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Il veicolo da atterraggio dei Tosok sfiorò la superficie dell'East River di New York fino a raggiunge Turtle Bay, la sede delle Nazioni Unite. Sfrecciò vicino all'edificio basso col lato concavo e il tetto a cupola dell'Assemblea Generale, poi fece tre giri intorno ai trentanove piani del Segretariato, prima di posarsi sull'ampio viale davanti all'Assemblea Generale. Non c'erano dubbi — i Tosok avevano un gusto teatrale. Quasi due miliardi di persone stavano assistendo all'evento in diretta, ed era come se mezza New York fosse per strada a guardare in su.

Intorno alle Nazioni Unite era stato organizzato un cordone. Le migliori guardie di New York da un lato della barriera, e le guardie in uniforme grigia delle Nazioni Unite dall'altro controllavano attentamente chi entrava. Frank Nobilio sperava che le precauzioni fossero sufficienti. Aveva passato ore a studiare le fotografie dell'astronave madre aliena che erano state fatte dal Telescopio spaziale Hubble (che ora era passato ripetutamente all'interno del suo campo di visibilità). Alla NASA/Ames avevano detto che la nave sembrava alimentata da fusione — e uno scarico di fusione puntato verso la Terra poteva fare danni enormi. Frank era terrorizzato dalle conseguenze nel caso uno dei Tosok potesse essere assassinato.

Eppure c'era qualcosa che lo toccava profondamente nell'essere lì alle Nazioni Unite. Oh, certo, nella loro storia probabilmente le Nazioni Unite avevano avuto più fallimenti che successi, ma rappresentavano ancora il più elevato degli ideali umani, e questo per Frank significava qualcosa, lui che a vent'anni era stato un anno nei Corpi di Pace, e che quand'era studente a Berkeley era stato coinvolto nelle proteste contro la guerra del Vietnam.

'Noi, il popolo degli Stati Uniti' erano davvero grandi parole, e neanche i decenni a Washington avevano indebolito la fede che Frank vi riponeva. Ma 'Noi, i popoli delle Nazioni Unite' erano parole ancora più grandi, pensò mentre guardava la gigantesca targa fuori dell'Assemblea Generale:


NOI, POPOLI DELLE NAZIONI UNITE, DECISI A SALVARE LE FUTURE GENERAZIONI DAL FLAGELLO DELLA GUERRA, CHE PER DUE VOLTE NEL CORSO DI QUESTA GENERAZIONE HA PORTATO INDICIBILI AFFLIZIONI ALL'UMANITÀ, A RIAFFERMARE LA FEDE NEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL'UOMO, NELLA DIGNITÀ E NEL VALORE DELLA PERSONA UMANA, NELLA EGUAGLIANZA DEI DIRITTI DEGLI UOMINI E DELLE DONNE E DELLE NAZIONI GRANDI E PICCOLE…


Erano parole di cui tutto il pianeta poteva essere fiero. Mentre la folla aspettava che il portello della capsula Tosok si aprisse, Frank sorrise tra sé. A dispetto di quelli che lo criticavano, era contento che ci fosse un posto come quello per far atterrare gli alieni.

E il portello si aprì — e ne uscì Cletus Calhoun. La folla, che normalmente sarebbe stata contenta di vedere una celebrità, reagì con disappunto. Una guardia delle Nazioni Unite si affrettò ad andargli incontro con un microfono, e Clete si avvicinò.

«Mi porti dal vostro capo» disse con un tono aspro e meccanico.

La folla rise. Il viso di Clete si aprì in un sorriso a trentadue denti. «Immagino che vi stiate chiedendo perché vi ho convocato qui oggi.»

Ancora risate.

«Signore e signori» disse facendosi serio. «E con grande onore che vi presento i primi visitatori extraterrestri sulla Terra.» Indicò il portello e ne uscì fuori il capitano dei Tosok, Kelkad.

Tutto il pubblico rimase senza fiato. Molti di loro avevano visto le foto che avevano fatto ad Hask a bordo della Kitty Hawk, ma vedere un vero alieno con i propri occhi…

Iniziò da un lato del vasto semicerchio di spettatori: una sola donna che batteva le mani. In pochi attimi si diffuse come un'onda su tutta la folla: una tempesta tonante di applausi.

I lunghi passi di Kelkad lo portarono rapidamente vicino a Clete. Frank riusciva a vedere Clete che parlava con l'alieno, probabilmente spiegandogli il significato dell'applauso. Kelkad fece un cenno con la mano posteriore e gli altri sei Tosok uscirono in fila. Si disposero dietro a Kelkad in due file di tre, e lui si spostò davanti al microfono.

L'applauso si interruppe di colpo. Erano tutti ansiosi di sentire quello che il capo alieno aveva da dire.

«Salve» disse Kelkad — o piuttosto il suo traduttore tascabile. Frank suppose che il database del vocabolario del traduttore di Hask fosse stato ormai copiato in quelli degli altri Tosok. «Bello il vostro pianeta.»

Di nuovo un applauso, con centinaia di sorrisi. Frank riconobbe nel commento il senso dell'umorismo di Clete; evidentemente aveva preparato Kelkad al discorso.

Frank si ritrovò ad applaudire così forte che gli dolevano le mani. E anche gli occhi, a vedere lo spettacolo degli alieni davanti all'arcobaleno delle centottantacinque bandiere delle Nazioni Unite della Terra.


«Popolo del pianeta Terra» disse Kelkad più tardi quel pomeriggio, da uno dei due podi nella hall dell'Assemblea Generale. «Veniamo in veste di vicini: il nostro mondo è un pianeta nel sistema di Alfa Centauri.»

Frank era seduto nella galleria pubblica sopra all'Assemblea Generale, e guardava dall'alto le file concentriche semicircolari dei posti dei delegati. Inarcò le sopracciglia. Anche se Alfa Centauri A era molto simile al Sole, era gravitazionalmente legata ad altre due stelle. Su due piedi, Frank non avrebbe pensato che quel sistema potesse avere un mondo simile alla Terra.

«Siamo venuti qui» continuò Kelkàd «a portarvi i saluti del nostro popolo. Ma, inaspettatamente, sembra che abbiamo anche bisogno del vostro aiuto. La nostra nave spaziale è stata danneggiata, e ha bisogno di riparazioni. Non possiamo costruirci da soli le parti necessarie — il danno va oltre le limitate risorse della nostra astronave madre. Ma anche se molti dei principi adottati nella costruzione dei pezzi di ricambio vi risulteranno sconosciuti, il dottor Calhoun mi assicura che avete la tecnologia per fabbricare parti complesse in base ai nostri progetti. Noi chiediamo dunque che alcuni di voi accettino di costruire ciò di cui abbiamo bisogno. In cambio, quelli che costruiranno i pezzi saranno invitati a conservare le nozioni e la tecnologia che riescono ad acquisire durante il processo.»

Frank vedeva di sotto le file di ambasciatori che sbavavano. Naturalmente era probabile che a ottenere dei contratti con i Tosok sarebbero stati solo i paesi tecnologicamente avanzati, sicuramente guidati da Stati Uniti e Giappone.

Kelkad andò avanti per mezz'ora circa, e tutti ascoltarono attentamente. Infine:

«E così» disse Kelkad «è con grande piacere che attraverso gli anni luce porgiamo la mano anteriore dell'amicizia e quella posteriore della fiducia ai nostri vicini; a una razza di esseri che speriamo diventino anche i nostri amici più stretti. Uomini e donne del pianeta Terra, voi non siete più soli!»


Dopo il discorso, ogni nazione invitò ufficialmente i Tosok. Ci fu una considerevole pressione perché si dirigessero a est di New York, attraversando l'Atlantico. La sensazione era che gli Stati Uniti avessero già monopolizzato troppo i visitatori alieni, e un viaggio a ovest negli altri stati americani sarebbe stato fuori luogo.

E così avvenne che gli alieni passarono per Londra, Parigi, Roma, Amsterdam, Mosca, Gerusalemme, Giza, Calcutta, Beijing, Tokyo, Honolulu, e Vancouver. Con loro viaggiava un entourage che comprendeva Frank e Clete e diversi altri eminenti scienziati di varie nazionalità, insieme a un distaccamento di sicurezza. Il rappresentante canadese si rivelò essere Packwood Smathers, lo spaccone con cui Clete aveva discusso sulla CNN.

Uno dèi momenti più importanti del viaggio — sia per i Tosok che per gli umani — fu l'osservazione di una delle vere meraviglie della natura. Clete cercò di fare i dovuti preparativi.

«Anche ora che sono stato nello spazio» disse ai Tosok «la visione astronomica più incredibile l'ho avuta da terra.» Fece una pausa. «Un'eclissi solare totale. Non c'è niente di paragonabile. E ne stiamo per vedere una. Vorrei poter dire che l'abbiamo preparata per voi, ragazzi, ma siamo solo stati fortunati. Ci vorranno quasi due anni perché ce ne sia un'altra. Ma questa, be' questa sarà visibile in molte zone altamente popolate. Per quella del '98 sono dovuto andare nelle Galapagos, e in Siberia per quella del '97. Ma non ha importanza, dove ce n'è una io ci vado. Questa, però, sarà visibile da qui, nel nord della Francia, fino alla Turchia, e probabilmente verrà osservata da più persone di ogni altra eclissi nella storia dell'umanità.» Pausa. «Il vostro mondo ha una luna, Kelkad?»

Il ciuffo sulla testa del capitano alieno si mosse all'indietro, in quello che ormai era riconosciuto come il segno di negazione dei Tosok. «No. Siamo sorpresi di vedere quanto sia grande la vostra.»

«Sì, abbastanza» disse Clete. «In effetti la Terra e la sua luna sono quasi un doppio pianeta.»

«È straordinario» convenne Kelkad. «Ma anche se non abbiamo una luna, io so cos'è un'eclissi — quando un corpo celeste viene parzialmente o totalmente oscurato da un altro.»

«È vero, ma le nostre eclissi sono speciali» disse Clete. «Vedi, il nostro sole è quattrocento volte più grande della nostra luna — ma è anche quattrocento volte più lontano. Questo significa che quando c'è un allineamento, la Luna copre esattamente il Sole, escludendo completamente la fotosfera. Quando questo accade si riesce a vedere la corona — l'atmosfera solare — e qualche volta perfino le protuberanze nello spazio.»

«Incredibile» disse Kelkad.

Clete sorrise. «È vero.»


L'eclissi avvenne di mercoledì a mezzogiorno. I Tosok e il loro entourage avevano appena lasciato Strasburgo, dove avevano visitato la famosa cattedrale gotica. Per avere una visuale libera del cielo il loro bus speciale modificato si era fermato in un vigneto nella campagna francese.

Il Sole era cinquantacinque gradi sopra l'orizzonte e la silhouette della Luna coprì lentamente il suo disco splendente. Gli umani indossavano gli occhiali per vedere le eclissi con la montatura di cartone fluorescente verde e rosa e le lenti in Mylar; i Tosok indossavano sempre i loro occhiali da sole quando erano all'aperto di giorno, ma in quel momento stavano usando delle versioni ultra-forti così da poter guardare anche loro lo spettacolo.

Lentamente, pesantemente, la nera ombra rotonda della Luna coprì sempre più il Sole. E il cielo si fece scuro. Sul paesaggio calò il silenzio; anche gli uccelli smisero di cantare per guardare meravigliati. Quando il cerchio lunare ebbe coperto quasi completamente il Sole, una fila di grani di Baily era visibile sul bordo del disco — macchie luminose causate dalla luce solare che passava attraverso le irregolarità sul bordo della Luna.

E poi…

La totalità.

La temperatura si abbassò notevolmente. Il cielo si fece buio. Chi voleva distogliere per un momento lo sguardo dall'attrazione principale poteva vedere chiaramente la luminosa Venere sotto il Sole, a sinistra, e il più opaco Mercurio in alto a destra, insieme a una spruzzata di stelle; il Sole era a metà tra il Leone e il Cancro.

Intorno al disco nero della Luna era visibile una bella corona rosa, come ciocche di capelli o l'aureola di un angelo selvaggio.

Era assolutamente incredibile, toglieva il respiro. Frank ne era profondamente toccato, e vide Clete che si asciugava le lacrime agli angoli degli occhi. I ciuffi dei Tosok erano agitati per l'eccitazione.

Tutto finì troppo presto. La Luna continuò per la sua strada e il cielo si schiarì.

Kelkad si avvicinò a Clete. «Grazie» disse, con il ciuffo che ancora si muoveva per l'emozione. «Grazie per averci fatto vedere questo.»

Clete sorrise. «Come hai detto, è bello il nostro pianeta.»


Alla fine gli alieni tornarono negli Stati Uniti, in California. Visitarono il Rogers Dry Lake per vedere l'atterraggio dello Shuttle Discovery (aveva fatto delle fotografie e delle scansioni radar per contribuire alla riparazione). Poi andarono a Los Angeles — che in quel momento era la città di Clete; divideva il suo tempo tra la produzione della sua serie televisiva e l'insegnamento di astronomia alla UCLA. Di Disneyland gli alieni non seppero cosa farsene. Capirono che Topolino, Pippo e Paperino dovevano essere un topo, un cane e un papero — avevano visto tutti i tipi di animali durante il loro tour della Terra. Ma erano completamente sconcertati dall'idea di ritrarli come esseri eretti, senzienti e articolati. Erano anche stupiti dalla maggior parte degli intrattenimenti — l'idea di divertirsi spaventandosi sembrava loro una contraddizione in termini. Comunque sembrò che gradissero abbastanza la giostra con le tazzone da tè.

La sera si tenne un ricevimento al Mann Chinese Theatre con una lista di ospiti selezionati. C'era Steven Spielberg, giustamente orgoglioso di aver in qualche modo preparato la razza umana all'arrivo di alieni pacifici e amichevoli. Il capitano Kelkad fu invitato a lasciare le sue orme nel cemento. Questo era un concetto che gli alieni capivano: l'idea di tramandare il proprio segno, di essere ricordati.

Tre dei maggiori contratti per costruire i pezzi di ricambio per l'astronave aliena andarono a TRW, Rockwell International e Hughes. Il presidente della University of Southern California fiutò un'opportunità d'oro, dato che tutte e tre erano nel raggio di venti chilometri dal campus principale dell'università. Offrì immediatamente una sistemazione a lungo termine ai Tosok nella Paul Valcour Hall, una struttura residenziale di sei piani nuova di zecca. Il residence era stato completato in ritardo, troppo per l'anno accademico in corso, e quindi non sarebbe servito fino al settembre successivo. Era una postazione ideale — lontano un centinaio di metri da ogni altro edificio del campus, il che significava che l'accesso era facile da controllare. I Tosok accettarono l'offerta e traslocarono nella struttura insieme al loro entourage scientifico e di sicurezza. Anche Clete, che aveva casa a Los Angeles, si trasferì lì, incapace di rinunciare a un solo momento con gli alieni.

«Grazie per averci aiutato a organizzare tutte le riparazioni» disse una sera il capitano Kelkad a Frank Nobilio, che abitava anche lui alla Valcour Hall. «Lo apprezziamo molto.»

«È stato un piacere» disse Frank. Hask e Torbat — uno degli altri Tosok — erano seduti con lui e il capitano alieno nel salone del sesto piano. «Naturalmente vi rendete conto del fatto che ci vorrà molto tempo per costruire i pezzi di ricambio. Dicono forse due anni…»

«Due anni!» disse Kelkad, con il ciuffo che ondeggiava scioccato. «Di sicuro si può fare…»

Hask disse a Kelkad qualche parola nella lingua Tosok.

«Ah, due dei vostri anni» disse Kelkad. I ricci si calmarono. «Non è male.»

Frank pensò di dire agli alieni che nessuna stima di un ingegnere umano poteva essere considerata affidabile, ma decise che avrebbero affrontato la questione più avanti. Per il momento, pensò, seduto a conversare amabilmente con l'azzurrino Hask, il blu scuro Kelkad e il grigio Torbat, il primo contatto tra la razza umana e gli alieni sembrava andare magnificamente.

Fino all'omicidio.

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