14

Il vino di Umegat ebbe almeno un merito: l’indomani, Cazaril trascorse le prime ore della giornata a desiderare la morte, piuttosto che a temerla. Poi, quando la paura ricominciò ad avere il sopravvento, comprese che la sbornia stava passando.

Stranamente, scoprì di nutrire ben pochi rimpianti all’idea che la sua vita stesse per finire. Dopotutto, aveva girato il mondo più della maggior parte degli uomini, e aveva avuto le sue occasioni, anche se gli Dei gli erano testimoni del fatto che non aveva saputo sfruttarle. Sotto le coltri, mettendo ordine nei suoi pensieri, si rese conto con una certa meraviglia che la sua maggiore preoccupazione andava al lavoro che avrebbe lasciato a metà. E i timori su cui non si era potuto soffermare quando si era messo a pedinare Dondo, presero corpo nella sua mente. Se lui fosse morto, chi avrebbe protetto le dame? Quanto tempo aveva per trovare un sostituto onesto e pronto a difenderle? Sposando un rispettabile nobile di campagna, come il March dy Palliar, Betriz sarebbe stata tutelata… ma Iselle? Sua nonna e sua madre erano troppo deboli e distanti, Teidez era troppo giovane e Orico, a quanto pareva, era completamente in balia del suo Cancelliere, quindi lei non sarebbe stata al sicuro se non abbandonando la corte. D’un tratto, un altro crampo gli rammentò il letale inferno racchiuso nel suo ventre, inducendolo a sbirciare con preoccupazione lo stomaco contratto, sotto le coperte. Quanto sarebbe stato doloroso quel genere di morte? Stamattina, usando il pitale, non ho perso troppo sangue… Sbattendo le palpebre, lasciò vagare lo sguardo per la camera, rischiarata dalla luce del primo pomeriggio: le pallide chiazze sfocate, che si muovevano al limite del suo campo visivo e che aveva attribuito al troppo vino, erano ancora presenti. Possibile che si trattasse di un altro sintomo del suo nuovo stato?

Un colpo deciso battuto contro la porta lo indusse a strisciare fuori del suo caldo rifugio per andare ad aprire. Scese dal letto e si avviò a fatica, notando tuttavia che camminava meno curvo rispetto al giorno precedente. Umegat, che reggeva una caraffa chiusa, gli augurò un buon pomeriggio ed entrò con decisione nella stanza, richiudendosi la porta alle spalle. Il roknari emanava ancora un tenue chiarore, e Cazaril, con un sospiro, si rassegnò all’idea che gli eventi del giorno precedente non erano davvero stati soltanto un sogno tanto bizzarro quanto sgradevole.

«Per gli Dei!» esclamò lo stalliere, guardandosi intorno con stupore, poi agitò una mano. «Via! Via!»

Le pallide chiazze sfocate presero a vorticare per la camera, svanendo attraverso le pareti.

«Cosa sono quelle cose?» domandò Cazaril, adagiandosi di nuovo nel letto. «Le vedi anche tu?»

«Sono spettri. Su, bevi questo», rispose Umegat, versando parte del contenuto della caraffa nella coppa a fianco della bacinella per lavarsi e porgendola a Cazaril. «Ti assesterà lo stomaco e ti schiarirà la mente.»

Cazaril fu tentato di respingere la coppa con disgusto, paventando che fosse vino. In realtà si trattava di un infuso freddo di erbe che lui sorseggiò con cautela. Il suo sapore amaro era gradevole e gli ripulì la bocca inaridita dal vino.

Intanto Umegat, accostato uno sgabello al letto, si sedette.

«Spettri?» ripeté infine Cazaril, serrando gli occhi per un momento prima di riaprirli.

«Sì, quelli del castello. Non ne ho mai visto così tanti raccolti in uno stesso posto. Evidentemente, come gli animali sacri, anch’essi sono attratti da te.»

«Chiunque può vederli?»

«Chiunque possieda l’occhio interiore, sì. Da quel che so, in tutta Cardegoss siamo soltanto in tre ad avere questo talento.»

E due sono in questa stanza, pensò Cazaril. «Sono sempre stati presenti, per tutto questo tempo?» chiese.

«Io li intravedo, di tanto in tanto, ma di solito sono più schivi. In ogni caso, non devi temerli, perché non ti possono fare del male. Sono soltanto povere anime perdute», spiegò Umegat e, notando l’espressione stupefatta di Cazaril, aggiunse: «Accade talvolta che nessun Dio accetti un’anima recisa ed essa allora viene lasciata a vagare per il mondo, perdendo lentamente la consapevolezza di sé e svanendo nell’aria. I nuovi spettri assumono inizialmente la forma che avevano in vita, ma poi non riescono a mantenerla a causa della disperazione e della solitudine».

«Ah», mormorò Cazaril, confuso, stringendosi le braccia intorno al ventre. Era dunque quello il fato delle anime che non venivano accettate dagli Dei? E cosa stava succedendo, esattamente, allo spirito infuriato rimasto intrappolato dentro di lui? D’un tratto, gli tornarono in mente le parole della Royina Ista sullo Zangre — Sapete, è infestato dai fantasmi… - e si rese conto che esse non erano una metafora o un indizio di follia, bensì una pura e semplice constatazione. Ma allora quante delle strane cose da lei dette corrispondevano a una verità… vista con occhi alterati? Sollevando lo sguardo, Cazaril scoprì che Umegat lo stava osservando con aria pensosa.

«Come ti senti?» domandò il roknari, in tono cortese.

«Rispetto a stamattina, sto meglio», rispose Cazaril. Con una certa riluttanza, aggiunse: «E mi sento meglio di ieri».

«Hai mangiato?»

«Non ancora. Forse più tardi», rispose Cazaril, passandosi una mano sulla barba. «Cosa sta succedendo, là fuori?»

«Non avendo trovato in città nessun possibile colpevole, il Cancelliere dy Jironal ha lasciato Cardegoss, alla ricerca del cadavere dell’assassino di suo fratello e di eventuali complici ancora in vita», disse Umegat, scrollando le spalle.

«Spero che non catturi qualche innocente.»

«Lo accompagna un esperto Inquisitore del Tempio, il che dovrebbe essere sufficiente a impedirgli di commettere errori», garantì Umegat. Poi, mentre Cazaril era ancora impegnato ad assimilare quell’informazione, aggiunse: «Inoltre, una fazione dell’Ordine militare della Figlia ha inviato corrieri a tutti i suoi Lord Devoti, convocandoli per un consiglio generale, il che significa che non hanno intenzione di permettere che il Roya Orico imponga un altro comandante come Lord Donde»

«Come potrebbero mai sfidarlo?» ribatté Cazaril. «Ribellandosi?»

«Certamente no», replicò Umegat, affrettandosi ad accantonare con un gesto quell’ipotesi che sapeva di tradimento. «Invieranno una petizione o una richiesta.»

«Hmm. Mi pare che abbiano già protestato l’ultima volta, ma inutilmente. Dy Jironal non permetterà che il controllo di quell’Ordine gli sfugga di mano.»

«L’Ordine militare stavolta è sostenuto da tutta la sua casa.»

«Capisco. Tu che cos’hai fatto, oggi?»

«Ho pregato di ricevere una guida.»

«E hai avuto risposta?»

«Forse», rispose Umegat, con un sorriso ambiguo.

Cazaril si concesse un momento di riflessione. «Tu sei a conoscenza d’informazioni interessanti», disse infine. «Devo dedurre che sia inutile per me andare al Tempio e confessare all’Arcidivino Mendenal la responsabilità dell’assassinio di Dondo?»

Umegat inarcò le sopracciglia, sorpreso. «Be’, non dovrebbe stupirmi il fatto che la Signora della Primavera abbia scelto uno strumento così affilato.»

«Sei un Divino, un Inquisitore addestrato, quindi suppongo che tu non possa e non voglia mancare ai tuoi giuramenti né tradire la tua disciplina. Di conseguenza, mi hai stordito col vino per avere il tempo di riferire sulla situazione e discuterne», riepilogò Cazaril. «Il fatto che io non sia stato arrestato dovrebbe rivelarmi qualcosa sull’esito di quella discussione… ma non so esattamente cosa.»

«Come Divino, dipendo dai miei superiori», replicò Umegat, guardandosi le mani, allargate sulle ginocchia. «Come santo, invece, rispondo soltanto al mio Dio. Se lui si fida della mia capacità di giudizio, io devo fare altrettanto, e così pure devono fare i miei superiori.» Sollevò lo sguardo, osservando Cazaril con fermezza. «La Dea ti ha incaricato di compiere un viaggio per suo conto, come corriere… Questo è indiscutibile, giacché sta preservando la tua vita. Il Tempio non è al tuo servizio, ma al suo, e credo di poterti promettere che nessuno interferirà con te.»

«Ma cosa ci si aspetta che io faccia?» gemette Cazaril.

«Basandomi sulla mia esperienza, posso ipotizzare che tu debba svolgere i tuoi doveri quotidiani, così come ti si presentano.»

«Questo non mi è di molta utilità.»

«Sì, lo so», annuì Umegat, con un sorriso tirato. «Credo tuttavia che sia il modo in cui gli Dei umiliano coloro che aspirano a ritenersi saggi. A proposito di doveri quotidiani… Devo tornare ai miei, perché oggi Orico non si sente bene. Ritieniti libero di visitare il serraglio in qualsiasi momento.»

«Aspetta…» lo richiamò Cazaril, protendendo una mano. «Puoi dirmi… Orico è informato del miracolo costituito dal serraglio? È consapevole… di essere maledetto? Posso garantirti che Iselle non ne sa nulla, e neppure Teidez. Oppure il Roya capisce soltanto che il contatto con gli animali lo fa stare meglio?»

«Orico sa tutto, perché glielo ha detto suo padre, in punto di morte», replicò Umegat, con un piccolo cenno di assenso. «Il Tempio ha fatto molti segreti tentativi per infrangere la maledizione, e finora il serraglio è l’unico che sembri dare qualche risultato positivo.»

«E che mi dici della Royina Ista? È avvolta anche lei dall’ombra, come Sara?»

Umegat si tormentò i capelli, accigliandosi. «Potrei darti una risposta se avessi avuto modo di conoscerla di persona, ma la famiglia dy Baocia l’ha allontanata da Cardegoss poco prima che io venissi inviato qui.»

«Il Cancelliere dy Jironal è informato della cosa?»

«Se lo sa, non lo ha appreso dalle mie labbra», replicò Umegat, sempre più accigliato. «Ho ammonito spesso Orico di non discutere di questo miracolo, ma…»

«Se davvero Orico glielo ha tenuto nascosto, si tratta dell’unica cosa di cui non lo abbia informato», commentò Cazaril.

«Alla luce degli iniziali disastri che hanno caratterizzato il suo regno, Orico è convinto che qualsiasi azione da lui direttamente intrapresa servirebbe soltanto a danneggiare Chalion. Quindi usa il Cancelliere per le questioni di Stato senza riversare su di esse la sua maledizione.»

«Viene da chiedersi se dy Jironal sia davvero la soluzione del problema, o se non ne costituisca invece una parte integrante.»

«In un primo tempo, sembrava che la sua mediazione funzionasse.»

«E ultimamente?»

«Ultimamente… abbiamo raddoppiato le nostre petizioni agli Dei perché ci vengano in aiuto.»

«E che risposta avete avuto?»

«A quanto pare… gli Dei hanno inviato te.»

«Nessuno mi ha mandato!» esclamò Cazaril, in preda a un rinnovato terrore, sollevandosi a sedere di scatto con le mani serrate intorno alle coltri. «Sono venuto qui per caso.»

«Allorché riterrai opportuno spiegarmi come si sia verificato questo caso, sarò ben lieto di ascoltarti», ribatté Umegat, fissando Cazaril con un’espressione speranzosa che lo atterrì, poi si congedò con un inchino.


Dopo qualche altra ora trascorsa sotto le coperte, Cazaril decise che, a meno che un uomo potesse morire per un eccesso di agitazione, per lui la fine non sarebbe giunta quel pomeriggio. A ogni buon conto, non c’era nulla che potesse fare al riguardo e il suo stomaco ormai stava borbottando per la fame in maniera tutt’altro che soprannaturale. Mentre la luce della fredda giornata autunnale si spegneva a poco a poco, il Castillar scivolò fuori del letto, stiracchiò i muscoli doloranti, si vestì e scese a cena.

L’atmosfera che regnava nel castello era plumbea: a causa del lutto, per quella sera non erano previsti né feste né intrattenimenti musicali. Perfino la sala dei banchetti era quasi deserta. Iselle e il suo seguito erano assenti, come pure Teidez e la Royina Sara; quanto al Roya Orico, avvolto come sempre nella sua ombra scura, mangiò in fretta e se ne andò quasi subito.

Cazaril venne a sapere che Teidez non era al castello perché il Cancelliere dy Jironal se lo era portato appresso per effettuare le sue indagini. La notizia lo lasciò interdetto: stentava a credere che dy Jironal intendesse proseguire l’opera di seduzione e di corruzione che suo fratello aveva condotto con tanta abilità. Decisamente austero, soprattutto se paragonato a Dondo, il Cancelliere non aveva infatti né i gusti né i comportamenti adatti a simili puerili piaceri. Era impossibile immaginarlo a fare baldoria con un ragazzo. Sarebbe stato troppo sperare che avesse deciso di conquistare il favore di Teidez con un atteggiamento protettivo e paterno, iniziandolo all’arte del governo? Dopotutto, il giovane Royse stava soffrendo non solo per la vita dissoluta che conduceva, ma anche per la noia che lo divorava. Essere avviato ad attività più adulte sarebbe stato per lui un vero toccasana. D’altro canto, rifletté stancamente Cazaril, era più probabile che il vero obiettivo del Cancelliere fosse non perdere di vista la persona su cui si basava il suo benessere futuro.

«Stanno disertando tutti», commentò in quel momento Lord dy Rinal, seduto di fronte a Cazaril, contraendo le labbra in un’espressione sardonica nel contemplare la sala semivuota. «Chi ha una tenuta di campagna si sta affrettando a raggiungerla prima che cominci a nevicare… Se contìnua così, la festa del Giorno del Padre risulterà davvero deprimente. Gli unici a essere attivi sono sarti e cucitrici, impegnati a rinnovare l’abbigliamento da lutto per tutta la corte.»

Attraversando con la mano una presenza spettrale che aleggiava vicino al suo piatto, Cazaril prese il boccale per accompagnare l’ultimo boccone con un abbondante sorso di vino annacquato, senza badare più di tanto ai quattro o cinque spettri che lo avevano seguito nella sala e che gli si stringevano intorno, come bambini infreddoliti accalcati intorno a un focolare. Istintivamente, quella sera lui aveva scelto un abbigliamento dai colori sobri, ma in quel momento si chiese se non sarebbe stato più opportuno procurarsi una tenuta che abbinasse le richieste tonalità nera e lavanda, come quella sfoggiata dall’elegante dy Rinal. L’abominio rinchiuso nel suo ventre avrebbe interpretato quel gesto come una forma d’ipocrisia o come un atto di rispetto? Oppure non ne sarebbe stato neppure consapevole? Fino a che punto l’anima di Dondo, recentemente strappata dal corpo, conservava ancora la propria natura ripugnante? Possibile che il suo spìrito lo stesse osservando dall’interno, come quegli antichi spettri avvizziti lo contemplavano dall’esterno? Non volendo sconcertare il povero dy Rinal con un grido di frustrazione, Cazaril reagì a quelle riflessioni con un fugace sorriso. «Intendete rimanere o partire?» chiese infine, in tono cortese.

«Credo che partirò. Accompagnerò la Marchess dy Heron fino alla sua tenuta, poi attraverserò i passi più bassi per arrivare a casa. D’altro canto, è possibile che quell’anziana dama m’inviti a rimanere presso di lei, pur di avere un’altra spada a sua difesa.» Bevve un sorso di vino, abbassò la voce, e aggiunse: «Se neppure il Bastardo ha voluto prendere con sé l’anima di Lord Dondo, di certo essa è ancora qui, da qualche parte e, sebbene sia logico che si aggiri nel palazzo dei dy Jironal, dove Dondo è morto, in realtà potrebbe essere ovunque, a Cardegoss. Considerato che Dondo era già abbastanza pericoloso prima di essere assassinato, è inevitabile che adesso sia divorato dalla sete di vendetta. Per gli Dei, dopotutto è stato ucciso la notte prima delle sue nozze!»

Cazaril borbottò qualcosa d’indistinto.

«Il Cancelliere sembra deciso a sostenere che si è trattato di magia di morte», continuò dy Rinal. «Io però non mi meraviglierei se si scoprisse che hanno usato del veleno. Adesso tuttavia è impossibile stabilirlo, dato che hanno bruciato il corpo, cosa che torna a tutto vantaggio di qualcuno.»

«Ma lui era circondato di amici», obiettò Cazaril. «Di certo nessuno può averlo avvelenato nel suo stesso palazzo… Voi eravate presente?»

«Dopo la faccenda di Lady Porcellina?» ribatté dy Rinal, con una smorfia. «No, grazie ai suoi stridii non sono stato testimone di quell’assassinio.» Si guardò intorno di soppiatto, quasi avesse paura di avere alle spalle uno spettro animato da risentimento nei suoi confronti e senza rendersi conto della mezza dozzina di presenze spettrali che gli aleggiavano davvero intorno. Quanto a Cazaril, sollevò una mano per allontanare uno di quegli spettri dal proprio viso, cercando di non puntare lo sguardo su qualcosa che, per il suo interlocutore, doveva essere invisibile.

«Dy Rinal!» chiamò in quel momento Ser dy Maroc, il guardarobiere reale, avvicinandosi al tavolo. «Avete sentito le notizie giunte da Ibra?» Poi si accorse di Cazaril, seduto di fronte a dy Rinal coi gomiti appoggiati sul tavolo, ed esitò, arrossendo leggermente.

«Si può sperare che le vostre fonti di pettegolezzi provenienti da Ibra siano più affidabili del solito, Maroc?» commentò Cazaril, con un acido sorriso.

«Sì, considerato che si tratta del corriere della Cancelleria», ribatté dy Maroc, irrigidendosi. «È arrivato a precipizio proprio mentre il capo dei sarti stava riadattando l’abbigliamento da lutto di Orico, allargandolo di quattro dita, e ha riferito una notizia che sembra ormai ufficiale. L’Erede di Ibra è morto all’improvviso la settimana scorsa, di una febbre dei bronchi, nell’Ibra meridionale. Scomparso lui, la sua fazione si è dissolta e i suoi membri si stanno affrettando a stipulare trattati con la vecchia Volpe, denunciandosi a vicenda nel tentativo di salvarsi la vita. La guerra nell’Ibra meridionale è finita.»

«Bene!» esclamò dy Rinal, raddrizzandosi e prendendo ad accarezzarsi la barba. «È una notizia positiva oppure negativa? Gli Dei sanno che è senza dubbio positiva per Ibra, ma, a quanto pare, il nostro Orico ha scelto di nuovo di schierarsi con la fazione perdente.»

«Corre voce che la Volpe sia infuriata con Chalion, per aver agitato le acque e averle mantenute così, anche se non si può dire che il suo Erede avesse bisogno di aiuto nel fare ciò.»

«Forse adesso la passione per la guerra del vecchio Roya verrà sepolta col suo primogenito», suggerì Cazaril, ma senza troppa speranza.

«Quindi adesso la Volpe ha un nuovo Erede, quel figlio avuto in età matura… Com’è che si chiama?» chiese dy Rinal.

«Il Royse Bergon», suggerì Cazaril.

«Già», annuì Maroc. «Il Royse è molto giovane, e la Volpe potrebbe morire da un momento all’altro, lasciando sul trono un ragazzo inesperto.»

«Non lo riterrei poi così inesperto», obiettò Cazaril. «Ha assistito a un assedio e alla fine di un altro, viaggiando al seguito della sua defunta madre ed è sopravvissuto a una guerra civile. Inoltre, è logico pensare che un figlio della Volpe non sia stupido.»

«Il suo primogenito lo era», dichiarò dy Rinal, con convinzione. «Basta vedere lo scompiglio in cui ha lasciato i suoi sostenitori.»

«Non potete accusarlo di mancanza d’intelligenza per essere morto di febbre», protestò Cazaril.

«Supponendo che si sia trattato davvero di una febbre», ribatté dy Rinal.

«Pensate che la Volpe abbia avvelenato suo figlio?» esclamò dy Maroc.

«Penso che lo abbiano fatto i suoi agenti.»

«In tal caso, avrebbe potuto pensarci prima e risparmiare a Ibra una quantità di sofferenze…»

Con un sorriso forzato, Cazaril si alzò da tavola e lasciò dy Rinal e dy Maroc a elaborare le loro congetture. Ormai i postumi della sbornia erano completamente passati e, dopo la cena, lui si sentiva meglio, ma era anche oppresso da una stanchezza cui non era abituato. Tuttavia, giacché la Royesse non lo aveva convocato, decise di tornare a letto.

Spossato oltre ogni dire, si addormentò subito, ma verso mezzanotte si svegliò di soprassalto nel sentire le urla di un uomo che echeggiavano nella sua mente: grida, pianti, rochi ululati di rabbia… Un insieme di suoni che lo indusse a sollevarsi a sedere di scatto, col cuore che gli martellava nel petto. Cercò d’individuare la provenienza di quella voce… A giudicare dal tono fievole e strano, era possibile che giungesse dal burrone sottostante il castello o dal fiume che scorreva sotto la sua finestra. Ma allora perché nessuno reagiva, perché non si sentivano passi o richiami di guardie mandate a indagare? Impiegò qualche istante per rendersi conto che quegli ululati non erano reali, non più dei pallidi spettri che aleggiavano intorno al suo letto. Infine riconobbe quella voce urlante.

Riadagiatosi nel letto, ansimante e raggomitolato su se stesso, sopportò quel fragore per altri dieci minuti, chiedendosi se l’anima dannata di Dondo si stesse preparando a liberarsi dal miracolo intessuto dalla Signora e a trascinarlo con sé all’inferno. Era ormai sul punto di lasciare il letto e di precipitarsi al serraglio, in camicia da notte, per svegliare Umegat e chiedergli aiuto — sempre che Umegat potesse fare qualcosa per lui — quando le urla cessarono.

D’un tratto rammentò che la morte di Dondo era avvenuta più o meno a quell’ora e si domandò se, per caso, in quel momento, il suo spirito non acquisisse poteri particolari; quanto alla notte precedente, non era in grado di determinare se si fosse verificato un fenomeno del genere. Era così ubriaco che, nella sua mente, si era avvicendata una caotica successione di incubi. Potrebbe andare peggio di così, si disse infine, quando il suo cuore rallentò il suo battito frenetico. Già, la voce di Dondo avrebbe potuto articolare parole compiute… L’idea dello spettro di Dondo che di notte acquistava la capacità di parlargli, per inveire o per avanzare immondi suggerimenti, minò alla base il suo coraggio, e lui scoppiò in pianto, atterrito e scosso da quelle semplici supposizioni. Confida nella Signora. Confida nella Signora, si ripeté, sussurrando preghiere incoerenti, e lentamente ritrovò il controllo. Se mi ha portato fin qui, senza dubbio non mi abbandonerà proprio adesso, pensò.

Subito dopo, però, proprio mentre ripeteva il sermone spiegatogli da Umegat, fu assalito da un nuovo, orribile pensiero: se la Dea poteva entrare nel mondo soltanto a patto che lui rinunciasse alla propria volontà a suo beneficio, era possibile che il suo disperato desiderio di vivere — un atto di volontà quanto mai preciso — fosse sufficiente a escludere sia lei sia il suo miracolo? In tal caso, l’involucro protettivo creato dalla Dea poteva dissolversi, liberando un paradosso di morte e di dannazione…

Il tentativo di districare quel circolo vizioso di logica teologica fu sufficiente a tenerlo sveglio per ore, mentre la notte volgeva lentamente al termine. Un vago grigiore trapelava dalla finestra della sua stanza quando lui riuscì infine a scivolare di nuovo nel benefico oblio del sonno.


Fu soltanto a tarda ora che, l’indomani mattina, Cazaril, fiancheggiato dalla sua scorta spettrale, salì le scale per raggiungere l’anticamera che gli faceva da studio. La mancanza di sonno lo faceva sentire stordito e stanco, e lo induceva a guardare con scarso entusiasmo alla prospettiva del lavoro di una settimana — lettere e note di contabilità — che si era accumulato sulla sua scrivania dal momento dell’annuncio del fidanzamento di Iselle.

Al suo arrivo, trovò le dame già sveglie e in piena attività. Nel salotto, che si apriva al di là dell’anticamera, tutte le nuove, eccellenti mappe che lui si era procurato per le lezioni di geografia erano sparse su un tavolo, e Iselle era protesa in avanti, intenta a studiarle, mentre Betriz guardava da sopra la sua spalla con aria accigliata, le braccia conserte sul petto. Entrambe le giovani dame, come pure Nan dy Vrit, seduta a cucire in disparte, erano vestite in nero e lavanda, in stretta osservanza del lutto imposto alla corte, una prudente dissimulazione che Cazaril non mancò di approvare.

Al suo ingresso, Cazaril notò, accanto alla mano di Iselle, alcuni fogli sparsi su cui erano scribacchiati vari elenchi, con voci cancellate o cerchiate o spuntate. Accigliandosi, Iselle indicò un punto della mappa che era stato contrassegnato con uno spillone per cappelli. «Ma questo non è meglio di…» cominciò a dire, da sopra la spalla, rivolta a Betriz, interrompendosi però di colpo nel vedere Cazaril.

Il cupo, invisibile mantello di oscurità le aderiva ancora alla persona, solcato soltanto a tratti da qualche fioco bagliore azzurro. Di fronte a esso, le masse spettrali che scortavano Cazaril si ritrassero di scatto, scomparendo alla sua seconda vista e sollevandolo almeno in parte delle sue angosce.

«State bene, Lord Caz?» domandò Iselle, scrutandolo con aria preoccupata. «Non avete un bell’aspetto.»

«Chiedo scusa per la mia assenza di ieri, Royesse», replicò Cazaril, salutandola con un inchino. «Sono stato costretto a letto da… da una colica. Adesso però è passato quasi tutto.»

Seduta nel suo angolo, Nan dy Vrit sollevò lo sguardo dal cucito per fissarlo con aria ostile. «La cameriera sostiene che siete stato male per aver bevuto e gozzovigliato con gli stallieri», commentò. «Ha detto che siete rientrato dal funerale di Lord Dondo in uno stato di ubriachezza tale da non riuscire quasi a reggervi in piedi.»

«Sì, ho bevuto, ma non ho gozzovigliato, mia signora, ed è una cosa che non si ripeterà», ammise Cazaril, consapevole dell’aria contrariata di Betriz. «In ogni caso, bere non mi è stato d’aiuto…»

«È uno scandalo per la Royesse, il fatto che il suo segretario sia stato visto così ubriaco da…»

«Smettetela, Nan», intervenne Iselle. «Lasciate perdere.»

«Cosa significa tutto questo, Royesse?» chiese Cazaril, indicando la mappa tempestata di spilloni.

«Ci ho pensato a lungo, per giorni interi», rispose lei, traendo un profondo respiro. «Finché rimarrò nubile, continuerò a trovarmi al centro di una miriade di complotti. Senza dubbio, dy Jironal tirerà fuori al più presto un altro candidato per vincolare me e Teidez al suo clan, e le altre fazioni… Ormai è risaputo che Orico sarebbe disposto a darmi in moglie a un nobile di rango minore, dunque ogni nobile di Chalion, quale che sia il suo rango, lo assillerà per sposarmi. La mia sola difesa, il mio unico rifugio, sta nell’avere già un marito che non sia nobile di basso rango.»

«Royesse, devo confessare di aver riflettuto anch’io, giungendo alle vostre stesse conclusioni», replicò Cazaril, inarcando le sopracciglia con una certa sorpresa.

«E bisogna fare in fretta, Cazaril, molto in fretta, prima che trovino un pretendente ancora più disgustoso di Dondo», aggiunse Iselle, con una nota di tensione nella voce.

«Questa sarebbe una vera sfida perfino per il nostro caro Cancelliere», borbottò Cazaril, strappando a Iselle una breve risata, poi assunse un’espressione assorta, e proseguì: «Convengo con voi che la situazione è grave, ma ritengo che il pericolo non sia così incombente: sono infatti certo che provvederà lo stesso dy Jironal a bloccare le richieste dei nobili di rango minore. Di conseguenza, la vostra prima linea di difesa sarà bloccare il prossimo candidato del Cancelliere, ma, nell’esaminare la composizione della sua famiglia, non riesco proprio a capire chi possa suggerire, dato che lui ha già una moglie, e che la hanno anche entrambi i suoi figli, motivo per cui lui non ha proposto se stesso o uno di essi al posto di Dondo».

«Le mogli possono morire, a volte in maniera molto conveniente», opinò Betriz, cupa.

«Dy Jironal ha programmato con cura le alleanze strette dalla sua famiglia», ribatté Cazaril, scuotendo il capo. «Le sue nuore, e anche sua moglie, lo collegano ad alcune delle più grandi famiglie di Chalion, in quanto sono figlie e sorelle di potenti Provincar. Non voglio dire che lui non sarebbe pronto a sfruttare un’improvvisa vedovanza, tuttavia non può permettersi di generare il sospetto di averne provocata una per i suoi fini. Quanto ai suoi nipoti, sono ancora bambini, quindi dy Jironal sarà costretto ad aspettare.»

«Cosa sapete dei figli di sua sorella?» interloquì ancora Betriz.

Cazaril si concesse un momento di riflessione, poi scosse ancora il capo. «Sarebbe un vincolo troppo remoto e non abbastanza controllabile. Dy Jironal vuole un subordinato, non un rivale.»

«Non sono disposta ad aspettare dieci anni per sposare un ragazzo di quindici anni più giovane di me», sibilò Iselle.

Suo malgrado, Cazaril scoccò un’occhiata a Lady Betriz, pensando che lui aveva quindici anni più di lei… Poi si affrettò ad allontanare dalla mente quello scoraggiante pensiero, ricordando che tra loro ormai esisteva una barriera ancora più insormontabile del semplice divario di età. La vita non sposa la morte, si disse.

«Abbiamo piazzato sulla mappa uno spillone per ogni sovrano celibe cui siamo riuscite a pensare, tra qui e la Darthaca», spiegò Betriz.

«Cosa? Perfino i principati roknari?» esclamò Cazaril, avanzando per guardare la mappa.

«Ho voluto fare un lavoro completo», replicò Iselle. «E comunque senza di essi… Ecco, non c’erano molte alternative, anche se ammetto che l’idea di sposare un principe roknari non mi sorride. A parte la loro orribile religione a quattro poli, bisogna considerare l’usanza di scegliere come Erede uno qualsiasi dei figli, non importa se generato dalla legittima moglie o da una concubina, il che rende impossibile determinare se si stia sposando un futuro sovrano.»

«O un futuro cadavere», aggiunse Cazaril. «La metà delle vittorie che Chalion ha conseguito a spese dei roknari sono dovute al fatto che qualche fratellastro amareggiato ha pugnalato alle spalle il sovrano di turno.»

«Così però rimangono soltanto quattro regnanti quintanani di rango», obiettò Betriz. «Il Roya di Brajar, Bergon di Ibra e i dodicenni figli gemelli del sommo March di Yiss, appena oltre il confine darthacano.»

«Non sarebbe una scelta impossibile… Tuttavia il March di Yiss non ha nessun motivo per allearsi con Teidez contro i roknari», affermò Iselle. «Non ha un confine in comune coi principati e non è oggetto delle loro scorrerie, senza contare che è vincolato da un giuramento di fedeltà alla Darthaca. Inoltre non ha nessun interesse che una forte alleanza di Stati ibrani ponga fine all’interminabile guerra nel settentrione.»

Cazaril le rivolse un sorriso incoraggiante. Ancora una volta, la giovane era giunta a conclusioni identiche alle sue, segno che Iselle aveva prestato più attenzione di quanto lui aveva creduto alle sue lezioni di geografia.

«E, per concludere l’esame, Yiss non si affaccia sul mare», riprese Iselle. Poi indicò la zona est della mappa. «Quanto a mio cugino, il Roya di Brajar è decisamente anziano e dicono che ami troppo il vino per avere forza sufficiente per andare in guerra. E suo nipote è troppo giovane.»

«Brajar ha buoni porti», osservò Betriz, in tono più dubbioso. «Inoltre suppongo che il Roya non vivrà a lungo…»

«Sì, ma di quale aiuto potrei mai essere per Teidez, come semplice Royina Vedova? Non sarei certo nella posizione di spiegare a un nipote acquisito come schierare le sue truppe», le fece notare Iselle, riportando la mano verso la costa opposta. «Arriviamo alla Volpe di Ibra. Il suo figlio maggiore è sposato, il più giovane non è l’Erede e la loro nazione è devastata dalla guerra civile.»

«Non è più così», intervenne Cazaril. «Nessuno vi ha riferito le notizie giunte ieri da Ibra? L’Erede è morto nell’Ibra meridionale, a causa di una febbre polmonare, e nessuno dubita che il giovane Royse Bergon prenderà il suo posto, dato che è rimasto fedele al padre durante tutta la guerra.»

Iselle si girò lentamente a fissarlo con occhi sgranati. «Davvero? Quanti anni ha Bergon? Quindici, non è vero?»

«Dev’essere prossimo ai sedici, Royesse.»

«Sempre meglio di un cinquantasettenne!» esclamò Iselle, facendo scorrere le dita lungo la costa di Ibra seguendo la successione delle sue città marittime fino al grande porto di Zagosur, dove si arrestò su uno spillone dalla testa di madreperla intagliata. «Cosa sapete del Royse Bergon, Cazaril? È avvenente? Avete avuto modo di vederlo, quando vi trovavate a Ibra?»

«Non di persona, ma dicono che sia un ragazzo attraente.»

«Tutti i Royse vengono sempre descritti così, a meno che non siano decisamente grotteschi», dichiarò Iselle, con un’impaziente scrollata di spalle. «Se lo sono, poi, vengono definiti persone di carattere.»

«Mi risulta che Bergon abbia un fisico piuttosto atletico, il che fa presupporre un aspetto sano e abbastanza gradevole. Dicono inoltre che sia stato addestrato nell’arte della navigazione», rispose Cazaril. Poi, notando un bagliore di entusiasmo negli occhi di Iselle, si sentì obbligato ad aggiungere: «Peraltro, negli ultimi sette anni, vostro fratello Orico si è schierato contro il Roya di Ibra in questa sua guerra contro l’Erede, quindi è probabile che la Volpe non nutra molta simpatia per Chalion».

«Quale modo migliore per porre fine a una guerra di un trattato di matrimonio?» insistette Iselle, congiungendo le mani.

«È inevitabile che il Cancelliere dy Jironal si opponga. A parte il desiderio di darvi in moglie a qualcuno collegato con la sua famiglia, non è nel suo interesse che Teidez abbia, ora o in futuro, un alleato più potente di lui.»

«In base a questo ragionamento, finirà per opporsi a qualsiasi partito valido che io possa proporre», ribatté Iselle, chinandosi ancora sulla mappa e passando la mano in un lungo arco sui territori di Chalion e di Ibra, che occupavano due terzi delle terre comprese tra i due mari. «Se però potessi far congiungere le forze a Teidez e a Bergon…» sussurrò, appiattendo il palmo sulla carta e spingendolo lentamente verso nord, lungo la costa, abbattendo gli spilloni piantati sui cinque principati roknari. «Sottoporrò immediatamente la cosa a mio fratello Orico, prima che dy Jironal sia di ritorno», decise. Poi sollevò su Cazaril uno sguardo fiammeggiante. «Se riuscirò a ottenere il suo consenso, dichiarato pubblicamente, di certo neppure il Cancelliere potrà farglielo rimangiare.»

«Riflettete, Royesse, pensate a tutti i problemi», la ammonì Cazaril. «Anzitutto avreste un suocero insopportabile, benché, prima o poi, anche lui dovrà morire. Inoltre, se c’è una persona capace di soffocare le proprie emozioni a favore della politica, si tratta proprio della vecchia Volpe.»

Allontanatasi dal tavolo, Iselle prese a passeggiare nervosamente avanti e indietro per la stanza con un sonoro frusciare di gonne, sempre accompagnata dalla sua aura scura.

Cazaril pensò che la Royina Sara aveva presumibilmente finito per condividere la maledizione di Orico nel momento in cui lo aveva sposato… Non era quindi possibile che Iselle, sposando qualcuno al di fuori di Chalion, potesse liberarsene? Che fosse proprio quello il modo per sottrarsi a quella sciagura? No, bisognava essere cauti: c’era la possibilità che l’antico, cupo destino del Generale Dorato seguisse Iselle anche oltre i confini della sua nuova terra. Doveva consultarsi al riguardo con Umegat, e doveva farlo al più presto.

Iselle smise di passeggiare, soffermandosi a guardare fuori della finestra, socchiudendo gli occhi con fare pensoso. «Devo tentare», ribadì. «Non posso e non voglio far andare alla deriva il mio destino, spingendolo a incontrare un’altra disastrosa cascata e questo senza fare il minimo tentativo per correggerne la rotta. Rivolgerò una petizione al mio regale fratello, e lo farò subito.» Giratasi di scatto, si diresse alla porta con un cenno imperioso al suo seguito, simile a un generale che chiamasse a raccolta le truppe. «Betriz, Cazaril, venite con me!» ordinò.

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