CAPITOLO DODICESIMO

Delanna uscì dal solaris, stringendo ancora tra le braccia il mazzo di fior-di-rosa. «Non ricordo che avesse questo aspetto,» commentò, socchiudendo gli occhi per osservare meglio le baracche.

«Quelle sono nuove,» le spiegò Sonny mentre spostava l’equipaggiamento da campeggio per arrivare alla sacca da viaggio di Delanna. «Be’, o almeno lo erano quando hai lasciato Keramos. Usammo un tipo di ceramica estremamente luminosa sotto la luce del sole, ma molto opaca alla luce della luna. Ce ne rimase a sufficienza per rivestire anche la casa di tua madre.» Con un gesto vago indicò le fitte ombre del sottobosco. «Prendi Cleo, io ti mostrerò la strada. Ormai il giardino ha cancellato quasi completamente il sentiero.»

In una delle baracche si accese una luce e Delanna vide le sagome di due ragazzi mentre correvano davanti alle finestre. La porta si aprì con un tonfo. «Sonny, sei tu?» urlò uno di loro dal portico davanti alla porta. «Io e Wilkes stavamo dormendo.»

«Sì, proprio,» borbottò Sonny. «Probabilmente sono arrivati fin qui di corsa dallo stagno dopo avere visto il riflesso dei raggi lunari sul solaris quando siamo scesi lungo la collina. Sanno che non mi piace che vadano a pesca senza di me o B.T.» Stava scuotendo la testa, ma non sembrava troppo arrabbiato. «Sono io!» gridò ai ragazzi. Poggiò la sacca sul solaris e chiuse il tettuccio. «Visto che siete svegli, venite a mettere queste oche nel recinto, così potrete salutare anche Delanna.»

Mentre il ragazzo più alto si avviò verso di loro con la stessa andatura strascicata che Delanna aveva visto usare a entrambi i suoi fratelli maggiori, quello più piccolo corse a rotta di collo verso di loro, si gettò contro Sonny fingendo di volerlo placcare, ma poi lo abbracciò con grande affetto.

«Questo è Harry,» lo presentò Sonny, mentre stringeva ancora il bambino che si divincolava e che aveva già spostato la propria attenzione da Sonny a Delanna. Le stava sorridendo.

«Salve,» lo salutò Delanna. Harry era tutto un sogghigno, aveva i capelli arruffati inargentati dalla luce della luna e gli occhi troppo luminosi per essersi appena svegliato. Delanna pensò che dovesse avere sui sette anni.

«E questo è Wilkes,» disse Harry, indicando il fratello.

Wilkes era magro, molto alto e dimostrava circa undici o dodici anni. I suoi capelli erano arruffati come quelli del fratello minore, ma più scuri. Tese la mano con aria seria a Delanna, che la strinse.

«Harry, ma hai fatto almeno una doccia da quando sono andato via?» chiese Sonny, arricciando il naso mentre metteva giù il bambino.

«Certo che l’ho fatta: mi ci ha costretto B.T.,» replicò Harry in tono indignato.

«E così non hai fatto la doccia da quando B.T. è andato via, eh?»

Harry ignorò Sonny e si girò verso Delanna. «Sei stata davvero in un’astronave?» le chiese Harry. «Fa molto freddo lassù nel buio? Non mi piacerebbe se non spuntasse mai il giorno. Ho scattato una fotografia della Gripsholm. È la prima nave ad avere fatto scendere una navetta su Keramos. Vuoi vederla?»

Harry aveva preso Delanna per mano e lei si sarebbe fatta guidare via, tanto era affascinata da quel piccolo chiacchierone, ma Sonny afferrò Harry per la manica della camicia.

«Va’ ad aiutare Wilkes con le oche, Harry. Domani mattina potrai mostrare la fotografia a Delanna.»

«Ma Sonny…» iniziò a protestare Harry, però Wilkes aveva sostituito il fratello maggiore nello stringergli la camicia e adesso stava trascinando Harry verso il rimorchio. «Buonanotte, Delanna,» le augurò Harry in tono rassegnato. Lottò per liberarsi della presa del fratello per qualche istante, poi si immobilizzò di botto, ma Wilkes continuò a stringere la manica e, senza fermarsi, lo trascinò fino al rimorchio. Gli starnazzi allarmati delle oche coprirono la risatina maliziosa di Harry.

«Da questa parte, Delanna,» la invitò Sonny. Aveva messo la sacca sotto un braccio e Cleo sotto l’altro e stava camminando attraverso un oscuro intrico di erbacce. Delanna lo seguì da vicino, a stento capace di vedere il sentiero che stava seguendo attraverso il sottobosco. Piante sconosciute dalle foglie nere le sfiorarono le braccia e le gambe, alcuni rami si ruppero sotto i suoi piedi. Uscirono su un sentiero di ghiaia sgombro di erbacce e poi arrivarono a un portico di pietra davanti la casa.

Delanna non ricordava che davanti alla casa della madre ci fosse stato un portico di pietra. «Ma io ricordo un portico di legno,» si stupì, «e pensavo che ci fossero delle pergole.»

«Questa è un’aggiunta recente,» le spiegò Sonny. «Le pergole sono sull’altro lato, quello da cui si può ammirare il panorama.» Salì i due scalini di pietra con un solo passo, poi passò Cleo a Delanna in modo da potere aprire la porta della casa. «Devo accendere la luce,» annunciò, entrando prima di lei. «Anche l’interno non ti sembrerà più lo stesso, perché, quando vivevamo con tua madre, abbiamo aggiunto una vera cucina alla casa, dunque adesso è più grande di prima.»

Non sembra più grande, pensò Delanna quando la luce si accese, ma solo strana. Anche se la cucina in cui era entrata non le era familiare, riconobbe il tavolo di legno con le gambe che terminavano in zampe di leone. Ormai era quasi bianco per tutti gli anni in cui era stato pulito con la candeggina, e il suo ripiano portava le cicatrici provocate da infinite pile di verdure che erano state pulite o tagliate a dadini sulle sue assi semplici ma robuste. Al di là del tavolo, gli scaffali di ceramica azzurra scheggiata che occupavano la parete più lunga della casa, andando dal pavimento al soffitto, erano gli stessi che Delanna ricordava di avere visto sopra il camino; riconobbe anche le grandi pentole e le padelle della madre e perfino il motivo floreale che decorava i piatti. La parete in cui si apriva il grande camino era stata sfondata e adesso Delanna poteva vedere quella che, in precedenza, era stata l’unica stanza della casa. Quella che era stata la zona cucina quando la casa aveva avuto un’unica camera adesso era stata arredata con qualche sedia e un tappeto e formava un piccolo salotto di fronte al camino; il letto e il baule della madre erano lungo la parete opposta, accanto alla porta. Senza dubbio il portico che Delanna ricordava si trovava oltre quella parete.

«È rimasta più o meno uguale a come l’aveva lasciata tua madre,» spiegò Sonny. «Io e i ragazzi ci siamo limitati a ripulirla un pochino.»

La casa era immacolata. Avevano perfino pulito i pavimenti con la candeggina e il tappeto davanti al camino, anche se aveva un’aria consunta, sembrava essere stato sbattuto da poco. Nell’aria non c’era neppure l’odore di stantio che avrebbe dovuto caratterizzare una casa rimasta chiusa per quasi un anno. «C’è un bagno?» chiese Delanna in tono speranzoso. Vedeva che il vecchio lavandino era stato dotato di una pompa e di un tubo di scarico. Forse avevano sostituito anche il gabinetto esterno.

«Be, sì, una specie,» rispose Sonny, mostrandole una stanzino dietro la cucina, costruito con le stesse mattonelle, solo che la maggior parte di esse erano fatte di frammenti incollati insieme. «C’è solo una doccia a gravità, ma puoi riscaldare l’acqua usando questa piccola stufa.»

La stufa era fatta di ceramica annerita dalla fuliggine ed era molto fredda al tocco. La doccia non era che un piatto di ceramica protetto da una tendina e dotato di un foro di scolo. La tazza era di un tipo che Delanna aveva visto solo in vecchie fotografie, ma, considerando l’alternativa, era felice che ci fosse.

Sonny stava fissando accigliato la doccia, come se fosse insoddisfatto. Ma quando si accorse che Delanna lo stava osservando, si affrettò a dire, «Posso accendere il fuoco nella stufa prima di andare via. So quanto ci tenevi a fare un bagno, ma forse per stasera una doccia andrà bene. Domani tenterò di immaginare qualcosa…» Era entrato nella minuscola stanza da bagno e osservava la doccia come se stesse prendendo delle misure. «Ho un vecchio tino che potrei pulire, forse entrerà…»

Delanna toccò la spalla di Sonny per richiamare la sua attenzione. «Me la caverò benissimo, Sonny. Mi preoccuperò della doccia domani. Va tutto bene.»

«Quando aggiungemmo il bagno, tua madre riutilizzò tutto il possibile per risparmiare denaro,» spiegò Sonny. «Io penso che lei… Be’, penso che avesse tutto il diritto di riutilizzare quello che voleva.»

Delanna annuì in modo incerto. Sua madre le aveva scritto di avere avuto una discussione con Sonny perché lui non voleva riutilizzare della ceramica perfettamente buona, solo perché poche mattonelle erano rotte. Ma non erano state così poche: la gran parte di quelle mattonelle erano rotte. Doveva esserci voluta molta pazienza per disporre i loro frammenti sulla parete e fissarli con il cemento… davvero molta pazienza.

«È tutto molto più arrangiato di quello a cui sei abituata,» si scusò Sonny.

«Me la caverò benissimo con le cose di mia madre,» gli assicurò Delanna.

Sonny sembrò sollevato. Delanna sorrise e si aspettò che le augurasse la buonanotte e andasse via, ma Sonny rimase lì a guardarla.

«Cosa c’è?» gli chiese Delanna. «C’è qualche problema?»

«Problema? No. Um, le notti sono molto fredde. Ti accenderò il fuoco, se vuoi.» La sfiorò quando si avvicinò alla cassetta della legna e iniziò ad accendere il fuoco nel grande camino che separava le due stanze.

Delanna poggiò i fior-di-rosa sul tavolo, poi andò nell’altra stanza per mettere Cleo su un cuscino. Lo scarabeo non aprì neppure un occhio: si stava abituando a essere sistemato in posti strani come un cappello sformato, oppure un cuscino imbottito di piume. Il vecchio baule da spaziale della madre di Delanna era ai piedi del letto; era ben misera cosa se paragonato a quello di Delanna, ma le serrature funzionavano ancora e il coperchio si aprì abbastanza facilmente. All’interno c’erano lenzuola impilate ordinatamente su un lato e libri mastri sull’altro, mentre in mezzo c’erano alcuni pacchi. Delanna fece per chiudere il baule, pensando che lo avrebbe esaminato meglio la mattina seguente, quando si rese conto che tra i libri mastri c’erano numerosi altri libri, di dimensioni più piccole. Li tirò fuori, ansiosa di vedere che tipo di libri sua madre avesse deciso di conservare in forma cartacea. La maggior parte delle persone usavano lettori portatili o addirittura i loro terminali vega per leggere libri di intrattenimento, dunque si tendeva a conservare i vecchi libri rilegati solo quando erano ricordi cari, oppure oggetti da collezione. Prese il primo libro della pila. Aveva una copertina rossa, senza graziose lettere dorate; un titolo scritto a mano con inchiostro nero diceva Diario di Serena Milleflores.

«Mia madre teneva un diario?» si chiese Delanna, aprendo il libro a caso. La carta era molto sottile, ma liscia e opaca.

«Sì, i vari volumi sono nel suo baule,» rispose Sonny, sporgendo il volto oltre il camino. «Oh, vedo che li hai trovati.»

«Non sapevo che mia madre tenesse un diario,» commentò Delanna, sedendosi sull’orlo del letto. Aprì il libro a caso: la madre aveva scritto usando la stessa calligrafia piccola e stretta delle lettere che aveva spedito a Delanna.

Oh, mamma! pensò Delanna, provando un improvviso tuffo al cuore. Chiuse il diario e rimase seduta lì, con il libro in grembo, pensando alle lettere della madre e poi alla lettera ricevuta dall’avvocato su Rebe Primo. «Siamo dolenti di informarla del decesso di sua madre…»

«Penso che li leggerò più tardi,» affermò poi, ricacciando indietro le lacrime.

Sonny la guardò, ma non disse nulla. Aveva accesso un fuoco che crepitava allegramente nel camino ed era venuto in salotto per tirare la tenda. Le luci tremolarono.

«Qui non abbiamo una batteria molto grande,» si scusò. «Le luci si spegneranno tra dieci minuti, che tu lo voglia oppure no. Laggiù, accanto alla radio, c’è un’ottima lanterna, ed entrambe useranno automaticamente la batteria di riserva se ne hai bisogno durante la notte. Ma tutto il resto funziona sfruttando le cellule principali per l’immagazzinamento dell’energia.»

«Tutto il resto?» si stupì Delanna, guardandosi intorno. A parte la radio e le luci, non riuscì a vedere nulla che consumasse energia elettrica: nessun terminale vega, nessun rinfresca-vestiti e nessun sistema computerizzato. Perfino la coperta sul letto era fatta con pezze di flanella cucite insieme, non era una di quelle coperte dotate di sensori di temperatura e unità di risposta.

«C’è la pompa dell’acqua,» spiegò Sonny. «Se hai sete, adesso potresti anche bere. Anche se c’è sempre dell’acqua nel serbatoio dell’acqua calda, che è dotato anche di un rubinetto.»

«Be’, forse dovrei riempire una brocca d’acqua,» commentò Delanna, dirigendosi in cucina. Prese una brocca bianca dallo scaffale e andò al lavandino per riempirla in modo che, prima di andare via, Sonny potesse vedere che l’aveva fatto davvero. Voleva anche essere sicura di sapere come fare uscire l’acqua. Era più che certa che non ci fosse nessuna unità computerizzata a cui avrebbe potuto rivolgersi per chiedere informazioni.

«Premi solamente il rubinetto,» le spiegò Sonny, dopo averla osservata tirare e poi spingere le leve sul lavandino.

Delanna spinse e l’acqua uscì dal rubinetto, che funzionava in modo molto simile a quello di una borraccia da picnic. Riempì la brocca, la poggiò sul tavolo e vi mise dentro il mazzo di fior-di-rosa. Poi riempì un’altra brocca per sé.

«Hai fame?» le chiese Sonny. Aveva aperto la credenza dietro il tavolo. Era piena di vasetti di ceramica e di contenitori di terracotta. «Questi cracker sono ottimi con il formaggio,» commentò, togliendo il coperchio di uno dei contenitori.

«No, non ho fame. Ma sono molto stanca,» rispose Delanna, quasi in tono di rimpianto. Non voleva dirgli davvero di andare via, considerato soprattutto che stava cercando con tanta sollecitudine di metterla a proprio agio, visto che Delanna non sapeva ancora orientarsi molto bene in quella casa. Ma stava iniziando a sentirsi così stanca che pensava che se si fosse seduta al tavolo per consumare uno spuntino, sarebbe finita a russare con la testa nel formaggio.

Sonny prese alcuni cracker prima di rimettere il coperchio sul contenitore. «Be’, immagino che sia meglio che vada a controllare le oche. Devo assicurarmi che Harry e Wilkes abbiano chiuso la porta del pollaio.» Chiuse la credenza e andò alla porta. Delanna lo vide rivolgere un’occhiata ai fior-di-rosa e sorridere prima di uscire nella notte.

Le luci tremolarono di nuovo. Forse è il preavviso che mancano cinque minuti? si chiese Delanna. Entrò nell’altra stanza, dove aveva visto il cassettone della madre. Nel secondo cassetto trovò alcune camicie da notte. O almeno avevano l’aria di esserlo, visto che si trattava di lunghi abiti sciolti, tutti in sfumature pastello. Però non avevano un’aria comoda, come avrebbero dovuto averla della camicie da notte. Prese quella più morbida proprio nell’istante in cui le luci si spensero. Che fosse una camicia da notte oppure no, per quella sera lo sarebbe diventata. La luce proveniente dal camino fu sufficiente per permetterle di trovare il letto senza inciampare da nessuna parte. Lasciò i vestiti di Cadiz in un mucchio sul pavimento, indossò l’indumento consunto e scostò le coperte dal letto. Sentì Cleo fare la fusa sul cuscino. Sarebbe stato bello fare un bagno, ma dopo settimane di campeggio all’aperto, il pensiero di un vero letto era ancora più attraente. Spostò leggermente Cleo e poggiò il volto sul cuscino. L’ultima cosa che ricordò furono gli starnazzi delle oche.


I loro starnazzi furono anche i primi rumori che udì al risveglio, seguiti dalle urla di Harry; il tutto proveniva direttamente da sotto la finestra della sua camera da letto. La luce del sole filtrava dalla finestra e Cleo non era più sul cuscino. Delanna scese dal letto, sicura che sarebbe dovuta andare a salvare le oche da Cleo, anche se non riusciva a capire come avesse fatto lo scarabeo a uscire dal letto. Ma Cleo era sul tavolo della cucina, impegnata ad assaggiare i petali dei fior-di-rosa; un biglietto, anch’esso mordicchiato da Cleo, che evidentemente non lo aveva trovato di suo gusto, rivelò a Delanna che Sonny era entrato nella stanza di mattina presto per accendere il fuoco nella stufa per l’acqua calda.

Guardò fuori della finestra della cucina, verso gli alberi di palle di cannone che fiancheggiavano la strada fin dove giungeva lo sguardo: la sommità di una cresta rocciosa che doveva essere distante molte miglia. Delanna rimase sorpresa che le piantagioni fossero tanto vaste, anche se era ragionevole che seguissero il tracciato della strada, poiché così era più facile arrivarvi con l’equipaggiamento per la raccolta, ammesso che esistesse.

Più vicino, nel punto in cui la strada terminava davanti alla casa, qualcuno aveva srotolato sul solaris i pannelli per la raccolta dell’energia solare; Delanna vide anche dei piedi che spuntavano da sotto il veicolo, così immaginò che Sonny stesse di nuovo provando ad aggiustarlo. Invece il piccolo Harry stava tentando di condurre le oche dal pollaio allo stagno, ma stavano andando nella direzione sbagliata: ormai erano quasi tornate al pollaio e Harry stava cercando di arrivare lì prima di loro, senza dubbio per chiudere la porta prima che entrassero dentro e si rifiutassero di uscire di nuovo. Delanna ebbe la tentazione di andare ad aiutarlo, che durò solo fino a quando non diede un’altra occhiata al biglietto che stringeva in mano. Non ebbe bisogno di una seconda occhiata per stabilire che, per prima cosa, avrebbe fatto una doccia. Le unghie e le nocche erano nere e i suoi capelli erano così sporchi che le prudeva il cuoio capelluto; le oche non sarebbero state certo più felici con due persone a dare loro la caccia. Tornò in camera da letto per trovare degli asciugamani e qualcosa da indossare che non fossero gli abiti sporchi di Cadiz.

Gli asciugamani erano nell’armadio delle lenzuola, proprio dove Delanna ricordava che erano sempre stati, e trovò anche un vestito sciolto e con le maniche corte appeso tra i pantaloni da fatica e le camicie, tutte apparentemente troppo grandi per lei. Prese il vestito, se lo strinse in vita usando la cintura della gonna di Cadiz e si diresse verso la doccia. In un primo momento, l’acqua fu calda e carezzevole, ma si era appena lavata i capelli per la seconda volta quando iniziò a diventare fredda. Iniziò subito a risciacquarli, ma non abbastanza in fretta da evitare un risciacquo finale nell’acqua ghiacciata. Dopo essersi asciugata e avere indossato il vestito aveva ancora la pelle d’oca, così prese un pettine e andò a sedersi alla luce del sole per asciugarsi i capelli. Cleo la seguì zampettando.

All’esterno della camera da letto c’era un vero portico, con una panca e un tavolo per lavorare all’aperto. Il giardino ormai lambiva i gradini e le piante si arrampicavano sui pergolati, dove Cleo aveva già adocchiato una profusione di boccioli rosa che avrebbe potuto gustare a suo piacimento. Delanna si guardò intorno per vedere dove fossero le oche e le trovò che nuotavano con aria soddisfatta nello stagno. Era improbabile che attirassero l’attenzione di Cleo a quella distanza, e così si limitò a chiamarla, invece di andare a prenderla.

Scesero in giardino, dove, mentre si asciugava i capelli al sole, Delanna poté dare un’occhiata più da vicino alla piante in fiore e a quelle che stavano per fiorire. C’erano molte candele di scimmia e alcune facce-di-zucca appena fiorite. Nei dintorni della casa il giardino sembrava ben curato: i fiori crescevano in file ordinate, le piante erano state palettate. Ma più Delanna si allontanava dalla casa, più la vegetazione diventava fitta e intricata. Tentò di pettinarsi i capelli mentre camminava, ma, dopo qualche minuto, infilò il pettine nella cintura in modo da usare entrambe le mani per raddrizzare un bocciolo pendulo, ammirandone i petali arancioni e aspirandone la dolce fragranza.

«Lo senti questo profumo, Cleo?» chiese al piccolo scarabeo che si estendeva per vedere ciò che Delanna sembrava trovare tanto interessante. Erano vicine all’angolo del giardino in cui una folta siepe fiancheggiava l’intrico di vegetazione. In quel punto fiori e ortaggi crescevano fianco a fianco: ormai era impossibile riconoscere qualsiasi schema avesse regolato in precedenza quella confusione. La pianta cespugliosa che Delanna stava osservando somigliava a una cascata di foglie che spuntassero da un letto di rape, ma i fiori erano assolutamente adorabili. «Penso che sia una peonia, anche se non ne ho mai vista una così grande.»

«Con chi stai parlando?» le chiese la voce di Harry, facendola balzare in piedi.

Si voltò di scatto e vide che il bambino era a un paio di metri di distanza, seduto a gambe incrociate tra le piante mentre il succo di un frutto con un colore tra il rosso l’arancione gli scorreva lungo la mano e il mento. In grembo aveva una ciotola di metallo. «Ciao, Harry,» lo salutò. «Vedo che sei riuscito a portare le oche allo stagno.»

«È quello lo scarafaggio?» le chiese Harry mentre si alzava. «Non pensavo che l’avresti portato qui fuori. Sonny mi ha detto di stare attento a Doc Lyle e tutto il resto.» Harry saltellò agilmente tra le piante a piedi nudi, tenendo in equilibrio nella mani la ciotola e il frutto mangiato a metà.

«Lei non è uno…»

«Scarafaggio,» finì per lei Harry quando notò Cleo, che si era rannicchiata ai piedi di Delanna. «Sonny ha detto che non fai che dire questa frase. Però di sicuro somiglia a uno scarafaggio, e per giunta a uno scarafaggio bello grosso.» Passò a Delanna la ciotola e il frutto gocciolante e si chinò per prendere Cleo. Lo scarabeo si ritrasse completamente e Harry scoppiò a ridere, deliziato. «Ti nascondi lì dentro, Cleo?» chiese lui, battendo gentilmente sulla piastra toracica. «Oh, ma senti quant’è liscia!» Fece cadere qualche goccia di succo sulle piastre di Cleo e il liquido rifletté i raggi del sole. «Ohh,» mormorò Harry, girando Cleo in modo che le sue piastre catturassero meglio i raggi del sole. «Guarda qui. Ma è bellissima!»

Il carapace di Cleo si sollevò leggermente: lo scarabeo sapeva quando qualcuno lo stava ammirando. Harry continuò a fissarlo a bocca aperta, aspettando che succedesse qualcos’altro. Delanna poggiò il frutto nella ciotola e allungò una mano per accarezzare il carapace di Cleo. Lo scarabeo si ritrasse di nuovo e Harry guardò Delanna, come se fosse convinto che Delanna avesse il potere di costringere Cleo a fare qualcosa che l’animale non voleva fare. «Ci vorrà un po’ di tempo prima che si abitui a te, Harry,» gli spiegò Delanna in tono gentile. «Probabilmente la cosa migliore che potresti fare per abbreviare le cose è metterla giù e aspettare che sia lei a venire da te.»

Harry poggiò Cleo accanto alla peonia e si accovacciò accanto a lei, con il naso a non più di trenta centimetri di distanza. Lo scarabeo rimase raggomitolato a palla mentre Harry lo fissava con aspettativa.

«È meglio che andiamo a sbrigare le nostre faccende, Harry,» suggerì Delanna, prendendolo per mano. Cleo non avrebbe certo familiarizzato con Harry nei prossimi quindici secondi, ovvero, almeno secondo Delanna, il lasso di tempo massimo per cui un bambino di sette anni sarebbe rimasto paziente. «Cosa stavi facendo, per caso sarchiavi le erbacce?» gli chiese Delanna, dando un’occhiata alle piante nella ciotola.

«No, facevo colazione,» rispose Harry, allungando una mano nella ciotola per prendere il frutto che aveva mangiato a metà. «E devo portarne qualcuno anche a Wilkes e a Sonny. Solo perché devono aggiustare il solaris, io devo raccogliere la colazione anche per loro. Però loro non mi aiuterebbero mai con le oche! Non è giusto, ecco cosa.»

«Anch’io dovevo prendermi cura delle oche, quando ero piccola,» gli rivelò Delanna.

«E scappavano via anche da te?» le chiese Harry.

«Sì, eccome se scappavano! Ma solo fino a quando non imparai a ingannarle,» spiegò Delanna. Si erano allontanati di un paio di metri da Cleo, che era ancora ritratta nel suo carapace. «Che cosa dovresti raccogliere, Harry?»

«Raccogliere,» ripeté Harry, inghiottendo l’ultimo boccone di frutto. «Oh, ma la colazione. Tutto quello che è maturo; di solito, pomarance,» spiegò, sollevando il frutto rosso-arancione. Ecco cos’era. In effetti, il frutto sembrava davvero un incrocio tra un pomodoro e un’arancia.

«Come riesci a imbrogliare le oche, Delanna?» le chiese Harry.

Delanna si rese conto che in quella parte del giardino crescevano esclusivamente ortaggi e che non sapeva riconoscere la maggior parte di essi. «Tu raccogli e io ti reggo la ciotola,» propose Delanna a Harry. «E mentre raccogli, ti racconterò in che modo sono riuscita a imbrogliare le oche.»

Ovviamente sarebbero bastate poche frasi per spiegare il trucco. Ma il piano di Delanna era di tenere Harry occupato con qualcosa che non fosse Cleo — che appena adesso si stava estendendo con cautela e li osservava con diffidenza — e di rimanere al sole, in modo che i suoi capelli potessero asciugarsi. Nel frattempo avrebbe immaginato quali parti di quelle piante fossero commestibili osservando Harry mentre le raccoglieva. Il raggiungimento di tutti quegli obiettivi richiedeva una storia molto lunga e così Delanna iniziò da quando aveva aiutato Doc Lyle a vaccinare le oche allo spazioporto.

Harry la stette ad ascoltare con espressione affascinata, mentre entrambi strisciavano a quattro zampe nel giardino fino a quando il bambino non si fermava per strappare una pianta dalla radice oppure per raccogliere solo le foglie di un’altra. Gettava tutto nella ciotola, dove Delanna ne assaggiava dei pezzetti. Qualche volta Harry si immergeva completamente nella storia e Delanna doveva esortarlo a muoversi per continuare a raccogliere le verdure. Erano giunti all’estremità opposta del giardino, dove i rampicanti e le foglie erano pili spessi e più alti: probabilmente si trattava della sezione del giardino che, quell’anno, era fiorita prima. Lì Harry divenne più selettivo, evitando di raccogliere i frutti più grossi e probabilmente più acerbi. Adesso Cleo li stava seguendo più da vicino; Delanna la intravide abbastanza spesso da intuire che anche lei stava esplorando l’ambiente circostante: talvolta si allontanava di un filare o due di piante, qualche altra volta si avvicinava di più e Delanna sentiva le piccole unghie delle scarabeo sfiorarle i capelli.

«Pensi che adesso abbiamo raccolto abbastanza verdure, Harry?» gli chiese dopo avere terminato la sua storia. «Ormai la ciotola è quasi piena.»

Harry tornò indietro di corsa per dare un’occhiata alla ciotola e scrollò le spalle. «B.T. è via, dunque non dobbiamo raccogliere nulla per lui, ma Sonny è tornato e poi ci sei anche tu.»

«Quando era via, riempivi tutta questa ciotola?» gli chiese Delanna, immaginando che probabilmente B.T. e Sonny mangiavano porzioni eguali e dunque dovevano solo raccogliere qualche altra pianta per lei.

Harry scosse la testa. «Non usavo una ciotola,» rispose. «B.T., Wilkes e io ci fermavamo qui e mangiavamo tutto quello che volevamo.»

«Bene,» commentò Delanna, misurando a occhio la quantità di verdure raccolte, «se avessimo qualche uova d’oca, penso che basterebbero per preparare una bella frittata.»

«Ma noi abbiamo delle uova!» rispose Harry in tono allegro. «Ce ne sono due nel pollaio. Andrò subito a prenderle.» Balzò in piedi, pronto a correre verso il pollaio, poi guardò Delanna e sbarrò gli occhi. «Non hai ancora paura delle scimmie incendiarie, vero?»

«Perché me lo chiedi?» replicò Delanna, sicura di non volere saperlo. «Per favore, non dirmi che c’è una scimmia incendiaria alle mie spalle. È Cleo che mi tocca i capelli, vero?» Si girò.

Era davvero Cleo, che aveva infilato un’unghia tra i capelli di Delanna mentre si raggomitolava a palla nel palmo coriaceo di una scimmia incendiaria. Istintivamente, Delanna allungò una mano verso lo scarabeo, ma la scimmia lanciò Cleo di lato, gli occhi sempre fissi sul movimento dei capelli di Delanna, poi si portò appena fuori della portata delle braccia della ragazza con i passi danzanti caratteristici della sua specie. Un’altra scimmia prese al volo Cleo.

«Dalle un colpetto sul muso,» consigliò Harry a Delanna.

«Daglielo tu,» replicò Delanna. Adesso c’erano quattro scimmie incendiarie e Delanna non riuscì a immaginare in che modo creature tanto grandi si fossero avvicinate tanto senza che lei le avesse viste oppure sentite.

«Non posso,» rispose Harry. «Non sono abbastanza alto. E non servirebbe a niente neppure se battessi le mani.»

«Non spaventarle, oppure fuggiranno portandosi dietro Cleo,» lo avvertì Delanna. La scimmia che aveva in mano Cleo le stava carezzando le scaglie, evidentemente affascinata dalla loro lucentezza. Probabilmente la scimmia pensava che si trattasse di fuoco, come era capitato per i capelli di Delanna, che prese il pettine dalla cintura e iniziò a passarlo tra i capelli. La scimmia smise di accarezzare Cleo e la osservò. Le altre scimmie — adesso erano sette, ma all’esterno del giardino ce n’erano delle altre — fecero alcuni passi verso di lei con andatura elastica, ma quella che reggeva Cleo rimase immobile, fissando Delanna con i suoi occhi giallo-arancioni che non ammiccavano mai.

«Cavoli, i tuoi capelli devono davvero piacere un sacco alle scimmie!» commentò Harry. «A me non si sono mai avvicinate tanto.»

Delanna fece un mezzo passo verso la scimmia che reggeva Cleo, ma la scimmia fece un mezzo passo indietro. Allora Delanna passò il pettine tra i capelli, pettinandoli in avanti, sperando che la scimmia tentasse di afferrare il pettine. Il braccio della creatura ebbe una contrazione e, la volta seguente che il pettine scese in avanti, si allungò. Nello stesso istante Delanna tentò di afferrare Cleo, ma la scimmia incendiaria lanciò lo scarabeo in aria, molto al di sopra della portata di Delanna. Delanna gettò un grido, ma un’altra scimmia incendiaria prese al volo Cleo prima che colpisse il suolo.

«Hai visto? Che presa magnifica!» esclamò Harry in tono ammirato.

«Harry, non penso che tu stia prendendo questa faccenda abbastanza seriamente. So che queste scimmie non intendono fare del male a nessuno, ma Cleo potrebbe farsi male, se la lasciano cadere.»

«Quando lanciano bastoni in fiamme, non li fanno cadere,» spiegò Harry a Delanna. «E possono afferrarli da una sola estremità.»

«Harry, non mi stai aiutando granché,» replicò Delanna. «Voglio indietro Cleo, e la voglio subito. Ora andrò da quella scimmia incendiaria…» Iniziò ad avanzare con andatura decisa mentre parlava, sperando che il suono della propria voce le desse coraggio. «E se non mi ridà indietro Cleo, le farò…»

La scimmia incendiaria lanciò Cleo in aria e arretrò di alcuni passi. Delanna tentò di prendere al volo Cleo, ma una mano scagliosa le sottrasse lo scarabeo a mezz’aria. Delanna allungò di nuovo il braccio, sperando di cogliere di sorpresa la nuova scimmia, ma la creatura si limitò a lanciare Cleo prima che Delanna fosse riuscita ad avvicinarsi come aveva fatto con le altre. Prima ancora che Delanna potesse cambiare direzione, Cleo venne gettata di nuovo in aria e passata a un’altra scimmia e poi a un’altra ancora.

Le scimmie incendiarie erano ancora in un semicerchio intorno a Delanna, ma sembravano avere perso interesse nei suoi capelli. Adesso la loro nuovo fissazione era la sagoma luccicante del carapace di Cleo. Delanna decise di rimanere immobile, perché ogni volta che si muoveva verso una di loro, la scimmia lanciava di nuovo Cleo e il sole brillava sulle sue piastre, traendone riflessi simili ad arcobaleni in miniatura.

«Probabilmente a loro piace il modo in cui il sole si riflette sulle scaglie di Cleo,» commentò Delanna, desiderando di non averle mai lucidate. Ma cosa poteva fare? Le scimmie incendiarie avevano il completo controllo della situazione. Se avesse tentato di battere le mani, avrebbe potuto lasciar cadere Cleo, oppure fuggire portandosela dietro. Non poteva correre quel rischio. Avrebbe dovuto superarle in pazienza.

«Ma cosa sta facendo Cleo?» chiese Harry.

Harry era ancora all’esterno del semicerchio di scimmie e si riparava con una mano gli occhi dal sole mentre osservava Cleo lanciata da una scimmia all’altra. Delanna, all’interno del semicerchio, era costretta ad ammiccare ogni volta che Cleo passava tra i suoi occhi e il sole, ma adesso capì perché Harry le avesse rivolto quella domanda. Ogni volta che Cleo veniva lanciata, quando raggiungeva circa l’apice della traiettoria, estendeva completamente le zampe, agitandole, ma manteneva chiuso il carapace, come se sapesse che le zampe, estremamente sottili, non avrebbero distorto di molto la traiettoria. Delanna pensò che lo scarabeo fosse in preda al panico, ma poi lo udì fare le fusa mentre sibilava in aria e le zampe si muovevano freneticamente.

«Che piccola peste!» esclamò Delanna. «Si sta divertendo! Cleo, vieni qui immediatamente.» Ovviamente Cleo non le obbedì: non lo faceva mai, o almeno non subito. Ma dopo pochi minuti, quando una delle scimmie la prese, o Cleo prese la sua mano, non era più raggomitolata a palla. Chiunque fosse stato a effettuare la presa, Cleo zampettò giù dalla scimmia come se si fosse trattato di un palo che aveva usato per grattarsi e si gettò tra le braccia della sua padrona. Delanna batté le mani verso le scimmie incendiarie e loro arretrarono fulmineamente di qualche passo. «Su, andate via!» esclamò, battendo di nuovo le mani. Strinse al petto Cleo e quando sollevò di nuovo lo sguardo, solo due delle scimmie erano ancora visibili. Delanna emise un sospiro di sollievo.

«Di sicuro è stato un bello spettacolo,» commentò Harry, avvicinandosi e toccando Cleo prima che Delanna potesse dire qualsiasi cosa. Lo scarabeo non si ritrasse. Delanna immaginò che, dopo aver fatto da palla per le scimmie incendiarie, Cleo poteva tranquillamente sopportare l’ammirazione di un bambino.

«Questa piccola vanitosa mi ha fatto spaventare a morte,» confessò Delanna.

«Penso che le scimmie mangino solo carne cotta,» la rassicurò Harry. «O la roba che trovano nei fuochi. Ma non le ho mai viste prendere qualcosa per cuocersela da sole.»

«Hai sentito, Cleo? Avresti potuto finire arrostita,» commentò Delanna, accarezzando la scarabeo. «Brutta cattivona, assecondarle in quel modo!»

«Oh, a proposito di cibo. Sei ancora disposta a cucinare quella frittata?» le chiese Harry, pronto a correre in pollaio.

Delanna annuì e si guardò intorno, cercando la ciotola di verdure, quasi sicura che se la fossero portata via le scimmie. Ma la ciotola era esattamente dove l’avevano lasciata e non era stata neppure rovesciata. Si chinò a raccoglierla e iniziò a seguire Harry, che stava già salendo di corsa lungo il fianco della collina, diretto verso il pollaio.

Quando Delanna arrivò a casa, Harry aveva preso le due uova. Cleo diede una sola occhiata alle uova e poi si estese completamente, in modo da potersi trasferire su Harry.

«Ehi, le piaccio!» esclamò Harry, tentando di reggere sia le uova che Cleo. Avrebbe fatto cadere una delle uova, se Cleo non l’avesse afferrata svelta come un fulmine, poi provvide a rimproverare il bambino con un cinguettio adirato. «Le vuole tutte e due lei!» esclamò Harry e le passò anche l’altro uovo. Cleo avvolse le sue zampe intorno alle uova, come se volesse proteggerle.

Delanna stava lavando le verdure in cucina quando entrò Sonny. «Stai bene?» le chiese. «Wilkes e io abbiamo visto una banda di scimmie incendiarie sbucare dal retro della casa.»

«Oh, Sonny, avresti dovuto vederle!» esclamò Harry e mentre il bambino cominciava a raccontare, Delanna tagliò le verdure e le mise in una padella.

Sonny, assentendo nei punti giusti del racconto di Harry, sollevò una piastrella di ceramica sul bancone, rivelando un’unità di cottura a energia solare, e prese dalla credenza alcuni barattoli di spezie. Delanna le odorò una per una, ne riconobbe due come origano e pepe e rimise a posto le altre, anche se molte di esse avevano un aroma stuzzicante: non voleva rovinare la frittata usando qualche spezia locale che non sapeva come usare. Ma Sonny prese dalla credenza una delle spezie che Delanna aveva rifiutato e ne aggiunse un pizzico alle verdure.

«E allora Cleo inizia a fare… vrrrr, vrrrr,» stava raccontando Harry, poi imitò il volo di Cleo tra le scimmie incendiarie. Lo scarabeo era sul tavolo, nascosto sotto i fior-di-rosa con le sue due uova.

Delanna girò le verdure, incerta sul tempo di cottura di quelle più polpose. Sonny si avvicinò e infilò la forchetta in uno dei tuberi, assaggiandone un pezzetto. Annuì per indicare che erano pronte, poi si avvicinò al tavolo per prendere le uova, ma Delanna lo fermò. «È meglio che lo faccia io. Cleo non lo perdonerebbe mai a nessun altro,» spiegò.

«Ehi, ma cosa sta facendo Cleo?» chiese Harry, accorgendosi finalmente che si era nascosta con le uova. Aveva finito la sua storia e adesso sembrava che stesse pensando ad alta voce, avvertendo Delanna e Sonny di un evento che chiaramente erano in grado di notare anche loro, cioè che Cleo si stava nascondendo con le uova di oca.

Fu abbastanza facile sottrarre le uova a Cleo: erano troppo grandi affinché Cleo potesse metterle nel suo marsupio, ma lo scarabeo emise un cinguettio lamentoso quando le vennero tolte e un sonoro stridio quando Delanna le ruppe in padella. Delanna le restituì i gusci vuoti. Lo scarabeo li annusò, poi, con quello che poteva essere interpretato solamente come un atteggiamento di totale disprezzo, scese dal tavolo sulla sedia, scivolò sul pavimento e zampettò nell’altra stanza. Harry la seguì a quattro zampe.

«Ehi, Cleo!» esclamò. «Vuoi aiutarmi a costruire un palo per le oche?»

«Un cosa?» chiese Sonny, ma Harry non lo sentì.

«Gli ho detto di provare a mettere un pezzo di pane sulla lenza di una canna da pesca,» spiegò Delanna. «Le oche gli corrono dietro e così si possono condurre quasi dappertutto. È più facile che sbracciarsi e correre avanti e indietro.»

«Io non ci avrei mai pensato,» commentò Sonny.

«Neppure io. Ho imparato come si fa durante una lezione sul comportamento degli animali.»

Sonny aveva preso alcuni piatti dalla credenza e stava apparecchiando. Spostò i fior-di-rosa e Delanna pensò a quanto fosse stato bello riceverli e a quanto fosse stato piacevole fare la doccia quella mattina, senza citare il fatto che dal giardino della madre erano state eliminate tutte le erbacce e che tutto era così pulito. Milleflores non possedeva gli edifici lussuosi del lanzye dei Flaherty, ma di sicuro i suoi abitanti erano altrettanto gentili.

Harry tornò in cucina portandosi dietro Cleo, che si era raggomitolata a palla e aveva un’aria triste. Ma a Harry questo non importava: sembrava che gli piacesse semplicemente tenerla in mano. «Sonny,» aggiunse, «oggi andremo al frutteto, oppure tu e Wilkes lavorerete sul solaris?»

«Wilkes ha già capito cosa non andava nel solaris,» replicò Sonny.

Delanna girò di nuovo le uova. «Be’, è una vera fortuna,» commentò.

«Lo ha sistemato in modo che tiri avanti fino a quando non potremo fare aggiustare il motore,» spiegò Harry. «Era colpa di un pezzo di metallo piegato nella trasmissione, vero, Sonny?»

«Sì, in effetti è proprio così,» affermò Sonny, fissando con aria cupa il fratellino. «Ma se Wilkes sapeva qual era il problema, perché non mi ha avvertito via radio? Abbiamo costretto la carovana a rallentare per giorni!»

Harry scrollò le spalle. «Ma tu continuavi a chiedere di B.T.»

«Cadiz. ha continuato a chiedere di B.T.» Sonny rivolse un’occhiata esasperata in direzione di Delanna.

Delanna sorrise: Sonny sembrava avere dei problemi di comunicazione perfino con i fratelli. Forse non avrebbe dovuto essere così dura con lui se non riusciva sempre a spiegarsi perfettamente quando parlava con lei.

«E così andremo al frutteto?» chiese Harry.

«Io e Wilkes andremo al frutteto,» rispose Sonny. «Tu rimarrai qui, sbrigherai le tue solite faccende e aiuterai Delanna.» Si girò verso di lei con un’espressione dispiaciuta. «Dobbiamo scavare i canali di scolo nei frutteti prima che le piogge arrivino fin qui, dunque per un po’ di tempo non potremo pulire la sorgente termale.»

«Non c’è problema. Tanto, almeno per ora, non ho nessun costume da bagno da indossare. Il mio è rimasto nel baule, che è ancora in orbita, oppure si trova allo spazioporto, in attesa che Jay Madog vada a ritirarlo.» Tolse la frittata dall’unità di cottura. Aveva assunto un bel colore dorato. «Va’ a chiamare tuo fratello, Harry. La colazione è pronta.»

«Wilkes!» gridò Harry, senza neppure avvicinarsi alla porta. Poi, in tono di voce normale disse a Delanna, «Be’, ma allora è perché non hai altri vestiti che hai messo la camicia da notte di tua madre?»

«La camicia da notte?» Delanna abbassò lo sguardo sul proprio vestito. Aveva pensato che avesse un colore troppo vivace per essere una camicia da notte e poi era stato appeso accanto agli indumenti da lavoro, come se fosse un vestito da portare all’aperto. Sospirò. Adesso immaginò che gli indumenti color pastello nel cassettone fossero i vestiti della madre, anche se non avrebbe saputo spiegare come le era venuta quell’intuizione. Sospirò di nuovo. «Immagino che dovrei ringraziare il cielo di non averlo scoperto ascoltando la radio.»

La porta sbatté e Wilkes entrò. Si lavò le mani e si sedette a tavola, poi lo sguardo gli cadde su Delanna. Non rimase esattamente a bocca aperta, ma Delanna si accorse che anche lui era sorpreso di trovarla in camicia da notte. Forse le camicie da notte erano considerate come facenti parte dell’abbigliamento intimo? Dall’espressione del volto di Wilkes, doveva essere proprio così.

«Sì, è una camicia da notte, Wilkes. Pensavo che fosse un vestito, ma mi sono sbagliata,» gli spiegò allora, ma il ragazzo le rivolse un sorriso incerto, come per dirle che non gli importava. «Tu,» disse Delanna a Sonny in tono accusatorio, «avresti dovuto avvertirmi subito, invece di lasciare che preparassi la colazione in camicia da notte, probabilmente imbarazzando a morte i tuoi fratelli.» Delanna sbatté la padella sul tavolo davanti a loro.

Sonny si sedette. «Non penso che siano così imbarazzati, anche se prima di adesso non hanno mai visto una camicia da notte che non fosse coperta da qualcosa,» replicò. «Inoltre, sanno che non hai il tuo baule e che dovrai arrangiarti. E per quanto riguarda il fatto che non ti ho avvertito subito, be’…»

Stava forse per ricordarle che aveva tentato di avvertirla di non fare il bagno nel ruscello di sale e di non allontanarsi dalla carovana, ma che lei non lo era stato mai a sentire e che lo aveva aggredito come una furia almeno la metà delle volte, dunque, considerati i precedenti, perché avrebbe dovuto avvertirla che stava indossando una camicia da notte?

Ma Sonny non disse nulla del genere. Le rivolse un sorriso e rispose semplicemente, «Pensavo che ti donasse.»

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