CAPITOLO PRIMO

Non c’era nessuno ad aspettarla.

Delanna si fermò ai piedi della rampa della navetta, proteggendo gli occhi con una mano dall’intensa luce del sole che si rifletteva sulla striscia argentea della pista. All’estremità opposta, dove la pista scompariva nell’erba verdazzurra, scorse un tipico terminal da spazioporto e un edificio rettangolare di colore azzurro che doveva essere il magazzino, costruito da qualcuno decisamente a corto di immaginazione. Una strada in terra battuta attraversava in linea retta il paesaggio spoglio e privo di qualsiasi punto di riferimento, e conduceva alla fila di edifici, tutti di diverse e vivaci sfumature di colore, della città di Grassedge, apparentemente appollaiata sull’orlo dell’orizzonte. Delanna si scostò i capelli dal viso e si girò con le spalle al sole. Anche da quel lato non vide nulla, tranne un mare d’erba punteggiato da quelli che dovevano essere i campi irrigati delle fattorie; in lontananza, verso est, sorgevano le montagne, ma erano tanto distanti che Delanna non riuscì a scorgere neppure le loro cime, coperte di neve, che ricordava dalla sua infanzia.

«Non è venuto nessuno a prenderla?» le chiese il pilota della navetta quando scese dalla rampa.

«Sarebbe dovuto venire un vicino, ma forse mi sta aspettando al terminal.»

«Lo ritengo decisamente improbabile. Di solito i passeggeri usano il terminal per accamparvisi dentro fino a quando non li trasportiamo sulle navi.»

Delanna annuì: ricordava vagamente di essersi rannicchiata contro la madre in un sacco a pelo mentre attendevano che arrivasse la nave che l’avrebbe condotta su un altro pianeta dove sorgeva la scuola che doveva frequentare. La madre l’aveva accompagnata a bordo della navetta e solo quando il portello si era chiuso tra di loro, separandole, Delanna si era resa conto che sua madre non sarebbe andata con lei. Aveva pianto disperatamente per tutto il tempo che la navetta aveva impiegato per entrare in orbita e non si era calmata fino a quando qualcuno non le aveva offerto un gelato. Non ricordava molto altro, tranne di avere viaggiato in un solaris per quelli che le erano sembrati giorni e giorni, e di aver visto un incendio nella prateria, ma all’epoca aveva avuto solo cinque anni. Grassedge e le pianure da cui era circondata le sembravano solo vagamente familiari e il paesaggio era spoglio come sua madre lo aveva descritto nelle sue lettere. «Questo è un pianeta orribile,» le aveva scritto riferendosi a Keramos. «Spero che tu non debba tornare mai più qui.»

In effetti Delanna era tornata, ma si sarebbe trattenuta soltanto il tempo necessario per regolare la questione della proprietà della madre.

«Forse il mio vicino è accampato al terminal,» commentò Delanna in tono speranzoso rivolgendosi al pilota. «Non poteva certo sapere a che ora sarebbe arrivata la nave, vero?»

«Certo,» convenne il pilota. «Ma quando sono partito di qui all’alba, non ho visto nessuno accampato nel terminal.»

«Però sarà meglio che vada a dare un’occhiata in ogni caso.»

Il pilota scrollò le spalle con indifferenza e indicò l’edificio in ceramica verde, distante mezzo miglio, che sorgeva al limitare dello spazioporto. Anche così, Delanna distingueva meglio la lunga ombra proiettata dal terminal piuttosto che l’edificio stesso. «Segua la linea gialla.»

«Non mi starà mica dicendo che devo arrivarci a piedi?» gli chiese Delanna, rivolgendogli uno sguardo incredulo. Sapeva che anche i trasporti pubblici di Grassedge, la città più grande di Keramos, non erano neppure paragonabili a quelli di cui era dotata Gay Paree, la piccola città su Rebe Primo che ospitava l’Abbazia; inoltre sua madre l’aveva avvertita che Keramos era un pianeta primitivo, ma questo era addirittura ridicolo.

Il pilota di navetta scrollò di nuovo le spalle. «Gilby se n’è già andato a casa,» le spiegò. «Di solito è lui che si occupa dei passeggeri, quando ne abbiamo qualcuno, ma qualche volta non ce la fa ad andare oltre i bar della città.»

«Ma sicuramente ci sarà qualcun altro.»

Il pilota scosse la testa. «Ci siamo solo io e Gilby, fino a quando non giungerà l’epoca del raccolto autunnale delle coltivazioni destinate alla vendita,» spiegò, poi aggiunse in tono pensieroso, «Per quelli che le coltivano.»

«E lei?»

«Noi tentiamo di accontentare i passeggeri,» rispose il pilota con un tono che Delanna non trovò per nulla convincente, «ma devo scaricare la navetta prima che faccia buio. Le casse funzionano a energia solare e, come può vedere chiaramente anche lei, è quasi il tramonto.»

Delanna fissò l’enorme palla dorata all’orizzonte, sentendosi, sia pure per solo un istante, spaesata e triste come si era sentita quando era scesa per la prima volta su Rebe Primo: una bambina di cinque anni appena arrivata in una strana scuola situata in una strana città su un pianeta ancora più strano. Allora, come adesso, era stata completamente sola: i suoi amici erano rimasti a Gay Paree e ormai erano quasi dieci mesi che sua madre riposava in una tomba, da qualche parte nelle vicinanze di Milleflores Lanzye. Ma adesso lei non era più una bambina. Respirò a fondo.

«Non posso certo camminare con queste,» affermò, indicando le scarpe con i tacchi alti e ornate di un fiocco. Senza dubbio il pilota non poteva non rendersi conto che per lei camminare a lungo era assolutamente impossibile.

«Be’, immagino che se non le dispiace viaggiare su una cassa, potrei portarla fino al magazzino merci.»

Delanna osservò con attenzione la cassa, poi finalmente annuì: qualsiasi mezzo di trasporto sarebbe stato meglio di camminare.

Il pilota si chinò sotto la tozza ala della navetta e si avvicinò al portellone della stiva. Delanna lo osservò tirare una leva e poi scostarsi mentre la prima cassa scendeva lungo la rampa. Come tutte le altre casse, era sigillata, ma era dotata di serbatoi d’ossigeno e un cartello scritto a mano avvertiva, «Bestiame! Proteggere da sbalzi di temperatura estremi.» Udì uno starnazzare sommesso. Fantastico: avrebbe dovuto viaggiare su una cassa di oche, ma a Gay Paree aveva diviso i taxi con compagni di viaggio ancora più strani e alcuni di loro avevano avuto voci molto simili.

Si appollaiò sulla cassa metallica e strinse saldamente il portadocumenti da viaggio e la sacca mentre il pilota camminava a fianco della cassa, filoguidandola. Quando la cassa abbandonò la pista, il viaggio divenne alquanto disagevole e Delanna fu costretta a reggersi al gancio per la gru al centro della cassa.

Chiuse gli occhi per difendersi dai raggi del sole e si appoggiò al gancio. La luce del sole splendeva calda sul suo volto, nell’aria aleggiava un meraviglioso profumo di terra e di erba falciata di fresco. Ebbe l’impressione che apprezzarlo la rendesse quasi una traditrice: sua madre aveva odiato qualsiasi cosa avesse a che fare con Keramos; più di ogni altra cosa avrebbe voluto fuggire dal pianeta, ma non ci era riuscita. Lo odierei anch’io, se fossi bloccata qui, pensò Delanna, ma in quel momento l’aria fresca, il calore e gli ampi spazi le sembravano assolutamente meravigliosi, dopo il lungo viaggio nella nave angusta e dall’atmosfera stantia.

Improvvisamente il sole scomparve e Delanna aprì gli occhi. Il pilota aveva guidato la cassa nell’ombra del magazzino, le cui pareti esterne erano ricoperte di mattonelle di ceramica azzurre; era così buio che in un primo momento Delanna non si accorse del varco, ancora più buio, di un portello per le merci aperto. Poi due uomini uscirono dall’ombra e la salutarono.

Delanna ricambiò il saluto. «Forse è uno di loro,» mormorò in tono ansioso. Uno degli uomini era anziano — aveva i capelli bianchi — indossava una camicia a fiori dai colori vivaci e aveva una pancia che sporgeva oltre la cintura dei pantaloni. L’altro era un, uomo attraente con i capelli neri. Delanna ricordò che, quando aveva avuto dieci o undici anni, il ragazzo dei Tanner aveva avuto i capelli biondi. Ma adesso doveva essere cresciuto e, forse, i suoi capelli si erano scuriti.

Anche il pilota li salutò. «Quello è il veterinario dello spazioporto, Doc Lyle. L’altro è il capitano della carovana della prateria, Jay Madog. Senza dubbio il veterinario deve prelevare dei campioni di sangue da queste oche e probabilmente Jay vuole controllare i manifesti di carico per vedere di quanto spazio ha bisogno per il prossimo viaggio verso est. E poi penso che debba anche firmare delle licenze di software.»

«Oh,» commentò Delanna in tono deluso.

Raggiunsero gli uomini, «…per caso hai visto qualche mandarino reale l’ultima volta che sei stato lì?» stava chiedendo il veterinario.

«Neppure uno,» rispose l’uomo più giovane.

Entrambi si girarono a guardare la cassa.

«Le oche sono lì dentro?» chiese il veterinario mentre infilava una mano oltre il bordo del buco nero; evidentemente stava cercando un interruttore, poiché la profonda oscurità venne improvvisamente inondata di luce. L’interno del magazzino ospitava alcuni contenitori, che però non riuscivano a riempirlo neppure per metà. «Dove sono i loro permessi di importazione? Una volta tanto mi piacerebbe tornare a casa in tempo per l’ora di cena.»

«Eccoli,» rispose il pilota. «Lì dentro c’è qualcuno in attesa di un passeggero?»

«Non c’è nessuno.» Il veterinario andò incontro al pilota, che, senza fermarsi, gli tese un fascio di fogli. «Comincia a farle uscire dalla cassa,» ordinò mentre era già impegnato a esaminare i documenti. «Entro subito.»

Il pilota chinò la testa e scomparve oltre la bassa entrata. Delanna si rese conto che non sarebbe riuscita a superare il montante senza battervi la testa.

L’uomo più giovane, Jay Madog, i cui capelli neri gli cadevano disordinatamente sulla fronte, si avvicinò alla cassa che continuava a muoversi. «E lei chi sarebbe?» chiese, tendendo le braccia verso Delanna.

Delanna esitò, guardò la porta che si avvicinava sempre di più, poi saltò giù. Madog l’afferrò per la vita e l’aiutò a scendere. Dopo averla deposta a terra, la tenne stretta un istante di troppo mentre i suoi polsi premevano contro i seni di Delanna. Poi la lasciò andare, sollevò un braccio verso la parte superiore della cassa e prese la sacca da viaggio e il portadocumenti. Mentre offriva quest’ultimo a Delanna, le chiese di nuovo, «E allora qual è il suo nome, signorina?»

«Mancano dei documenti,» intervenne il veterinario. «Non trovo il permesso di importazione di questo maiale.»

«È in fondo,» gli spiegò l’uomo dai capelli scuri, poi, giratosi di nuovo verso Delanna, aggiunse, «Mi permetta di presentarmi. Io sono Jay Madog. E quel tizio che mi sta rompendo le scatole con i documenti è Doc Lyle.» Il suo sorriso si allargò; Delanna decise che si trattava di un sorriso decisamente gradevole.

Strinse la mano offertale da Madog. La stretta dell’uomo era ferma, ma non dolorosa come quella di alcuni ragazzi su Rebe Primo. Ai ragazzi piaceva sempre pavoneggiarsi, ma Delanna era sicura che Jay Madog non avesse alcun bisogno di farlo. «Come sta, Capitano Madog?» replicò cortesemente, come le avevano insegnato a scuola.

«Tutti mi chiamano Jay,» replicò lui, continuando a portare la sacca da viaggio e conducendo Delanna oltre la porta del magazzino.

«Hrrrumph!» Delanna sentì esclamare il veterinario, si girò e vide che la stava studiando al di sopra del fascio di fogli. «Lo chiamano anche Cane Pazzo, e per un buon motivo.»

Jay non le lasciò ancora andare la mano. «Non credere a nulla di quello che si dice sul mio conto, se prima non l’hai visto con i tuoi occhi,» la avvertì. «Io non lo faccio,» replicò il veterinario, poi tornò ai suoi documenti.

«E non farlo neppure tu,» proseguì Jay rivolto a Delanna, che si girò a guardarlo. Jay le stava sorridendo. «La gente dei lanzye spettegola decisamente troppo, ma non è che si possa biasimarli molto, visto che non c’è nient’altro da fare.»

«E immagino che a te questo non dispiaccia troppo,» commentò Delanna mentre allungava la mano nel tentativo di prendere la sua sacca: non aveva tempo da perdere con il dongiovanni locale, anche se apprezzava il suo comportamento amichevole. E poi non voleva che nessun altro portasse la sacca, e il suo contenuto.

Ma Jay rifiutò di cedere la sacca e indicò una panca accanto a un recinto per il bestiame. «E io cosa posso farci?» replicò assumendo un’espressione esageratamente innocente.

«Scommetto che riusciresti a pensare a qualcosa, se solo ci provassi,» commentò Delanna, seguendolo verso la panca, «ma, da quel che ricordo di Keramos, arrecheresti un grosso dispiacere all’intera popolazione.»

Jay rise. «Ecco una donna che mi capisce! E per giunta una donna con dei bellissimi capelli rossi. Ma dove sei stata per tutta la mia vita? E ora che ti ho trovato, dov’è che stai?»

«Non sto da nessuna parte,» rispose Delanna, continuando a tenere d’occhio la sacca. «Partirò domani pomeriggio.»

Jay rivolse un’occhiata al pilota, che annuì. «È vero. Ha prenotato un posto per tornare sulla Scoville domani pomeriggio. Non ha neppure portato giù il suo baule.»

Jay sembrò assolutamente desolato. «Ma perché qualcuno dovrebbe scendere su Keramos per un giorno solo?» le chiese.

«Dovrei riuscire a sbrigare i miei affari in poche ore,» gli spiegò Delanna. «Ma una domanda ancora migliore sarebbe: perché chiunque dovrebbe rimanere su Keramos per più di un giorno?»

Il veterinario, che li aveva seguiti all’interno del magazzino, emise di nuovo uno sbuffo sprezzante.

«Sono venuta qui solo per vedere un avvocato,» annunciò Delanna, allungando di nuovo la mano verso la sacca.

Jay si affrettò a nasconderla dietro la schiena. «Be’, ma se abbiamo solo una notte a disposizione,» commentò, avvicinandosi a Delanna, «abbiamo il dovere di sfruttarla al massimo.»

«Jay!» esclamò Doc Lyle. «Smettila di infastidire i turisti e va’ a controllare il tuo carico. Oppure vieni ad aiutarmi con queste oche.»

«Andremo al lago a fare un picnic, Delanna,» proseguì Jay, ignorando le parole del veterinario. «E magari ci concederemo una nuotata di mezzanotte, se non fa troppo freddo.»

«Ma tu non devi prendere il treno di mezzanotte?» chiese Doc Lyle.

«Una nuotata serale,» si corresse Jay. «Oppure potremmo accendere un falò e guardare le stelle.»

Delanna rise e scosse la testa. «Mi dispiace,» si schermì, «ma domani mattina devo svegliarmi presto per incontrare l’avvocato.» Questa volta riuscì a togliergli di mano la sacca e se la mise a tracolla, in modo che Jay non potesse più impadronirsene, poi si avviò verso il veterinario e il pilota, che stavano aprendo la cassa piena di oche che emettevano starnazzi allarmati.

Jay la seguì. «Allora ti accompagnerò in albergo.»

«Solo dopo che avrai controllato il carico,» intervenne il veterinario. «Non ho alcuna intenzione di rimanere qui per tutta la notte. E non hai anche delle licenze di software da firmare prima che la navetta decolli?»

«Anch’io voglio tornare su,» intervenne il pilota.

«E va bene, andrò a prendere le licenze,» si arrese Jay. «Ci vediamo stasera,» sussurrò a Delanna, le fece l’occhietto, poi uscì dal magazzino.

Il pilota e il veterinario avevano aperto la cassa e stavano spingendo le oche starnazzanti in un recinto.

«Qualcuno avrebbe dovuto venirmi a prendere allo spazioporto,» annunciò Delanna.

«Solo un attimo,» si scusò il veterinario, allungando le braccia verso un’oca che si era rifugiata nell’angolo opposto della cassa. Quando riuscì ad afferrarla, il pennuto starnazzò come se fosse sul punto di essere macellato.

Delanna si allontanò dall’oca che sbatteva freneticamente le ali, trovò una panca accanto al recinto e si sedette. Aprì la sacca con cautela, gettò una rapida occhiata all’interno, poi la richiuse, osservando il veterinario e il pilota. L’oca era riuscita a liberarsi di nuovo e adesso svolazzava intorno alla cassa.

«Qui, qui,» la chiamò Doc Lyle in tono tranquillizzante, «non ti farò del male.» Allungò un braccio e riuscì ad afferrarla per una zampa. Le ali dell’oca gli percossero il volto e il veterinario tentò di bloccarne una sotto l’ascella, ma l’uccello dal lungo collo stava lottando tanto freneticamente che Doc Lyle ebbe bisogno di entrambe le mani per immobilizzarla. «Wilbur, ti dispiace darmi una mano?» chiese al pilota.

Il pilota aggrottò la fronte e scosse la testa. «Il mese scorso ho tentato di aiutarti con quella puledra e mi sono preso un calcio proprio sulle…» Si controllò appena in tempo e rivolse un’occhiata a Delanna, arrossendo.

«Questa non è una puledra, è un’oca,» replicò il veterinario, tentando di bloccare le ali contro il corpo dell’animale. «Vieni ad aiutarmi.»

«Devo andare a firmare quelle licenze di Jay,» rispose il pilota, poi uscì frettolosamente dal magazzino.

Il veterinario sollevò lo sguardo verso Delanna. «Tu. Vieni ad aiutarmi.»

«Io?»

«Sì, proprio tu.»

Delanna si alzò dalla panca, si tolse la sacca e si guardò intorno, in cerca di un posto in cui poggiarla.

«Subito!» esclamò il veterinario. Delanna infilò la sacca sotto la panca, si avvicinò al recinto, entrò e prese l’oca, ormai frenetica, dalle mani del veterinario, bloccandole con fermezza l’ala nell’incavo del braccio mentre con l’altra mano le immobilizzava il lungo collo e la testa. «Adesso taci, stupida bestiaccia!» intimò all’oca.

Il veterinario si raddrizzò ed estrasse una fiala dalla tasca. «Ho la netta sensazione che tu abbia già fatto qualcosa del genere,» affermò.

«L’ho fatto,» ammise Delanna. «Ma non per molto tempo.»

Il veterinario scostò alcune piume sul dorso dell’oca, poi premette la fiala contro la pelle.

«Avrei dovuto incontrare qualcuno qui,» affermò Delanna, facendo un nuovo tentativo. «Si tratta di Mr. Tanner. Di Milleflores Lanzye. Lei lo conosce?»

«Queste sono le sue oche,» spiegò il veterinario. Allontanò la fiala dalle piume dell’oca.» Tienila ferma per qualche altro istante. Devo finire il trattamento.» Infilò una mano in tasca. «Se stai aspettando Sonny Tanner, verrà sicuramente qui, visto che deve ritirare queste oche.»

«Magari verrà più tardi?»

Lyle prese dalla tasca un’altra fiala, più grande della prima. «Sarà meglio che lo faccia. Anche queste oche devono essere a bordo di quel treno che parte a mezzanotte.» Premette la fiala contro il collo dell’uccello. «Tienila ferma. Così va bene. Dove hai imparato ad avere a che fare con le oche?»

«Mia madre ne aveva qualcuna.» E a scuola Delanna aveva seguito un corso di allevamento, facendo venire alla madre quasi una crisi isterica. «Non sprecare il tuo tempo frequentando corsi del genere,» aveva scritto a Delanna. «Io voglio che impari a vivere in una città, non in una fattoria.»

«Strano,» commentò Doc Lyle, tirando fuori dalla tasca un lungo tubo. «Non pensavo che gli Stranieri allevassero delle oche.»

«Gli Stranieri?»

«Le persone provenienti da altri mondi. Stendi l’ala.»

«Non sono precisamente una ‘Straniera’,» rivelò Delanna, cambiando presa sull’oca per liberarle l’ala. «Io sono nata su Keramos.»

Doc Lyle strinse saldamente l’ala dell’oca e sollevò il tubo. «Colorante vegetale,» spiegò, «così potrò riconoscere quelle che ho già vaccinato,» poi spruzzò di verde la punta dell’ala.

Durante le due vaccinazioni, l’oca non aveva opposto alcuna resistenza, ma lo spruzzo di colorante la fece scatenare: emise uno starnazzo isterico e quasi sfuggì alla presa di Delanna.

«Non osare,» la ammonì Delanna, tentando di non perdere la presa sull’oca.

Finalmente riuscì a farla calmare. «Mettila qui dentro,» le ordinò Doc Lyle, prendendo una gabbia pulita. Delanna vi spinse dentro l’oca, poi ne bloccò un’altra nella cassa e la tirò fuori.

Doc Lyle la stava fissando con aria meditabonda. «Devi incontrare Sonny Tanner… tua madre allevava oche… tu sei la ragazza di Serena Milleflores che andò via dal pianeta per frequentare la scuola, vero?»

«Lei conosceva mia madre?» gli chiese Delanna.

«Ai vecchi tempi conoscevo tutti su questo mondo,» rispose il veterinario. «Ma questo è logico: al primo atterraggio eravamo solo cinquecento. E qualche anno fa vedevo abbastanza spesso tua madre. Allora a Milleflores Lanzye c’erano una coppia di mandarini reali che stavano facendo il nido.» Sorrise per la prima volta. «Erano una coppia meravigliosa. E anche Milleflores è un lanzye meraviglioso. Però non penso che a tua madre sia mai piaciuto molto.»

Questo era un vero e proprio eufemismo.

Doc Lyle prese un’altra fiala. «E così sei qui per prendere le redini di Milleflores insieme a Sonny?»

«Sono qui per vendere la proprietà di mia madre,» dichiarò Delanna, scostando le piume dell’oca in modo che il veterinario potesse eseguire la vaccinazione. «Poi andrò a Carthage.»

«Ahh, capisco: la grande città,» commentò Doc Lyle mentre vaccinava l’oca. «È un vero peccato. Keramos ha molto da offrire.»

«Posso immaginarlo.»

«Senza dubbio sei figlia di tua madre,» commentò il veterinario, allargando l’ala. «Quando vivevi a Milleflores hai mai visto un mandarino reale?»

«Non me lo ricordo,» rispose Delanna, bloccando l’oca in modo che Doc Lyle potesse applicare il colorante. «Quando me ne andai, avevo solo cinque anni.»

«Sono uccelli meravigliosi,» le spiegò Doc Lyle. «Il loro piumaggio ha tutte le sfumature dell’arcobaleno. Adesso ne sono rimasti pochissimi e la maggior parte sono sterili, ma quando arrivai su Keramos ce n’erano migliaia.»

Delanna stava ancora tenendo tesa l’ala, ma sembrava che il veterinario, travolto dal suo entusiasmo per i mandarini reali, si fosse dimenticato di spruzzarla di colorante.

«Il colorante,» gli ricordò allora Delanna.

«Scusami,» rispose Doc Lyle, tornando in sé. Spruzzò l’ala di verde, prese l’oca dalle mani di Delanna e la spinse nella gabbia. «Il mio lavoro è proteggere gli animali di Keramos e immagino di lasciarmi trasportare in modo eccessivo quando si tratta di esemplari meravigliosi come i mandarini reali. Ecco a cosa servono tutte queste vaccinazioni: a evitare che gli animali importati da altri mondi introducano una qualsiasi infezione su Keramos.»

«A che ora pensa che Mr. Tanner verrà qui?» gli chiese Delanna, sperando che sarebbe accaduto molto presto: le oche emanavano una puzza terribile. Certo, le oche della madre e quelle del corso di allevamento avevano avuto un odore tremendo, ma la frase «sudicio come un’oca» acquistava un nuovo significato quando l’oca in questione era stata rinchiusa in una nave per due mesi.

«Mi aspettavo che Sonny arrivasse prima delle vaccinazioni,» commentò Doc Lyle. «Passami quella laggiù.»

Delanna si affrettò a bloccare l’oca indicatale ed eseguirono di nuovo la routine delle vaccinazioni, mentre il veterinario parlava tutto il tempo dei mandarini reali, dei pericoli di infezioni extraplanetarie e di Milleflores. «È un lanzye meraviglioso: tutti quei fiori!»

Meglio così, pensò Delanna. Questo significa che riuscirò a spuntare un buon prezzo.

«Però, ovviamente va detto anche che è in pessime condizioni.»

Ovviamente.

«Credo che tua madre sia stata la prima a fare schiudere uova d’oca su Keramos,» la informò Doc Lyle, vaccinando l’ultima oca. «Si trattava di oche Toulouse, con il piumaggio grigio come quello delle Juno.»

«Non so se fossero oche Toulouse, però ricordo che erano enormi. Dovevo dare loro da mangiare ogni giorno,» rivelò Delanna. «Io le odiavo.»

Il veterinario scostò goffamente le piume dell’oca. «L’odio non sembra essere durato.»

Delanna arricciò il naso. «Vista la puzza di queste oche, potrebbe tornare molto in fretta,» replicò, ma continuò a tenere stretta l’oca mentre il veterinario le spruzzava l’ala di colorante.

Quando tutte e tredici le oche poterono sfoggiare macchie verdi sulle loro ali sinistre e vennero messe al sicuro in gabbie pulite, Delanna seguì il veterinario fuori dal recinto. Doc Lyle prese il fascio di fogli e iniziò a inserire i dati nel computer.

Delanna si avvicinò all’entrata del magazzino e guardò all’esterno. Non vide alcun segno che stesse arrivando qualcuno, neppure Jay Madog o il pilota. Tornò di nuovo dentro, tirò giù dalla parte superiore della cassa un sacco di mangime e iniziò a distribuirlo agli uccelli in gabbia. Il cibo fece svanire come per magia la ritrosia dei pennuti, che si accalcarono l’uno sull’altro, starnazzarono e inghiottirono i chicchi mentre ancora cadevano dal sacco. Chinandosi, Delanna sparse i chicchi come ricordava di avere fatto molti anni prima: tracciando una lunga scia lungo i bordi della gabbia, in modo che tutte le oche, non solo quelle più grandi, potessero mangiare.

«Ma bene, vedo che sei ancora qui,» commentò Jay Madog. «E quel tuo amico non c’è, il che significa che posso darti un passaggio in città.» Si protese verso di lei. «E poi andremo al lago di cui ti ho parlato.»

Doc Lyle sollevò lo sguardo dal terminale. «Penso che dovresti sapere che l’amico che sta aspettando è Sonny Tanner,» annunciò.

«Davvero?» Jay si avvicinò alla panca, infilò la mano sotto di essa e prese la sacca di Delanna. «Tu conosci Sonny Tanner? È davvero un brav’uomo.»

«Penso che dovresti anche sapere che questa è Delanna Milleflores,» aggiunse Doc Lyle.

«Delanna…» mormorò Jay, chiaramente sbalordito. «Tu sei la figlia di Serena Milleflores?» Sembrava provare un misto di sorpresa e di un’altra emozione che Delanna non riuscì a identificare.

«Pensavo solo che dovessi saperlo,» commentò Doc Lyle in tono divertito. «Prima di portarla a fare quella nuotata al chiaro di luna. Non che saperlo possa impedirtelo.»

Delanna li guardò con sorpresa, chiedendosi cosa ci fosse sotto.

«Ma io pensavo di averti sentito dire che saresti rimasta solo fino a domani mattina,» affermò Jay, tendendole la sacca.

«Ed è proprio così,» confermò Delanna, ma prima che potesse prendere la sacca, da essa provenne un sonoro ruggito.

Jay quasi la lasciò cadere di scatto. «Ma cosa diavolo c’è qui dentro?» esclamò.

Delanna afferrò la sacca, la depose frettolosamente a terra e la aprì. La sacca ruggì di nuovo.

«Sì, cosa c’è lì dentro?» chiese Doc Lyle, comparendo da dietro la cassa.

«È tutto a posto,» li rassicurò Delanna. «È solo Cleopatra, il mio scarabeo. Evidentemente ha un po’ di fame.»

Delanna tirò fuori lo scarabeo dalla sacca e lo coccolò dolcemente, mentre il morbido ventre dell’animale aderiva contro il petto e il muso peloso le sfiorava il mento. Quando si rese conto di essere al sicuro tra le braccia di Delanna, Cleopatra iniziò immediatamente a fare le fusa.

«Cos’è?» chiese Jay, tenendosi a distanza di sicurezza. «Qualche tipo di grosso scarafaggio?»

«È uno scarabeo,» gli spiegò Doc Lyle, poggiando il fascio di fogli su un angolo della cassa e tendendo le mani verso Delanna. «Non ne avevo mai visto uno da vicino prima d’ora. È davvero uno scarabeo?»

Delanna annuì e avvicinò la guancia contro la piastra che copriva la spalla di Cleopatra per tenerla ferma: l’animale aveva visto le braccia tese del veterinario e non voleva andare con lui. «Non ti farà del male.» le sussurrò, poi, rivolta a Doc Lyle, aggiunse, «Probabilmente ruggirà di nuovo.»

Il veterinario prese lo stesso lo scarabeo, in modo fermo ma gentile. Cleo si ritrasse nelle sue piastre, ma non ruggì. «Devi passare molto tempo a lucidare queste piastre,» commentò Doc Lyle in tono ammirato. «Sembra un cesto pieno di gioielli.»

«Non avevo molto altro da fare durante il viaggio. E poi le piastre di Cleo hanno dei motivi bellissimi, vero?»

Doc Lyle annuì e andò a mostrare lo scarabeo a Jay Madog, che si irrigidì. «Non ha nulla a che vedere con gli scarafaggi,» affermò Doc Lyle, girando Cleo con attenzione per osservarle il ventre. «Appartiene alla specie Scaraeoptera, originaria di Rebe Quarto. Su Keramos non esiste nessuno scaraeoptera.» Da tutte e sei le zampe dell’animale spuntarono unghie sottili come aghi e Cleopatra ringhiò per scoraggiare l’esame, ma il veterinario non si lasciò intimorire. Tirò una delle zampe dell’animale e, poiché era molto più forte dello scarabeo, riuscì a farla allungare fino al ginocchio. «Dovrebbe allungarsi di più,» commentò Doc Lyle, voltandosi verso Delanna. Jay Madog si allontanò, come se improvvisamente fosse molto interessato ai documenti sulla cassa. «Si tratta di un arto retrattile, vero? Non voglio farle male.»

Delanna allungò una mano, sbloccò il ginocchio di Cleopatra ed estese la zampa coperta di peluzzi in tutta la sua lunghezza. «Quando le zampe sono in piena estensione, mi arrivano alla vita, ma Cleo è pigra e non ha mai dovuto fare attenzione a qualcosa che fosse più alto di un marciapiede. Si estende solo di rado. Di solito cammina tenendosi vicina al suolo.»

Cleo ritrasse la zampa non appena Delanna la lasciò andare, ma sporse il muso. Gli occhi sfaccettati, posti sopra le narici, luccicavano come gioielli e quando Cleo riconobbe Delanna sollevò le membrane nittitanti che coprivano gli occhi anteriori.

«Un esemplare interessante,» commentò Doc Lyle, poi fissò Delanna. «Ma temo che dovrò sequestrarlo.»

«Sequestrarlo!»

«È proibito importare qualsiasi animale su Keramos, tranne quelli certificati come appena nati, oppure quelli nati in viaggio e in un ambiente sterile. Qui non abbiamo risorse sufficienti per effettuare nessun altro tipo di controllo per evitare il diffondersi di malattie e possiamo fare ancora di meno per eliminare i parassiti che potrebbero nascondersi su un animale adulto.»

«Ma Cleo non ha parassiti!» protestò Delanna, iniziando a frugare nel suo portadocumenti. «Ho il suo certificato di buona salute. Ha fatto tutte le vaccinazioni.»

Doc Lyle scosse la testa. «È un animale adulto. Non posso permettere che entri su Keramos.»

«Ma allora… posso almeno rimandarla sulla navetta?»

«È già partita,» la informò Jay.

Il veterinario rivolse a Delanna uno sguardo severo. «Gli animali provenienti da altri mondi costituiscono una minaccia per le forme di vita di Keramos.»

«Non potrei semplicemente tenerla nella mia sacca?» chiese Delanna, tendendo le mani. Cleo estese le zampe anteriori ed emise un ruggito sommesso. «Ha una serratura e prometto che non la farò uscire di lì; tanto dormirà per tutto il tempo. E la terrò lontana dagli altri animali.»

«Mi dispiace, ma le leggi sono le leggi.» Lyle si girò, portando con sé lo scarabeo.

«Cosa ne farà di lei?» gli chiese Delanna, seguendolo. «Non sapevo che non avrei dovuto portarla giù con me. Sulla nave nessuno mi ha avvertito che portarla sul pianeta costituiva una violazione delle leggi di Keramos e a me non è neppure passato per la mente…»

Lungo la parete c’era una fila di gabbie. Il veterinario ne aprì una e vi depose Cleo. Lo scarabeo si raggomitolò su se stesso, fino a quando non sembrò una palla ingioiellata al centro della gabbia. Il veterinario chiuse di nuovo il lucchetto, si mise la chiave in tasca e poi si avviò verso una grande scatola metallica con un pannello di controllo.

«Ma io non sto tentando di importarla,» obiettò Delanna. «Io rimarrò qui solo un giorno.»

Doc Lyle sembrò riflettere per qualche istante. «Prenderai la navetta domani?»

«Pensavo che avessi detto che questa era Delanna Milleflores,» intervenne Jay.

«Ed è proprio così,» confermò Delanna. «Ma sono qui solo per firmare alcuni documenti. Non mi fermerò neppure un giorno. E Cleo non ha alcuna malattia o parassita o qualsiasi altra cosa. È stata sterilizzata, ha fatto tutte le vaccinazioni. Vede, ecco il suo certificato medico.» Lo spinse sotto il naso del veterinario.

Doc Lyle non gli diede neppure un’occhiata. Allungò una mano verso un armadietto posto sopra la scatola metallica e prese uno spesso taccuino. Iniziò a sfogliarlo, leggendo le pagine con attenzione.

«Ha detto che su Keramos non esiste nessuno scaraeoptera,» proseguì Delanna in tono incalzante. «A scuola ho imparato che le malattie non si trasmettono da una specie all’altra, dunque Cleo non può infettare nessun altro animale.»

«Io lascerei perdere,» mormorò Jay, prendendola per un braccio. «Con Doc Lyle è inutile discutere: per lui l’unica cosa importante è rispettare le leggi.»

Allora spero che trovi una legge che permetta a Cleo di rimanere, pensò Delanna.

Evidentemente il veterinario ci riuscì. Dopo pochi minuti, poggiò un dito su un passaggio e lesse, «L’animale non deve essere considerato ufficialmente importato fino a quando non sia stato sottoposto ai necessari controlli e non abbia lasciato lo spazioporto. Il trattamento dell’animale deve essere completato entro ventiquattro ore. Fino a quel momento, l’animale non è stato importato e, conseguentemente, un’eventuale richiesta di importazione non può essere rifiutata.» Sollevò lo sguardo. «Sei sicura che impiegherai non più di ventiquattro ore per firmare quei documenti?»

«Sì, ne sono sicura,» gli assicurò Delanna.

«Allora fino a quando l’animale rimane qui e non viene sottoposto al trattamento, non ho trovato nulla nelle nostre leggi che ti impedisca di portarlo di nuovo con te sulla Scoville.» Prese la chiave dalla tasca e aprì il lucchetto della gabbia di Cleo.

«Oh, benissimo!» esclamò Delanna.

«Per precauzione, la metterò in una gabbia isolante,» spiegò Doc Lyle, aprendo la gabbia. Cleo continuò a conservare l’aspetto di una palla ingioiellata. «In questo modo non ci sarà alcun rischio di esporla a qualsiasi altro animale.» Portò lo scarabeo fino a una gabbia trasparente con numerosi quadranti sulla parte anteriore e ve lo mise dentro.

«Va bene,» si arrese Delanna, osservando Cleo. Detestava la prospettiva di lasciarla lì, ma non voleva neppure mettere a dura prova la propria buona sorte; con un po’ di fortuna, l’indomani mattina avrebbe visto l’avvocato molto presto, in modo da essere di ritorno verso mezzogiorno. Si avvicinò alla gabbia e poggiò una mano sul lato trasparente per consolare lo scarabeo. Cleo allungò prima una zampa dal carapace, poi un’altra e infine sporse anche la testa. Cercò di toccare la mano di Delanna, percepì la barriera, ritrasse di nuovo la testa. Delanna emise un sospiro.

«Non preoccuparti,» la rassicurò Jay. Delanna sentì le mani dell’uomo posarsi sulle proprie spalle. «Non le succederà niente. Doc Lyle si prenderà buona cura di lei.»

Ma Delanna scosse la testa. «Rimarrà così fino a quando non sarò tornata. Povera piccola, è spaventata.» Sospirando di nuovo, Delanna esitò per un istante: detestava davvero dover lasciare lo scarabeo. «È solo fino a domani,» affermò, dando un ultimo colpetto sul lato trasparente della gabbia. Fece per girarsi, ma le mani di Jay erano ancora sulle sue spalle.

«Adesso sei pronta per quel passaggio in città?» le chiese Jay, dando alle spalle una strizzatina finale prima di lasciarle andare. Quando Delanna si girò, vide che aveva la sacca tra le mani. Annuì e allungò la mano per prenderla, ma Jay ancora una volta non mollò la presa.

«La porterò…»

«Yuuu!» provenne un grido dall’esterno.

Si girarono tutti e videro un uomo stagliato sulla soglia.

«Sono quelle le mie oche?» chiese il nuovo arrivato in tono apparentemente felice. Entrò sotto le luci del magazzino: una figura alta e sottile che indossava pantaloni larghi con gli orli rovesciati e una camicia a fiori arancione. Portava la giacca sulla spalla e in testa indossava un berretto rosso. «Sono arrivate tutte e dodici?» chiese, porgendo un fascio di fogli al veterinario e affrettandosi verso il recinto: ovviamente non poteva non sapere con esattezza dove si trovassero le oche, visti gli starnazzi che emettevano. «Ma guarda!» esclamò dopo un istante. «Si è schiuso anche l’uovo in omaggio! Grazie, Doc, per avermi raccomandato le oche Juno. Non avrei mai creduto che sarebbero riuscite ad arrivare sane a salve tutte e tredici.»

«Ecco perché i conti non tornavano,» commentò Jay, scuotendo la testa. «Hai prenotato spazio solo per sei di quelle oche nella Cane Pazzo.»

«È tutto a posto,» si affrettò a rassicurarlo l’uomo. «Posso portarle tutte e tredici: ho comprato un nuovo rimorchio e sono venuto con il mio solaris dal lanzye. Adesso è da Grayson: uno dei motori ha bisogno di qualche riparazione. Trasporteremo le altre sette nel rimorchio e metteremo il resto del mio carico nel tuo rimorchio.»

«Avrai bisogno di altri sette permessi,» lo avvertì Doc Lyle. «Non posso consegnarti queste oche senza prima avere i loro permessi di importazione, ma tu ne hai solo sei.»

E le leggi sono le leggi, pensò Delanna, anche se si tratta solo di uova.

«Me li farò dare da Maggie quando andrò in città,» rispose l’uomo, sollevando lo sguardo. Vide Delanna e rimase a bocca aperta.

«È questo Mr. Tanner?» chiese in tono dubbioso Delanna. Sperò ardentemente che non lo fosse. Non somigliava per nulla al ragazzo dai capelli biondi che ricordava: era vestito così male e sembrava così stupido! La stava ancora fissando a bocca aperta.

«Sì, è lui, Delanna. Non riconosci tuo…» fece Doc Lyle.

L’uomo lo interruppe. «Tu non puoi essere Delanna,» affermò stupidamente. «Tu dovresti essere al terminal.»

«Riprovaci,» intervenne Jay. «Lei è proprio qui.»

«Come stai?» gli chiese educatamente Delanna, come le avevano insegnato a scuola. «Io sono Delanna Milleflores. Tu, invece, devi essere Tarleton Tanner.»

«Tarleton?» ripeté Jay con un sogghigno.

«Tutti mi chiamano Sonny,» le spiegò il nuovo arrivato, arrossendo leggermente mentre si puliva la mano sui pantaloni e la tendeva verso Delanna. Quando la ragazza esitò a stringerla, se la pulì di nuovo sui pantaloni. «Non ho toccato le oche,» si giustificò Sonny: evidentemente stava cercando di capire perché Delanna non volesse stringergli la mano.

«Ma l’ho fatto io,» affermò Delanna, stringendogli la mano con decisione.

Sonny le rivolse un sorriso timido mentre le stringeva la mano… con troppa forza!

«Mi dispiace!» si scusò immediatamente quando vide Delanna fare una smorfia di dolore, poi ritrasse di scatto la mano come se avesse ricevuto una scarica elettrica. Agitò la mano e fletté le dita. «Non intendevo… Fiuu! Eri dentro con le oche, vero?»

«Avevo un po’ di tempo da far passare,» rispose Delanna in tono gelido, «e così ho aiutato il veterinario.»

«Sì,» confermò Doc Lyle, prendendo un fascio di fogli da fare firmare a Sonny. «È una fortuna che tu sia arrivato proprio in questo momento. Jay Madog era sul punto di andare via con tua…»

«Stavo solo per offrire a Delanna un passaggio in città,» lo interruppe Jay. «Dove sei stato?»

«Sono dovuto passare a ritirare il rimorchio prima che il negozio chiudesse. Sarei andato a prendere Delanna al terminal subito dopo aver dato un’occhiata alle oche, ma adesso risparmieremo un po’ di tempo perché non dovrò andare al terminal.»

«Giusto,» commentò Delanna. «Visto che io sono qui, vero?»

«Giusto!» esclamò Sonny, quasi raggiante.

Alle sue spalle, Jay sussultava nel tentativo di reprimere una risata.

Sul volto di Doc Lyle non comparve neppure un sorriso. «Adesso devi accompagnare Delanna in città, Sonny,» dichiarò, controllando i documenti firmati. «Ha avuto una giornata molto lunga e probabilmente è stanca. Puoi portarmi i permessi dopo che l’avrai fatta sistemare in albergo.»

«In albergo,» ripeté Sonny, prima annuendo, poi scuotendo la testa. «Ma la tua lettera diceva che, per prima cosa, volevi incontrare l’avvocato.» Sembrava confuso.

«Presumevo che saremmo andati dall’avvocato domani mattina.»

«Lo faremo questa sera,» le spiegò Sonny.

Delanna impiegò un istante per capire che anche su Keramos era possibile incontrare un avvocato a qualsiasi ora, come su Rebe Primo. Aveva presunto che tutti i posti pubblici di accesso ai terminali vega di Grassedge chiudessero al tramonto, come tutto il resto. Tranne i bar, ricordò a se stessa, e la sala da ballo. Ma se l’avvocato era disposto a incontrarli quella sera, tanto meglio. Sarebbe potuta tornare prima al magazzino per prendere Cleo.

Finalmente Sonny si accorse della sacca tra le mani di Jay. «Questa è tua?» chiese a Delanna, allungando una mano verso il bagaglio.

«Potrei ancora accompagnarti all’albergo,» si offrì Jay, resistendo al tentativo di Sonny di toglierli di mano la sacca.

Delanna quasi accettò, ma poi scosse la testa. «Gli affari che devo sbrigare sono con… Sonny,» rispose, ormai sicura, dopo averlo conosciuto, che avrebbe avuto bisogno di ogni minuto disponibile per assicurarsi che quel bifolco si rendesse conto che anche lui doveva essere presente dall’avvocato.

Jay lasciò andare la sacca. «Be’, allora, sarà per la prossima volta,» affermò, chiaramente dispiaciuto.

«È improbabile che ci si riveda,» replicò Delanna in tono cortese.

«Sarò in lutto per trenta giorni,» annunciò Jay con gli occhi che luccicavano.

«Io scommetterei più su trenta minuti,» rispose Delanna con una risata. Jay scrollò le spalle.

«Andiamo,» annunciò Sonny, girandosi di colpo. Uscì dal magazzino a passi brevi e veloci, portando la sacca di Delanna e spingendo una delle gabbie delle oche oltre le ombre e verso la luce del sole. Delanna rivolse uno sguardo di rimpianto a Cleo, ancora raggomitolata in una piccola palla.

«Grazie per il tuo aiuto, ragazza,» le disse Doc Lyle. «Ci vedremo domani. E non preoccuparti per il tuo scarabeo: me ne prenderò buona cura.»

«Sei sicura che non hai cambiato idea sul rimanere?» le chiese Jay, prendendole la mano. «Da queste parti abbiamo bisogno di una quantità maggiore di stupende ragazze dai capelli rossi.» Delanna sentì qualcosa passare dal palmo di Jay al proprio.

«Ne sono sicura,» rispose Delanna. «Addio,» disse rivolta a entrambi, poi si girò per seguire Sonny, che era già uscito.

Si fermò sulla soglia per vedere cosa le avesse passato Jay: era un biglietto da visita, fatto di vera carta, come i manifesti di carico.


Jay Madog
Capitano delle carovana della prateria Mad Dog
Chiamate il 5373 notte e giorno a Grassedge
Se non risponde nessuno, provate con la frequenza
139 della radio.

Delanna si affrettò a uscire dal magazzino.

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