25

Il giorno successivo, mentre l’intero palazzo era in fermento per le nozze imminenti, Cazaril si ritrovò a essere l’unico che non aveva nulla da fare. Iselle era arrivata a Taryoon con poco più degli abiti che indossava; tutta la corrispondenza e i registri affidati a Cazaril si trovavano ancora nelle sue camere, a Cardegoss. Quando tentò d’incontrare la Royesse, per chiederle quali incarichi volesse assegnargli, trovò le sue stanze intasate di cameriere e di cucitrici, tutte vagamente isteriche, che, sotto le direttive della zia di Iselle, andavano e venivano con le braccia cariche d’indumenti.

«Cazaril, avete appena percorso quasi mille miglia nel mio interesse», disse Iselle, lottando per estrarre cdn un sussulto la testa da un ammasso di sete e protendendo un braccio per permettere a una donna di provarle una manica. «Andate a riposare. No, anzi, preparate due lettere che il segretario di mio zio possa poi copiare, una diretta a tutti i Provincar di Chalion e l’altra a tutti gli Arcidivini dei Templi, per annunciare il mio matrimonio… qualcosa che possano leggere alla gente. Dovrebbe essere un incarico leggero e tranquillo. Quando avrete pronte le diciassette… no, sedici…»

«Diciassette», interloquì sua zia, china sull’orlo del vestito. «Tuo zio vorrà una copia per gli archivi della sua Cancelleria. Ora sta’ diritta.»

«Quando le copie saranno pronte, mettetele da parte, in modo che io e Bergon le possiamo firmare domani, dopo il matrimonio, poi provvedete perché vengano spedite», concluse Iselle, con un cenno deciso del capo che destò l’irritazione della sarta impegnata a sistemarle la scollatura.

Inchinatosi, Cazaril si affrettò a lasciare la stanza prima di finire per essere aggredito con uno spillo, e si appoggiò per un momento alla ringhiera della galleria.

La giornata era serena e tiepida, con una promessa di primavera nell’aria, il cielo era di un colore azzurro pallido e la luce del sole si riversava sul cortile pavimentato di fresco, dove i giardinieri stavano trapiantando varie piante di arancio in piena fioritura in alcuni vasi, facendoli poi rotolare in modo da disporli intorno alla fontana gorgogliante. Fermando un servitore di passaggio, Cazaril si fece portare fuori un tavolino per scrivere e una sedia dotata di un morbido e spesso cuscino: benché la sua mente rammentasse quelle mille miglia in modo vago, il suo posteriore le ricordava tutte benissimo. Appoggiatosi allo schienale, con la luce calda del sole che gli pioveva sul volto, chiuse gli occhi, componendo mentalmente la lettera per poi chinarsi in avanti a scriverla; quando ebbe finito, il segretario di dy Baocia prese in consegna il risultato dei suoi sforzi per copiarlo con una calligrafia molto migliore della sua, e lui si appoggiò di nuovo all’indietro, chiudendo gli occhi e rilassandosi.

Un rumore di passi che si avvicinavano non fu sufficiente a riscuoterlo dal suo stato di beatitudine. Ma il tintinnio di qualcosa che veniva posato sul tavolo lo indusse a sollevare lo sguardo. A un cenno di Lady Betriz, un servitore dispose sul tavolo, prelevandoli da un vassoio, una teiera, una caraffa di latte, un piatto di frutta secca e pane con noci e miele. Congedato il ragazzo, Betriz provvide poi a versare il tè, spingendo il pane verso Cazaril e sedendosi sul bordo della fontana per guardarlo mentre mangiava.

«Il vostro volto sembra di nuovo scavato. Non avete mangiato a sufficienza?» domandò la giovane, in tono severo.

«Non ne ho idea. Questo sole è splendido! Spero che resista fino a domani.»

«Lady dy Baocia ritiene di sì, anche se è convinta che potrebbe piovere ancora, entro il Giorno della Figlia.»

Il profumo dei fiori di arancio colmava lo spazio riparato del cortile e sembrava mischiarsi col sapore del miele che lui aveva in bocca. «Fra tre giorni, sarà trascorso esattamente un anno da quando sono entrato nel castello di Valenda. A quel tempo, ero disposto a fare anche lo sguattero», osservò Cazaril, bevendo il tè per accompagnare il pane.

«Lo rammento», annuì Betriz, con un sorriso. «È stato alla scorsa vigilia del Giorno della Figlia che ci siamo conosciuti, alla tavola della Provincara.»

«Oh, io vi avevo già vista prima, quando siete entrata a cavallo nel cortile con Iselle e… con Teidez.» E col povero dy Sanda, aggiunse mentalmente.

«Davvero?» esclamò Betriz, sorpresa. «Non vi ho visto. Dov’eravate?»

«Seduto su una panca, vicino al muro. Eravate troppo impegnata a farvi rimproverare da vostro padre per aver galoppato, per accorgervi di me.»

«Oh», mormorò Betriz, poi sospirò e fece scorrere la mano nell’acqua della fontana, scrollando via le gocce fredde con aria accigliata; anche se nell’aria si avvertiva il respiro della Signora della Primavera, l’acqua era ancora sotto il dominio del Vecchio Inverno. «Mi pare che siano passati cento anni, non uno soltanto», aggiunse.

«A me sembra invece che sia trascorso appena un secondo. Adesso… il tempo corre più veloce di me, il che probabilmente spiega perché il mio respiro sia così affannoso», replicò Cazaril a mezza voce e, dopo un momento, chiese: «Iselle ha confidato a suo zio l’esistenza della maledizione che intendiamo infrangere domani?»

«No, naturalmente non lo ha fatto», rispose Betriz e, nel notare la sua espressione sorpresa, aggiunse: «Iselle è la figlia di Ista… Non può dire cose del genere, altrimenti la gente direbbe che è pazza anche lei, e qualcuno ne approfitterebbe per toglierle… tutto. Dy Jironal ha fatto un lavoro eccellente, a questo riguardo. Durante il funerale di Teidez, non ha perso occasione per fare ogni sorta di commento su Iselle con qualsiasi nobile o Provincar che fosse a portata di udito. Se piangeva, il suo comportamento era troppo stravagante; se sorrideva, era strano che facesse una cosa del genere al funerale del fratello; se parlava, dy Jironal era pronto a far notare quanto apparisse frenetico il suo atteggiamento; se invece stava in silenzio, lui sottolineava come lei fosse stranamente cupa. E, mentre parlava, gli uomini cui si era rivolto cominciavano a interpretare il comportamento di Iselle esattamente in quella chiave, per quanto fasulla fosse. Verso la fine della sua visita qui, poi, lui ha detto cose terribili, facendo in modo che Iselle potesse sentirlo, per cercare di spaventarla o di farla infuriare, e accusarla così di essere una squilibrata. A quel punto, però, io, Nan e la Provincara avevamo ormai capito il suo gioco e abbiamo avvertito Iselle, che ha badato a rimanere sempre composta e controllata in sua presenza.»

«Ah. Una ragazza eccellente», approvò Cazaril.

«Non appena abbiamo saputo che gli uomini del Cancelliere intendevano riportarla a Cardegoss, Iselle è stata colta da una vera frenesia… Doveva fuggire da Valenda a ogni costo», annuì Betriz. «Se fosse riuscito a isolarla, dy Jironal avrebbe potuto far circolare qualsiasi fandonia sul suo comportamento, senza che nessuno potesse confutarlo. Forse sarebbe perfino riuscito a convincere i Provincar di Chalion a prolungare a tempo indefinito la sua reggenza per conto di quella povera, folle ragazza e tutto ciò senza colpo ferire. Ecco perché Iselle non osa neppure menzionare la maledizione.»

«Capisco. È un bene che sia cauta. In ogni caso, agli Dei piacendo, questa storia ben presto sarà finita.»

«Agli Dei e al Castillar dy Cazaril», precisò Betriz.

Respingendo quelle parole con un gesto appena abbozzato, Cazaril bevve un altro sorso di tè. «Che cos’è successo quando dy Jironal ha scoperto che ero andato a Ibra?» domandò.

«Credo che non lo abbia neppure sospettato finché il corteo funebre non è arrivato a Valenda, e non vi abbiamo trovato là. Stando a ciò che ha detto alla Provincara, pare che abbia ricevuto alcuni rapporti dalle sue spie ibrane… Credo che sia stato anche per questo che, pur essendo ansioso di tornare nella capitale per impedire a dy Yarrin di portare Orico dalla sua parte, ha comunque rifiutato di lasciare Valenda finché non vi ha installato le sue truppe.»

«Ha anche mandato alcuni sicari, che ci hanno trovato sulla frontiera… Mi chiedo se si aspettasse che sarei tornato da solo, per la seconda fase dei negoziati… Non credo immaginasse che il Royse Bergon si sarebbe mosso così in fretta.»

«Non lo supponeva nessuno, tranne Iselle», osservò Betriz, tormentando con le dita la sopravveste di fine lana nera che le copriva le ginocchia. Poi risollevò lo sguardo e fissò Cazaril con occhi d’un tratto penetranti, domandando: «Mentre eravate impegnato a consumarvi per salvare Iselle… avete scoperto come salvare voi stesso?»

«No», rispose Cazaril, in tutta semplicità, dopo un momento di silenzio.

«Non è giusto.»

Cazaril fissò il cortile soleggiato, evitando d’incontrare lo sguardo di lei. «Mi piace questo bell’edificio nuovo. Sapete, qui non ci sono spettri…»

«State cambiando argomento», osservò Betriz, accigliandosi. «E fate sempre così, se non volete parlare di qualcosa…»

«Betriz… La notte in cui ho invocato la morte su Dondo, noi abbiamo imboccato sentieri differenti e adesso non posso più tornare indietro. Voi continuerete a vivere, io no. Non possiamo proseguire insieme, neppure se… Ecco, no, non possiamo.»

«Non possiamo sapere quanto tempo vi rimane. Potrebbero essere settimane, o mesi, ma se il dono elargitoci dagli Dei fosse anche un’ora soltanto, disprezzarlo e respingerlo sarebbe ancora più offensivo nei loro confronti.»

«Non si tratta soltanto del tempo», insistette Cazaril, agitandosi sulla sedia, a disagio. «Ma anche di un… Come posso chiamarlo? Di un eccesso di compagnia, ecco. Noi due, soli, ma con Dondo e col demone della morte… Non vi faccio orrore?» domandò, in tono quasi supplichevole. «Vi garantisco che ne faccio a me stesso!»

Betriz scoccò un’occhiata al suo ventre, poi spostò lo sguardo verso la parte opposta del cortile e assunse un’espressione cocciuta. «Non ritengo che essere… infestato da un fantasma sia contagioso. O credete forse che io manchi di coraggio?»

«Questo mai», sussurrò Cazaril.

«Assalirei il cielo per te, se sapessi dove si trova», sibilò Betriz.

«Non avete letto il libro di Ordol, mentre aiutavate Iselle a comporre le lettere cifrate? Secondo lui, noi e gli Dei esistiamo nello stesso tempo e nello stesso luogo e siamo separati soltanto da una cortina spessa quanto un’ombra. Non c’è nessuna distanza da superare», spiegò Cazaril, pensando che in effetti Ordol aveva ragione. Da dove sedeva, lui poteva davvero scorgere il mondo degli Dei. «D’altro canto, non si può imporre qualcosa agli Dei con la forza. E mi sembra giusto, dato che loro non possono costringere noi.»

«Lo state facendo di nuovo! State cambiando argomento!»

«Cosa intendete indossare domani? Avete scelto un bell’abito? Ricordate che non dovete mettere in ombra la sposa.»

Betriz gli scoccò un’occhiata di fuoco.

In quel momento, Lady dy Baocia uscì dalle stanze di Iselle e si affacciò dalla galleria per rivolgere a Betriz una complicata domanda che riguardava un gran numero di tessuti differenti, o almeno così parve a Cazaril. Rispondendo con un cenno, lei si alzò con una certa riluttanza e si avviò alla scala, ribattendo da sopra la spalla, in tono tagliente: «Forse è davvero così. Forse voi siete condannato. Ma se domani dovessi cadere da cavallo e rompermi l’osso del collo, spero che, dopo, voi vi sentiate un idiota».

«Più che un idiota», mormorò lui, rivolto alla sua figura che si allontanava tra un frusciare di gonne. Poi, notando che il luminoso cortile gli appariva sfocato, passò con decisione una manica sugli occhi, per asciugarli.


Il giorno del matrimonio si annunciò sereno, proprio come tutti avevano sperato. Il cortile invaso dal profumo, dei boccioli di arancio era affollato al massimo della sua capienza quando Iselle, accompagnata da sua zia e da Betriz, apparve in cima alle scale della galleria, offrendo uno spettacolo che era una gioia per gli occhi, come pensò Cazaril con un sorriso. Le sarte e le cucitrici avevano compiuto un’impresa davvero eroica, abbigliando Iselle in tutte le tonalità di azzurro che si convenivano a una sposa, e la sua sopravveste blu era decorata con tutte le perle ibrane che era stato possibile trovare a Taryoon, cucite in modo da raffigurare tanti leopardi stilizzati. Accompagnata da applausi, Iselle cominciò a scendere le scale, muovendosi con una certa rigidità a causa degli abiti che la impacciavano un poco, ma con un sorriso sul volto e i capelli che splendevano sotto il sole come un fiume d’oro; dietro di lei, venivano due giovani cugine incaricate di sorreggere lo strascico, cosa che stavano facendo sotto l’attento controllo della madre. Quel giorno, perfino la maledizione sembrava avvolgersi intorno a lei come una sorta di lunga veste nera.

Obbedendo alle istruzioni ricevute, Cazaril si affiancò al Provincar della Baocia, e si trovò così a guidare il corteo che si snodò per le tortuose strade di Taryoon, fino al vicino Tempio. Con un tempismo quasi incredibile, la processione di Bergon, partita dalla dimora del March dy Huesta, raggiunse il portico nello stesso momento di quella di Iselle. Per l’occasione, il Royse era abbigliato nelle tinte rosse e arancione che si addicevano alla sua età e al suo sesso, e il suo volto aveva un’espressione determinata e coraggiosa, quasi che lui stesse per assaltare un bastione. Per evitare che gli ibrani si sentissero, e apparissero, inferiori numericamente, Palli e una decina di soldati-fratelli del suo Ordine, in uniforme di gala, si erano uniti al corteo del Royse, insieme con Foix e Ferda.

Nonostante lo scarso preavviso con cui erano state annunciate quelle nozze, Cazaril calcolò che, nel rotondo cortile centrale del Tempio, si accalcassero non meno di mille nobili, mentre quella che pareva l’intera popolazione di Taryoon era schierata lungo i percorsi seguiti dai due cortei reali, a indicare che l’atmosfera aveva pervaso l’intera città.

In un vortice di colori, le due processioni si unirono ed entrarono nel recinto sacro, accompagnate dal coro di cantori locali, le cui voci piene di entusiasmo fecero praticamente risuonare le mura stesse d’inni gioiosi. Guidata dall’Arcidivino, la giovane coppia entrò a turno in ciascun lobo in cui era suddiviso il Tempio, inginocchiandosi su nuovi tappeti per pregare e implorare la benedizione di ciascuna divinità: la Figlia e il Figlio, a titolo di ringraziamento per la protezione che avevano finora elargito loro nel viaggio della vita; la Madre e il Padre, nella speranza di essere a tempo debito accolti presso di loro.

Sulla base della teologia e della tradizione, il Bastardo non rivestiva un ruolo ufficiale in una cerimonia nuziale, ma tutte le coppie prudenti inviavano comunque al suo altare un dono propiziatorio. Per l’occasione, Cazaril e dy Tagille erano stati incaricati di fungere da corrieri e, dopo aver ricevuto le offerte di Bergon e di Iselle, aggirarono l’edificio principale del Tempio per raggiungere la Torre del Bastardo, scortati da un piccolo coro di giovanissimi cantori che prendevano con la massima serietà il loro incarico. Una volta nella torre, trovarono ad attenderli vicino all’altare un sorridente Divino dalla veste bianca, pronto ad accogliere le loro offerte.

Sebbene la coppia reale fosse stata costretta a prendere a prestito abiti, denaro, cibo e dimora per quel giorno particolare, Bergon non aveva certo lesinato nell’offerta al Dio, come dimostrò la grossa sacca di oro ibrano che dy Tagille depose sull’altare per suo conto; quanto a Iselle, aveva inviato una promessa, scritta di proprio pugno, di finanziare la riparazione del tetto della Torre del Bastardo, a Cardegoss, non appena fosse diventata Royina. A quei doni, Cazaril ne aggiunse uno personale: la parte del filo di perle regalato da Dondo a Iselle, e contaminato dal sangue dei briganti, che non era andata persa durante lo scontro coi banditi. Considerata la sua natura problematica e maledetta, quel monile ricadeva senza dubbio sotto la giurisdizione del Bastardo, e Cazaril si concesse un sospiro di sollievo quando riuscì infine a liberarsene.

Nel tornare verso il Tempio dalla Torre del Bastardo, sempre seguito dal coro di ragazzini, Cazaril posò distrattamente lo sguardo sulla folla raccolta nel cortile. Con un sussulto, scorse un uomo di mezz’età, avvolto da una fioca luce grigia, simile a quella di una giornata invernale. Provò subito a chiudere gli occhi, constatando che il tenue bagliore persisteva anche dietro le palpebre, poi tornò a osservare l’uomo con occhi normali, notando che indossava le vesti nere e grigie, decorate sulla spalla da una treccia rossa, proprie di un funzionario della Corte Municipale di Taryoon. Probabilmente, si trattava di un giudice di grado minore, ma era anche un santo di rango minore al servizio del Padre, nello stesso modo in cui Clara, a Cardegoss, era al servizio della Madre.

L’uomo stava fissando a sua volta Cazaril a bocca aperta, con lo stupore dipinto sul volto; i due non poterono scambiarsi neppure una parola, perché Cazaril venne nuovamente coinvolto nelle cerimonie in corso all’interno dell’echeggiante cortile del Tempio. Decise comunque di chiedere al più presto all’Arcidivino notizie riguardo a quell’uomo.

Vicino al fuoco centrale, il Royse e la Royesse, ora sposati, pronunciarono ciascuno un breve discorso, poi insieme con l’Arcidivino, con Cazaril e con tutti gli altri, ripercorsero in corteo le strade decorate da bandiere, fino al nuovo palazzo di dy Baocia, dov’era stato preparato un grande banchetto destinato a riempire le ore del pomeriggio e lo stomaco degli invitati. Le pietanze offerte erano ancor più incredibili per il fatto di essere state preparate in due giorni soltanto, ed erano così svariate da far supporre a Cazaril che, per l’occasione, fossero state intaccate le scorte accantonate in previsione della festa del Giorno della Figlia, cosa che a suo parere non avrebbe di certo infastidito la Dea. Essendo ospiti di rango, sia Cazaril sia l’Arcidivino avevano un posto già stabilito e non ebbero occasione di parlare in privato se non durante le danze che seguirono il banchetto, spingendo la gente più giovane verso i cortili. A quel punto, i due uomini con cui Cazaril voleva conferire vennero a cercare proprio lui.

Il giudice, che accompagnava l’Arcidivino, appariva piuttosto sconvolto, e scambiò con Cazaril un’occhiata in tralice mentre l’altro lo presentava.

«Mio signore dy Cazaril… Questo è l’Onorevole Paginine, che presta servizio presso il municipio di Taryoon», esordì l’Arcidivino, poi abbassò la voce, e aggiunse: «Lui afferma che sei toccato dagli Dei. È vero?»

«Purtroppo sì», sospirò Cazaril.

Poi, mentre Paginine annuiva, con l’aria soddisfatta di chi ha visto confermata un’intuizione, Cazaril lo trasse in disparte insieme con l’Arcidivino. In quella situazione era difficile scovare un angolo appartato, ma alla fine trovarono riparo in un minuscolo cortile secondario cui si accedeva da uno degli ingressi laterali del palazzo; musica e risa arrivavano fino a loro nell’aria sempre più buia, ma almeno lì erano soli, a parte un servitore che tuttavia, dopo aver acceso le torce fissate alle pareti, si affrettò a tornare dentro. Nel cielo, alte nubi stavano cominciando a coprire le prime stelle.

«L’Arcidivino di Cardegoss sa tutto sul mio conto», spiegò subito Cazaril all’Arcidivino di Taryoon.

«Oh», mormorò questi, sollevato, e aggiunse: «Mendenal è una persona eccellente».

Pur ritenendo che la sua fiducia fosse malriposta, Cazaril preferì non obiettare. «A quanto vedo, il Padre dell’Inverno vi ha elargito qualche dono», osservò, rivolto al giudice. «Di cosa si tratta?»

«Be’, talvolta… mi permette di sapere chi sta mentendo e chi sta dicendo il vero, nella mia camera di giustizia», rispose Paginine. «Questo non è sempre un bene, contrariamente a quanto si potrebbe pensare.»

La risposta di Cazaril fu una breve, amara risata, in reazione alla quale Paginine s’illuminò visibilmente.

«Ah, vedo che capite», commentò poi, con un sorrisetto teso.

«Oh, sì.»

«Però voi, signore…» continuò Paginine, turbato. «Vi ho definito come toccato dagli Dei, ma ciò non descrive neppure lontanamente quello che vedo. Guardarvi… mi fa quasi dolere gli occhi. Da quando mi è stata concessa la seconda vista, ho incontrato tre persone afflitte dagli Dei come voi, ma non ho mai visto nulla di simile.»

«A Cardegoss, il santo Umegat ha detto che sembravo una città in fiamme», ammise Cazaril.

«È… una descrizione adeguata», convenne Paginine, scoccandogli un’occhiata in tralice.

«Le parole di Umegat lo erano sempre», replicò Cazaril, pensando: Già, un tempo lo erano davvero.

«Qual è la natura del vostro dono?»

«Io… ecco, credo di essere io il dono per la Royesse Iselle.»

«Questo spiega le storie che circolano sul vostro conto», mormorò l’Arcidivino, portandosi una mano alle labbra e affrettandosi a segnarsi.

«Quali storie?» esclamò Cazaril, sconcertato.

«Ditemi, Lord Cazaril, cos’è quella terribile ombra che avvolge la Royesse Iselle?» interloquì il giudice. «Non è di certo una manifestazione degli Dei e non ha nulla di buono. La vedete anche voi?»

«Io… me ne sto occupando. Pare che eliminare quell’orrore sia il compito che gli Dei mi hanno assegnato, ma credo di aver quasi finito.»

«Oh, saperlo è un vero sollievo», dichiarò Paginine, mostrandosi molto più sereno.

D’un tratto, Cazaril si rese conto che quello che avrebbe voluto era trarre in disparte Paginine per parlare del loro comune incarico, per chiedergli come affrontava le manifestazioni legate al suo stato. Forse l’Arcidivino era una persona devota, un buon amministratore e magari anche un erudito teologo, però era difficile che comprendesse i disagi che si accompagnavano al mestiere di santo. Il sorriso amaro di Paginine, invece, era stato quanto mai rivelatore… Quello che Cazaril voleva era ubriacarsi in sua compagnia e confrontarsi con lui.

«Benedetto Signore», sussurrò d’un tratto l’Arcidivino, con un profondo inchino che imbarazzò profondamente Cazaril. «C’è qualcosa che posso fare per voi?»

La domanda di Betriz — Avete scoperto come salvare voi stesso? — riecheggiò nella mente di Cazaril, inducendolo a pensare che forse non ci si poteva salvare da soli, che magari era necessario salvarsi a vicenda. «Stanotte no», rispose. «Però domani… o più avanti nel corso della settimana, c’è una questione personale che mi piacerebbe sottoporvi, se è possibile.»

«Certamente, Benedetto Signore. Sono al vostro servizio.»

Tornarono quindi alla festa. Esausto, Cazaril desiderava soltanto poter andare a letto, ma il cortile sottostante la sua camera era invaso da invitati intenti a far baldoria. Eccitata e affannata, Betriz venne a chiedergli di danzare con lei, invito che lui declinò con un sorriso, ben sapendo che comunque i cavalieri non le mancavano. La giovane continuò tuttavia a tenerlo d’occhio, mentre lui, seduto vicino al muro, sorseggiava una coppa di vino annacquato e parlava con varie persone, chiaramente interessate a un impiego presso la corte della futura Royina. Alle loro velate richieste, Cazaril rispose invariabilmente in tono cortese, ma senza promettere nulla.

Nel frattempo, le dame di Chalion si accalcavano intorno ai nobili ibrani come formiche intorno a un vasetto di miele rovesciato. A un certo punto, poi, sopraggiunse anche Lord dy Cembuer e l’atmosfera divenne, se possibile, ancora più allegra. I giovani ibrani presero a descrivere il loro viaggio, suscitando un estremo interesse negli affascinati ascoltatori di Chalion. Cazaril fu oltremodo soddisfatto di quei racconti avventurosi, che facevano apparire Bergon come un eroe. Ma anche Iselle, in seguito alla sua fuga notturna da Valenda, venne ben presto considerata un’eroina. Quella doppia aura di leggenda avrebbe senza dubbio stroncato sul nascere la diceria, creata da dy Jironal, di «Iselle la Folle», anche perché aveva solide radici nella realtà dei fatti.

Finalmente giunsero l’ora e la cerimonia che Cazaril aveva atteso con velata impazienza. Bergon e Iselle vennero scortati fino alla loro camera nuziale e, con soddisfazione, Cazaril notò che nessuno dei due aveva bevuto tanto da perdere il controllo. Dal canto suo, dato che la quantità di acqua aggiunta al vino si era ridotta nel corso della serata, si ritrovò ad avere la lingua un po’ impastata quando il Royse e la Royesse lo convocarono ai piedi della scalinata per dare e ricevere i cerimoniali baci di ringraziamento sulle mani. Commosso, Cazaril si segnò e invocò una speranzosa benedizione sulla testa di entrambi, ottenendo in cambio uno sguardo in cui si leggeva una così intensa e solenne gratitudine da lasciarlo sconvolto.

Grazie alla previdenza di Lady dy Baocia, un piccolo coro di cantori di preghiere accompagnò la coppia lungo le scale, soffocando in buona parte, con le sue voci cristalline, la cacofonia di licenziosi suggerimenti che giungeva dal basso. Soffusa in volto di un delicato rossore, con gli occhi che brillavano come stelle, Iselle si affacciò infine dall’alto della galleria insieme con Bergon, rivolgendo a tutti un sorriso di ringraziamento accompagnato da una piccola pioggia di fiori. Poi gli sposi scomparvero nell’appartamento nuziale, le porte si chiusero alle loro spalle e due ufficiali baociani presero posto sulla galleria per proteggere il riposo della coppia. Di lì a poco, tutti i servi e gli assistenti uscirono dall’appartamento, inclusa Betriz, che venne immediatamente requisita da Palli e da dy Tagille per altri giri di danza.

I festeggiamenti si protrassero fino all’alba, ma, con sollievo di Cazaril, una pioggerella sottile cominciò ben presto a cadere, costringendo musici e ballerini ad abbandonare il cortile su cui si affacciava la sua stanza per rifugiarsi nell’edificio vicino. Aggrappandosi alla ringhiera, Cazaril salì le scale verso la sua camera, sul lato della galleria opposto rispetto all’appartamento del Royse e della Royesse. Il mio dovere si è concluso, pensava. Che farò, adesso? Non ne aveva la minima idea. Sapeva soltanto che un immenso terrore sembrava svanito dal suo animo. Lui sarebbe vissuto e morto a causa delle scelte fatte… e degli errori commessi. Rifiuto di avere rimpianti, e non intendo guardarmi alle spalle, si disse.

Quello era un momento di equilibrio, la cuspide tra passato e futuro.

L’indomani, sarebbe andato a cercare quel piccolo giudice, la cui compagnia avrebbe forse dato sollievo alla sua solitudine.


A dire il vero, non sono solo, non abbastanza, pensò di lì a poco, quando gli incoerenti, osceni ululati di Dondo, liberati come sempre nell’ora della sua morte, presero a ruggire nella sua mente. Quella notte, lo spettro sembrava in preda a una furia più selvaggia che mai, tanto che le ultime vestigia di sanità mentale che esso conservava parevano essersi del tutto dissolte. Immaginando il motivo di quella rabbia, e nonostante il dolore che gli straziava il ventre, Cazaril non poté fare a meno di sorridere.

La violenza di quell’aggressione era tale che quasi perse i sensi. Poi però si costrinse a riscuotersi, terrorizzato dalla possibilità che Dondo, scatenato com’era, potesse impadronirsi del suo corpo mentre lui era ancora vivo e usarlo per qualche vile attacco ai danni di Iselle e di Bergon. Per parecchio tempo si contorse sul freddo pavimento di legno, reprimendo le urla e le oscenità che cercavano di uscirgli dalla bocca, senza più sapere con certezza a chi appartenessero quelle parole.

Quando tutto infine cessò, si ritrovò a terra, con la camicia da notte arrotolata intorno alla persona, le unghie spezzate e insanguinate; nel corso della crisi aveva vomitato, e adesso giaceva in mezzo alla sua stessa sporcizia, con la barba umida della schiuma che gli si era formata intorno alle labbra; quanto allo stomaco — Il suo gonfiore grottesco è stato solo un sogno? -sembrava tornato allo stato abituale, anche se tutta l’area addominale doleva e vibrava ancora, come un muscolo sforzato e sottoposto a una fatica eccessiva.

Non posso continuare così ancora per molto, si disse, consapevole che presto o tardi qualcosa avrebbe dovuto cedere… Il suo corpo, la sua sanità mentale, il suo respiro, la sua fede… Qualcosa.

Rialzatosi, ripulì il pavimento, si lavò nella bacinella e indossò una camicia asciutta e pulita. Poi sistemò le coltri, accese tutte le candele presenti nella stanza e strisciò di nuovo nel letto, dove giacque con gli occhi sgranati, fissi sulla luce.


Non avrebbe saputo dire quanto tempo era trascorso quando le voci sommesse e i passi dei servitori nella galleria lo avvertirono che il palazzo cominciava a svegliarsi. Probabilmente si era assopito, perché le candele si erano spente senza che lui ricordasse di averle viste estinguersi. Una luce grigia filtrava da sotto la porta e intorno alle imposte.

Ben presto sarebbe giunta l’ora delle preghiere del mattino, e quella prospettiva lo consolò, benché l’idea di doversi muovere lo turbasse. Lentamente, si alzò dal letto, dicendosi che quel giorno non sarebbe stato l’unico, a Taryoon, a essere affetto dai postumi di una sbornia, sebbene lui non avesse bevuto così tanto. Dal momento che, in occasione del matrimonio, il lutto era stato accantonato, tra gli indumenti che gli erano stati donati scelse un insieme sobrio, ma nel contempo abbastanza vivace.

Una volta pronto, scese nel cortile, disponendosi ad attendere l’alba e l’arrivo dei giovani sposi. Aveva smesso di piovere, però il cielo era ancora velato di nubi. Dopo aver asciugato col fazzoletto il bordo di pietra della fontana, si sedette su di esso e scambiò un sorriso e qualche parola con un’anziana serva, che portava sulle braccia alcune lenzuola ripiegate; in fondo al cortile, un corvo stava zampettando alla ricerca di frammenti di cibo, ma, pur lanciando un’occhiata a Cazaril, non rivelò un particolare interesse nei suoi confronti. E lui si sentì più che altro sollevato da quella dimostrazione d’indifferenza.

Finalmente, sulla galleria, le porte che lui stava tenendo d’occhio si aprirono, le assonnate guardie baociane si misero sull’attenti e dall’interno giunsero alcune voci femminili, miste a una voce maschile bassa e allegra. Poi Bergon e Iselle fecero la loro apparizione, vestiti per le preghiere del mattino, la mano di lei posata con leggerezza sul braccio del marito. Nel girarsi per scendere le scale a fianco a fianco, uscirono dalla zona d’ombra della galleria.

No… L’ombra li stava seguendo.

Cazaril serrò gli occhi, poi tornò ad aprirli… e il respiro gli si bloccò in gola: la nube soffocante che aveva avvolto Iselle era ora avviluppata anche intorno a Bergon.

Nello scendere le scale, i due giovani si stavano scambiando un sorriso. La notte precedente erano apparsi eccitati, stanchi e un po’ atterriti, ma quella mattina avevano l’aspetto di due innamorati… e la coltre di oscurità ribolliva intorno a entrambi come fumo da una nave in fiamme.

«Buongiorno, Lord Caz!» salutò allegramente Iselle, quando entrambi si avvicinarono.

«Non vorresti unirti a noi?» sorrise Bergon. «Stamattina abbiamo molte cose di cui rendere grazie insieme, giusto?»

«Io… io… vi raggiungerò tra poco», balbettò Cazaril, abbozzando una parvenza di sorriso. «Ho lasciato una cosa nella mia stanza.»

Poi si alzò, precipitandosi verso le scale. Arrivato sulla galleria, si girò di nuovo a guardarli mentre attraversavano il cortile, sempre seguiti da una scia d’ombra.

L’istante successivo si sbatté alle spalle la porta della propria stanza e rimase immobile, col respiro affannoso, quasi in lacrime. «Oh, per gli Dei… Che cosa ho fatto?» gemette. «Non ho liberato Iselle, ho esteso la maledizione a Bergon!»

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