentare. Ora, sappiamo che lei e il suo sposo novello avete avuto una piccola discussione, ma dopo che ci avrà sentito cantare, sappiamo che farete pace. Un, due…»
Dall’esterno della finestra di Delanna provenne una terribile cacofonia. Pensò di riconoscere un tamburo a braccialetto e un trifono. O forse le oche erano fuggite e qualcuno le stava macellando. Cleo tentò di strisciare sotto le coperte. Delanna si tappò le orecchie con le mani. Almeno non può diventare peggio di così, pensò. Il trifono emetteva dei trilli, seguendo quella che Delanna immaginò fosse la melodia, ma era impossibile. Sembrava quasi un’antica melodia natalizia.
Poi iniziarono a cantare e non vi fu alcun dubbio: poteva diventare peggio.
Udite, lo sposo e la sposa uniti si son,
oh che diletto!
E, oh, meraviglia, adesso son andati a letto!
«Andiamo, Mrs. Tanner,» gridò Chancy. «Questo non la spinge a perdonarlo?»
Delanna infilò la testa sotto le coperte. Non servì a nulla.
«Tardi il talamo occupano, è pazzesco!
mentre cantiamo un altro verso.
Udite, il loro matrimonio è andato in rovina,
orsù, cantiamo un’altra quartina!»