CAPITOLO DICIASSETTESIMO

«Corri!» esclamò Sonny, poi avvolse Cleo nella giacca e lui e Delanna iniziarono a correre lungo il sentiero, piegati su se stessi come se fossero sotto il fuoco del nemico.

E lo erano davvero. I chicchi di grandine erano duri come pallottole e altrettanto grandi. Anzi, erano ancora più grandi. Delanna sentì un colpo alla spalla, come se qualcuno le avesse tirato una pietra, poi abbassò lo sguardo verso il terreno e vide chicchi di grandine grandi quanto i noccioli delle ciliegie di terra. Allora si piegò ancora di più e portò le mani sopra la testa.

Sonny non poteva godere neppure di quella ben misera protezione: le sue mani erano impegnate a bloccare Cleo, che, sorprendentemente, stava ancora lottando. Delanna vide un chicco di grandine grande come un ciottolo colpire la fronte di Sonny. Allungò una mano verso Cleo, ma Sonny scosse la testa. «Va’ ad aprire la porta!» gridò.

Delanna corse avanti, salì sul portico, scivolò sullo strato di grandine che lo copriva e allora usò entrambi i piedi per dare un violento calcio alla porta, spalancandola. Sonny la superò ed entrò in casa. Delanna lo seguì a razzo e la porta sbatté con violenza alle sue spalle, quasi colpendola. Delanna rimase senza fiato, gocciolando sul pavimento.

Sonny lasciò andare Cleo, che si lanciò verso la porta e iniziò a graffiarla con le unghie. Sonny cominciò a chiudere i battenti. Aveva la camicia macchiata da grosse chiazze di umidità e il sangue gli scorreva da un taglio sulla fronte.

«Ma tu stai sanguinando!» esclamò Delanna.

Sonny si toccò la ferita con la mano. «È solo un taglietto. Prendi Cleo,» replicò, prendendo di nuovo lo scarabeo e dandolo a Delanna, poi fece per aprire la porta.

«Ma cosa stai facendo?» gli chiese Delanna, lasciando quasi cadere Cleo per la sorpresa. «Lì fuori sta grandmando.»

«Devo portare dentro le pomarance.»

«Tutte quelle mature sono già dentro,» lo informò Delanna.

Sonny aprì lo stesso la porta. «Allora sarà meglio che vada a vedere se riesco a salvare qualcuna delle verdure.»

«Anche quelle sono già dentro. E il distillatore è nel capanno.»

Sonny lasciò andare la porta e la guardò. «Sei meravigliosa,» commentò.

«E tu sei bagnato fradicio. E sanguini.» Delanna poggiò Cleo sul pavimento e andò a prendere il medikit.

«Starò bene non appena avrò acceso il fuoco. Quanta legna c’è nella cassetta?»

«L’ho riempita questo pomeriggio. E nella dispensa ci sono altri due carichi. Ho chiesto a Wilkes di portarli dentro prima che andasse via.»

«Tu sei davvero meravigliosa,» ripeté Sonny. «Hai pensato a tutto.»

«Sta’ fermo,» gli ordinò Delanna. Gli pulì il taglio con il disinfettante, poi vi applicò un cerotto a pressione. «Ti sei fatto male da qualche altra parte?»

«Non penso,» rispose Sonny, iniziando a battere i denti. «Quel chicco di grandine, o meglio quella pietra, mi ha fatto venire un bel bozzo.»

Si inginocchiò accanto al camino e iniziò ad accumulare rametti uno sull’altro, fino a formare una piramide. Delanna gli passò il fiammifero. Sonny lo accese e lo avvicinò ai trucioli di legno; il fuoco prese subito e avvampò, emanando un confortante calore.

Sonny mise un ciocco nel camino e tese la manica per osservarla. «Vedi,» gridò al di sopra del frastuono della pioggia. «Si è già asciugata.»

Delanna fu costretta a leggergli le labbra per capire quello che le stava dicendo: improvvisamente il tamburellare della grandine si era trasformato in un vero e proprio bombardamento. «Sta peggiorando!» gridò Delanna in un attimo di silenzio improvviso che la colse di sorpresa, facendola scoppiare a ridere.

«Non hai mica bisogno di gridare,» replicò Sonny al di sopra dello scrosciare della pioggia, poi le sorrise.

«La grandinata è finita?» chiese Deanna, scostando leggermente uno dei battenti per guardare fuori dalla finestra. La pioggia cadeva in fitte cortine insieme a qualche chicco di ghiaccio, spostando continuamente lo strato bianco di grandine che ormai ricopriva il cortile.

«Va e viene,» spiegò Sonny. «La grandine potrà ricominciare a cadere in qualsiasi momento. E senza preavviso. Ecco perché è una fortuna che non siamo costretti a uscire in questo inferno.»

Vi fu uno scoppio di tuono e poi un forte rumore metallico.

«Come adesso?» chiese Delanna, sollevando lo sguardo verso il soffitto. Sembrava peggio che mai: un’ininterrotta cacofonia punteggiata da tremendi stridii.

Sonny aveva aggrottato la fronte. «Questa non è grandine,» commentò, poi si alzò. «Sembrano le oche. Hai chiuso la porta del pollaio?»

«Sì,» rispose Delanna. Erano sicuramente le oche, ma sembravano completamente isteriche, come lo erano state quando Cleo aveva tentato di entrare nel loro recinto, solo che adesso i loro starnazzi sembravano ancora più disperati.

«Deve essere volato via il tetto del pollaio,» affermò Sonny. «Dovremo portarle in casa. Qui dentro abbiamo dei sacchi?»

Delanna capì di non avere pensato a tutto. «Ce n’è qualcuno fuori, accanto alle greppie,» rispose. Ma si trovavano in un capanno aperto. Ormai i sacchi dovevano essere completamente zuppi d’acqua, dunque come avrebbero fatto a infilare delle oche frenetiche in quei sacchi fradici?

Evidentemente Sonny si era posto la stessa domanda, perché si stava guardando intorno, in cerca di qualcosa in cui mettere le oche. Potevano usare delle corde per immobilizzarle? No, non sarebbero mai riusciti a legarle bene nel fango. Le pentole erano troppe piccole e sarebbe potuto ricominciare a grandmare da un momento all’altro.

«I sacchi dovranno andare bene,» affermò Sonny, esattamente quello che stava pensando Delanna. Sonny si avviò verso la porta.

Cleo zampettò freneticamente lungo il pavimento, raggiungendo la porta con un buon metro di vantaggio su Sonny.

«Oh, no, tu non uscirai di qui!» esclamò Delanna, chinandosi a prendere lo scarabeo. «Non andrai da nessuna parte.» Portò Cleo in camera da letto e prese la giacca impermeabile. «Vuoi anche tu una giacca, Sonny?» gli gridò, indossando la giacca e chiudendo bene la porta della cucina, in modo che Cleo non potesse uscire, ma Sonny era già andato via. Delanna si calò in testa il cappuccio e si tuffò nel temporale dietro di lui.

La pioggia era quasi peggio della grandine: scendeva in cortine gelide e assordanti che pungevano come aghi e rendeva il terreno coperto di chicchi di grandine tanto scivoloso che era quasi impossibile camminarci sopra. Era anche accecante; Delanna dovette cercare a tentoni la strada per girare oltre l’angolo della casa e arrivare alle greppie.

Sonny, con la camicia completamente zuppa e i capelli bagnati che gli cadevano sugli occhi, era già lì e stava tentando di trovare i sacchi. Delanna li tirò fuori da sotto una delle greppie, che, più o meno, li aveva protetti dalla pioggia: erano bagnati, ma non fradici. Li infilò sotto la giacca e si avviò verso il recinto delle oche insieme a Sonny.

Adesso pioveva davvero a dirotto e le gocce d’acqua battevano sui tetti coperti di tegole con un fragore tanto forte da coprire perfino gli starnazzi delle oche. Il cortile era diventato un lago pieno di chicchi di grandine bianchi e Sonny e Delanna furono costretti a camminare lungo i suoi bordi per arrivare al recinto delle oche.

Il tetto del pollaio era ancora al suo posto, ma il cancello di legno era aperto e sbatteva con violenza sotto l’impatto della pioggia. Oh, no, pensò Delanna, le oche sono uscite, poi si guardò freneticamente intorno, ma non vide alcuna traccia dei pennuti in questione.

Sonny la afferrò per un braccio. «Sono qui dentro!» le gridò all’orecchio per superare il frastuono della pioggia e la spinse davanti a lui nel capanno dal soffitto basso. «Vedi?» Indicò uno degli angoli posteriori.

Le oche erano strette una all’altra — no, ammassate — nell’angolo indicatole da Sonny, come se avessero pensato che il cancello che sbatteva fosse una creatura vivente, decisa a ghermirle. Starnazzavano terrorizzate ogni volta che il cancello si spalanca e si ritiravano sempre di più nell’angolo.

Sonny chiuse il cancello e lo tenne fermo in modo che non sbattesse, ma le oche non gli prestarono alcuna attenzione e non guardarono neppure Delanna, che si avvicinò a loro mormorando, «È tutto a posto, è tutto a posto.» Ma, in preda a panico folle, le oche continuarono a starnazzare e si strinsero istericamente alle pareti del pollaio.

«Devono essere state spaventate dal rumore delle grandine!» gridò Delanna.

«Ma come hanno fatto a sentirlo in mezzo a tutto questo baccano?» le gridò di rimando Sonny.

Delanna gli passò tutti i sacchi tranne uno, che tenne aperto, avanzando lentamente verso le oche, che starnazzarono e arretrarono ancora di più.

Sonny le afferrò di nuovo un braccio. «Penso di avere scoperto quale sia il problema!» gridò e indicò l’angolo opposto, dove stavano le pentole di cibo e l’unità di riscaldamento a energia solare.

Aggrappata disperatamente all’unità, e apparentemente terrorizzata quasi quanto le oche, c’era una scimmia incendiaria. Ma è Ragazzone! pensò Delanna, anche se la scimmia era tanto rannicchiata su se stessa che era difficile esserne sicuri. La pelle della creatura sembrava pallida e chiazzata.

«Pensavo che avessi detto che tutte le scimmie incendiarie erano nella sorgente termale!» gridò Delanna a Sonny.

«Ragazzone deve essere tornato indietro per qualche motivo.»

Cleo, pensò Delanna. La scimmia era tornata per prendere il suo giocattolo preferito ed era stata sorpresa dal temporale: un fenomeno atmosferico potenzialmente mortale per una creatura a sangue freddo come una scimmia incendiaria.

«Dobbiamo tentare di portarlo alla sorgente?» chiese Delanna in tono dubbioso.

Sonny scosse la testa. «È troppo lontana. Non ce la farebbe mai. Il colore biancastro della pelle significa che sta già congelando. Che ne dici del capanno?»

«Ma lì dentro non c’è nessuna unità di riscaldamento,» gli ricordò Delanna. E Ragazzone non poteva neppure rimanere nel pollaio: le oche sarebbero morte di paura. «Allora sarà meglio portarlo in casa,» propose Delanna e provò molta sorpresa, e uno strano senso di calore, quando Sonny le rivolse un’occhiata di profondo apprezzamento.

Ma anche quel calore non sarebbe riuscito a riscaldarla a sufficienza da evitarle di congelare, se fossero rimasti fuori ancora un po’. «Andiamo, Ragazzone,» affermò Delanna, avvicinandosi alla scimmia. «Andiamo dove fa caldo.» Toccò la zampa della scimmia e poi ritrasse di scatto la mano, allarmata: la zampa era stata dura come pietra e fredda come ghiaccio. «Andiamo,» lo esortò, prendendogli il braccio. «Calore. Fuoco.» La scimmia si strinse ancora di più all’unità di riscaldamento, guardando Delanna con occhi sbarrati per il panico.

Sonny andò dall’altro lato della scimmia. «Andiamo, vecchio mio. Andiamo,» ripeté, poi sollevò di peso la creatura, mettendo un braccio sotto l’ascella della scimmia e l’altro intorno al petto e la portò oltre il cancello, in cortile, ma il Ragazzone si rifiutò di procedere oltre.

Delanna chiuse il cancello e andò dall’altro lato della scimmia per aiutare Sonny, ma Ragazzone agitò con violenza il braccio per tenerla lontana e roteò gli occhi per la paura.

«Non ci conosce!» gridò Sonny, lottando per evitare che fuggisse.

Delanna si tolse il cappuccio. «Guarda, Ragazzone, sono io,» disse, tendendo una ciocca di capelli rossi verso la scimmia. «Vedi. Fuoco. Calore.»

Ragazzone non tentò di afferrare i capelli, si limitò a fissarli con aria stolida, ma quando Delanna gli poggiò la mano sul gomito, non oppose più alcuna resistenza. Iniziarono ad attraversare il cortile.

Non era più una palude. Ormai era un lago, su cui galleggiavano piccole lastre di ghiaccio. Ma non c’era tempo per tentare di girargli intorno, come avevano fatto all’andata. Procedettero fino a quando l’acqua non arrivò al bordo superiore degli stivali di Sonny, e oltre. L’acqua era fredda come il ghiaccio e fece scorrere un brivido lungo la schiena di Delanna. Sonny iniziò a battere i denti.

Ragazzone non diede alcun segno di provare il morso del freddo, neppure quando, a metà strada, si udì un forte scoppio di tuono e la grandine iniziò a cadere nel lago, mischiata a gocce di pioggia pungenti come aghi. Ma la sua andatura rallentò e divenne più rigida; quando arrivarono alla casa, Sonny e Delanna stavano praticamente sorreggendolo.

Delanna lasciò Sonny a sostenere la scimmia e aprì la porta, urtando Cleo nel farlo. Lo scarabeo si precipitò fuori ed era quasi riuscito ad attraversare metà del portico quando Delanna riuscì a bloccarlo. «Oh, no, non andrai fuori!» esclamò, afferrando una delle zampe anteriori di Cleo e appoggiandosi alla porta aperta per fare passare Sonny e Ragazzone.

Sonny portò in casa la scimmia un po’ sorreggendola, un po’ trascinandola e la depose sul pavimento davanti al fuoco; Delanna spinse Cleo di nuovo in camera da letto. «Ma cosa credi di fare?» la rimproverò. «Vuoi farti uccidere? Lì fuori sta grandinando!»

Ed era davvero così, senza gocce di pioggia. Vi furono altri due tuoni e poi si udì il forte crepitio della grandine sul tetto. «Rimani qui dentro, oppure ti metto nel baule di mamma.»

Chiuse la porta e la bloccò mettendole davanti una cassa di ambrosia vuota, dicendo, senza girarsi, «Siamo tornati dentro appena in tempo. Come sta Ragazzone?»

Sonny era sparito. Delanna corse alla porta e la aprì, ma, oltre il portico, la visibilità era quasi nulla. Dall’alto piovevano chicchi di grandine grandi come ciottoli, che rimbalzavano sul terreno e sui cespugli e cadevano nelle pozze d’acqua sollevando alti spruzzi. «Sonny!» gridò. «Sonny!»

Cleo stava graffiando la porta della camera da letto e Ragazzone, accasciato davanti al fuoco, sembrava mezzo morto. Delanna esitò, mordendosi il labbro, poi abbassò il cappuccio sui capelli bagnati, uscì dalla porta…

E andò a urtare contro Sonny. Lui la spinse di nuovo dentro, chiuse la porta e la sbarrò alle loro spalle.

«Ma dove sei andato?» gli chiese Delanna con voce tremante per il sollievo.

«Fuori, a controllare le oche,» rispose Sonny, iniziando a battere i denti.

Era completamente zuppo, il cerotto sulla fronte era fradicio, la camicia e i pantaloni gli si erano incollati addosso, l’acqua gli colava dai capelli sul volto. E c’era anche del sangue che scorreva lungo la guancia e andava a macchiare il colletto bagnato della camicia.

«Sei ferito!» esclamò Delanna. «Fammi vedere!»

Sonny si toccò la testa con la mano e la ritrasse macchiata di rosa. «Sto bene.» Riuscì a stento a pronunciare quelle parole, tanto i suoi denti stavano battendo con violenza. «Quei chicchi di grandine sono davvero grossi come pietre.»

«Presto, vieni accanto al fuoco e togliti quei vestiti, oppure ti buscherai la polmonite. Su Keramos avete la polmonite?»

«S-s-s…» balbettò Sonny, battendo i denti, poi ci rinunciò e annuì.

«Togliti quella camicia,» gli ordinò Delanna. «Ti vado a prendere un asciugamano e una coperta da metterti addosso.»

Delanna allontanò la cassa di ambrosia dalla porta della camera da letto e la aprì. Cleo la superò di corsa, diretta verso la porta sul retro e iniziò a rigarla con le unghie. Non riuscì a uscire, visto che la porta era sbarrata, dunque Delanna la ignorò. Strappò la coperta dal letto, prese un asciugamano e un paio di pantaloni e tornò nella stanza principale.

Sonny era ancora dove l’aveva lasciato: stava tentando di sbottonarsi un polsino della camicia, ma le mani gli tremavano a tal punto che non riusciva a fare uscire il bottoncino dall’asola.

«Ci penso io,» si offrì Delanna. «Vieni accanto al fuoco.» Scavalcò Ragazzone, ancora sdraiato lì, e iniziò a sbottonare il polsino. «Non avresti dovuto uscire di nuovo,» lo accusò, liberando il bottone dal tessuto fradicio. Allungò una mano verso l’altra manica.

«Io v-volevo essere sicuro che R-ragazzone non avesse s-spento l’unità di r-riscaldamento o q-qualcosa del genere.»

Delanna gli sbottonò l’ultimo bottone della camicia e si girò per prendere uno degli asciugamani. «Avresti potuto rimanere ucciso,» lo rimproverò, girandosi di nuovo verso di lui. «Le oche sarebbero state…»

Sonny si stava togliendo la camicia, lottando per liberare le braccia dalle maniche bagnate.

«Cosa sarebbero state?» le chiese Sonny, poi venne scosso da un brivido.

«Cosa?» chiese Delanna in tono inespressivo. Il fuoco illuminava il petto nudo di Sonny, conferendogli la stessa sfumatura dorata delle fiamme. Riuscì a liberare il braccio dalla manica.

«Hai detto, ‘Le oche sarebbero state…’»

«Bene,» concluse Delanna e gli passò la coperta. «Le oche sarebbero state bene. Pensi che Ragazzone starà bene?» proseguì rapidamente. «Dovrei andare a prendere una coperta anche per lui?»

«Andrò a prendergliela io,» replicò Sonny.

«No. Tieni,» disse Delanna, passandogli i pantaloni. «Questi sono un paio di quelli che mi ha prestato B.T. Mettili e poi siediti accanto al fuoco. Non voglio ritrovarmi con due scimmie congelate.»

«S-solo con una,» replicò Sonny, obbedendole. Indicò le zampe della scimmia, che sembravano meno chiazzate di prima. «Si sta già scongelando.»

Delanna andò comunque a prendere una coperta — si trattava di una vecchia coperta di colore rosa — e la usò per coprire la scimmia. Ragazzone si agitò, come se volesse protestare, ma non tentò di togliersela di dosso. Cleo si avvicinò e lo osservò con curiosità.

«Vedi?» commentò Delanna. «Il tuo compagno di giochi è proprio qui. Non hai bisogno di uscire fuori per andare a cercarlo.»

Andò a prendere il medikit e alcune bende e si inginocchiò accanto a Sonny per curargli i tagli.

«Anche tu d-dovresti toglierti q-quella roba bagnata di dosso,» le ricordò Sonny.

«Lo farò tra un minuto,» replicò Delanna, scostandogli dal volto i capelli bagnati per trovare la ferita. «Hai un bozzo grosso come un uovo d’oca.»

Sonny le rivolse un sorriso. «Immagino che il paragone sia appropriato, visto che ero andato a controllare le oche.»

Delanna gli asciugò il taglio. «E probabilmente sarà l’unico uovo di oca che avremo per settimane, dopo la paura che ha fatto prendere loro Ragazzone.» Poggiò una benda quadrata sulla ferita e ordinò, «Tienila lì per un minuto,» poi si alzò.

Mise il bollitore sul fuoco, raccolse il mucchietto degli indumenti bagnati di Sonny e li gettò nel lavandino, poi andò in camera da letto e si tolse i vestiti. Non erano fradici come quelli di Sonny, tranne gli orli dei pantaloni e le calze. La giacca impermeabile l’aveva aiutata a non infradiciarsi.

Indossò un paio di calze asciutte, poi aprì il baule della madre e mise la stessa camicia da notte che aveva indossato per sbaglio la prima mattina che aveva trascorso a Milleflores. La coprì con la vestaglia che aveva usato nel dormitorio della scuola e tornò nell’altra stanza.

L’acqua stava bollendo. Delanna preparò una tazza di tè per Sonny, che la prese con mani ancora tremanti, aggiunse un altro ciocco al fuoco e tornò in camera da letto per prendere un’altra coperta dal baule della madre.

«G-grazie,» balbettò Sonny quando Delanna gliela poggiò sulle spalle. «Sei proprio sicura di non a-avere bisogno di una di queste coperte? Devi essere congelata.»

In effetti, andare avanti e indietro l’aveva riscaldata: era Sonny che sembrava intirizzito fino all’osso. Ma quando Delanna si sedette accanto a lui, si tolse una delle coperte dalle spalle e gliela offrì.

«Sto bene,» rispose Delanna, avvicinandosi al fuoco. «O starò bene non appena i miei capelli si saranno asciugati.» Vi passò attraverso le dita, guardando Ragazzone; la scimmia non aveva più la pelle chiazzata e stava stirando le braccia e le gambe davanti al fuoco, come un gatto. «Pensi che le altre scimmie incendiarie stiano bene?» chiese Delanna a Sonny, immaginando la grandine che si accumulava nella sorgente termale.

Sonny avrebbe potuto anche leggerle nella mente. «La sorgente è abbastanza calda per fondere qualsiasi tipo di ghiaccio. E se inizia a grandinare di nuovo, le scimmie andranno semplicemente sott’acqua. Sono in grado di rimanere senza respirare per molto tempo.»

«Quanto durerà il temporale?»

«Un giorno. Forse due,» rispose Sonny. «Il che potrebbe essere un bene.»

Delanna fissò il fuoco, pensando a loro due, chiusi in casa insieme per due giorni, al sicuro, al caldo, da soli.

«Un bene?» gli chiese.

«Per il raccolto,» rispose Sonny. «La grandine farà cadere le palle di cannone e questo servirà ad accelerare il turno di Milleflores per effettuare il raccolto. Dunque spero che grandini tutta la notte.»

Come in risposta al suo desiderio, una nuova scarica di grandine tamburellò sul tetto con un frastuono assordante. Sia Sonny che Delanna sollevarono lo sguardo verso il tetto.

«Il tuo desiderio è stato subito esaudito!» gridò Delanna e Sonny le urlò qualcosa che lei non riuscì a capire.

«Bevi il tuo tè!» gridò Delanna, indicando la tazza. Sonny obbedì, bevendolo a grandi sorsi, ma la bevanda calda non sembrò sortire alcun effetto. Sonny non smise di rabbrividire, anche se adesso il fuoco emanava molto calore, tanto che Ragazzone si era addormentato rannicchiandosi davanti al camino. Sonny si strinse al corpo entrambe le coperte, ma, a intervalli di pochi secondi, il suo corpo veniva scosso da un forte brivido. E se avesse preso un raffreddore, oppure si fosse ammalato?

«Vuoi un altro po’ di tè?» gli chiese Delanna, aggrottando la fronte.

«S-sembra che non riesca proprio a riscaldarmi,» si scusò Sonny.

Delanna pensò a cosa avrebbe potuto aiutarlo. «Non hai dell’alcol?»

«Ho un po’ di ambrosia,» rispose Sonny. «Andrò a prenderla.» Si tolse di dosso le coperte e si avviò verso la porta a piedi nudi.

«Non vorrai uscire di nuovo fuori?» gli chiese Delanna, terrorizzata da quell’eventualità. Iniziò ad alzarsi per andare a impedirglielo.

«No. Rimani lì,» replicò Sonny e poi si inginocchiò accanto al tappeto tessuto a mano appena dietro la porta. Lo sollevò, rivelando una botola, che aprì. Sotto di essa c’erano numerose file di bottiglie di ceramica verde. Sonny ne prese una, richiuse la botola, prese una tazza dalla credenza e tornò vicino al fuoco.

Si sedette accanto a Delanna, tolse il tappo della bottiglia e riempì la tazza di ambrosia, poi la tese verso Delanna.

«No, grazie,» rispose lei, pensando al sorso di ambrosia che aveva assaggiato nel saloon di Maggie. Poteva ancora sentirne il sapore. «È troppo amara per me.»

«Non la mia ambrosia,» replicò Sonny. Gliela offrì di nuovo, ma Delanna scosse la testa, e così la prese lui, bevendola a grandi sorsi, come aveva fatto con il tè. Delanna si chiese come facesse a sopportarne il gusto.

Sonny versò un altro po’ di liquido chiaro nella tazza. «L’ambrosia è servita,» commentò bevendo un altro sorso, ed era vero: la mano aveva smesso di tremare, i denti avevano smesso di battere. «Sei sicura di non volerne un po’? Questa è ambrosia di Milleflores.»

«Ne sono sicura,» rispose Delanna.

«Non è amara,» le assicurò Sonny. «È la mia ricetta speciale. Dolce come il miele.» Sollevò la tazza in un brindisi in onore di Ragazzone, che si era mosso di nuovo e adesso era sdraiato esattamente davanti al fuoco, con Cleo appollaiata al suo fianco. «Ecco perché ho un debole per le scimmie incendiarie: sono state loro a farmela scoprire.»

Bevve un altro sorso. «Il grande problema dell’ambrosia è sempre stato il suo sapore. Altrimenti sarebbe un prodotto perfetto per essere esportato su altri pianeti: occupa una massa e un volume molto minori delle palle di cannone e permette di ricavare un profitto maggiore. I lanzye potrebbero smettere di tirare avanti a stento, se fossero in grado di vendere un prodotto come l’ambrosia. Ma nessuno dei commercianti provenienti da altri pianeti è disposto a trattarla, per colpa del suo gusto amaro.»

Bevve un altro sorso di ambrosia. «E l’ambrosia è il liquore perfetto: non provoca nessuno dei danni al fegato causati dal whisky, non esistono i postumi della sbronza ed è impossibile ubriacarsi sul serio, qualsiasi quantità se ne beva. E poi viene metabolizzata molto rapidamente; due ore dopo averla bevuta, è possibile mettersi a lavorare con una scavatrice.» Bevve un altro sorso. «E non ha alcun effetto collaterale.»

Be’, forse uno ce l’ha, rifletté Delanna, osservandolo. L’ambrosia forse non era in grado di fare ubriacare una persona, ma di sicuro rendeva loquace Sonny. Aveva detto più parole negli ultimi cinque minuti di quante ne avesse pronunciate durante l’intero viaggio attraverso le Pianure di sale.

«Molti abitanti dei lanzye pensano che le scimmie incendiarie dovrebbero essere sterminate perché hanno l’abitudine di appiccare incendi. Be’, tre anni fa ne appiccarono uno nel mio fienile.» Scolò il fondo della tazza. «Tutti hanno una teoria su come eliminare il gusto amaro dell’ambrosia: bisognerebbe aggiungere miele, oppure erbe, distillarla, filtrarla, aggiungere la corteccia. Io pensavo che noi la pestassimo troppo presto dopo averla raccolta e così, tre anni fa, conservai alcune palle di cannone e le misi su una stuoia a maturare per un po’.»

«E le scimmie incendiarie diedero fuoco alla stuoia,» indovinò Delanna.

«Facendole bruciare completamente,» confermò Sonny. «Fino alla polpa. Io tentai di tagliare via le parti carbonizzate, ma anche l’interno era bruciato. Ricordo che ero così arrabbiato!»

«Non ne avevi altre da mettere a maturare?»

Sonny scosse la testa. «Avrei dovuto vendere l’intero raccolto ai commercianti solo per avere abbastanza denaro per…»

Si bloccò, ma Delanna sapeva cosa fosse stato sul punto dire, abbastanza denaro per pagare la retta della tua scuola.

«Be’, in ogni caso stavo per gettare via tutta quella roba,» proseguì Sonny, «ma poi immaginai che l’ambrosia che ne avrei ricavato sarebbe andata abbastanza bene per l’uso casalingo, se l’avessi distillata, invece di limitarmi a farla bollire, e così tagliai le parti bruciate e preparai un po’ di ambrosia. Era molto meno amara di quanto fosse di solito. Lo attribuii al fatto che le palle di cannone erano più mature, ma, il giorno seguente, quando vidi le scimmie incendiarie andarsene furtivamente…» Sorrise. «Ti confesso che provai la tentazione di mettermi a sbraitare contro di loro. Quando le vidi, mi chiesi se invece non fosse stato il calore a rendere meno amara l’ambrosia e così la preparai usando le parti che avevo buttato via ed ecco il risultato!» Sollevò la tazza di ceramica. «Dolce come miele. Mi bastò berne un solo sorso per convincermi a iniziare a risparmiare ogni centesimo per comprare un vero distillatore.»

E ti ci sono voluti tre anni per risparmiare i soldi per comprarlo, pensò Delanna, perché ogni centesimo veniva speso per le mie rette scolastiche, le mie feste e le mie scarpe con i tacchi alti. Si chiese se Sonny avesse rivelato a Serena la sua intenzione. Non era ancora arrivata a quel punto del diario della madre e non pensava che le avrebbe fatto piacere leggere le sue annotazioni. Poteva benissimo immaginare cosa aveva detto sua madre.

Sonny stava dicendo, «Ecco perché, quando quel giorno ti ho trovato nella macchia di arbusti reddsie, non ho voluto dare l’allarme e rischiare che una della scimmie venisse uccisa. Io devo loro molto.»

Rivolse un sorriso a Delanna. «Non dimenticherò mai lo spettacolo di te, circondata insieme a Cleo da quella banda di scimmie, che riuscivi a tenerle a distanza, anche se non sapevi che erano innocue. Volevano solo toccare i tuoi capelli. Erano così luminosi che sembravano essere fatti di fuoco. E io potevo capire come si sentivano.»

Tese la sua mano per sfiorarle i capelli, ma poi la lasciò cadere. «E così ho comprato il distillatore poco prima che tua madre morisse, ecco perché non avevo neppure un soldo quando sei venuta qui.»

«E perché ti trovavi a Grassedge,» commentò Delanna.

Sonny non rispose, Delanna si chiese se l’ambrosia avesse fatto effetto.

«Eri venuto a Grassedge per ritirare il distillatore, vero?» affermò.

Sonny abbassò lo sguardo verso la tazza. «Sì. In effetti, è stata una fortuna che tu sia arrivata con la navetta proprio quando Sakawa era pronto a consegnarmi il distillatore. Non avevo raccontato a nessuno dell’ambrosia bruciata o dell’ordinazione del distillatore, ma su Keramos mantenere un segreto è praticamente impossibile.»

«Lo so,» affermò Delanna: lo aveva imparato a proprie spese.

«Ma erano tutti così impegnati a spettegolare su di te che nessuno ha notato il distillatore.»

«Sono felice che il mio bagno nel sale sia servito a qualcosa,» commentò Delanna in tono secco. «E così distillerai l’ambrosia dal raccolto di quest’anno e la venderai ai commercianti provenienti da altri pianeti?»

«Il distillatore è troppo piccolo per distillare l’intero raccolto e la maggior parte di esso serve per fare andare avanti il lanzye e pagare i debiti contratti da tua…» Si interruppe. «Dopo che B.T. e io saremo riusciti a piantare il frutteto all’estremità settentrionale delle nostre terre, le cose diventeranno più facili e potrò prendere in considerazione l’idea di utilizzare una parte del raccolto per distillare l’ambrosia.»

«Se prima le scimmie incendiarie non danno fuoco alle palle di cannone di qualcun altro,» commentò Delanna.

«Non lo faranno. Abbiamo fatto un patto: le scimmie lavorano per me e io, in cambio, permetto loro di ammirare i tuoi capelli.»

Delanna sorrise. «E di giocare a palla con Cleo,» aggiunse, guardando lo scarabeo, che si era avvicinato alla finestra e stava tentando di aprire uno dei battenti.

«Forse ha fame,» ipotizzò Delanna. «E tu?»

«Ti aiuterò,» si offrì Sonny e fece per alzarsi.

«No, tu rimani qui al caldo,» gli consigliò Delanna. «Io preparerò qualcosa per cena.»

Riscaldò la zuppa e affettò il pane, pensando a quello che aveva detto Sonny. E a quello che non aveva detto. Dovevo pagare i debiti contratti da tua madre, aveva iniziato a dire, ma poi si era fermato in tempo: evidentemente l’ambrosia non gli aveva sciolto la lingua fino a quel punto. Come al solito, si rifiutava di pronunciare qualsiasi commento negativo sulla madre di Delanna.

E se Delanna avesse venduto la sua parte della tenuta e fosse andata via, lasciandolo di nuovo immerso nei debiti mentre si ammazzava di fatica per fare andare avanti il lanzye con poco o niente, anche allora Sonny non si sarebbe lasciato sfuggire nessun commento negativo su Serena Milleflores. Si chiese se sua madre avesse mai compreso di quale lealtà, di quale silenziosa fedeltà, potesse essere capace Sonny.

Diede da mangiare a Cleo, che inghiottì giusto tre bocconi e poi tornò accanto a uno dei battenti. La pioggia era diminuita leggermente di intensità, il frastuono si era ridotto a un basso rombo, ma mentre Delanna serviva la zuppa, iniziò di nuovo a piovere a dirotto. Cleo zampettò via dalla finestra e tornò da Ragazzone, che era ancora addormentato.

«Sei sicuro che non verremo spazzati via da qualche inondazione?» chiese Delanna a Sonny, passandogli la sua ciotola.

«No. Le oche potrebbero finire a nuotare nel recinto, ma a loro piacerebbe.»

Mentre mangiavano, Sonny parlò per tutto il tempo, raccontandole delle piogge a cui ricordava di avere assistito durante gli anni precedenti, di chicchi di grandine grossi come uova d’oca e di quella volta che i frutteti si erano allagati e lui e i suoi fratelli erano usciti di casa trovandosi di fronte alle palle di cannone che galleggiavano davanti alla porta d’ingresso. «Queste non sono particolarmente forti,» gridò al di sopra del frastuono. «Tutto quello di cui dobbiamo preoccuparci è di stare al riparo e al caldo. A proposito, sarà meglio che metta dell’altra legna in quel camino.»

Si scrollò di dosso le coperte e si alzò, ancora parlando. Ragazzone era davanti al fuoco e Sonny dovette spingere la scimmia di lato per arrivare alla pila di ciocchi. Ragazzone grugnì e si girò.

Sonny prese alcuni ciocchi e tornò accanto al fuoco, strofinandosi le mani per scaldarle. «Dovrebbero bastare per un po’,» commentò, sedendosi accanto a Delanna. «Qui dentro si gela.» Le offrì di nuovo una delle coperte. «E tu? Stai abbastanza calda?»

«Vado a prendere un’altra coperta,» replicò Delanna. Entrò in camera da letto. Lì dentro si gelava davvero. Prese un’altra coperta dal baule, tolse i cuscini dal letto e li portò davanti al fuoco. Sonny si era messo le coperte intorno alle spalle. «Penso che stanotte sarà meglio che dormiamo qui,» consigliò Delanna. «In camera da letto si gela letteralmente.»

Gli passò i cuscini e si sedette accanto a lui, avvolgendosi nella coperta.

«Raccontami qualcos’altro sulla tua scuola,» le propose Sonny. «Era un edificio molto grande?»

«C’erano molti edifici, tutti collegati da tunnel,» Delanna gliela descrisse, raccontandogli dei dormitori, dei laboratori e delle mense.

Ragazzone si girò di nuovo e poi ancora una volta, come un pezzo di carne allo spiedo, ma ogni volta che si muoveva si avvicinava sempre più al fuoco, fino a quando non ne bloccò completamente il calore. Delanna rabbrividì e si strinse la coperta contro il corpo.

«Ehi, stai rubando tutto il calore!» esclamò Sonny rivolto a Ragazzone. Si alzò e tentò di spostare la scimmia incendiaria, ma non ci riuscì.

«Non si muove,» commentò Sonny. «Però mi è venuta un’idea.» Prese la coperta dalla spalle di Delanna e si sedette accanto a lei, usandola per coprire entrambi, poi vi aggiunse sopra le sue coperte. «Come va?» le chiese. «Adesso va meglio?»

Delanna annuì, fin troppo consapevole della sua vicinanza, del suo petto nudo. «Sì, va meglio.»

Sonny la fissò per un lungo istante, poi si girò di nuovo verso il fuoco, che emise una fiammata, riempendo la stanza di calore e di una soffusa luce dorata.

«Non avrei mai immaginato che la tua scuola avesse molti edifici,» commentò Sonny. «Tua madre mi disse che era grande, ma io ho sempre immaginato che si trovasse in un vasto prato in cui cresceva ogni tipo di fiore e tu eri seduta al centro e studiavi con il vento che ti scompigliava i capelli. Ecco l’unica cosa che non ricordavo di te: quanto fossero luminosi i tuoi capelli. Ricordavo che erano rossi, perché ti chiamavo sempre Buccia di Pomarancia, ma…» Sollevò di nuovo la mano verso i suoi capelli, ma questa volta li toccò, sia pure con grande delicatezza, facendone scorrere un ricciolo tra le dita.

«Sono sorpresa che tu ricordi qualcosa di me,» commentò Delanna, arrossendo. «Quando andai via, avevo solo cinque anni.»

«Ma certo che ti ricordavo,» replicò Sonny. «Tua madre mi raccontava sempre di te e di quello che stavi facendo.»

Posso immaginario, pensò Delanna.

«Mi leggeva sempre le tue lettere. Sono cresciuto pensando a come sarebbe stato quando saresti tornata dalla scuola. Immaginavo che sarebbe stato così, che ci saremmo seduti insieme davanti al fuoco.»

Sul tetto ci fu un’improvvisa mitragliata di grandine e Cleo iniziò a graffiare di nuovo contro la porta. La scimmia incendiaria si stiracchiò ed emise un rutto lungo e rombante.

«Be’, forse non esattamente così,» si corresse Sonny e le rivolse un sorriso. Il cuore di Delanna fece una capriola. «Tua madre disse che non saresti mai tornata, che saresti rimasta su Rebe Primo e immagino di averle creduto. Quando Maggie mi ha avvertito che stavi tornando, mi sono agitato a tal punto che sono venuto a Grassedge senza dare a Wilkes neppure il tempo di aggiustare il sistema di trasmissione del solaris. È un vero miracolo che non sia ancora bloccato da qualche parte nelle Pianure di sale…» La sua voce si spense.

Ma allora non era venuto in città per il distillatore, pensò Delanna. O per le oche. Era venuto in città per incontrare lei.

Sonny fissò il fuoco. «Sapevo che era impossibile, ma non potevo arrendermi. Ecco perché non te l’ho detto mentre andavamo a piedi a Grassedge. Volevo fare finta che fosse vero, che tu fossi davvero mia moglie, anche solo fino a quando saremmo arrivati da Maggie.»

«Non capisco perché,» affermò Delanna, ricordando quella lunga e faticosa scarpinata fino a Grassedge con il rimorchio e le oche. «Mi sono comportata come una bambina viziata fino a quando non siamo arrivati in città.» E anche dopo. Si era fatta venire vere e proprie crisi isteriche, aveva civettato con Jay Madog…

Sonny le sorrise. «Non mi importava. Eri così bella…» Distolse lo sguardo da Delanna, dirigendolo di nuovo verso il fuoco. «Continuavo a pensare che se solo fossi riuscito a farti venire a Milleflores,» proseguì con voce divenuta più sommessa, più sognante, «e tu avessi avuto la possibilità di ricordare quanto era bello qui, avresti cambiato idea e saresti rimasta…» La sua voce si spense di nuovo.

Delanna si abbracciò le ginocchia. «Ha funzionato,» mormorò.

Sonny non disse nulla. Delanna pensò che forse non l’aveva sentita.

«Io voglio rimanere,» affermò allora, girando la testa per guardarlo.

Sonny si era addormentato. I suoi capelli neri gli cadevano sulla fronte e lo facevano sembrare il ragazzo che ricordava Delanna, il ragazzo che le aveva permesso di seguirlo dappertutto. Poggiò la mano sotto la guancia e rimase a guardarlo, pensando, abbastanza stranamente, alla scavatrice. Se ne prendessimo una usata, pensò, con il denaro risparmiato potremmo comprare altre oche e iniziare a vendere uova agli altri lanzye.

«Io voglio davvero rimanere,» mormorò, poi si addormentò anche lei.

Quando si svegliò, nella stanza era buio pesto e faceva freddo. Si chiese se fosse stato il freddo a svegliarla, poi si rese conto che era stato il silenzio: il frastuono della pioggia, della grandine e del vento era cessato; l’unico rumore era il fievole crepitio della radio.

Il fuoco era quasi spento: erano rimasti solo un po’ di tizzoni rossastri e Ragazzone ormai ci dormiva praticamente dentro, il braccio avvolto strettamente intorno a Cleo. Delanna scivolò da sotto le coperte con delicatezza, in modo da non svegliare Sonny, poi si alzò. Il fuoco non emetteva abbastanza luce per permetterle di vedere dove metteva i piedi e Delanna era sicura che sarebbe inciampata nella pila di ciocchi, nel piede di Sonny o in quello di Ragazzone, oppure in tutte e tre le cose, se non avesse fatto un po’ di luce. Si avvicinò silenziosamente alla finestra e aprì i battenti.

Era quasi mattina, il cielo era di un tenue grigio lavanda, con alcuni resti di nuvole. Nel cortile c’erano un paio di pozze d’acqua che riflettevano il cielo pallido e terso e un paio di stelle luccicanti. L’aria aveva un profumo celestiale: era la fragranza dei fiori degli arbusti balla e dei fior-di-rosa; se non fosse stato per lo strato di grandine bianca sul portico e un cespuglio reddsie appiattito, che si contorceva ancora, Delanna avrebbe potuto pensare di star osservando l’alba seguita a un acquazzone primaverile.

Milleflores era bellissimo, perfino dopo un terribile temporale. Non c’era da stupirsi che Sonny lo amasse profondamente.

Anch’io lo amo, pensò, poi disse ad alta voce, «Io voglio rimanere.»

L’aria che entrava dalla finestra era fredda e, dopo un minuto, Delanna chiuse con riluttanza i battenti, lasciandoli leggermente scostati in modo che potesse vedere dove metteva i piedi e andò a riattizzare il fuoco.

Ragazzone era ancora sdraiato di fronte al focolare, la schiena vicina ai tizzoni, le braccia che stringevano Cleo. Russava sommessamente. Delanna tentò di spostarlo di lato, ma era troppo pesante. Dovette scavalcarlo per arrivare alla legna e poi rimanere a piedi nudi nella cenere per riattizzare il fuoco.

Le fiamme iniziarono a crepitare allegramente e Delanna si alzò e rimase a osservarle per qualche istante, fino a quando le dita dei piedi non iniziarono a sentire troppo caldo. La radio crepitava: lievi scariche di statica che significavano che il temporale stava ancora infuriando da qualche parte. Scavalcò di nuovo Ragazzone, andò alla radio e la spense, poi tornò al suo giaciglio improvvisato.

Sonny si era girato su un fianco e, nel farlo, aveva calciato via le coperte. Dormiva scomposto come un bambino e la testa e il petto avevano assunto un colore soffuso nella luce rossastra del fuoco. Il piede di Delanna urtò la bottiglia di ceramica di ambrosia, che cadde con un tonfo, ma Sonny non si svegliò. Era come se lui, come se tutti loro — anche Ragazzone e Cleo — fossero sotto un incantesimo, un incantesimo di calore e di silenzio alla luce incerta dell’alba, e nulla potesse svegliarli.

Delanna ricoprì le spalle di Sonny con le coperte, strisciò accanto a lui e si addormentò immediatamente.

Quando si svegliò di nuovo, il sole filtrava attraverso lo spiraglio nei battenti e in lunghi raggi obliqui tra le assicelle. Si udì un terribile frastuono martellante e Delanna, ancora assonnata, pensò che fosse iniziato di nuovo a grandinare, ma poi si rese conto che neppure una grandinata di palle di cannone avrebbe potuto provocare un baccano del genere.

Ragazzone era impegnato alternativamente a tirare la porta e a battere i pugni su di essa, nel tentativo di aprirla. Cleo lo stava aiutando, tentando di togliere il chiavistello con le unghie. Nessuno dei due stava avendo il minimo successo.

Né era probabile che lo ottenessero, poiché la sbarra era ancora al suo posto e immaginare il modo di toglierla evidentemente non faceva parte dei talenti di una scimmia incendiaria.

Dovrei farli uscire, pensò pigramente Delanna. Prima che Ragazzone dia fuoco alla porta. Ma era troppo assonnata per muoversi, stava troppo comoda.

Era rannicchiata contro Sonny, il suo braccio era sul suo corpo. Sollevò leggermente la testa per guardarlo. Dormiva ancora, la bocca aperta e il respiro regolare. Non dormirà a lungo, pensò. Questo baccano sveglierebbe anche i morti.

Ma fino a quando Sonny non si sarebbe svegliato, lei voleva rimanere dov’era, rumore o non rumore. Poggiò indietro la testa e si sistemò nella curva formata dal braccio di Sonny. Chiuse gli occhi.

Vi fu un grugnito e il tonfo di qualcosa di pesante che colpiva il pavimento, il che significava che Ragazzone doveva avere capito come funzionava la porta. E questo significava probabilmente che, da ora in poi, nessun fienile o capanno o recinto di oche sarebbero più stati al sicuro dalle scimmie incendiarie. Delanna aprì gli occhi, improvvisamente preoccupata di avere provocato un’improvvisa rivoluzione tecnologica nella specie delle scimmie incendiarie.

Sonny la stava guardando. Era poggiato su un gomito e la coperta gli lasciava scoperto il petto. I suoi capelli neri erano in disordine, come quelli di un ragazzino, ma, con gli occhi aperti, non ne aveva assolutamente l’aria.

«Buon giorno,» la salutò. «I bambini sono usciti a giocare.»

«Anche Cleo?» chiese Delanna, facendo un gesto per alzarsi.

Il suo braccio si strinse intorno a lei. «Anche Cleo. Non preoccuparti. Il temporale è finito.» Inclinò la testa verso la porta. «E sembra che non si siano allontanati di molto.» Le rivolse un sorriso.

All’esterno, vi furono altri grugniti, un rumore di spruzzi e uno strillo deliziato di Cleo. Dalla porta aperta provenne anche il fruscio delle foglie e il canto di uno strillone dell’erba. Ma era come se non ci fosse alcun rumore, tranne il battito del cuore di Delanna.

«Ora, per quanto riguarda questa notte,» esordì Sonny, guardandola di nuovo.

Delanna attese che le dicesse che aveva bevuto troppo, che aveva parlato sotto l’effetto dell’ambrosia.

«Ogni parola che ho detto era vera,» affermò Sonny, poi si chinò a baciarla.

Delanna tolse le mani dalle coperte e le avvolse intorno al suo collo. «Anche le mie lo erano,» rispose.

«Bene,» commentò Cadiz dalla soglia, «sembra che siamo arrivati nel momento culminante.»

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