Delanna si svegliò udendo i primi starnazzi delle oche per andare a preparare la colazione a Sonny, ma lui era già andato via quando arrivò alla baracca. Tornata a casa, vide che Ragazzone era davanti alla porta principale, insieme con altre scimmie, aspettando Cleo. Delanna entrò e la svegliò; lo scarabeo saltò letteralmente dal letto tra le sue braccia.
Delanna andò in cucina. Sonny aveva lasciato un biglietto: «Sarò tutto il giorno nel frutteto occidentale. Per favore, annota i rapporti sul tempo di Salazar’s Gap e Teapot Lanzye, specialmente le letture del barometro.»
Delanna prese nota coscienziosamente di quei rapporti, anche se non erano diversi dai rapporti di ogni altro lanzye: tempo caldo e secco. Clear Ridge annunciò, «Un paio di nuvole a sud. Ma penso che si tratti di un semplice acquazzone.» Annotando i dati, Delanna si chiese se si trattasse della linea di nuvole che Sonny aveva osservato alla sorgente la sera prima. Sorrise al ricordo del bagno nella sorgente, e di Sonny, poi iniziò a occuparsi delle pomarance, cantando mentre le lavava e le conservava nei sacchetti.
A metà della mattinata erano arrivati tutti i rapporti sul tempo, oltre alla dose giornaliera di pettegolezzi. Apparentemente Jay non aveva perso tempo dopo avere lasciato Milleflores. C’era una richiesta di localizzazione per lui e Evan Brigbotham si inserì per dire, «È diretto su a nord per consegnare un carico a Trickle.»
«E per vedere Lorita Rees.»
«Pensavo che stesse corteggiando Cadiz Flaherty.»
«Ma lei è fidanzata con B.T. Tanner.»
«E quando mai Jay ha dato importanza a una cosa del genere? Ricordi quella volta che la ragazza dei Collins si fidanzò con Miguel Sandros?» Raccontarono la storia con un mucchio di dettagli; Delanna, che stava portando i sacchetti di pomarance in soffitta, la ascoltò distrattamente.
C’era anche una buona notizia. L’epidemia di virus rosso si era estesa a due altri lanzye a sud e Doc Lyle era diretto laggiù per vaccinare le greggi. Delanna sapeva che non avrebbe dovuto essere felice per questo, ma lo era. Significava che Lyle non sarebbe comparso a Milleflores.
Nella tarda mattinata, smise di conservare le pomarance, preparò un cestino da picnic che includeva una crostata appena sfornata e poi fu tanto sporca di succo di pomarancia e di farina che fu costretta a farsi una doccia. Indossò dei vestiti puliti: un completo formato da pantaloncini verdi, una camicetta di pizzo e stivaletti dello stesso colore che arrivavano alla caviglia. Le scimmie incendiarie avevano portato Cleo da qualche parte per giocarci a palla, così Delanna riuscì ad asciugarsi i capelli al sole in santa pace mentre si dirigeva verso il frutteto.
Era più lontano di quando avesse pensato e quando udì il rumore della scavatrice il sole era già alto sulla sua testa. Non appena arrivò alla sommità della collina, il rumore cessò e si rese conto che Sonny doveva averla vista. Le andò incontro a metà strada, coperto di terra e di sudore, ma felice di vederla.
«Ho visto delle persone vestite così solo negli olosceneggiati,» commentò, poi, quasi come se fosse imbarazzato, le tolse il cestino di mano e distolse lo sguardo. «Laggiù c’è una specie di radura,» annunciò, facendole strada lungo il fianco della collina.
File e file di alberi di palle di cannone giravano intorno alla collina formando cerchi quasi concentrici; adesso almeno un quarto degli alberi erano fiancheggiati da canali profondi un metro, che servivano a raccogliere l’acqua piovana per innaffiare le radici, incoraggiandole a crescere in profondità invece che di lato e vicine alla superficie, dove non sempre c’era umidità sufficiente per alimentarle.
Si sedettero all’ombra di un albero dotato di una folta chioma e carico di frutti. Gli alberi erano stati troppo giovani per dare frutti quando Delanna era andata via da Keramos, e così lasciò che Sonny stendesse la tovaglia, in modo da potere dare un’occhiata più da vicino ai frutti screziati. Erano più grandi del pugno di un uomo e crescevano direttamente dal tronco su piccioli duri e spessi. Sulla testa di Delanna, i rami formavano una spirale quasi perfetta fino alla cima; ciascun ramo era carico di frutti per il primo paio di metri, poi iniziavano i rami secondari e le foglie.
«Le palle di cannone sembrano quasi mature,» commentò.
«Lo sono,» convenne Sonny, aggrottando la fronte mentre si univa a lei. «Vorrei che fossero un po’ in ritardo. Mancano ancora due settimane fino all’arrivo dei raccoglitori.»
«Non puoi chiamarli via radio e farli venire prima?»
Sonny scosse la testa. «Esiste un turno per il raccolto dei lanzye. Cambia a rotazione ogni anno.»
«Ma non può essere modificato?»
«No, a meno che le piogge arrivino in anticipo e facciano cadere le palle di cannone. Altrimenti, il turno viene fissato per legge, in modo che nessun lanzye possa avvantaggiarsi sugli altri.»
Anche se un raccolto matura prima di un altro, pensò Delanna. «Ma a voi proprietari di lanzye non viene mai in mente di ribellarvi contro tutte queste leggi?» commentò, poi comprese che Sonny avrebbe pensato che volesse riferirsi alle leggi matrimoniali. «Non ricordavo che gli alberi di palle di cannone crescessero così vicini,» si affrettò ad aggiungere.
«Questo è il primo anno che i rami producono frutti,» spiegò Sonny.
«Li hai potati in modo che anche i rami dessero frutti,» commentò Delanna.
Sonny annuì. «In quella scuola esclusiva, oltre a programmare un computer, insegnano anche come coltivare gli alberi di palle di cannone?» Aveva scartocciato un panino e adesso ne staccò un morso.
«Le lettere di mamma. Ha detto che ha discusso per due anni prima che tu ci provassi.» Quell’imbecille del ragazzo dei Tanner non saprebbe riconoscere un esperimento la cui riuscita è assicurata neppure se gli desse un morso sul naso.
Sonny deglutì sonoramente e annuì. «Tua madre non sempre aveva ragione, ma ammetto che aveva ragione sul potare i rami più piccoli e incoraggiare la crescita di quelli più spessi. E ammetto che all’inizio lo feci solo per… be’, per accontentarla. Adesso produciamo il cinquanta per cento in più rispetto agli altri coltivatori.»
«Su cos’altro tu e mia madre non andavate d’accordo?» chiese Delanna.
Sonny staccò un altro morso dal panino, borbottò qualcosa e si avvicinò alla coperta da picnic per trovare qualcosa da bere. Versò un po’ di succo di scimmia per entrambi e le passò l’altra metà del panino.
«Non vuoi dirmelo?»
«Dirti cosa?» chiese Sonny.
«Su cos’altro tu e mia madre non andavate d’accordo.»
Sonny scosse la testa.
«Perché no?»
«Mangia piuttosto.» Morse il panino. «Raccontami qualcos’altro sulla tua scuola. Cosa facevate quando le feste finivano e i preti non avevano ancora aperto i cancelli?»
«Tante cose,» rispose Delanna. «Se qualcuna di noi aveva dei gettoni, andavamo a uno dei chioschi, aperti tutta la notte, che vendevano dolci, oppure passeggiavamo per le strade.» Mentre Sonny mangiava, Delanna gli raccontò delle strade di Gay Paree, vivacemente illuminate, e del suo cielo affollato di velivoli.
Sonny finì di mangiare la crostata e si appoggiò al tronco dell’albero. «E camminavate tutta la notte?»
«Qualche volta. Se era estate, ci sedevamo sotto gli alberi nel parco e parlavamo fino a quando non ci addormentavamo.»
«Non avevate paura di dormire troppo?»
«Ci svegliava immancabilmente il rumore del traffico del mattino, proprio come tu, qui, puoi contare sugli uccelli. I canti degli uccelli sono più melodiosi del ronzio delle turbine e i K-cotteri erano assolutamente assordanti. La scuola non distava più di mezzo miglio dal punto in cui uscivano dal tunnel.»
Delanna lo guardò. Aveva chiuso gli occhi e pensò che forse lo aveva fatto addormentare, ma non appena smise di parlare, Sonny la esortò, «Raccontami dei K-cotteri.»
Delanna gli spiegò come quei veicoli viaggiassero, silenziosamente e velocemente, in tunnel a bassa pressione che traforavano il suolo di Gay Paree e come dagli ingressi di quei tunnel provenissero sempre rombi sonori e profondi. Gli raccontò dove andassero i K-cotteri e come era possibile salire a bordo di uno di essi anche se si era sprovvisti di gettone; mentre parlava, lo osservò, quasi sperando che si fosse addormentato. Sembrava esausto, e perché non avrebbe dovuto esserlo? Lavorava giorno e notte. Se continuava a parlare, forse avrebbe potuto riposare pochi minuti.
Ma Sonny si mise a sedere di colpo e disse, «Scusami, ma fa così caldo! Hai avuto i rapporti sul tempo da Salazar’s Gap e da Teapot?»
Delanna prese dal cestino gli appunti e glieli mostrò. «Tempo secco e caldo in tutti i lanzye,» affermò.
Sonny annuì con aria distratta mentre li studiava. Si alzò, scrutò con attenzione il cielo azzurro. Non c’era nulla da vedere, se non un uccello solitario che volava a bassa quota. Le restituì i rapporti. «Grazie per avermi portato il pranzo,» affermò. «Non preoccuparti di preparare la cena. Tornerò molto tardi,» poi si avviò verso la scavatrice.
«Potrei portarti qui la cena,» gli propose Delanna, ma Sonny era già andato via. Prima che avesse finito di rimettere tutto a posto nel cestino, sentì la scavatrice tornare in vita con un ruggito e Sonny si rimise al lavoro.
«Ora torniamo alle pomarance,» mormorò Delanna e iniziò la camminata di ritorno verso casa, ma quando arrivò era troppo accaldata per mettersi subito a lavorare.
Invece si sedette a leggere i diari della madre. Una volta tanto, sua madre non si lamentava di Sonny, ma del tempo. «Ieri sono arrivate le piogge, con due settimane di anticipo e senza alcun preavviso. Che clima assurdo! Un giorno ci sono cinquanta gradi e non si muove neppure una foglia, quello successivo inizia a soffiare un vento fortissimo e cadono chicchi di grandine grandi come uova d’oca! Abbiamo perso metà del raccolto delle pomarance. Avevo detto al ragazzo dei Tanner che avrebbe dovuto portarle dentro la scorsa settimana. La grandine ha rotto la maggior parte delle piastrelle sulla facciata della casa. E non so dove troveremo il denaro per sostituirle, visto che bisogna pagare la retta di Delanna e che ha bisogno di vestiti nuovi per partecipare al ballo di autunno.»
Delanna chiuse di scatto il diario e lo poggiò sul baule in cui erano conservati quei vestiti nuovi. Si tolse i pantaloncini, indossò i pantaloni da fatica e andò in cucina. Il minimo che potesse fare era assicurarsi che il raccolto delle pomarance fosse al sicuro in casa prima dell’arrivo delle piogge, specialmente se era probabile che giungessero senza alcun preavviso, come aveva scritto la madre.
Lavò e affettò pomarance per tutto il resto del pomeriggio, fece una doccia quando iniziò a infilarle nei sacchetti, preparò la cena, nonostante quello che le aveva detto Sonny, poi si dedicò di nuovo alle pomarance. Lavorò fino a sera, si fece di nuovo una doccia e andò a sedersi sotto il portico, aspettando Sonny e chiedendosi quando l’aria si sarebbe decisa a rinfrescarsi.
Non lo fece, neppure quando Delanna si arrese e andò a letto e, il mattino seguente, faceva ancora più caldo. Sonny aveva lasciato un altro biglietto. «Mi sono portato dietro il pranzo.» Non diceva in quale frutteto era andato a lavorare o quando sarebbe tornato. O quando era entrato. Delanna pensava che fosse entrato in casa all’alba, avesse scritto il biglietto e fosse uscito subito dopo.
Faceva un caldo torrido, anche se il cielo era lievemente velato. Troppo caldo per le scimmie incendiane, che erano sparite tutte. Quando Delanna uscì a raccogliere altre pomarance, Cleo vagava nel cortile, cercandole.
«Hai perso le tue compagne di giochi?» le chiese Delanna. «Penso che faccia troppo caldo per giocare.»
Faceva troppo caldo perfino per mettersi a spettegolare via radio. Mrs. Siddons si inserì, riferì il rapporto sul tempo e interruppe la comunicazione senza fare neppure un commento su Jay. O sul bagno che Delanna aveva fatto nel sale. «Qui ci sono trentasei gradi e non si muove un filo d’aria,» riferì. «Chiudo.» Delanna annotò la notizia, insieme con gli altri rapporti, con dita rese appiccicose dal sudore. Ventinove pollici e cielo velato a Ultima Thule. Trentatré gradi e cielo terso al lanzye Silvan Springs di Yamomoto. Trentadue gradi e cielo velato a Deepcut. Delanna lavò e mise nei sacchi il resto delle pomarance e andò ad appenderle in soffitta, in cui si soffocava nonostante il ventilatore. «Sessanta gradi a Milleflores,» borbottò e andò fuori per sedersi sotto il portico.
Il velo di nuvole era scomparso, non c’era un filo d’aria. Anche Cleo era sparita: probabilmente aveva cercato rifugio sotto uno dei cespugli o era andata alla sorgente. Delanna pensò di fare un bagno, ma solo la prospettiva dell’acqua tiepida bastava a farle sentire caldo. Invece fece una doccia, lasciando i capelli bagnati e uscì di nuovo sul portico.
Cleo era ancora via. Delanna andò a controllare il recinto delle oche. Lo scarabeo non era lì, ma le oche sembravano affrante e troppo accaldate perfino per starnazzare. Le lasciò uscire in cortile e riempì d’acqua il truogolo, cosa che di solito faceva accorrere immediatamente Cleo; quando non si fece vedere, Delanna decise che avrebbe fatto meglio ad andarla a cercare.
Si avviò verso la sorgente, aspettandosi che facesse ancora più caldo sul sentiero tra i cespugli, ma si era alzata una brezza che soffiava da sud-est e quando uscì dal boschetto, vide sopra le montagne un fronte nuvoloso come quello per cui Sonny aveva mostrato tanto interesse quella sera alla sorgente, solo che era più vicino. E più scuro.
Cleo non si vedeva da nessuna parte, come del resto le scimmie incendiarie. La superficie della sorgente sembrava immobile e calda. Delanna camminò sulle rocce fino al bordo della polla per vedere meglio le nuvole e quasi vi cadde dentro.
Dopo tutto, le scimmie incendiarie c’erano davvero: si trovavano sulla riva opposta della polla, lo stesso posto in cui lei e Sonny avevano visto Ragazzone la sera precedente. Adesso erano tutte lì, l’intera banda, immerse nell’acqua fino al collo.
Delanna le guardò, volse di nuovo lo sguardo verso il fronte nuvoloso, poi tornò direttamente alla casa e alla radio. «Valley View Lanzye,» stava dicendo qualcuno. «Trentasette gradi.»
Delanna sfogliò gli appunti che aveva preso, cercando Valley View. «Cinquantuno gradi e tempo asciutto,» avevano riferito quella mattina. Un calo di quasi quindici gradi nel giro di un paio d’ore! Cambiò frequenza. «Quarantasei gradi,» annunciò Mrs. Siddons, «e vento forte. Nuvole a sud-est,» aggiunse, poi interruppe la comunicazione.
Delanna fissò la radio, chiedendosi cosa avrebbe dovuto fare. Sarebbe andata a chiamare Sonny, se avesse saputo dove stava lavorando, ma lui non lo aveva scritto e suonare il clacson del solaris non sarebbe servito a nulla. Probabilmente non era tanto vicino da poterlo sentire.
Tornò sul portico. Da lì non riusciva a vedere la linea di nuvole, ma di sicuro a Milleflores la temperatura non era scesa: sembrava la stessa della mattina precedente. E di quella ancora prima. E forse le scimmie si comportavano sempre in quel modo, quando non giocavano con Cleo.
Però Delanna tornò in casa, prese un cesto e iniziò a raccogliere il resto delle pomarance e a metterle nel lavandino, senza preoccuparsi di perdere tempo a lavarle. Vuotò il cesto e andò nell’orto della cucina per portare dentro le verdure e gli ortaggi, raccogliendo tutto quello che fosse minimamente maturo, e alcuni mimkin e pomodori che non lo erano.
Quando ebbe finito, vide che le nuvole ormai sfioravano le cime degli alberi dei frutteti; si era alzato il vento, che arruffava le foglie e increspava l’acqua nel truogolo delle oche. Non c’era ancora alcun segno di Sonny. O di Cleo. Se il tempo peggiora, pensò Delanna, l’ultima cosa di cui ho bisogno è di andare in cerca di uno scarabeo fuggiasco. Mise l’ultimo dei piselli giganti, quasi maturo, sul bancone e si diresse di nuovo verso la sorgente.
La brezza era diventava vero e proprio vento, le nuvole coprivano metà del cielo; erano scure e avevano un’aria minacciosa. «Cleo!» gridò. «Vieni, Cleo! Ti lascerò aiutare a dare da mangiare alle oche!»
A metà strada dalla sorgente, intravide lo scarabeo alla base di un albero, mentre cinguettava rivolta a qualcosa nel cespuglio. Non appena vide Delanna, zampettò velocemente in un cespuglio redssie, ma Delanna si tuffò verso di lei e la afferrò per un angolo del carapace. «Cosa ci fai qui fuori, Cleo?» le chiese. «Stai infastidendo qualche povero uccello?»
Cleo lottò selvaggiamente, ma Delanna riuscì a non perdere la presa e a riportarla in casa. «Questo non è il momento di fare la cattiva,» la rimproverò, portandola in camera da letto. «Sta arrivando un temporale.» Scaricò Cleo sul letto e accese la radio, controllando tutte le frequenze.
«…Hashknife. Nuvole di polvere così alte che sembrano montagne in movimento…»
«…le piogge sono arrivate. Non le ho mai viste venire così in fretta.»
«Dotted Line. Trentasétte gradi e pioggia…»
«…portatele dentro prima che…»
«…non è un acquazzone. Ci siamo.»
«Rimani qui,» ordinò Delanna a Cleo, chiudendo la porta della camera da letto, poi corse di nuovo fuori. Cos’altro avrebbe dovuto fare? Ah, sì, doveva fare provvista di legna. Riempì la cassetta con dei ciocchi che prese dalla pila sul retro della casa. Il distillatore era ancora lì, non era stato ancora scaricato dal rimorchio. Delanna lo spinse, rimorchio e tutto, nel capanno, sbarrò la porta e andò a ritirare i vestiti che sbattevano selvaggiamente sulla corda.
Un’oca starnazzò verso di lei quando iniziò a tornare in casa, le braccia cariche di vestiti. Delanna li scaricò sul letto accanto a Cleo e corse fuori per radunare le oche. Iniziò a farle allontanare dal truogolo e a farle entrare nel recinto, pensando che almeno questo fosse più facile di bloccare Cleo, quando giunse una folata di vento; ululò attraverso il boschetto, disperse le oche e, subito dopo, cessò. Ovviamente le oche non erano ancora entrate nel recinto; adesso erano tutte all’esterno.
«Fantastico,» borbottò Delanna, iniziando a radunarle di nuovo e a contare le teste ogni volta che ne arrivava un’altra. Il maschio mancava e le altre oche si rifiutavano assolutamente di collaborare. Avrebbe dovuto prendere un po’ di grano per attirarle nel recinto, ma sarebbe andato bene anche un po’ di tutto quel pane in cucina, e la casa era più vicina. Corse dentro, afferrò il pane e andò a sbattere contro Sonny.
«Le piogge stanno arrivando!» le gridò al di sopra del vento che adesso stava ululando forsennatamente.
«Lo so!» gli gridò di rimando Delanna e lo superò. «Le oche! Bisogna radunarle e portarle nel recinto.»
Sonny le tolse il pane di mano e Delanna lo seguì di corsa. Stava iniziando a piovere: grosse gocce che non facevano che aumentare il terrore delle oche, che starnazzavano e correvano in circolo, senza neppure accorgersi del pane che Sonny tendeva loro. In preda alla disperazione, Delanna abbrancò l’oca più vicina e iniziò a correre verso il pollaio.
«Dobbiamo portarle dentro una alla volta!» gridò a Sonny, ma lui non era abbastanza agile per rincorrerle. Delanna spinse l’oca starnazzante nel pollaio e corse a prenderne un’altra. Sonny ne aveva bloccate due contro il recinto e Delanna riuscì a mettersene una sotto il braccio. Fu l’ultima volta che due oche furono vicine. Delanna fu costretta a correre avanti e indietro, portando un’oca per volta, mentre Sonny cercava di evitare che il resto dei pennuti non si disperdessero fino al ritorno di Delanna. La ragazza afferrò un’oca, ma Sonny gliela tolse di mano, esortandola a prenderne un’altra, cosa che Delanna fece; allora Sonny prese anche quella.
Adesso era iniziato a piovere sul serio e il vento spinse le gocce diagonalmente nelle nuvole di polvere, fino a quando piovve praticamente fango. Delanna si tuffò verso l’ultima oca e si rialzò stringendo un mucchio di piume caudali sporche di fango.
«Andiamo!» gridò Sonny.
Delanna sentì sulla mano la puntura di qualcosa di diverso dalle gocce di pioggia, così come l’oca, che iniziò a correre in preda al panico, le ali spalancate — l’unica cosa che non avrebbe dovuto fare, perché il vento la sollevò e Delanna riuscì ad afferrarla per le zampe quando l’oca era già a mezz’aria. Si girò e vide il sogghigno sporco di fango di Sonny, poi, lottando contro il vento, si diressero verso il pollaio. La temperatura aveva subito un calo drastico. Delanna stava congelando.
Una volta entrati nel pollaio, contarono in fretta le oche. «Ci sono tutte,» annunciò Sonny. «Porterò loro del cibo,» gridò. «Tu va’ in casa. In quelle nuvole c’è un mucchio di grandine.»
«Danneggerà le palle di cannone?»
«No, ma di sicuro può danneggiare noi. Va’!»
Delanna corse verso la casa sotto la pioggia, che adesso stava cadendo in grosse gocce gelide. La porta della cucina era aperta e stava sbattendo. Delanna la chiuse e iniziò a chiudere anche i battenti.
La porta della camera da letto era aperta. Per un secondo, non riuscì a ricordare se l’avesse lasciata aperta quando aveva portato dentro i panni e poi, con un tuffo al cuore, seppe di averlo fatto. «Cleo!» gridò, ma lo scarabeo non era né sul letto, né sotto di esso.
Delanna uscì di corsa sul portico, andando di nuovo quasi a sbattere contro Sonny. «Cleo è fuori!» annunciò con il fiato mozzo.
«Non l’avevi portata in casa?» le chiese Sonny con un’espressione stupita.
«Certo che l’ho portata in casa. Ma è scappata!» Delanna aprì di scatto la porta e il vento gliela strappò dalla mano. Non sarebbe mai riuscita a chiuderla da sola, ma Sonny era proprio dietro di lei. Insieme, riuscirono a chiudere la porta.
«Penso di sapere dove sia andata,» affermò Delanna e si avviò lungo il sentiero che conduceva alla sorgente.
La pioggia si era trasformata in palline di ghiaccio che si stavano accumulando in rivoletti mentre Delanna proseguiva lungo il sentiero, rischiando continuamente di scivolare. Cercò freneticamente nei cespugli su entrambi i lati, poi, davanti a sé, intravide un mucchietto di fango in movimento che poteva essere solo Cleo; lo scarabeo stava avanzando a fatica tra le pozze d’acqua. «Cleo!» gridò Delanna.
Lo scarabeo non si girò neppure, ma si allontanò nella direzione opposta alla massima velocità, dirigendosi verso l’albero sotto il quale Delanna l’aveva trovato in precedenza. Delanna corse verso di lei, scivolò nel fango e quasi cadde. Recuperò l’equilibrio, maledisse la propria stupidità, sollevò lo sguardo e vide Sonny, che, con aria trionfante, teneva sollevata Cleo per una zampa anteriore.
«L’ho presa!» esclamò in tono allegro, poi i cieli si aprirono.