28

Un lieve bussare alla porta della stanza e alcune voci basse riscossero Cazaril, rivelandogli che la stanza era buia, con un’unica candela che cercava di respingere l’oscurità, segno che era ormai scesa la notte.

«Sta dormendo, Roy… Royina», sentì mormorare al medico, rimasto seduto al suo capezzale.

«No, sono sveglio. Entrate», disse Cazaril. Tentò di puntellare le braccia per sollevarsi a sedere, ma poi ci ripensò, limitandosi ad aggiungere: «E fate più luce, molta più luce. Voglio vedervi bene».

Una piccola folla entrò nella sua stanza, cercando di procedere in silenzio e con delicatezza, come partecipanti a un corteo colti da un’improvvisa timidezza collettiva. C’erano Iselle e Bergon, seguiti da Betriz e da Palli, e l’Arcidivino di Taryoon, insieme col piccolo giudice votato al servizio del Padre. Dal suo paradiso orizzontale di lenzuola pulite e d’immobilità, Cazaril sorrise amabilmente a tutti, mentre altre candele venivano accostate a quella già accesa e disposte all’intorno.

«Come sta?» sussurrò Bergon con voce roca, rivolto al medico, guardando con apprensione Cazaril.

«In precedenza, ha perso molto sangue urinando, ma stanotte l’emorragia è stata più lieve e non è ancora insorta la febbre. Per ora, non oso permettergli d’inghiottire più di qualche sorso di tè, e così sarà almeno fino a quando non avremo visto come si evolve la ferita al ventre. Non ho idea di quanto stia soffrendo.»

«Mi fa male, non ne dubitate», intervenne Cazaril. Poi fece un altro tentativo di sollevarsi, sussultò e protestò: «Mi vorrei sedere. Non vi posso guardare così dal basso in alto. Devo parlarvi».

Palli e Bergon si affrettarono a sollevarlo con delicatezza, ammucchiandogli i cuscini dietro la schiena.

«Vi ringrazio», disse Iselle al medico che s’inchinò e si trasse in disparte.

«Cos’è successo?» domandò Cazaril, appoggiandosi ai cuscini con un sospiro soddisfatto. «Taryoon è sotto attacco? E non mi parlate sussurrando, come se questo fosse un funerale.»

«Sono successe molte cose», replicò Iselle con un sorriso, riportando la voce a un timbro normale. «Dy Jironal aveva ordinato ai suoi uomini di avanzare il più in fretta possibile sia da Thistan, sede di suo genero, sia da Valenda, per seguire e sostenere le spie e i rapitori che avrebbe infiltrato in città durante la festa. La scorsa notte, la colonna proveniente da Valenda ha incontrato la delegazione incaricata di portare la nostra lettera a Cardegoss, a Orico, e l’ha catturata.»

«Sono tutti vivi, vero?» volle sapere Cazaril, allarmato.

«C’è stato uno scontro, ma nessuno è rimasto ucciso, grazie agli Dei. Una volta al campo, sembra proprio che ci siano state lunghe discussioni…»

Cazaril non ne dubitò neppure per un istante, dato che aveva incaricato di quell’ambasciata gli uomini più ragionevoli e persuasivi di Taryoon.

«Più tardi, nel pomeriggio, abbiamo mandato incontro alle truppe alcune squadre, incaricate di contrattare, nelle quali abbiamo incluso alcuni degli uomini di dy Jironal che, avendo assistito allo scontro nel cortile, erano stati testimoni del… miracoloso fuoco azzurro, o qualsiasi cosa fosse, che lo aveva ucciso, perché spiegassero l’accaduto. Quegli uomini hanno pianto e farfugliato parecchio, ma sono stati molto convincenti. Cazaril, cos’è davvero… Oh, inoltre dicono che Orico è morto.»

Lo sapevo, pensò Cazaril con un sospiro. «Quando?» chiese.

«C’è una certa confusione al riguardo», rispose l’Arcidivino di Taryoon. «Questo pomeriggio, un corriere del Tempio mi ha portato una lettera dell’Arcidivino Mendenal di Cardegoss, in cui si sostiene che Orico è morto la notte successiva alle nozze della Royesse… della Royina. Secondo gli uomini di dy Jironal, invece, Orico è morto la notte precedente a quella. È un’informazione che hanno avuto dallo stesso dy Jironal e che renderebbe quest’ultimo il legittimo reggente di Chalion. Suppongo che il Cancelliere stesse mentendo, ma credo che non abbia più importanza.»

Però ne avrebbe avuta, se gli eventi avessero preso una piega diversa… Incuriosito, Cazaril assunse un’aria pensosa, mentre valutava le diverse ipotesi.

«In ogni caso, la notizia della sorprendente morte di dy Jironal, nonché del fallimento e della cattura dei loro compagni, unita alla consapevolezza di marciare contro la legittima Royina, ha fatto sì che le truppe si disperdessero», intervenne Bergon. «Adesso gli uomini stanno tornando a casa. Ho sovrinteso io stesso alla cosa.» In effetti, era coperto di fango, ma con gli occhi che scintillavano per la gioia del successo… e per il sollievo.

«Credi che la tregua reggerà?» domandò Cazaril. «Dy Jironal teneva le fila di una considerevole rete di potere e di relazioni, e gli interessi delle persone che la componevano sono tuttora esposti a un notevole rischio.»

Palli fu pronto a scuotere il capo. «Adesso non hanno più il sostegno delle truppe dell’Ordine del Figlio, che è privo del suo generale», replicò con un grugnito. «Ma la cosa peggiore è la certezza — pressoché assoluta — che il comando di quell’Ordine passerà a qualcuno che non appartiene alla loro fazione. Credo che i fedeli a dy Jironal dovranno agire con cautela.»

«Il Provincar della Thistan ci ha già mandato una lettera di sottomissione», intervenne Iselle. «È appena arrivata e sembra stilata in gran fretta. Aspetteremo ancora un giorno, per essere certi che la strada sia sgombra e per rendere grazie agli Dei nel Tempio di Taryoon, poi Bergon e io andremo a Cardegoss con un contingente della cavalleria di mio zio, per il funerale di Orico e la mia incoronazione. Temo però che vi dovremo lasciare qui, Lord Caz…» E smise di sorridere.

Cazaril lanciò un’occhiata a Betriz, che lo stava scrutando con occhi incupiti dalla preoccupazione, consapevole che lei, essendo la prima cortigiana di Iselle, avrebbe dovuto seguirla ovunque.

«Non parlate, se vi causa troppo dolore, però… Cazaril, che cos’è successo nel cortile?» continuò Iselle. «La Figlia ha davvero colpito e ucciso dy Jironal con un fulmine a ciel sereno?»

«Devo ammettere che il suo corpo dava questa impressione», commentò Bergon. «Era completamente… cotto. Non avevo mai visto una cosa del genere.»

«Questa è una versione convincente, e potrà andare bene per gli altri», replicò lentamente Cazaril. «Però voi avete il diritto di conoscere la verità… Ecco, credo soltanto che non debba essere divulgata…»

Con poche parole pacate, Iselle ordinò al medico di lasciare la stanza, poi scoccò un’occhiata incuriosita all’ometto nelle vesti di giudice. «E questo gentiluomo, Cazaril?» domandò.

«L’Onorevole Paginine è… Diciamo che è un mio compagno e dovrebbe rimanere, come pure l’Arcidivino.»

Nel contemplare quel suo piccolo pubblico, raccolto intorno al letto e intento a fissarlo con una certa ansia, Cazaril si rese conto che Paginine, l’Arcidivino e Palli ignoravano il preambolo relativo a Dondo e al demone della morte, per cui si trovò costretto a partire da quegli antefatti, cercando di essere il più succinto possibile senza sacrificare la chiarezza, e augurandosi di mantenere almeno una certa coerenza e di non dare l’impressione di vaneggiare.

«L’Arcidivino Mendenal di Cardegoss conosce tutta questa storia», garantì all’Arcidivino e al giudice, che lo stavano fissando con aria sconvolta; quanto a Palli, la sua espressione esprimeva nel contempo stupore e indignazione, e Cazaril, con aria alquanto colpevole, evitò d’incontrare il suo sguardo. «Quando però dy Jironal ha ordinato ai suoi uomini di tenermi fermo, disarmato com’ero, e mi ha trapassato con la spada… quando mi ha assassinato, il demone della morte ci ha portati via tutti, in una squilibrata confusione di assassini e di vittime. Per meglio dire, il demone ha portato via i due dy Jironal, però la mia anima era collegata alla loro e li ha seguiti. Quello che ho visto allora… la Dea…» Per un momento, la voce gli si spense, poi riprese: «Non so come fare per esprimere quell’universo a parole, perché non ne esistono di adeguate. Se pure conoscessi tutti i vocaboli di tutte le lingue del mondo, presenti, passati e futuri, e se pure parlassi sino alla fine dei tempi, comunque non potrei…»

Interrompendosi ancora, rabbrividì, e scoprì di avere gli occhi offuscati di lacrime.

«Però non eri realmente morto, vero?» domandò Palli, a disagio.

«Oh, sì, per un poco lo sono stato… sebbene, da una certa angolazione, quel ’poco’ sia invece ’molto’», rispose Cazaril. «Se non fossi morto davvero, non avrei potuto lacerare la barriera tra i mondi e la Dea non sarebbe passata per recuperare la maledizione che, per come posso descriverla, era in effetti una goccia del sangue del Padre dell’Inverno, anche se non ho idea di come abbia fatto il Generale Dorato a ricevere un simile dono. In ogni caso, la mia è soltanto una metafora. Mi dispiace, ma non so come spiegare quello che ho visto: parlarne è come cercare d’intrecciare un canestro d’ombra con cui trasportare dell’acqua», aggiunse, pensando che, dopotutto, le loro erano anime assetate. «La Signora della Primavera mi ha permesso di guardare attraverso i suoi occhi e, per quanto creda che la seconda vista mi sia stata tolta, adesso la vista fisica non funziona esattamente come prima…»

L’Arcidivino si segnò con reverenza, mentre Paginine si schiariva la gola per dire: «In effetti, mio signore, non emanate più quella grande luce accecante».

«Non la emano più? Oh, bene!» esclamò Cazaril. Poi, in tono ansioso, domandò: «Ma anche il mantello nero che avvolgeva Iselle e Bergon è scomparso, vero?»

«Sì, mio signore. Royse, Royina, vi informo con piacere che l’ombra sembra completamente svanita.»

«Allora va tutto bene. Dei, demoni, spettri, tutto quanto è scomparso, e in me ora non c’è più nulla di strano», commentò allegramente Cazaril.

«Io non mi spingerei ad affermare una cosa del genere, mio signore», mormorò Paginine, con una strana espressione.

«Però lui sta dicendo la verità, non è così?» sussurrò l’Arcidivino, assestando una gomitata a Paginine. «Per quanto possa sembrare assurda…»

«Oh, sì, Vostra Reverenza, non ho dubbi in proposito», garantì il piccolo giudice, ma lo sguardo che scoccò a Cazaril espresse molta più comprensione di quello dell’Arcidivino, che appariva sconcertato e sopraffatto, colmo di timore reverenziale.

«Domani, Bergon e io ci recheremo al Tempio in processione di ringraziamento, camminando scalzi in segno di gratitudine verso gli Dei», annunciò Iselle.

«Oh. Allora state attenti a non camminare su un pezzo di vetro o un vecchio chiodo», li ammonì Cazaril, con voce un po’ impastata. La sua mano si spostò sul copriletto fino a trovare quella di Betriz, e lui aggiunse, rivolto a lei soltanto: «Sai, adesso non sono più infestato, e questo mi toglie un peso dalla mente. Queste cose sono decisamente liberatorie, per un uomo…» La sua voce stava diventando sempre più fievole. Accorgendosene, Betriz girò la propria mano in quella di lui e la strinse.

«Adesso è meglio che ce ne andiamo e vi lasciamo riposare», decise Iselle, accigliandosi. «C’è qualcosa che desiderate, Cazaril? Qualsiasi cosa.»

Lui stava per replicare che non gli serviva nulla, ma poi cambiò idea. «Oh, sì… Vorrei della musica.»

«Della musica?»

«Magari molto pacata, che gli concili il sonno», suggerì Betriz.

«Se non ti dispiace, Lady Betriz, provvedi a convocare un musico», sorrise Bergon.

Poi la piccola folla se ne andò, in punta di piedi, ma tutt’altro che silenziosamente. Il medico rientrò e fece bere a Cazaril un po’ di tè. Poco dopo, Cazaril usò il pitale e il medico esaminò la sua urina — che era mista a sangue — alla luce delle candele, con fare sospettoso e con una sorta di ringhio basso e sconcertante.

Dopo qualche tempo, Betriz tornò con un giovane suonatore di liuto dall’aria nervosa. Sembrava che l’avessero destato da un sonno profondo per soddisfare quella richiesta di un’esibizione notturna.

Accordato lo strumento, il giovane eseguì sette brevi brani, nessuno dei quali ebbe il potere di evocare la Signora e i suoi fiori dell’anima; l’ottavo brano, però, un contrappunto di una dolcezza incredibile, parve racchiudere nelle proprie note una vaga eco del paradiso. Cazaril lo fece eseguire altre due volte e infine versò qualche lacrima, al che Betriz decise che lui aveva davvero bisogno di dormire. Per cui congedò il musico, uscendo insieme con lui.

Cazaril si rese conto che non aveva ancora avuto modo di parlarle del miracolo rappresentato dal suo naso. Quando cercò di spiegare la cosa al medico, questi reagì somministrandogli un grosso cucchiaio di sciroppo di succo di papavero. Da quel momento, cessarono entrambi di allarmarsi a vicenda per il resto della notte.


Nell’arco di tre giorni, quello strano fluido profumato smise di colare dalle ferite, che si chiusero senza infezioni, e il medico permise a Cazaril di mangiare a colazione un po’ di farinata d’avena molto liquida. Quel nutrimento, per quanto leggero, lo rimise abbastanza in forze e lui chiese il permesso di uscire a sedersi in cortile, sotto il sole primaverile. Accompagnato da una quantità eccessiva di servitori e aiutanti, Cazaril venne scortato lungo le scale e sistemato su una sedia coperta di cuscini rivestiti di lana e imbottiti di piume, coi piedi appoggiati a un’altra sedia dotata di cuscini. Allontanati i suoi assistenti, Cazaril si abbandonò allora con piacere all’ozio più assoluto, ascoltando il rilassante gorgogliare della fontana e contemplando i fiori fragranti di cui erano ammantati gli alberi nei vasi. Poco lontano, un paio di uccellini arancioni e neri solcavano l’aria, trasportando erba secca e ramoscelli con cui costruire un nido, sistemato in uno degli intagli delle colonne di sostegno della galleria. Cazaril si perse a osservare le loro manovre, del tutto dimentico del mucchietto di fogli di carta e delle penne sistemati su un tavolinetto, accanto a lui.

Da quando gli ospiti reali e il loro seguito di nobili si erano trasferiti a Cardegoss, il palazzo di dy Baocia si era fatto molto tranquillo e silenzioso. Cazaril sorrise con piacere nel vedere il cancello di ferro battuto dell’arcata d’ingresso che si apriva per far passare Palli, cui la nuova Royina aveva assegnato il noioso compito di sovrintendere alla convalescenza del suo segretario, mentre lei era impegnata coi grandi eventi della capitale. Quell’incarico sembrava a Cazaril un’iniqua ricompensa per i fedeli e coraggiosi servigi resi da Palli, ma, d’altro canto, l’amico lo aveva assistito con tanta cura che, a volte, Cazaril si sentiva perfino in colpa per aver desiderato, senza rivelarlo, che Iselle lasciasse presso di lui Lady Betriz.

Sorridendo, Palli gli rivolse un cenno di saluto e si sedette sul bordo della fontana. «Castillar, hai un aspetto davvero migliore, decisamente molto… verticale!» commentò, poi, indicando il tavolo, aggiunse: «Ma cos’è questo lavoro? Ieri, quando sono partite, le tue dame mi hanno ordinato di accertarmi che tu rispettassi una lunga lista di cose da non fare. Anche se ne ho già dimenticata la maggior parte — cosa che senza dubbio ti farà piacere -, sono certo che il lavoro occupasse uno dei primi posti di quell’elenco.»

«Non si tratta di lavoro», spiegò Cazaril. «Volevo comporre una poesia nello stile di Behar, poi ho notato quegli uccellini… Guarda, eccone uno!» esclamò, soffermandosi per indicare una piccola saetta nera e arancione. «La gente sostiene che gli uccelli sono abilissimi costruttori, ma, a dire il vero, questi due mi sembrano piuttosto goffi, anche se testardi… Forse sono giovani, e questo è il loro primo tentativo. D’altro canto, suppongo che, se cercassi di costruire una capanna servendomi soltanto della bocca, non me la caverei meglio di loro. Forse dovrei scrivere un poema sugli uccelli. Se è miracoloso che la materia si possa alzare e camminare, come fai tu, è decisamente ancor più miracoloso che riesca a volare!»

«Si tratta di poesia, Caz, oppure hai la febbre?» domandò Palli, con un sorriso sconcertato.

«Oh, la poesia è una specie di grande infezione. Gli Dei traggono diletto dalla poesia, sai, perché canti e poesia sono fatti della stessa sostanza dell’anima, possono passare nel loro mondo quasi senza incontrare ostacoli. Gli scultori, invece… Ecco, perfino gli Dei nutrono un’ammirazione reverenziale per gli scultori», dichiarò Cazaril, ricambiando il sorriso, gli occhi socchiusi per difendersi dal sole.

«In ogni caso, non posso fare a meno di pensare che la quartina che hai composto ieri, ispirata al naso di Lady Betriz, sia stato un errore… tattico», mormorò Palli.

«Non mi stavo facendo beffe di lei!» protestò Cazaril, indignato. «Quand’è partita era ancora infuriata con me?»

«No, non era infuriata. Si era convinta che tu avessi la febbre ed era molto preoccupata. Se fossi in te, mi atterrei a questa versione.»

«Non riesco ancora a scrivere un poema su tutta la sua persona. Ci ho provato, ma è un’impresa troppo vasta.»

«Ecco, se proprio devi scrivere un inno a una parte del suo corpo, scegli le labbra. Sono più romantiche del naso.»

«Perché?» domandò Cazaril. «Ogni parte del suo corpo non è forse stupefacente?»

«Certo, ma si baciano le labbra, non i nasi… almeno di norma. Gli uomini scrivono poemi sull’oggetto dei loro desideri in modo da attirarlo a sé.»

«Davvero pratico, ma in tal caso ci sarebbe da aspettarsi che si componessero poemi sulle parti intime delle dame.»

«Le dame ci prenderebbero a schiaffi. Le labbra sono un compromesso sicuro, una soglia a misteri più grandi.»

«Ah! In ogni caso, io la desidero tutta… naso, labbra, piedi e tutto quello che c’è nel mezzo, come pure la sua anima, senza la quale il suo corpo sarebbe immoto e freddo come l’argilla e comincerebbe a marcire, cessando di essere oggetto di desiderio.»

«Ah!» gemette Palli, passandosi una mano tra i capelli. «Amico mio, tu non capisci il romanticismo.»

«Ti garantisco che non capisco più nulla. Sono gloriosamente sconcertato da tutto», dichiarò Cazaril, abbandonandosi contro i cuscini con una sommessa risata.

Sbuffando, Palli si protese in avanti per prendere il primo foglio del mucchio, l’unico su cui era stato scritto qualcosa e, nell’abbassare lo sguardo su di esso, inarcò di scatto le sopracciglia. «Cos’è questo? Non parla di nasi femminili», osservò, facendosi d’un tratto serio. «A dire il vero, non capisco neppure di cosa parli, anche se mi fa venire la pelle d’oca…»

«Oh, quello. Temo che non sia nulla di valido. Stavo cercando… Ma non è… quello che ho visto», spiegò Cazaril, agitando le mani. «Ho creduto che, in poesia, le parole potessero avere un peso diverso, esistere su entrambi i lati della barriera che separa i mondi, come accade alle persone, ma finora ho soltanto sporcato un po’ di carta, diventata buona solo per accendere il fuoco.»

«Hmm…» Palli ripiegò il foglio e lo ripose nella propria sopravveste.

«Proverò ancora e forse un giorno riuscirò a trovare la formula giusta», sospirò Cazaril. «Devo scrivere anche alcuni inni alla materia, agli uccelli e alle pietre. Credo che farebbe piacere alla Signora.»

«Per attirarla a te?» domandò Palli, interdetto.

«È possibile.»

«Questo genere di poesia è pericolosa. Quanto a me, credo che mi limiterò all’azione.»

«Sta’ attento, mio caro Lord Devoto», ammonì Cazaril, con un sorriso. «Anche l’azione può essere una forma di preghiera.» Alcuni sussurri e risatine soffocate che provenivano dall’estremità della galleria lo indussero a sollevare lo sguardo: un gruppetto di serve e qualche ragazzo stavano accoccolati dietro la ringhiera intagliata e sbirciavano nella sua direzione. Quando anche Palli si girò a guardare, una delle ragazze si alzò baldanzosamente, facendo un cenno di saluto. Dopo il cordiale cenno di risposta di Cazaril, però, quel gruppetto si allontanò di corsa, ridacchiando. «È tutta la mattina che arriva gente a vedere il punto in cui il povero dy Jironal è stato abbattuto dal fulmine», spiegò lui. «Se non starà attento, Lord dy Baocia dovrà trasformare questo accogliente cortile in un santuario.»

«A dire il vero, Caz, quella gente viene per vedere te», precisò Palli, schiarendosi la voce. «Un paio di servitori di dy Baocia si fanno pagare per lasciar entrare e uscire i curiosi dal palazzo. Non sapevo se porre fine alla cosa, ma se t’infastidisce…» aggiunse, cambiando posizione, come se intendesse alzarsi.

«Oh, no, non li disturbare. A causa mia, i servitori di questo palazzo hanno dovuto lavorare molto di più… È giusto che ne ricavino un po’ di profitto.»

Palli scrollò le spalle in segno di assenso, poi chiese: «Sei proprio certo di non avere la febbre?»

«All’inizio non ne ero sicuro, ma alla fine anche il medico si è convinto che stavo bene e mi ha permesso di mangiare, per quanto non ancora abbastanza. Penso di essere in via di guarigione.»

«Il che costituisce già di per sé un miracolo.»

«Infatti. Devo però ammettere di non sapere con certezza se rimettermi in questo mondo sia stato un dono di commiato da parte della Signora oppure se si sia trattato di soddisfare una sua esigenza, cioè avere qualcuno da questa parte che le tenesse aperta la porta. Gli Dei sono parsimoniosi, come dice Ordol… Ebbene, comunque sia, non ha importanza, perché in ogni caso un giorno senza dubbio ci rivedremo», disse Cazaril, appoggiandosi all’indietro per fissare il cielo, tinto dell’intenso colore azzurro sacro alla Signora, con un sorriso sulle labbra.

«Sai, Caz, tu eri la persona più sobria e compassata che avessi mai conosciuto, invece adesso sorridi di continuo. Sei certo che la Dea abbia rimesso a posto la tua anima nel modo giusto?»

«Forse no!» replicò Cazaril, scoppiando in una risata. «Hai presente quello che succede quando si parte per un viaggio? Si ripongono tutte le proprie cose nelle sacche della sella e, alla fine del viaggio, sembra che siano raddoppiate di volume e pendono fuori da ogni parte, anche se si è certi di non aver aggiunto nulla…» Si batté un colpetto sulla coscia. «Be’, forse non sono stato riposto in questa vecchia custodia in modo… ordinato.»

«E così adesso trasudi poesia, eh?» commentò Palli, perplesso, scuotendo il capo.


Altri dieci giorni di convalescenza non furono sufficienti a rendere Cazaril inquieto per quel riposo forzato. L’unica cosa sgradevole era l’assenza delle persone che lui desiderava avere accanto. Alla fine, però, la nostalgia ebbe la meglio sul terribile pensiero di montare di nuovo a cavallo. Incaricò dunque Palli di organizzare il viaggio, rintuzzando con facilità le sue deboli proteste relative al fatto che, nelle sue condizioni, sarebbe stato meglio aspettare ancora un po’, prima di muoversi. In realtà, Palli, come lui, era ansioso di vedere come stessero procedendo le cose a Cardegoss.

Cazaril e la sua scorta, che comprendeva i fedelissimi Ferda e Foix, si misero in viaggio. Il clima mite e il passo rilassato rendevano quel viaggio l’esatto opposto della strenua, frenetica cavalcata che avevano dovuto compiere nel corso dell’inverno appena trascorso. Ogni sera, mentre lo aiutavano a scendere di sella, Cazaril giurava a se stesso che il giorno successivo avrebbero mantenuto un’andatura più pacata, ma ogni mattina si scopriva sempre più impaziente di stringere i tempi. Finalmente, lo Zangre apparve di nuovo davanti ai suoi occhi, sullo sfondo di lanuginose nuvole bianche, del cielo azzurro e dei campi verdeggianti.

Si trovavano a parecchie miglia da Cardegoss, quando incontrarono un altro gruppo di viandanti, che indossavano la livrea del Provincar della Labran e scortavano tre carretti nonché una lunga colonna di muli da soma e di servitori. I primi due carretti erano carichi di bagagli mentre il terzo, col telo di copertura sollevato per poter ammirare il panorama primaverile, trasportava numerose dame.

Quando i due gruppi s’incrociarono, il carretto che trasportava le dame si arrestò sul lato della strada e una serva si protese per chiamare uno dei cavalieri dell’avanguardia, un sergente, il quale, dopo aver parlato con lei, si diresse verso Palli e Cazaril con un gesto di saluto.

«Scusate, signori… Se uno di voi è il Castillar dy Cazaril, allora la mia signora, la Royina Vedova Sara, gli ordina… lo prega di andare a parlare con lei.»

Ricordando che il Provincar della Labran era nipote della Royina Sara, Cazaril dedusse che lei, per scelta o per imposizione esterna, stesse tornando presso la sua famiglia. «Sono al servizio della Royina», rispose, ricambiando il saluto.

Foix lo aiutò a smontare di sella, i gradini vennero abbassati sul retro del carretto e le dame di compagnia e le serve scesero per passeggiare nei campi a maggese e ammirare i fiori primaverili, lasciando Sara sola sotto l’ombra del telone.

«Accomodatevi, Castillar», mormorò, a titolo di saluto. «Sono lieta di questo incontro casuale. Potete dedicarmi un po’ del vostro tempo?»

«Ne sarei onorato, signora», rispose Cazaril, abbassando la testa per salire sul carro senza urtare il telone e sedendosi su una panca imbottita, di fronte alla Royina.

Intorno a loro, la colonna dei muli stava proseguendo la marcia con passo lento e, a quella scena pacifica, faceva da sfondo un piacevole mormorio, in cui si fondevano il canto degli uccelli e il sussurrare delle voci, il tintinnio dei finimenti dei cavalli, lasciati liberi di pascolare lungo il bordo della strada, e l’occasionale risata di qualche serva.

Per il viaggio, Sara si era vestita con un semplice abito e una sopravveste lavanda e nero, presumibilmente in segno di lutto per il povero Orico.

«Mi dispiace di non aver presenziato ai funerali del Roya», disse Cazaril, accennando all’abbigliamento della dama. «Però non mi ero ancora ripreso abbastanza da poter viaggiare.»

«Stando a quanto mi hanno detto Iselle, Bergon e Lady Betriz, è un miracolo che voi siate sopravvissuto alle ferite riportate», replicò Sara, accantonando con un cenno quelle scuse.

«Sì, ecco… Si tratta proprio di un miracolo.»

Sara si limitò a scoccargli un’occhiata singolarmente comprensiva.

«Devo dedurre che Orico è stato accolto dagli Dei?» domandò Cazaril.

«Sì, dal Bastardo… È stato rifiutato dagli Dei nella morte come in vita. La cosa ha purtroppo suscitato una serie di sgradevoli supposizioni sulla sua nascita.»

«Supposizioni errate, signora. Lui era indubbiamente figlio di Ias. Credo che il Bastardo sia stato una sorta di speciale protettore della sua Casa fin dai tempi del regno di Fonsa, e che stavolta abbia scelto per primo, non per ultimo.»

«Se è così, si è trattato di una ben misera protezione», ribatté Sara, scrollando le spalle. «Il giorno prima di morire, Orico mi ha detto che avrebbe desiderato essere il figlio di un taglialegna, e non del Roya di Chalion. Fra tutti gli epitaffi, questo mi sembra il più appropriato.» Poi, in tono più acido, aggiunse: «A quanto dicono, Martou dy Jironal è stato raccolto dal Padre…»

«Sì, così ho sentito dire anch’io. Hanno mandato il suo corpo alla figlia, che vive a Thistan, perché si occupasse dei funerali. In ogni caso, anche lui ha recitato la sua parte sino in fondo ed essa gli ha procurato ben poca gioia… Quanto a suo fratello Dondo, vi posso garantire che è stato trasportato nell’inferno del Bastardo.»

«Forse là imparerà a usare modi migliori», osservò Sara, con un cupo sorriso.

Dopo quel secondo epitaffio non sembrava ci fosse altro da aggiungere, ma d’un tratto Cazaril rammentò una cosa che lo aveva incuriosito. «Il giorno prima che Orico morisse, avete detto…» mormorò, schiarendosi la gola. «E di quale giorno si è trattato, mia signora?»

Lo sguardo di lei cercò il suo e le scure sopracciglia s’inarcarono di scatto. «Del giorno successivo alle nozze di Iselle, è ovvio.»

«Non del giorno precedente? In tal caso, Martou dy Jironal era stranamente male informato, per non parlare di quanto è stato avventato in certe sue azioni. Inoltre mi sembra una vera sfortuna, morire il giorno prima di essere salvato.»

«Io, il medico di Orico e l’Arcidivino Mendenal, che lo abbiamo assistito, giureremo che Orico era ancora vivo e che ci ha parlato quel pomeriggio, quella sera, e che ha esalato l’ultimo respiro soltanto la mattina successiva», ribadì Sara, serrando le labbra. «Di conseguenza, il matrimonio di Iselle col Royse Bergon è valido e inattaccabile.»

Quel pretesto legale era dunque privo di fondamento: i nobili contrariati da quel matrimonio non avrebbero avuto modo di contrastarlo. Cazaril provò a raffigurarsi quella veglia, durata un intero giorno, accanto al cadavere gelido e gonfio del marito, e si chiese cosa avesse pensato Sara, su cosa avesse riflettuto, mentre le ore scorrevano lente in quella camera sigillata. D’altro canto, lei aveva reso quell’orrore un dono per Iselle, per Bergon e per la Casa di Chalion che adesso stava abbandonando. Cazaril si trovò a immaginarla nei panni di un’ordinata massaia, che spazzava le vecchie, familiari stanze per l’ultima volta, lasciando sul focolare un vaso di fiori per i nuovi occupanti. «Io… credo di capire», disse infine.

«Lo credo anch’io, Castillar. Voi avete sempre visto le cose molto in profondità… e sapete essere discreto», replicò Sara.

«È una condizione insita nel mio ruolo, Royina.»

«Avete servito bene la Casa di Chalion, forse meglio di quanto meritasse.»

«Ma non bene quanto sarebbe stato necessario», ribatté Cazaril, e la Royina assentì con un sospiro.

Alle domande che Cazaril le pose sul suo futuro, Sara rispose che stava tornando nella provincia in cui era nata per insediarsi in una tenuta di campagna, dove sarebbe stata felicemente padrona di se stessa. Non aveva un’aria rassegnata; pareva anzi lieta di lasciare Cardegoss ai suoi successori. Alzatosi, lui le augurò con tutto il cuore ogni bene e un viaggio tranquillo, poi le baciò le mani, omaggio che Sara ricambiò, sfiorandogli anche fugacemente la fronte con le dita quando lui le rivolse un inchino di commiato.

Nell’osservare i carretti che si rimettevano in marcia, Cazaril sussultò, immaginando gli scossoni prodotti dai solchi della strada. Senza dubbio, le strade di Chalion avevano bisogno di essere migliorate: ben pochi potevano esserne sicuri quanto lui, che le aveva percorse a lungo. Nell’Arcipelago, aveva visto strade lisce e ampie, tali da poter essere usate con qualsiasi condizione climatica… Si sorprese a pensare che forse Iselle e Bergon avrebbero dovuto convocare alcuni costruttori roknari, perché strade migliori, e meno infestate dai banditi, avrebbero giovato immensamente a Chalion. Anzi, a Chalion-Ibra, sì corresse mentalmente con un sorriso, mentre Foix lo aiutava a rimontare in sella.

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