5

Il sedicesimo compleanno della Royesse Iselle cadde a metà della primavera, circa sei settimane dopo l’arrivo di Cazaril a Valenda. Il regalo inviatole dalla capitale, Cardegoss, da parte del fratello Orico, fu una splendida giumenta pomellata grigia, una scelta molto ben calcolata o assai fortunata, dato che Iselle s’innamorò immediatamente di quella bellissima cavalla, che era senza dubbio un dono davvero regale, come ammise lo stesso Cazaril. L’entusiasmo della ragazza fu tale che il Castillar riuscì ad aggirare ancora una volta il problema della mano danneggiata e della conseguente difficoltà nello scrivere. Non ebbe infatti difficoltà a persuadere Iselle a stilare un messaggio di ringraziamento di propria mano, per inviarlo alla capitale tramite il corriere reale che aveva consegnato il dono.

Nei giorni che seguirono, però, Cazaril si ritrovò oggetto d’indagini minuziose e attente, per non dire imbarazzanti, da parte di Iselle e di Betriz riguardo al suo stato di salute. Piccoli doni — frutti scelti o altre vivande prelibate -, gli vennero mandati a ogni pasto; le due giovani lo sollecitarono ad andare a letto presto e a bere un po’ di vino, senza esagerare, e a fare brevi e frequenti passeggiate in giardino. Ma quando dy Ferrej scherzò a quel riguardo con la Provincara, Cazaril apprese che Iselle e Betriz erano state costrette a moderare l’andatura nelle loro cavalcate per non aggravare la sua salute cagionevole. Per un soffio, il buon senso ebbe la meglio sull’indignazione: con espressione imperturbata, Cazaril riuscì prima a confermare la cosa e poi ad allontanarsi con un’andatura abbastanza rigida da riuscire convincente. In fondo, quelle attenzioni femminili, per quanto dettate da scopi palesemente egoistici, erano troppo adorabili per poterle respingere. E giudicare il suo stato cagionevole non era poi lontano dal vero.

Alla fine, però, vuoi per il clima sempre più mite, vuoi per un obiettivo miglioramento fisico, Cazaril riconsiderò le sue posizioni, anche perché di lì a poco la calura estiva avrebbe rallentato di nuovo il ritmo dell’esistenza. Contemporaneamente, le preoccupazioni per la sicurezza delle ragazze diminuirono: entrambe saltavano con disinvoltura i tronchi caduti, restando saldamente in sella, e percorrevano le piste tortuose lungo il fiume, simili a scintillanti chiazze dorate e verdi sotto la volta di foglie novelle.

A sorpresa, fu proprio lui a essere disarcionato, allorché il suo cavallo aveva scartato di lato con violenza dopo aver spaventato una cerva, balzata fuori da alcuni cespugli. Cazaril cadde su un mucchio di rocce e radici, ansimando, e avvertì una fitta dolorosa alla schiena. Con lo sguardo velato da lacrime di sofferenza, rimase immobile finché due spaventati volti femminili non entrarono nel suo campo visivo, stagliandosi sullo sfondo della volta di fogliame e del cielo. Con l’aiuto di entrambe le ragazze e di un tronco abbattuto, lui riuscì comunque a issarsi di nuovo in sella. Il ritorno al castello fu caratterizzato da un’andatura così composta ed elegante, per non dire colpevole, da rispondere alle preghiere di qualsiasi governante. Quando infine oltrepassarono l’arco del portone, il mondo aveva smesso di girargli intorno con piccole scosse assurde, ma la schiena continuava a dolere, anche per via di un gonfiore delle dimensioni di un uovo che probabilmente avrebbe impiegato settimane a riassorbirsi. Una volta giunto sano e salvo nel cortile, Cazaril concentrò la propria attenzione sui gradini per montare, sullo stalliere accorso ad aiutarlo e sul compito di scendere vivo da quella dannata sella. Una volta a terra, indugiò per un momento con la testa appoggiata al pomo della sella e il volto contratto in una smorfia di dolore.

«Caz!» esclamò in quel momento una voce familiare, che pareva scaturire dal nulla.

Sollevando la testa di scatto, Cazaril si guardò intorno con aria perplessa, scorgendo un uomo alto e atletico, coi capelli neri, vestito con un’elegante tunica di broccato rosso e alti stivali da equitazione, che gli stava venendo incontro a braccia aperte.

«Per i cinque Dei», sussurrò. Poi, a voce più alta, disse, incredulo: «Palli?»

«Caz, Caz! Ti bacio le mani! Ti bacio i piedi!» esultò l’uomo alto, afferrandolo. Deciso a mettere in pratica la prima parte del proprio saluto, quasi gettò a terra Cazaril e allora sostituì la seconda con un semplice abbraccio. «Caz, per gli Dei, credevo che fossi morto!»

«No, no… Palli…» Quasi completamente dimentico della propria sofferenza fisica, Cazaril afferrò a sua volta le mani del giovane bruno e si girò verso Iselle e Betriz, che avevano affidato i rispettivi cavalli agli stallieri e si stavano avvicinando con evidente curiosità. «Royesse Iselle, Lady Betriz… Permettetemi di presentarvi Ser dy Palliar, che è stato il mio valido braccio destro a Gotorget… Per i cinque Dei, Palli, che cosa ci fai tu qui?»

«Potrei farti la stessa domanda, e con maggior diritto!» ribatté Palli, rivolgendo un inchino alle due dame, che lo stavano osservando con crescente approvazione. I due anni e più trascorsi dalla caduta di Gotorget avevano migliorato ulteriormente il suo aspetto già gradevole, benché alla fine di quell’assedio sembrassero tutti spaventapasseri. «Royesse, mia signora, sono onorato di conoscervi», proseguì, poi guardò Cazaril, e aggiunse: «Caz, adesso sono il March dy Palliar».

«Oh… allora ti porgo le mie condoglianze», si affrettò a replicare Cazaril. «È una perdita recente?»

«Ormai sono trascorsi quasi due anni», rispose Palli. «Mio padre ha avuto un colpo apoplettico mentre noi eravamo ancora chiusi dentro Gotorget, ma ha resistito finché non sono tornato a casa, sia resa grazia al Padre dell’Inverno. Era cosciente e mi ha riconosciuto, quindi ho potuto parlargli e raccontargli della campagna… Sai, l’ultimo giorno ha pronunciato una benedizione per te, anche se eravamo entrambi convinti di pregare per i nostri morti perduti. Caz, amico, dove sei andato a finire?»

«Io… non sono stato riscattato.»

«Non sei stato riscattato? Com’è possibile? Com’è potuto succedere?»

«È stato un errore. Il mio nome è stato omesso dall’elenco.»

«Dy Jironal ha riferito che, secondo i roknari, eri morto a causa di una febbre improvvisa», obiettò Palli.

«No, sono stato venduto come schiavo sulle galee», spiegò Cazaril, con un sorriso sempre più teso.

«E lo definisci un errore?» esclamò Palli, sollevando la testa di scatto. «No, un momento, tutto ciò non ha senso…»

La smorfia apparsa sul volto di Cazaril e la sua mano premuta contro il suo petto troncarono la protesta di Palli, ma non mitigarono l’espressione sorpresa del suo sguardo. Cogliendo, sia pure tardivamente, l’implicito ammonimento dell’amico, il giovane lasciò cadere l’argomento, anche se la piega decisa delle sue labbra lasciava capire che era intenzionato a riprenderlo quanto prima, in privato. Girandosi infine verso Ser dy Ferrej, che si stava avvicinando per assistere con interesse a quel ricongiungimento, dy Palliar tornò a sfoggiare l’allegro sorriso di poco prima.

«Il March dy Palliar è stato invitato a bere un po’ di vino in giardino, con la Provincara», spiegò il siniscalco. «Unitevi a noi, Cazaril.»

«Vi ringrazio», rispose il Castillar.

Palli lo prese sotto braccio, ed entrambi si avviarono per seguire dy Ferrej fuori del cortile e sul retro della fortezza, dove il giardiniere della Provincara aveva creato una piccola area fiorita. Nell’arco di tre passi, però, Cazaril cominciò a rimanere indietro e dy Palliar, vedendolo incespicare, fu costretto a rallentare il passo, cosa che lo indusse a scoccargli un’occhiata in tralice. Seduta sotto un’arcata di rose rampicanti non ancora sbocciate, la Provincara li stava attendendo con un paziente sorriso sulle labbra e li invitò con un cenno a prendere posto sulle sedie preparate dai servitori. Nell’adagiarsi con cautela sulla sua, e nonostante il cuscino, Cazaril non riuscì a trattenere un sussulto e un grugnito di dolore.

«Per i demoni del Bastardo», imprecò Palli, sottovoce. «I roknari ti hanno storpiato?»

«Solo a metà, ma Lady Iselle… sembra decisa a completare la loro opera», rispose Cazaril, appoggiandosi lentamente allo schienale. «Lei e quello stupido cavallo.»

Accigliandosi, la Provincara scoccò un’occhiata alle due ragazze che, pur non essendo state invitate, si erano accodate al gruppo. «Iselle, hai galoppato?» domandò, minacciosa.

«È stata tutta colpa del mio nobile destriero, mia signora», fu pronto a intervenire Cazaril. «Si è creduto minacciato da un daino divoratore di cavalli, quindi ha scartato di lato e io non sono stato pronto a fare altrettanto.» Accettò un bicchiere di vino offertogli da un servitore e ne bevve un sorso con gratitudine, cercando di non rovesciarlo. La sgradevole sensazione di paura che lo aveva oppresso stava finalmente passando.

Iselle gli scoccò un’occhiata colma di gratitudine, che non sfuggì alla Provincara, la quale sbuffò con aria perplessa. «Iselle, Betriz… Andate a indossare qualcosa di adatto per la cena, al posto di quegli abiti da equitazione», ordinò allora, a mo’ di punizione. «Forse siamo gente di campagna, ma non per questo dobbiamo ridurci al livello di selvaggi.»

Riluttanti, le due ragazze si allontanarono a passo lento, girandosi spesso ad ammirare l’affascinante visitatore.

«Come mai sei qui, Palli?» chiese Cazaril, quando quella doppia distrazione ebbe svoltato l’angolo della fortezza.

Anche Palli stava fissando le ragazze e sembrò riscuotersi da chissà quale contemplazione.

Chiudi quella bocca, amico mio, pensò Cazaril, divertito. Non fare anche tu, come me, la figura dell’idiota.

«Oh, sono diretto a Cardegoss, per fare atto di presenza a corte», spiegò infine Palli. «Mio padre faceva sempre tappa qui, per via della sua amicizia col vecchio Provincar… Così, quando siamo passati vicino a Valenda, ho osato inviare un messaggero. La mia signora» — e fece un cenno verso la Provincara -, «è stata tanto cortese da invitarmi a fermarmi.»

«Ti avrei preso a schiaffi, se non avessi fatto il tuo dovere, fermandoti a salutarmi», replicò sorridendo la Provincara, con ammirevole illogicità. «Erano decisamente troppi anni che non avevo più modo di vedere te o tuo padre. Mi è dispiaciuto apprendere della sua morte.»

Palli annuì, poi tornò a rivolgersi a Cazaril. «Abbiamo intenzione di far riposare i cavalli stanotte e di ripartire domattina a un’andatura tranquilla. Il clima è troppo gradevole per affrettarsi. Le strade sono piene di pellegrini diretti a ogni santuario e Tempio, ma purtroppo brulicano anche di predoni. Ci era stato detto che, sui passi, c’erano dei banditi, ma non siamo riusciti a trovarli.»

«Li hai cercati?» esclamò Cazaril, sconcertato. Nel corso del suo viaggio lui aveva sperato e pregato di non incontrare banditi.

«Ehi! Sono il signore di Palliar, quindi un nobile consacrato all’Ordine della Figlia… al posto di mio padre. Di conseguenza, ho doveri da compiere.»

«Cavalchi insieme coi soldati-fratelli?»

«Direi piuttosto che viaggio col convoglio dei bagagli. Non faccio altro che tenere registri, raccogliere affitti, rintracciare equipaggiamenti e occuparmi di logistica. Del resto, queste sono le gioie del comando, come ben sai, dato che sei stato proprio tu a insegnarmele. Per una parte di gloria, dieci parti di letame da spalare.»

«Una proporzione così buona?» sorrise Cazaril. «Allora sei davvero benedetto.»

Sorridendo di rimando, Palli accertò il formaggio e le focacce che un servitore gli porgeva. «Ho alloggiato le mie truppe in città», proseguì. «Non mi sarei mai aspettato di trovarti qui, Caz! Non appena ho pronunciato il nome Gotorget, mi sono sentito chiedere se ti conoscevo e, allorché questa dama mi ha detto che eri arrivato qui a piedi fin da Ibra, conciato in modo tale da dare l’impressione di essere stato masticato, digerito e sputato da un gatto, sono stato così travolto dallo stupore che un soffio di vento avrebbe potuto gettarmi per terra.»

Cazaril scoccò alla Provincara un’occhiata che voleva essere di rimprovero, ma lei si limitò a scrollare le spalle.

«Nell’ultima mezz’ora, li ho intrattenuti raccontando storie di guerra», aggiunse Palli. «Come va la tua mano?»

«Molto meglio», rispose Cazaril, nascondendola in grembo, poi si affrettò a cambiare discorso. «Come mai stai andando a corte?»

«Ecco, dopo la morte di mio padre, non ho ancora avuto modo di prestare formale giuramento di fedeltà a Orico. Inoltre dovrò rappresentare Palliar come esponente dell’Ordine della Figlia nel corso della cerimonia d’investitura.»

«Investitura?» ripeté Cazaril, perplesso.

«Ah, Orico ha finalmente deciso di cedere il comando generale dell’Ordine della Figlia?» chiese dy Ferrej. «Mi hanno detto che, da quando il vecchio generale è morto, tutte le famiglie di rango elevato di Chalion hanno continuato a tormentarlo per ottenere quella carica.»

«Non ne dubito», commentò la Provincara. «È un incarico che conferisce ricchezza e potere, anche se l’Ordine è più piccolo di quello del Figlio.»

«Sì, ha scelto», disse Palli. «La cosa non è ancora stata annunciata, ma è risaputo che l’incarico andrà a Dondo dy Jironal, il fratello minore del Cancelliere.»

Cazaril s’irrigidì e prese a sorseggiare il proprio vino per nascondere lo sgomento.

«Una strana scelta», osservò la Provincara, dopo una pausa piuttosto lunga. «Di solito, ci si aspetta che il generale di un Ordine militare sacro sia una persona più… più austera.»

«Inoltre il Cancelliere Martou dy Jironal riveste già la carica di generale dell’Ordine del Figlio!» esclamò dy Ferrej. «Due generali in una stessa famiglia? È una pericolosa concentrazione di potere.»

«Se le voci che circolano sono vere, Martou diventerà anche il Provincar dy Jironal non appena il vecchio Ildar si deciderà ad andarsene», mormorò la Provincara.

«Questa è una cosa che non sapevo», osservò Palli, stupito.

«Sì», confermò la Provincara. «La famiglia Ildar non ne è particolarmente contenta, perché credo che sperasse di veder passare il titolo di Provincar a uno dei nipoti del vecchio.»

«Senza dubbio, grazie al favore di Orico, i fratelli dy Jironal hanno molto potere a Chalion», affermò Palli, scrollando le spalle. «Se fossi furbo, dovrei cercare il modo di aggrapparmi al mantello di uno dei due e sfruttarne la scia.»

Fissando il bicchiere di vino con aria accigliata, Cazaril cercò disperatamente il modo di cambiare argomento. «Che altre notizie hai sentito?» domandò allora.

«Pare che, nelle due settimane passate, l’Erede di Ibra abbia innalzato la propria bandiera nell’Ibra meridionale, muovendo di nuovo contro quella vecchia volpe di suo padre. Tutti credevano che il trattato della scorsa estate avrebbe retto…

Pare invece che lo scorso autunno ci sia stato tra loro qualche screzio, tenuto segreto, e che il Roya lo abbia ripudiato ancora una volta.»

«L’Erede presume troppo», dichiarò la Provincara. «Dopotutto, il sovrano di Ibra ha un altro figlio.»

«L’ultima volta, Orico si è schierato dalla parte dell’Erede», le ricordò Palli.

«E Chalion ne ha pagato il prezzo», mormorò Cazaril.

«A me pare che Orico si sia mostrato lungimirante, perché alla fine dovrà essere l’Erede a spuntarla, in un modo o nell’altro», replicò Palli.

«Per il vecchio, sarà una vittoria amara, se sconfiggerà suo figlio», intervenne dy Ferrej, in tono riflessivo. «No, scommetto che sacrificheranno altre vite umane e, alla fine, faranno di nuovo la pace, sui corpi dei loro soldati.»

«Una triste faccenda da cui non può venire nulla di buono», annuì la Provincara. «Avanti, dy Palliar, dammi qualche buona notizia… Dimmi che la Royina di Orico aspetta un figlio.»

«Non che io sappia, mia signora», rispose Palli, scuotendo il capo.

«In tal caso, andiamo a cena e smettiamola di parlare di politica. È una cosa che mi fa venire l’emicrania.»

Quando cercò di alzarsi dalla sedia, Cazaril per poco non cadde, dato che i suoi muscoli, nonostante il vino, si erano raffreddati e contratti. Palli gli afferrò un gomito per sostenerlo e assunse un’espressione molto aggrondata. Scuotendo appena il capo per intimargli di tacere, Cazaril si allontanò per andare a lavarsi e a cambiarsi… e per esaminare i propri lividi in privato.


La cena, cui partecipò la maggior parte della famiglia, fu allegra. Dy Palliar, che non era tipo da tirarsi indietro davanti al cibo o alla conversazione, intrattenne tutti i presenti — da Lord Teidez e Lady Iselle fino al paggio più giovane — con le sue storie e, nonostante il vino, si mantenne lucido, badando a narrare soltanto aneddoti allegri e divertenti, in cui lui, il più delle volte, risultava il capro espiatorio della situazione più che l’eroe. Fece anche il resoconto di una sortita notturna, nella quale era stato coinvolto pure Cazaril, contro i guastatori roknari, che stavano indebolendo le mura; una spedizione così efficace da scoraggiare i roknari per oltre un mese dal riprendere la loro attività. Durante il racconto, tutti fissavano con occhi sgranati sia dy Paillar sia Cazaril. Per nessuno dei presenti era facile immaginare il timido e pacato segretario della Royesse mentre strisciava tra la polvere e le macerie brandendo un pugnale. Dato che la massima aspirazione di Cazaril, al momento, era risultare praticamente invisibile, lui fu contrariato da quel racconto e, nelle due occasioni in cui Palli cercò di coinvolgerlo nei discorsi, perché intrattenesse gli altri commensali, fu pronto a cedere la parola allo stesso Palli o a dy Ferrej. Al secondo tentativo fallito, dy Palliar rinunciò a far uscire l’amico dal suo guscio.

La cena si protrasse fino a tardi, poi giunse inevitabilmente il momento atteso e temuto da Cazaril. Una volta che tutti si furono ritirati per la notte, Palli venne a bussare alla sua porta. Dopo averlo invitato a entrare, Cazaril addossò la cassapanca alla parete, vi gettò sopra un cuscino perché servisse da sedile per il suo ospite e si sedette di fronte a lui, sul letto che scricchiolò al pari delle sue povere ossa.

Palli lo fissò nella luce incerta delle due candele presenti nella stanza. «Un errore, Caz?» chiese. «Hai pensato a come si può essere verificato?» chiese. Una domanda diretta, che rivelava quanto gli stesse a cuore quell’argomento.

«Ho avuto diciannove mesi di tempo per farlo, Palli, e durante quei mesi ho analizzato e rivoltato ogni singola possibilità, pensandoci e ripensandoci fino a sentirmi nauseato alla semplice idea di affrontare il problema. Ho deciso di metterci una pietra sopra. È un argomento chiuso.»

«Credi che i roknari abbiano voluto vendicarsi di te, nascondendoci che eri prigioniero e sostenendo invece che eri morto?» insistette Palli, ignorando quell’invito indiretto a cambiare discorso.

«È una possibilità», annuì Cazaril… Se non fosse per il fatto che ho visto quell’elenco coi miei occhi, aggiunse mentalmente.

«Oppure qualcuno ti ha omesso di proposito dall’elenco?» continuò Palli.

L’elenco è stato stilato da Martou dy Jironal, pensò Cazaril. «È la conclusione cui sono giunto.»

«Che viltà!» esclamò Palli, furente. «Che ignobile tradimento, dopo tutto quello che abbiamo patito… Dannazione, Caz! Quando arriverò a corte, intendo parlarne col March dy Jironal. Gli Dei sanno che adesso lui è il nobile più potente di tutta Chalion e insieme dovremmo riuscire ad andare a fondo del…»

«No!» lo interruppe con violenza Cazaril, alzandosi di scatto con aria terrorizzata. «Non lo fare, Palli! Dy Jironal non deve neppure sapere che io esisto! Non discutere di questa faccenda, non mi menzionare… È meglio che il mondo mi creda morto. Se mi fossi reso conto del rischio che correvo sarei rimasto a Ibra. Lascia perdere.»

«Ma… Valenda non è certo ai confini del mondo», obiettò l’altro, perplesso. «È ovvio che si verrà a sapere che sei vivo.»

«Questo è un posto tranquillo e pacifico. Qui la mia presenza non crea problemi a nessuno.»

C’erano altri uomini coraggiosi quanto Palli, e alcuni erano anche più forti di lui, ma era stata la sua intelligenza a renderlo il luogotenente preferito di Cazaril, quando si trovavano a Gotorget. A Palli era sempre bastato un solo indizio per cominciare a districare un enigma… E infatti, d’un tratto, socchiuse gli occhi nella tenue luce delle candele e sussurrò: «Dy Jironal? È stato luì? Per i cinque Dei, che cosa puoi mai avergli fatto?»

«Non credo che si sia trattato di una questione personale», replicò Cazaril, a disagio. «Penso invece che sia stato un piccolo, facile favore… fatto a qualcuno.»

«Allora sono due gli uomini che conoscono la verità. Per gli Dei, Caz, chi sono?» Cazaril comprese che Palli avrebbe continuato a indagare: ormai non poteva più tornare indietro e nascondergli la verità. Magari, però, dandogli sufficienti informazioni, si sarebbe convinto a tacere. «Chi ti può odiare così tanto?» continuò. «Sei sempre stato il più conciliante tra gli uomini, eri addirittura famoso per il modo in cui rifiutavi i duelli, lasciando che gli attaccabrighe facessero una ben meritata figura da stolti… Tutti conoscevano la tua abilità nel riappacificare le persone e nell’ottenere nei trattati le condizioni più favorevoli. Non ti sei mai lasciato coinvolgere da nessuna fazione… Per l’inferno del Bastardo, non hai mai neppure avuto l’abitudine di fare scommesse! Un piccolo, facile favore! Cosa può aver mai generato un simile, implacabile odio proprio nei tuoi confronti?»

«Ritengo sia stata la paura», rispose Cazaril, massaggiandosi la fronte che cominciava a dolere, e non per il vino bevuto a cena.

Sul volto di Palli si dipinse un’espressione di stupore.

«Se si dovesse venire a sapere che sei al corrente di tutto, Palli, loro avranno paura anche di te», continuò Cazaril. «Non voglio vederti coinvolto in questo pasticcio, quindi promettimi che lascerai perdere.»

«Se si tratta di un timore così grave, il fatto stesso che hai parlato con me sarà sufficiente a rendermi sospetto, e la loro paura, unita alla mia ignoranza dei fatti… Per gli Dei, Caz! Non mi mandare in battaglia alla cieca!»

«Non voglio mandare mai più nessuno in battaglia!» esclamò Cazaril con tale slancio da indurre l’amico a sgranare gli occhi per la sorpresa. Poi, d’un tratto comprese qual era il modo più ovvio per usare la curiosità stessa di Palli contro di lui, e aggiunse: «Se ti dirò quello che so, e come faccio a saperlo, sei disposto a darmi la tua parola di lasciar perdere? La tua parola, bada bene! Sei disposto a promettere che non indagherai, che non accennerai alla cosa neppure a me, che non lascerai cadere velate insinuazioni e che non affronterai l’argomento neppure in maniera indiretta…»

«Come tu stai facendo adesso?» commentò Palli.

«Infatti», annuì Cazaril, con un verso che era in parte una risata e in parte un gemito di dolore.

«Mercante… Tu dunque vuoi che compri un maiale chiuso in un sacco senza neppure farmelo prima vedere?» lo accusò scherzosamente Palli, appoggiandosi al muro.

«Oink», mormorò Cazaril.

«Dannazione… E va bene, comprerò il tuo maiale. Del resto, non è mai successo che tu ci abbia guidati su un terreno infido o in un’imboscata, quindi sono pronto a fidarmi della tua capacità di giudizio… nella misura in cui tu ti fidi della mia discrezione. Su questo, hai la mia parola.»

Cazaril sospirò, costretto suo malgrado ad ammirare quell’abile contrattacco verbale. «Benissimo», assentì. Rimase in silenzio per qualche istante, assaporando quella resa reciproca e mettendo ordine nei pensieri, mentre si chiedeva da dove poteva cominciare. Ma si trattava di eventi che aveva esaminato e riesaminato, nella sua mente, fino a ordinarli in maniera tale da trarne ormai una storia quanto mai chiara e coerente, anche se non l’aveva mai raccontata a nessuno prima di allora. «Non c’è molto da dire», esordì. «Ho incontrato per la prima volta Dondo dy Jironal quattro… No, cinque anni fa, quand’ero al seguito di dy Guarida in quella piccola guerra di confine contro il folle principe roknari Olus, quello che aveva l’abitudine di seppellire i nemici fino alla vita negli escrementi e di bruciarli vivi, e che poi è stato assassinato circa un anno più tardi dalle sue stesse guardie del corpo.»

«Ah, sì, ricordo di aver sentito parlare di lui. Dicono che sia morto a testa in giù negli escrementi.»

«Sulla sua fine esistono numerose versioni. A quel tempo, comunque, lui aveva ancora il controllo delle sue forze, e Lord dy Guarida era riuscito a intrappolare il suo esercito — forse sarebbe meglio dire la sua marmaglia — sulle colline, ai confini del suo principato. Lord Dondo e io siamo stati mandati da Olus come inviati, sotto bandiera di tregua, per consegnargli un ultimatum e stabilire le condizioni per la resa e per i riscatti. Le cose non sono andate bene durante la discussione e Olus ha deciso che un messaggero era più che sufficiente per riferire le sue parole di sfida all’assemblea dei nobili di Chalion. Di conseguenza, ha messo me e Dondo l’uno davanti all’altro nella sua tenda, circondati da quattro di quelle sue mostruose guardie con la spada in pugno, e ci ha dato un’alternativa: a quello di noi che avesse decapitato il compagno sarebbe stato permesso di far ritorno presso le nostre linee; se invece ci fossimo rifiutati di stare al suo gioco saremmo morti entrambi, e le nostre teste sarebbero state rispedite indietro mediante un lancio con una catapulta.»

«Ah», fu tutto quello che Palli riuscì a dire.

«A me è stata data l’occasione di colpire per primo», continuò Cazaril, traendo un profondo respiro. «Quando ho rifiutato la spada, Olus mi ha sussurrato, con quella sua strana voce untuosa: ’Questo è un gioco in cui non potete vincere, Lord Cazaril’. ’Lo so, m’hendi’, ho risposto. ’Ma posso far perdere voi.’ Per un momento, lui è rimasto in silenzio, poi si è limitato a ridere e si è girato, offrendo la possibilità di colpire a Dondo, che a quel punto era verdastro in faccia, più simile a un cadavere che a un uomo vivo…»

Palli si agitò leggermente, ma non lo interruppe, anzi gli fece cenno di continuare.

«Una delle guardie mi ha costretto a inginocchiarmi, e l’altra mi ha preso per i capelli, in modo che appoggiassi la testa su uno sgabello. Poi… Dondo ha calato la spada.»

«Sul braccio della guardia?» chiese Palli, con voce tesa.

«No», rispose Cazaril, dopo un momento di esitazione. «All’ultimo momento, però, Olus ha insinuato la sua spada di piatto tra di noi, e la lama di Dondo è scivolata su di essa…» Nella sua mente, Cazaril sentiva l’acuto stridere del metallo sul metallo. «Me la sono cavata con un livido sul collo che è rimasto nero per un mese. Due guardie hanno tolto a forza la spada a Dondo, poi siamo stati issati entrambi sui nostri cavalli e rimandati al campo di dy Guarida. Mentre mi legavano le mani alla sella, Olus si è avvicinato e mi ha sussurrato: ’Adesso vedremo chi sarà il perdente’. Il viaggio si è svolto in assoluto silenzio, finché non siamo arrivati in vista del campo. A quel punto, Dondo si è girato verso di me per la prima volta, e ha detto: ’Se mai doveste raccontare quello che è successo, vi ucciderò’. La mia risposta è stata: ’Non vi preoccupate, Lord Dondo, a tavola racconto soltanto storie divertenti’. Adesso so che dovevo giurargli di mantenere il segreto, e tuttavia… forse neppure quello sarebbe stato sufficiente.»

«Ma lui ti deve la vita!»

«Ho visto la sua anima messa a nudo», spiegò Cazaril, scuotendo il capo e distogliendo lo sguardo. «È una cosa che non potrà mai perdonarmi. Naturalmente, mi sono ben guardato dal riferire l’accaduto, e ho pensato che la cosa fosse finita lì… fino alla caduta di Gotorget e a quello che è successo dopo. Adesso so di essere doppiamente condannato. Quanto credi che varrebbe la mia vita, se Dondo venisse a sapere non soltanto che sono vivo, ma anche che so esattamente perché sono stato venduto come schiavo sulle galee? Se non dirò e non farò nulla, evitando di ricordargli l’accaduto… Ecco, forse ormai lo ha dimenticato, e io voglio soltanto essere lasciato in pace, in questo posto tranquillo, mentre è possibile che lui abbia nuovi e più importanti nemici. Non fare mai il mio nome, a nessuno dei due dy Jironal», proseguì con voce tesa, fissando l’amico negli occhi. «Non mi nominare mai. Ricorda che non hai mai sentito questa storia e che mi conosci solo superficialmente. Palli, se nutri un po’ di affetto nei miei confronti, dimentica ogni cosa.»

Notando l’aria di disapprovazione dell’amico, Cazaril comprese che questi si sarebbe sentito vincolato dal giuramento, il che però non gli impediva di mostrarsi contrariato. «Come vuoi. Però… dannazione e ancora dannazione!» sbottò Palli, scrutando l’altro come se stesse cercando chissà cosa sui suoi lineamenti. «Non si tratta soltanto di quella tua orribile barba. Sei molto cambiato.»

«Davvero? Ebbene, non posso farci niente.»

«Quanto… è stata dura la tua esperienza?» chiese Palli, distogliendo lo sguardo. «Sulle galee, intendo.»

«Nella sventura, sono stato fortunato, perché sono sopravvissuto, mentre altri non ce l’hanno fatta», rispose Cazaril, scrollando le spalle.

«Si sentono storie orribili su come gli schiavi vengono terrorizzati… o su come si abusa di loro.»

Cazaril si grattò distrattamente la barba che a suo parere contribuiva a farlo apparire meno emaciato. «Quelle storie non sono false, ma piuttosto distorte, esagerate… In esse, eventi eccezionali vengono presentati come occorrenze quotidiane. I comandanti migliori ci trattavano nello stesso modo in cui un contadino tratta il suo bestiame, con gentilezza impersonale, concedendoci cibo, acqua, esercizio fisico, e la pulizia necessaria a rimanere in buona salute. Dopotutto, percuotere un uomo fino a lasciarlo privo di sensi lo pone nell’impossibilità di manovrare un remo, e quel genere di… disciplina veniva applicato soltanto quand’eravamo in porto. Una volta al largo, il mare offriva il migliore strumento di punizione.»

«Non capisco», confessò Palli.

«Perché danneggiare la pelle di un uomo, o le sue ossa, quando puoi spezzare il suo spirito semplicemente gettandolo in acqua, con le gambe a fare da eccellente esca per i grandi pesci?» replicò Cazaril, inarcando le sopracciglia. «I roknari dovevano aspettare ben poco per vederci nuotare dietro la nave, piangendo e implorando di essere accettati di nuovo come schiavi.»

«Sei sempre stato un eccellente nuotatore», osservò Palli, con una nota di speranza nella voce. «Senza dubbio, questo ti avrà aiutato a sopportare la cosa meglio degli altri.»

«Temo sia successo il contrario. Per gli uomini che affondavano come sassi, la fine arrivava rapida e misericordiosa. Riflettici sopra, Palli, come ho fatto io.»

Gli capitava ancora di pensarci, quando si svegliava di colpo e si sollevava a sedere di scatto, emergendo da un incubo in cui l’acqua pareva chiudersi sopra la sua testa o, peggio ancora, che non si chiudesse. Una volta, il vento si era alzato all’improvviso mentre il capo vogatore era impegnato in quel giochetto a spese di un ibrano particolarmente riottoso, e il comandante, impaziente di arrivare in porto prima della tempesta, si era rifiutato di tornare indietro per recuperare lo schiavo. Le urla sempre più fievoli dell’ibrano erano echeggiate sull’acqua a mano a mano che la nave si allontanava. In seguito, per punire quell’errore di valutazione, il comandante aveva detratto il costo della sostituzione dello schiavo dalla paga del capo vogatore, cosa che aveva irritato l’uomo per settimane.

«Oh», mormorò Palli.

«Te lo concedo. Il mio orgoglio e la mia linguaccia mi hanno fruttato non poche percosse all’inizio del mio imbarco, ma a quel tempo mi consideravo ancora un nobile di Chalion, una convinzione che è stata rimossa dalla mia mente… in seguito.»

«Ma… non sei stato… non ti hanno fatto oggetto di… Voglio dire, non ti hanno usato in modo degradante…»

La luce era troppo tenue per permettere a Cazaril di vedere se l’amico era arrossito… Alla fine il Castillar comprese che, in maniera contorta e imbarazzata, Palli stava cercando di chiedergli se era stato violentato, cosa che gli fece affiorare sulle labbra un amaro sorriso. «Ritengo che tu stia confondendo la flotta roknari con quella di Darthaca», rispose. «Temo che siffatte leggende non siano che il frutto dei desideri di qualcuno. A causa della concezione eretica dei roknari, che contempla soltanto quattro Dei, il genere di amori singolari che qui ricade sotto l’egida del Bastardo è considerato un crimine. Secondo i teologi dei roknari, infatti, il Bastardo è un demone, come suo padre, e non un Dio, come la sua santa madre, motivo per cui ci accusano di adorare il diavolo… il che, a mio parere, costituisce una grave offesa per la Signora dell’Estate, e anche per il Bastardo stesso, che non ha certo chiesto di nascere. I roknari torturano e uccidono gli uomini colpevoli di sodomia, e i migliori comandanti roknari non tollerano cose del genere a bordo della loro nave, né tra i loro uomini né tra gli schiavi.»

«Ah», commentò Palli, sollevato. Subito dopo, però, non riuscì a trattenersi dal chiedere «E i peggiori comandanti roknari?»

«Con loro, la necessità di mantenere il segreto poteva rivelarsi letale. A me non è mai successo, forse perché ero troppo magro, però alcuni uomini più giovani e i ragazzi più attraenti… Noi schiavi sapevamo che si sacrificavano per tutti e cercavamo di essere gentili con loro. Alcuni piangevano, altri imparavano a sfruttare quella sventura per ottenere favori. Erano ben pochi gli schiavi che nutrivano rancore verso di loro per qualche razione in più o per qualche regalino comprato a così caro prezzo. Inoltre si trattava di un gioco pericoloso, perché i roknari con quel genere d’inclinazioni segrete avevano la tendenza a rivoltarsi contro quei poveretti e a ucciderli, come se, così facendo, potessero cancellare il loro peccato.»

«Mi fai rizzare i capelli in testa», ammise Palli. «Credevo di conoscere il mondo, ma… pare che non sia così. Se non altro, almeno ti è stato risparmiato il peggio.»

«Tu non sai cosa sia il peggio», ribatté Cazaril, cupo. «Una volta sono stato usato per un orribile scherzo durato un intero, infernale pomeriggio… Un’esperienza al cui confronto quello che succedeva ad alcuni ragazzi era una cosa da nulla, e a causa della quale nessun roknari ha corso il rischio di essere impiccato.» Si rese conto di non aver mai raccontato quell’incidente a nessuno, né ai gentili Accoliti del Tempio, né tantomeno a qualcuno nel palazzo della Provincara, per il semplice fatto che fino a quella sera non aveva avuto nessuno con cui poter davvero parlare. «La galea su cui mi trovavo ha commesso l’errore di attaccare un grosso mercantile di Brajar, avvistando le galee di scorta quando ormai era troppo tardi», proseguì, quasi impaziente di potersi sfogare. «Durante l’inseguimento che è seguito, io sono svenuto al remo a causa del calore eccessivo e, per potermi sfruttare lo stesso, il capo vogatore mi ha fatto spogliare e mi ha appeso oltre la murata di poppa, con le mani legate alle caviglie, per farsi beffe degli inseguitori. Non saprei dirti se le quadrelle di balestra che si sono conficcate nella murata e nello scafo, intorno a me, mi hanno mancato perché gli arcieri brajariani avevano una mira scadente o perché hanno evitato di proposito di colpirmi. E non so neppure per quale atto di misericordia degli Dei la mia vita non sia finita quel giorno, con una manciata di frecce conficcata nel posteriore. Forse quei brajariani hanno pensato che fossi un roknari, o forse hanno cercato di porre fine alle mie sofferenze.» Osservando l’espressione sconvolta di Palli, decise di sorvolare sui dettagli più grotteschi e, dopo un istante, riprese: «Come ricorderai, a Gotorget abbiamo vissuto nella paura per mesi di fila, fino ad abituarci a quella sorta di tensione interiore che riuscivamo ormai a ignorare ma che non ci abbandonava mai».

Palli annuì.

«Io però ho scoperto che… Sai, è strano, non so esattamente come spiegarlo… Ho scoperto che esiste un posto al di là della paura, cui arrivi quando il corpo e la mente non sono più in grado di sostenerti, un posto dove il mondo, il tempo… si riorganizzano in qualche modo. Quel pomeriggio, il battito del mio cuore si è rallentato, ho smesso di sudare e di produrre saliva… Sono quasi scivolato in una sorta di trance sacra. Quando i roknari mi hanno appeso lassù, ho pianto per la paura, la vergogna e il disgusto, ma quando finalmente i brajariani hanno rinunciato all’inseguimento e il capo vogatore mi ha fatto tirare giù, coperto di scottature a causa del sole… Be’, stavo ridendo. I roknari hanno creduto che fossi impazzito, e così pure i miei poveri compagni di voga, ma io non credo che si sia trattato di follia. In qualche modo, il mondo mi appariva… nuovo. Naturalmente, il mondo in questione era lungo soltanto qualche dozzina di passi, era fatto di legno e rollava sull’acqua, e lo scorrere del tempo era costituito dal girarsi di una clessidra. Ho imparato quel giorno a pianificare la mia vita ora per ora, come gli altri la pianificano anno per anno; ho scoperto che tutti gli uomini erano splendidi e gentili, roknari e schiavi in pari misura, sangue nobile o plebeo, e che io ero amico di tutti, che mi piaceva sorridere a tutti. Dopo di allora, però, sono sempre stato ben attento a non svenire mentre stavo remando. Per questo motivo, ogni volta che la paura mi affiora nel cuore, ne sono quanto mai lieto, perché è un segno che non sono davvero pazzo, e che forse sto migliorando. Adesso, la paura è mia amica», concluse, sollevando lo sguardo con un sorrisetto contrito.

Palli sedeva con la schiena addossata alla parete, le gambe rigide e gli occhi dilatati, un sorriso forzato dipinto sulle labbra.

«Per i cinque Dei, Palli, perdonami!» esclamò Cazaril, scoppiando a ridere. «Non volevo scaricarti addosso tutte le mie confidenze, addossandoti questo fardello. Quello di cui ti ho gravato è un peso sgradevole e male assortito. Mi dispiace.» Tuttavia pensò che forse aveva parlato proprio perché l’indomani l’amico sarebbe ripartito, e quelle confidenze sarebbero rimaste fra loro.

Palli accantonò le sue scuse con un gesto distratto, poi mosse a vuoto le labbra un paio di volte, deglutì a fatica, e infine riuscì a replicare. «Sei certo che non si sia trattato soltanto di un’insolazione?» chiese.

«Oh, ho avuto anche un’insolazione», ridacchiò Cazaril. «Se non ti uccide, però, un’insolazione non dura più di un paio di giorni, mentre quello stato d’animo si è protratto… per mesi.» Si era protratto fino all’ultimo incidente con quel ragazzo ibrano terrorizzato e tuttavia audace, l’incidente conclusosi con la fustigazione che per poco non lo aveva ucciso. «Noi schiavi…»

«Smettila!» gridò Palli, passandosi le mani tra i capelli.

«Smettere cosa?» domandò Cazaril, perplesso.

«Smettila di dire ’noi schiavi’. Tu sei un nobile di Chalion!»

«Noi nobili, ai nostri remi, suona meglio?» ribatté Cazaril, con un sorriso amaro. «Noi gentiluomini grugnenti, sudati, imprecanti? Non direi proprio, Palli. Sulle galee, non eravamo nobili e neppure uomini: eravamo uomini o animali, e il rientrare nell’una o nell’altra categoria, a quanto ho visto, non è mai dipeso dalla nascita o dal sangue che si aveva nelle vene. L’anima più generosa e grande che ho incontrato là è stata quella di un conciatore di pelli; in questo momento, se apprendessi che è ancora vivo, sarei pronto a baciargli i piedi per la gioia. Noi schiavi, noi nobili, noi uomini e donne, noi mortali, noi trastulli degli Dei… è sempre la stessa cosa, Palli. Adesso, per me, tutte quelle definizioni si equivalgono.»

Con un lungo respiro, Palli cambiò bruscamente argomento, mettendosi a parlare dei piccoli problemi connessi alla gestione della sua scorta, appartenente all’Ordine militare della Figlia. Così Cazaril si trovò a discutere di metodi per impedire che il cuoio dei finimenti marcisse o per curare le infezioni agli zoccoli dei cavalli. Di lì a poco, inoltre, Palli si ritirò per la notte… o, per meglio dire, si diede alla fuga. La sua fu una ritirata in buon ordine, ma fu comunque una ritirata, cosa che non sfuggì a Cazaril.

Rimasto solo, il Castillar si distese sul letto, coi suoi dolori e coi suoi ricordi e, nonostante il banchetto e il vino, impiegò parecchio tempo a prendere sonno. La paura poteva anche essere sua amica — sempre che quell’affermazione non fosse stata una spacconata a beneficio di Palli -, ma era chiaro che i due fratelli dy Jironal non lo erano di certo. Il fatto che i roknari avessero riferito che lui era morto di febbre era una menzogna astuta, perché ormai la sua fondatezza non era più controllabile. La sua unica consolazione era che lì, nella tranquilla Valenda, lui si trovava senza dubbio al riparo da occhi indiscreti. Gli rimaneva soltanto da sperare di aver messo in guardia Palli quanto bastava perché, una volta alla corte di Cardegoss, non finisse per compiere un involontario passo falso.

Giratosi su un fianco, nel buio, Cazaril sussurrò una preghiera alla Signora della Primavera perché proteggesse Palli, poi aggiunse una preghiera a tutti gli Dei, e anche al Bastardo, per tutti coloro che quella notte si trovavano sul mare.

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