15

Dopo un’ansiosa ricerca in giro per il castello di Zangre, il gruppetto rintracciò Orico nell’unico posto in cui Cazaril non si sarebbe mai aspettato di trovarlo e cioè nelle camere della Royina Sara, all’ultimo piano della Torre di Ias. Il Roya e la Royina erano seduti a un tavolino vicino a una finestra, intenti a giocare a dama, un gioco tanto semplice, con la sua scacchiera e i suoi pezzi di marmo colorato, da sembrare un passatempo per bambini o per convalescenti, e non per i sovrani di una nazione. Ma Orico non stava affatto bene. Quel giorno, l’ombra spettrale che ammantava entrambi pareva sottolineare ancora di più la loro stanca tristezza e, nell’osservarli, Cazaril si rese conto che non stavano giocando per passare il tempo, ma per cercare un diversivo dalla paura e dal dolore che li assediavano.

Cazaril rimase sconcertato dall’abbigliamento di Sara che, invece di optare per il nero e il lavanda, i colori ufficiali del lutto, si era vestita interamente di bianco, scegliendo la tonalità propria del Giorno del Bastardo, festa che veniva tenuta a intervalli di due anni dopo la Mezz’estate della Madre, per impedire la precessione del calendario dal giusto ordine delle stagioni. Gli indumenti di lino bianco erano troppo leggeri per il clima autunnale, quindi lei si era avviluppata in un ampio scialle di lana dello stesso colore per tenere a bada il freddo e, sullo sfondo di tutto quel candore, appariva smagrita e cupa. Nel complesso, quel particolare abbigliamento costituiva un insulto ancora più feroce delle vesti colorate scelte da Sara per il funerale di Dondo. Cazaril si chiese se la Royina avesse intenzione di vestirsi di bianco per tutto il periodo del lutto e se dy Jironal avrebbe osato protestare.

Con una riverenza al fratello e alla cognata, Iselle si fermò davanti a Orico con gli occhi scintillanti e le mani congiunte davanti a sé, in un atteggiamento sottomesso, peraltro smentito dalla rigidità della sua schiena. Mentre Cazaril e Betriz andavano ad affiancarsi alla Royesse e salutavano a loro volta col dovuto rispetto la coppia reale, Orico distolse lo sguardo dalla scacchiera e prese atto della presenza della sorella con un lieve cenno del capo, poi si assestò il grasso ventre e sollevò su Iselle uno sguardo pieno di disagio. Cazaril scorse i pannelli di broccato color lavanda, aggiunti sotto le ascelle dal sarto per allargare la circonferenza della tunica, e notò pure la lieve scoloritura della stoffa nei punti in cui le cuciture erano state spostate. Nel frattempo, la Royina Sara, avvolgendosi nello scialle, si ritraeva sul suo seggio, incassato sotto la finestra.

Quasi senza preamboli, Iselle iniziò la sua supplica al Roya. Gli chiese di avviare formali negoziati con Ibra e di chiedere per lei la mano del Royse Bergon, sottolineando che ciò offriva l’opportunità di riportare la pace tra le due nazioni, sanando la frattura creata dallo sfortunato sostegno fornito da Orico al defunto Erede, giacché, a quel punto, né Chalion né Ibra avevano interesse a continuare la guerra. La Royesse sottolineò inoltre come quel matrimonio fosse assolutamente perfetto dal punto di vista dell’età e del rango delle parti interessate, considerato che Bergon aveva la sua stessa età e il suo stesso titolo. Evocò anche i vantaggi che Orico avrebbe avuto grazie alla presenza di un suo parente e alleato presso la corte di Ibra, benché, diplomaticamente, si astenne dall’aggiungere che tali vantaggi sarebbero passati in seguito a Teidez. Tracciò poi un quadro vivido dei problemi che i nobili di Chalion interessati alla sua mano avrebbero potuto causare, e spiegò come Orico potesse elegantemente evitare tali seccature con quella mossa preventiva.

Il suo sfoggio di eloquenza indusse il Roya a sospirare con aria malinconica. «Iselle, il tuo lutto ti proteggerà per qualche tempo. Neppure Martou dy Jironal… insulterà la memoria di suo fratello dando in sposa ad altri l’orbata fidanzata di Dondo, le cui ceneri sono ancora calde.»

«Le sue ceneri si raffredderanno anche troppo presto. E dopo cosa accadrà?» ribatté Iselle, sbuffando sonoramente nel sentire il termine «orbata». «Orico, non mi costringerai mai più ad accettare un marito senza avere prima il mio assenso, in privato. Non te lo permetterò.»

«No, no», si affrettò a replicare Orico, agitando le mani. «Quello… è stato un errore, adesso me ne rendo conto e mi dispiace.»

Se questo non è minimizzare… pensò Cazaril.

«Non intendevo insultarti, cara sorella e neppure volevo offendere gli Dei», continuò Orico, guardandosi intorno come se gli Dei potessero aggredirlo da un momento all’altro, in una sorta d’imboscata astrale. «Volevo soltanto fare il tuo bene e quello di Chalion.»

Cazaril si rese conto che, a corte, nessuno, tranne lui stesso e Umegat, sapeva chi aveva pregato perché Dondo venisse allontanato… be’, se non proprio dal mondo, almeno dalla sua stessa vita. D’altro canto, tutti sapevano che la Royesse aveva implorato gli Dei di potersi sottrarre a quel matrimonio. Per quanto ne sapeva lui, Iselle non era certamente sospettata o accusata di aver operato una magia di morte, però rimaneva il fatto che lei era viva e vegeta, mentre Dondo non c’era più. Di conseguenza, ogni cortigiano con un po’ di cervello doveva essersi spaventato alla morte di Dondo. E alcuni indubbiamente erano più spaventati di altri.

«In futuro, non ti sarà offerto nessun matrimonio senza avere, prima, il tuo assenso», dichiarò Orico, con insolita fermezza. «Te lo prometto sulla mia stessa testa, e sulla mia corona.»

Cazaril inarcò le sopracciglia per la sorpresa. Giacché sembrava proprio che Orico stesse parlando sul serio. Dal canto suo, Iselle accettò quell’impegno con un cenno di assenso piuttosto guardingo.

Nel sentire un vago sbuffo, Cazaril spostò poi lo sguardo sulla Royina Sara. Il suo volto era in ombra per via della rientranza della finestra, ma, alle parole del marito, la sua bocca si era incurvata in un fugace sorriso ironico. Chiedendosi quali promesse solenni Orico le avesse fatto, solo per poi infrangerle, Cazaril distolse lo sguardo con aria abbattuta.

Come se stesse attraversando un ruscello saltando di sasso in sasso, Orico passò a un’altra manovra evasiva. «Per lo stesso motivo, a causa del nostro lutto è un po’ troppo presto per offrire la tua mano a Ibra. La Volpe potrebbe interpretare la nostra fretta come un insulto.»

«Ma, se aspettiamo, l’Erede di Bergon potrebbe non essere più disponibile!» protestò Iselle, con un gesto impaziente. «Adesso è l’Erede, è in età di sposarsi e suo padre vuole rafforzare i confini, quindi è inevitabile che lo baratti per procurarsi un alleato, magari dandogli in sposa una figlia del sommo March di Yiss o una ricca nobildonna darthacana. E così Chalion perderebbe la sua occasione.»

«È troppo presto. Non posso negare che le tue argomentazioni siano valide e che, al momento giusto, vengano prese in considerazione. In effetti, la Volpe aveva avviato indagini diplomatiche per chiedere la tua mano, alcuni anni fa, anche se non ricordo più per quale figlio… Tutto è stato interrotto all’insorgere di quei problemi nell’Ibra meridionale. In ogni caso, nessun impegno è definitivo. Per esempio, la mia povera madre brajariana è stata fidanzata cinque volte prima di sposare infine il Roya Ias. Abbi pazienza e aspetta un momento più conveniente.»

«Credo che questo sia un momento eccellente. Voglio una tua decisione, e il tuo impegno di attenerti a essa, prima che il Cancelliere dy Jironal sia di ritorno.»

«Ah, già, sì… Questo è un altro ostacolo. Non posso prendere una decisione così importante senza prima consultarmi col mio principale consigliere e con gli altri nobili del consiglio», replicò Orico, annuendo.

«L’ultima volta non hai consultato i nobili. Io credo che tu abbia paura di fare una cosa che non incontri l’approvazione del Cancelliere dy Jironal. Si può sapere chi è il vero Roya a Cardegoss… Orico dy Chalion oppure Martou dy Jironal?»

«Io… ecco… rifletterò sulle tue parole, cara sorella», mormorò Orico, agitando le mani grassocce come se volesse cercare di allontanare da sé la giovane.

Per un lungo momento, lei indugiò a fissarlo con un’intensità che lo fece contorcere sul suo seggio, poi accettò la sua risposta con un cenno di assenso. «Sì, pensa alla mia petizione, mio signore», ribatté. «Domani te la rivolgerò di nuovo.»

Con quella promessa — oppure era una minaccia? — fece un’altra riverenza a Orico e a Sara e lasciò la stanza, seguita da Betriz e da Cazaril.

«Domani e… ogni altro giorno successivo?» domandò sottovoce quest’ultimo, mentre Iselle procedeva lungo il corridoio.

«Ogni giorno. Finché Orico non cederà», confermò lei a denti stretti. «Potete contarci, Castillar.»


Più tardi, quel pomeriggio, sotto la gialla luce invernale che filtrava tra le nubi, Cazaril lasciò il castello di Zangre e raggiunse le stalle, stringendosi intorno al corpo l’elegante cappotto ricamato e ritraendo il collo al suo interno, come una tartaruga, per difendersi dal vento freddo e umido. La temperatura si era ormai abbassata a tal punto che la brina rivestiva l’acciottolato e ogni suo respiro creava nuvolette di vapore bianco. Lui provò a sbuffarne qualcuna contro gli spettri che, pallidi fino a essere quasi invisibili sotto la luce del sole, persistevano nell’aleggiargli intorno. Spinta la pesante porta del serraglio quanto bastava per sgusciare all’interno, Cazaril entrò e richiuse immediatamente il battente, indugiando poi per abituare gli occhi alla penombra che regnava all’interno, e starnutendo ripetutamente a causa della polvere profumata prodotta dal fieno.

Posato a terra un secchio, lo stalliere privo di pollici si affrettò a venirgli incontro con un inchino, emettendo inarticolati versi di benvenuto.

«Sono qui per vedere Umegat», gli disse Cazaril.

Inchinandosi ancora, l’ometto gli fece cenno di seguirlo e lo precedette lungo il corridoio. Al loro passaggio, gli splendidi animali si spostarono tutti verso la parte anteriore dei loro stalli, sbuffando, e le volpi del deserto presero addirittura a saltare e a uggiolare.

La camera di pietra in fondo al corridoio risultò essere una stanza per i finimenti convertita in camera di lavoro e di riposo per i servitori che si occupavano del serraglio. Al suo interno, un piccolo fuoco ardeva allegramente in un focolare di pietra per tenere a bada il freddo, e il vago, piacevole odore della legna si mescolava con quello del cuoio, del lucido per i metalli e dei saponi. I cuscini di lana che coprivano le sedie indicategli dallo stalliere erano logori e sbiaditi, il vecchio tavolo da lavoro aveva il piano chiazzato e sfregiato, ma la stanza era pulita e i pannelli di vetro rotondo incastonati nel piombo delle due finestre ai lati del focolare erano lucidati alla perfezione. Emesso qualche verso indistinto, lo stalliere lo lasciò lì e si allontanò.

Pochi minuti più tardi, Umegat entrò nella stanza, asciugandosi le mani su una pezza di stoffa e assestandosi il tabarro. «Benvenuto, mio signore.»

D’un tratto, Cazaril non seppe a quale criterio d’etichetta attenersi: doveva alzarsi in segno di rispetto nei confronti di un superiore oppure poteva rimanere seduto, come si conveniva davanti a un inferiore? Inoltre rifletté che il roknari di corte non contemplava una modalità grammaticale per un segretario che si rivolgeva a un santo. Alla fine, rimase seduto, però, a titolo di compromesso, s’inchinò all’altezza della cintura. «Umegat», rispose.

Il roknari chiuse la porta della stanza, per essere certo che la conversazione si svolgesse in privato, e Cazaril si protese subito in avanti, appoggiando le mani congiunte sulla superficie del tavolo e parlando con la stessa urgenza che un paziente avrebbe avuto nel rivolgersi al suo medico. «Tu vedi gli spettri del castello… Ma li hai mai sentiti parlare?»

«Di norma no. A te è successo?» replicò Umegat, prendendo una sedia e sedendosi accanto a lui.

«Non questi», spiegò Cazaril, percuotendo la presenza spettrale più persistente, che lo aveva seguito all’interno. Ma la presenza sparì solo quando Umegat accennò a colpirla con lo straccio che aveva in mano. «Si tratta dello spettro di Dondo», continuò, riferendo all’altro il fragore interiore che lo aveva tenuto sveglio la notte precedente. «Ho pensato che stesse per uscire. Può farcela, in caso che la presa esercitata dalla Dea venga meno?»

«Sono certo che nessuno spettro può avere la meglio su un Dio», dichiarò Umegat.

«Questa… non è una vera e propria risposta», ribatté Cazaril, pensando che forse Dondo e il demone intendevano sfinirlo sino a ucciderlo. «Puoi almeno suggerirmi un modo per farlo tacere? Ficcare la testa sotto il cuscino non è stato di nessun aiuto.»

«In tutto questo esiste una sorta di simmetria», mormorò Umegat. «Puoi vedere gli spettri esterni, ma non li puoi sentire; tuttavia senti, e non vedi, quello interno… Se in tutto ciò c’è la mano del Bastardo, è possibile che la cosa abbia lo scopo di mantenere l’equilibrio. In ogni caso, sono certo che la tua… preservazione dalla morte non sia stata accidentale e che non verrà annullata per puro caso.»

Cazaril si concesse un momento per assorbire quelle parole, rammentando il commento di Umegat sui doveri quotidiani nonché le strane idee che gli eventi di quel giorno avevano fatto nascere in lui. «Umegat, ho avuto un’idea», disse infine, in tono complice. «Sappiamo che la maledizione ha seguito la linea di discendenza maschile della Casa di Chalion, da Fonsa a Ias e a Orico… Eppure la Royina Sara è avvolta da un’ombra la cui intensità è analoga a quella del marito, sebbene lei non sia progenie dei lombi di Fonsa. Dev’essere stata contagiata dalla maledizione col matrimonio, giusto?»

«Sara era già velata d’ombra quando sono giunto qui per la prima volta, anni fa», replicò Umegat, accigliandosi. «Però suppongo… Sì, dev’essere stato così.»

«E possiamo ipotizzare che la stessa cosa sia successa a Ista?»

«Be’, sì.»

«In tal caso mi chiedo se Iselle sfuggirebbe davvero alla maledizione col matrimonio, pronunciando i voti matrimoniali e lasciandosi alle spalle la famiglia d’origine per entrare a far parte di quella del marito. Oppure la maledizione la seguirebbe, contaminando entrambi?»

«Non lo so», ammise Umegat, sorpreso.

«Ma non ti risulta che sia impossibile, vero? Stavo pensando che questo potrebbe essere un modo per salvare… qualcosa.»

«Può funzionare, ma non lo so per certo: nel caso di Orico non è mai stata una soluzione applicabile.»

«Ho bisogno di saperlo, Umegat, perché la Royesse Iselle sta insistendo con Orico perché apra i negoziati per il suo matrimonio fuori da Chalion.»

«Senza dubbio il Cancelliere dy Jironal non lo permetterà mai.»

«Non sottovalutare il potere di persuasione di Iselle. Lei non è Sara.»

«Neppure Sara era così, un tempo, però hai ragione… Oh, il mio povero Orico, schiacciato tra due incudini del genere.»

Mordendosi un labbro, Cazaril esitò molto a lungo prima di riprendere a parlare. «Umegat, tu hai osservato questa corte per anni… Dy Jironal è sempre stato un serpente velenoso oppure la maledizione ha lentamente corrotto anche lui? Sì, insomma, vorrei capire se la maledizione ha attirato un uomo corrotto in una posizione d’immenso potere oppure se qualsiasi uomo che cercasse di servire la Casa di Chalion finirebbe, col tempo, per essere corrotto.»

«Poni domande molto interessanti, Lord Cazaril», replicò Umegat, aggrottando la fronte. «E io vorrei avere risposte adeguate. Martou dy Jironal è sempre stato forte, intelligente e capace, a differenza del fratello minore, noto da sempre a corte più per il suo talento di combattente che per la sua intelligenza. Quando ha assunto la carica di Cancelliere, il maggiore dei dy Jironal non mi è parso più suscettibile alle tentazioni dell’orgoglio e dell’avidità di qualsiasi altro nobile di rango elevato di Chalion che avesse un clan cui provvedere.»

Sono parole abbastanza lusinghiere, tuttavia…

«Tuttavia…» riprese Umegat, come se completasse il pensiero formulato da Cazaril. «Sì, la maledizione ha avuto effetto anche su di lui.»

«Quindi… liberarsi di dy Jironal non è la soluzione ai problemi di Orico? Un altro uomo come lui, e forse anche peggiore, prenderebbe il suo posto?»

«La maledizione assume cento forme diverse, distorcendo ogni cosa buona in Orico facendo leva sui punti deboli della sua natura. Una moglie sterile invece che fertile, un consigliere corrotto invece che leale, amici incostanti e non sinceri, cibo che fa ammalare e non nutre, e così via.»

Un segretario-tutore diventato stolto e vigliacco invece che coraggioso e saggio? O forse sono soltanto strambo e folle? si chiese Cazaril. Se ogni persona che entrava nell’ambito della maledizione risultava vulnerabile, lui era forse destinato a essere la rovina di Iselle, come dy Jironal lo era per Orico? «Per quanto riguarda Teidez e Iselle… anche nel loro caso ogni cosa buona è destinata a corrompersi, oppure Orico è gravato da uno speciale fardello, essendo il Roya?» domandò.

«Credo che, negli anni, il peso della maledizione sia diventato più gravoso per Orico», rispose il roknari, socchiudendo gli occhi. «Mi hai posto una dozzina di domande, Lord Cazaril, quindi permettimi ora di rivolgertene una io. Come sei entrato al servizio della Royesse Iselle?»

Cazaril si appoggiò allo schienale della sedia e riandò con la mente al giorno in cui la Provincara gli aveva fatto quella proposta d’impiego. Prima però c’era stato dell’altro, e prima ancora… Sulla scia dei ricordi, Cazaril si trovò a raccontare a Umegat di quando un soldato-fratello dell’Ordine della Figlia, in sella a un cavallo nervoso, aveva lasciato cadere nel fango una moneta d’oro. E spiegò anche com’era giunto a Valenda.

Mentre lo ascoltava, Umegat preparò un tè sul piccolo fuoco e depose un boccale fumante davanti a Cazaril, che si concesse una breve pausa per umettarsi la gola, procedendo poi a descrivere il modo in cui Iselle aveva umiliato quel giudice corrotto, nel Giorno della Figlia. Concluse il racconto con l’arrivo a Cardegoss.

«Credi che i tuoi passi siano stati predestinati fino da allora?» chiese infine Umegat, tormentandosi i capelli. «È un’idea sconcertante, ma gli Dei sono parsimoniosi, e colgono le loro occasioni ovunque esse si presentino.»

«Ma se sono gli Dei che stanno tracciando questa strada per me, allora dove va a finire il mio libero arbitrio? No, non è possibile!» protestò Cazaril.

«Ah!» esclamò Umegat, illuminandosi di fronte a quello spinoso cavillo teologico. «Al riguardo posso avanzare un’altra ipotesi, che non nega né la volontà degli Dei né quella degli uomini. Forse, invece di controllare ogni passo, gli Dei hanno avviato lungo questa strada centinaia, o migliaia, di Cazaril e di Umegat, e quelli che sono arrivati a destinazione sono stati solo coloro che hanno scelto di farlo.»

«Ma io sono arrivato per primo, oppure per ultimo?» obiettò Cazaril.

«Ecco, io ti posso solo garantire che non sei il primo», ribatté Umegat.

Cazaril annuì con un grugnito, indicando di aver capito il sottinteso di quelle parole. «Ma se gli Dei hanno affidato Orico a te e Iselle a me, per quanto ritenga che qualcuno abbia commesso al riguardo un sacro errore… chi è incaricato della protezione di Teidez? Non dovremmo essere in tre? Dovrebbe essere un uomo votato al Fratello, anche se non saprei dire se sia uno strumento, un santo o uno stolto… Oppure tutti e cento i protettori destinati al ragazzo sono caduti lungo la strada, l’uno dopo l’altro? E se si trattasse di dy Sanda?» Si appoggiò in avanti e affondò il volto tra le mani, gemendo. «Se rimango qui ancora un po’ a discutere di teologia, giuro che finirò per ubriacarmi di nuovo, se non altro per impedire al cervello di vorticarmi nel cranio.»

«La dedizione al bere è in effetti un problema alquanto comune, tra i Divini», annuì Umegat.

«Comincio a capirne il perché», replicò Cazaril, inclinando all’indietro il capo per finire le ultime gocce del tè e tornando a posare la tazza. «Umegat… Se, per ogni azione che compio, mi devo chiedere non soltanto se sia saggia o buona, ma anche se sia proprio quella che ci si aspetta da me, finirò per impazzire. Mi raggomitolerò in un angolo, smettendo di fare qualsiasi cosa, tranne forse piangere e borbottare.»

Umegat ridacchiò — cosa che a Cazaril parve crudele -, ma poi scosse il capo. «Non puoi intuire in anticipo la volontà degli Dei. Attieniti alla via della virtù, se puoi identificarla, e confida che il dovere che ti si presenta sia quello che si desidera che tu compia. Proprio come i talenti che ti sono stati elargiti sono quelli che devi porre al servizio degli Dei. Puoi credermi se ti dico che gli Dei non pretendono di riavere nulla che prima non ti abbiano dato, neppure la tua vita.»

Cazaril trasse un profondo respiro. «Il tal caso, dedicherò tutti i miei sforzi a ottenere che questo matrimonio vada in porto, per spezzare la presa che la maledizione ha su di Iselle. Devo fidarmi del mio raziocinio… Per quale motivo altrimenti gli

Dei avrebbero scelto un uomo razionale come protettore di Iselle? O almeno, un uomo che era razionale…» aggiunse, quasi tra sé. «Prega per me, Umegat», concluse, con maggiore decisione di quanta ne provasse in effetti, spingendo indietro la sedia.

«Lo farò ogni ora, mio signore.»


Stava ormai calando il buio quando Lady Betriz entrò nello studio di Cazaril e accese le candele nei loro vasi di vetro, una premura per cui lui la ringraziò con un sorriso e un cenno del capo. Sorridendo a sua volta, Betriz spense l’accenditoio di cui si era servita e rimase immobile nello stesso punto in cui lei e Cazaril si erano accomiatati, la notte della morte di Dondo. «Grazie agli Dei, pare che adesso la situazione si stia un po’ calmando», commentò.

«Sì, un poco», convenne Cazaril, posando la penna.

«Comincio a credere che tutto andrà per il meglio», aggiunse Betriz.

«Sì», disse lui, ma un nuovo crampo allo stomaco confutò la sua affermazione. Seguì una lunga pausa, durante la quale lui raccolse di nuovo la penna e la intinse nell’inchiostro, anche se non aveva altro da scrivere.

«Cazaril, dovete proprio essere in punto di morte per baciare una dama?» chiese improvvisamente la ragazza.

Lui abbassò la testa, arrossendo, e si schiarì la gola. «Vi porgo le mie scuse più sentite, Lady Betriz. Non succederà più.» Non osò sollevare lo sguardo, per timore che lei tentasse d’infrangere le sue fragili barriere, magari riuscendoci. Oh, Betriz, non sacrificare la tua dignità per me, pensò.

«Mi dispiace molto sentirlo, Cazaril», ribatté lei, in tono severo.

Cazaril mantenne lo sguardo sul libro, ma ascoltò i passi di lei che si allontanavano.


Trascorsero parecchi giorni. Indomita, Iselle proseguiva la sua campagna contro Orico, mentre Cazaril era tormentato ogni notte dagli ululati interiori della tormentata anima di Dondo. A mezzanotte, e per un quarto d’ora, lo spettro riviveva il terrore della propria morte e Cazaril non riusciva mai a dormire prima di quell’interludio, a causa del nauseante senso di apprensione, né per parecchie ore a seguire, per via dell’orribile risonanza di quell’esperienza. Il suo volto divenne grigiastro per la stanchezza e i vecchi, indistinti fantasmi cominciarono ad apparirgli come piacevoli animali domestici, rispetto a quell’orrore. Disperato, tentò ancora di ubriacarsi, ma per quanto bevesse, non riuscì più a superare quell’esperienza senza svegliarsi, e ben presto si rassegnò a sopportarla.

La forza d’animo di Orico non era così forte. Il Roya si sforzava di evitare la sorella e lo faceva in modi sempre più bizzarri, ma soltanto per vedersela piombare addosso quasi ovunque: nelle sue camere, nelle cucine o, come accadde una volta, mentre faceva un bagno di vapore, cosa che scandalizzò profondamente la povera Nan dy Vrit.

Un giorno in cui Orico partì all’alba alla volta del suo capanno di caccia, Iselle lo seguì prontamente, subito dopo colazione; nel lasciare lo Zangre, Cazaril notò con sollievo che la sua scorta di spettri non lo accompagnò all’esterno, in quanto vincolata al luogo della propria morte.

Com’era prevedibile, il colloquio con Orico non diede esiti di sorta, ma la galoppata procurò a Iselle una gioia inesprimibile, permettendole di liberarsi della tensione accumulata al castello. Quella giornata trascorsa in sella, sotto la sferza della pungente aria invernale, servì a ridarle uno sguardo più sereno e a far affiorare un colorito più sano sul suo volto. Anche Lady Betriz ne trasse giovamento, ma così non si poté dire delle quattro guardie baociane di scorta, che mantennero a stento l’andatura e parvero faticare quanto i loro cavalli; e neppure di Cazaril, che quasi non riuscì a nascondere la sofferenza e che, quella sera, perse nuovamente sangue nell’usare il pitale, cosa che non gli era più successa da giorni.

Durante la notte, inoltre, le grida di Dondo risultarono particolarmente devastanti: per la prima volta, infatti, l’orecchio interiore di Cazaril riuscì a cogliere in esse parole articolate, prive di senso ma chiaramente distinguibili. Con sgomento, si chiese che cosa sarebbe successo d’ora in poi.

Il mattino successivo, Cazaril salì con passo stanco le scale che conducevano alle camere di Iselle, temendo di sentirsi annunciare un’altra cavalcata. Si accomodò faticosamente sulla sua sedia, davanti alla scrivania, e prese il libro mastro, ma proprio allora la Royina Sara apparve nell’anticamera, scortata da due delle sue dame di compagnia, e gli passò davanti in silenzio, simile a una nuvola di lana bianca. Colto di sorpresa, Cazaril si affrettò ad alzarsi e a inchinarsi profondamente, ma la Royina non si fermò neppure e si limitò a prendere atto della sua presenza con un lieve cenno del capo.

Poco dopo, un echeggiare di voci femminili nelle camere interne, interdette agli uomini, annunciò la visita della Royina alla cognata, poi le due dame di compagnia e Nan dy Vrit vennero esiliate nel salotto, dove si sedettero tranquillamente a cucire e a scambiarsi pettegolezzi. Circa mezz’ora più tardi, la Royina Sara emerse dall’appartamento di Iselle e riattraversò l’anticamera occupata da Cazaril con lo stesso atteggiamento distaccato che aveva avuto all’andata.

Betriz si affacciò alla porta interna. «La Royesse vi prega di raggiungerla immediatamente in salotto», disse a Cazaril e, notando l’espressione preoccupata della giovane, lui si affrettò ad alzarsi e a seguirla.

Iselle era seduta su un seggio intagliato, con le mani serrate intorno ai braccioli, pallida in volto e col respiro affannoso. «Un infame! Mio fratello è un infame, Cazaril!» esclamò, non appena lui si fu inchinato.

«Come, mia signora?» chiese lui, sedendosi mentre prendeva uno sgabello e si sedeva con la massima cautela. I crampi al ventre della notte precedente lo tormentavano ogni volta che si muoveva troppo in fretta.

«Nessun matrimonio senza il mio consenso… Certo, in questo è stato sincero, ma non ha aggiunto che non ci sarà nessun matrimonio senza il consenso di dy Jironal! Sara me lo ha confidato, insieme con altre cose interessanti. Dopo la morte di suo fratello, ma prima di partire da Cardegoss per cercare il suo assassino, dy Jironal ha chiesto un colloquio privato con Orico, e lo ha persuaso ad aggiungere un codicillo al suo testamento, in virtù del quale, in, caso di morte del Roya, il Cancelliere diventerà reggente per conto di mio fratello Teidez…»

«Ma si sapeva già da tempo, Royesse, come si sa che è stato istituito un consiglio di reggenza per consigliare il giovane Royse… I Provincar di Chalion non sono infatti disposti a permettere che uno di essi acquisisca un potere tanto vasto senza disporre di uno strumento di controllo.»

«Sì, sì, lo sapevo anch’io, però…»

«Il codicillo in questione non tenta di abolire il consiglio, vero?» chiese Cazaril, allarmato. «Questa è una cosa che scatenerebbe le ire di tutti i nobili.»

«No, quella parte è stata lasciata intatta… Tuttavia in precedenza io dovevo essere affidata alla tutela di mia nonna e di mio zio, il Provincar della Baocia, e adesso invece la mia tutela è stata trasferita a dy Jironal… e nel mio caso non c’è nessun consiglio che funga da organo di controllo! E c’è dell’altro, Cazaril! La sua tutela cesserà soltanto se e quando io mi sposerò, e spetterà soltanto a lui concedermi o negarmi il permesso di sposarmi! Potrà lasciarmi nubile sino a farmi morire di vecchiaia!»

«Non credo che possa succedere», replicò Cazaril, sollevando una mano in un gesto inteso a calmarla, anche se si sentiva a disagio. «Dy Jironal morirà inevitabilmente di vecchiaia molto prima di voi, e ancora prima, quando raggiungerà la maggiore età e potrà esercitare in pieno i suoi poteri, Teidez vi libererà da questa tutela con un decreto reale.»

«La maggiore età di Teidez è stata fissata a venticinque anni, Cazaril.»

Un decennio prima, Cazaril avrebbe condiviso in pieno l’indignazione di Iselle di fronte alla prospettiva di un’attesa del genere. Ora invece gli pareva una misura sensata… anche se era pronto ad ammettere che cessava di essere tale nel momento in cui il potere passava integralmente nelle mani di dy Jironal.

«Per allora io avrò quasi ventotto anni!» gemette ancora Iselle.

Altri dodici anni nell’arco dei quali la maledizione sarebbe stata libera di operare su di lei… No, quell’attesa non era affatto una cosa buona.

«E lui potrebbe licenziarvi immediatamente dal mio servizio!» rincarò Iselle.

Hai un’altra patrona che, per ora, non ha nessuna intenzione di licenziarmi, pensò Cazaril. «Sono pronto ad ammettere che avete una serie di motivi per cui essere preoccupata, Royesse», replicò. «Ma non fasciatevi la testa prima di romperla. Ricordate che nessuna di queste disposizioni ha valore finché Orico è in vita.»

«Secondo Sara, lui non sta bene.»

«Non gode di una salute eccellente, è vero», ammise con cautela Cazaril. «Ma non è assolutamente vecchio. Dopotutto, ha poco più di quarant’anni.»

A giudicare dall’espressione che le apparve sul volto, per Iselle quella era un’età fin troppo avanzata. «Sara afferma che le sue condizioni sono molto più gravi di quanto possano sembrare.»

«Gode della sua confidenza al punto di essere al corrente di cose del genere?» obiettò Cazaril. «Credevo che non avessero più molto in comune.»

«Non li capisco», ammise Iselle, sfregandosi gli occhi. «Sapete, Cazaril, quello che mi ha detto Dondo, era vero! Mi ero quasi convinta che si fosse trattato di un’orribile menzogna intesa a spaventarmi, però Sara me l’ha confermata. Il suo bisogno di avere un figlio era così disperato che ha acconsentito a dy Jironal di fare un tentativo, quando Orico… non è più stato in grado di provvedere. Stando alle sue parole, Martou non è stato poi così sgradevole… se non altro è stato sempre cortese con lei. Quando però anche lui non è riuscito a farla concepire, è intervenuto suo fratello e, a quanto pare, Dondo si è comportato in maniera orribile, traendo piacere dall’umiliazione di Sara. Orico però lo sapeva, Cazaril, e ha contribuito a persuadere Sara a sottoporsi a quell’indegnità. È una cosa che non capisco, perché sono certa che Orico non detesti Teidez così tanto da desiderare di mettere sul trono al suo posto un bastardo generato da uno dei due dy Jironal.»

«Non ha senso», mentì Cazaril. Un figlio di dy Jironal e di Sara non sarebbe stato un discendente di Fonsa l’Abbastanza Saggio. Orico doveva aver pensato che quel bambino, crescendo, avrebbe liberato la royacy di Chalion dalla maledizione del Generale Dorato… Una misura disperata, certo, ma forse efficace.

«Se dy Jironal scopre chi ha assassinato Dondo, la Royina Sara ha intenzione di pagargli il funerale, di assegnare una pensione alla sua famiglia e di far cantare per lui preghiere perenni nel Tempio di Cardegoss», aggiunse Iselle, con un sorriso sarcastico.

«Mi fa piacere saperlo», replicò Cazaril, con voce fievole, anche se non aveva una famiglia bisognosa di una pensione, poi s’incurvò leggermente in avanti, con un accenno di sorriso che camuffava una smorfia di dolore, riflettendo. Sara aveva riversato nell’orecchio virginale di Iselle dettagli di un’intimità sconvolgente, eppure non aveva fatto cenno alla maledizione, sebbene ne fosse al corrente, Cazaril ne era certo. Orico, Sara, dy Jironal, Umegat, Ista, forse addirittura la Provincara stessa… Tutti sapevano, eppure nessuno aveva informato quei ragazzi della nube nera che gravava su di loro. Chi era lui, dunque, per tradire quell’omertà? Nessuno lo ha detto neppure a me. Dovrei forse essere grato per tanta considerazione? pensò, chiedendosi quando i tutori di Teidez e di Iselle avrebbero parlato. Orico aveva forse intenzione di rivelarlo al suo Erede in punto di morte, come aveva fatto suo padre Ias? E lui, Cazaril, aveva il diritto di nascondere a Iselle cose che i suoi naturali guardiani avevano scelto di non spiegarle? Ed era disposto a dirle esattamente in che modo era venuto a conoscenza di quelle informazioni così riservate? Il suo sguardo si spostò su Lady Berriz, che, seduta su uno sgabello, stava fissando con espressione ansiosa la sua preoccupata signora… Ecco, persino Betriz sapeva benissimo che lui aveva tentato la magia di morte, però non era al corrente che quel tentativo era perfettamente riuscito!

«Non so che altro fare», gemette Iselle. «Orico è inutile

Cazaril sospirò, chiedendosi se Iselle poteva sottrarsi alla maledizione senza neanche sapere della sua esistenza. Poi, ben consapevole che stava per suggerire qualcosa di assolutamente poco razionale, disse: «Potreste organizzare da sola il vostro matrimonio…»

Riscuotendosi, Betriz sollevò la testa di scatto, fissandolo con occhi sgranati.

«Dovrei farlo in segreto?» esclamò Iselle. «Nascondendo ogni cosa al mio regale fratello?»

«Senza dubbio tenendo all’oscuro il suo Cancelliere.»

«Sarebbe legale?»

«Un matrimonio, celebrato e consumato, non può essere annullato facilmente neppure da un Roya», dichiarò Cazaril. «Inoltre, si potrebbe persuadere una buona parte dei nobili di Chalion a sostenere la vostra iniziativa, soprattutto tenendo presente che già esiste una solida fazione avversa a dy Jironal. Così annullare il matrimonio sarebbe ancora più difficile.» Se poi Iselle fosse riuscita ad andarsene da Ibra, affidandosi alla protezione di un suocero astuto — quale la Volpe di Ibra, per esempio — si sarebbe lasciata alle spalle sia le fazioni sia la maledizione. Bisognava però evitare a ogni costo che Iselle, ostaggio impotente presso la corte del Roya Orico, finisse per rivestire quello stesso ruolo presso una corte differente. Se non altro, comunque, sarebbe stata un ostaggio libero dalla maledizione.

«Capisco», annuì Iselle, con una luce di approvazione nello sguardo. «Cazaril, è una cosa fattibile?»

«Esistono alcune difficoltà pratiche, e per tutte esiste una soluzione altrettanto pratica», replicò lui. «La cosa più importante è trovare un uomo di cui vi possiate fidare e che funga da vostro ambasciatore. Dovrà essere intelligente e astuto, in modo da garantirvi la posizione più forte possibile nell’ambito dei negoziati con Ibra, ma anche abbastanza diplomatico da evitare di offendere Chalion. Dovendo attraversare, sotto mentite spoglie, i nostri inquieti confini, bisognerà anche che sia coraggioso, forte nel fisico, devoto alla vostra causa e deciso a non venirvi meno. Scegliere la persona sbagliata potrebbe risultare fatale… forse anche nel senso più letterale del termine.»

«Potete trovarmi un uomo del genere?» domandò Iselle, congiungendo le mani.

«Ci rifletterò sopra e mi guarderò intorno», promise Cazaril.

«Fatelo, Lord Cazaril, fatelo», sussurrò Iselle.

«Non avete bisogno di cercare molto lontano», commentò Lady Betriz, in tono stranamente distaccato.

«Non si può trattare di me», si schermì Cazaril, deglutendo a fatica. Stava per dire: «Potrei cadere morto ai vostri piedi da un momento all’altro…» ma riuscì a correggersi, mormorando: «Non oso lasciarvi qui sole, senza protezione».

«In tal caso, rifletteremo tutti sul problema», concluse Iselle, decisa.


Le feste per il Giorno del Padre si svolsero in modo tranquillo, anche perché furono caratterizzate da una pioggia gelida, che scoraggiò molti nobili del castello dal partecipare alla processione. In qualità di Roya, però, Orico non poté esimersi da quel dovere e contrasse così un raffreddore, adducendo poi quel malanno come scusa per mettersi a letto ed evitare di vedere chiunque. Per gli altri abitanti del castello, ancora in lutto per Lord Dondo, la Festa del Padre venne celebrata soltanto con musica sacra e niente danze.

La pioggia gelida durò per tutta la settimana. In un pomeriggio particolarmente uggioso, Cazaril si trovava con Iselle e Betriz, intento a spiegare loro — prima in teoria e poi in pratica — come tenere una contabilità, quando la lezione fu interrotta da un colpo deciso battuto contro lo stipite e dalla voce di un paggio.

«Il March dy Palliar chiede di vedere Lord dy Cazaril», annunciò il ragazzo, in tono un po’ diffidente.

«Palli!» esclamò Cazaril, girandosi sulla sedia e alzandosi. Entrambe le dame s’illuminarono in volto, perdendo l’espressione annoiata di poco prima. «Non mi aspettavo di rivederti a Cardegoss tanto presto!»

«Non me lo aspettavo neppure io», replicò Palli, inchinandosi alle due giovani donne e scoccando all’amico un sorriso in tralice, mentre lasciava cadere una moneta nella mano del paggio e lo congedava con un cenno del capo.

Il ragazzo fece un profondo inchino, indicando che gradiva la ricca mancia, e si affrettò ad allontanarsi.

«Ho preso con me soltanto due ufficiali e ho viaggiato in fretta», proseguì Palli. «Il resto del mio contingente mi sta seguendo a un’andatura tale da non danneggiare i cavalli. La Dea mi è testimone che non intendevo pronunciare una profezia, l’ultima volta che sono stato qui. Pensarci mi fa rabbrividire più di questa dannata pioggia…» Si guardò intorno, scrollando le spalle, mentre si liberava del mantello fradicio e rivelava la divisa azzurra e bianca propria di un ufficiale dell’Ordine della Figlia. Passatosi le dita tra i capelli scuri, umidi di pioggia, strinse poi le mani a Cazaril. «Per i demoni del Bastardo, Caz, hai un aspetto orribile!»

Non potendo rispondere che il suo aspetto era appunto dovuto a quei demoni, Cazaril diede la colpa al clima, che non aveva un buon effetto su nessuno.

«Colpa del clima?» ribatté Palli, ritraendosi e squadrandolo da capo a piedi. «L’ultima volta che ti ho visto, la tua pelle non aveva il colore della pasta per il pane ammuffita, i tuoi occhi non erano cerchiati di nero e apparivi in forma, non… pallido, teso e panciuto!»

Cazaril si raddrizzò con fare indignato, ritraendo il ventre.

«Royesse… Dovreste far visitare il vostro segretario da un medico», insistette Palli, indicandolo col pollice. Iselle fissò Cazaril con aria d’un tratto dubbiosa e si portò una mano alla bocca, come se lo stesse vedendo per la prima volta da settimane… Il che probabilmente era vero, ipotizzò Cazaril, considerato che, negli ultimi tempi, lei era stata interamente assorbita dalle proprie sciagure. Anche Betriz lasciò scorrere lo sguardo da Cazaril a Iselle, mordendosi un labbro, ma senza dire nulla.

«Non mi serve un medico», si affrettò a dichiarare Cazaril, deciso. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era qualcuno che lo sottoponesse a un interrogatorio riguardo al suo stato di salute.

«Lo dicono tutti, per paura dei salassi e dei purganti», ribatté Palli, accantonando la sua protesta con un gesto. «L’ultima volta che uno dei miei sergenti ha sviluppato delle vesciche da sella, ho dovuto scortarlo dal medico con la spada puntata alla schiena. Non gli date ascolto, Royesse…» Poi si fece serio in volto e rivolse un inchino di scusa a Iselle. «Cazaril… posso parlarti in privato? Royesse, prometto che non lo tratterrò per molto dai suoi doveri, anche perché ho poco tempo a disposizione.»

Con fare grave, Iselle concesse il suo regale permesso e Cazaril, cui non era sfuggito il particolare tono di voce dell’amico, si affrettò ad accompagnare Palli non nel suo studio, in anticamera, bensì nella propria camera, al piano di sotto. Percorso il corridoio, fortunatamente vuoto, chiuse con decisione la porta alle spalle di entrambi, per tenere alla larga eventuali curiosi umani. Quanto agli antichi spettri che aleggiavano nella stanza, senza dubbio sapevano mantenere i segreti.

Sistematosi sulla sedia, per meglio nascondere la goffaggine che gli derivava dal suo problema, attese che Palli si fosse seduto a sua volta sul bordo del letto, col mantello piegato accanto a sé e le mani congiunte abbandonate tra le ginocchia.

«Il corriere della Figlia inviato a Palliar deve aver viaggiato molto velocemente, nonostante il fango invernale», osservò, contando mentalmente i giorni trascorsi dal funerale.

«Ne sei già al corrente?» commentò Palli, inarcando le sopracciglia. «Credevo che si trattasse di un conclave alquanto… privato, benché, a mano a mano che gli altri Lord Devoti affluiranno a Cardegoss, il fatto che esso sia stato indetto risulterà fin troppo evidente.»

«Ho le mie fonti d’informazione», si limitò a dire Cazaril, scrollando le spalle.

«Non ne dubito, come io ho le mie», ribatté Palli, agitando un dito verso di lui. «Attualmente, sei l’unica persona all’interno dello Zangre, e dotata di una rete d’informatori, di cui sia disposto a fidarmi. Nel nome degli Dei, cos’è successo qui a corte? Circolano le storie più fosche e intricate riguardo alla morte improvvisa del nostro defunto Santo Generale… Per quanto l’idea sia piacevole, stento a credere che sia stato davvero condotto via da una schiera di demoni dalle ah fiammeggianti, invocati dalle preghiere della Royesse Iselle.»

«Ah… ecco… Non è successo esattamente così. È morto soffocato nel bel mezzo di un banchetto, la notte precedente le nozze.»

«C’è da sperare che a soffocarlo sia stata la sua lingua velenosa e menzognera.»

«Praticamente sì.»

«I Lord Devoti che Lord Dondo aveva fatto infuriare — quelli che non era riuscito a corrompere e quelli che in seguito si erano vergognati di aver ceduto alle sue lusinghe — hanno visto nella sua morte un segno di cambiamento imminente. Non appena saremo a Cardegoss in numero sufficiente per votare, abbiamo intenzione di battere sul tempo il Cancelliere e di presentare a Orico un nostro candidato alla carica di Santo Generale… o magari una rosa di tre nomi accettabili, tra i quali il Roya possa scegliere quello che preferisce.»

«Il secondo metodo avrebbe maggiori possibilità di riuscita. Si tratta di un delicato gioco di equilibri tra…» Cazaril s’interruppe per non dire che si trattava di un equilibrio tra fedeltà e tradimento. Poi riprese: «Dy Jironal gode di potere in seno al Tempio, come pure qui nello Zangre. Non vorrai certo che questa lotta intestina assuma risvolti spiacevoli».

«Perfino dy Jironal non oserà gettare lo scompiglio nel Tempio, scatenando i soldati del Figlio contro quelli dell’Ordine della Figlia», dichiarò Palli.

Cazaril rispose con un borbottio dubbioso.

«Inoltre, alcuni Lord Devoti — inutile fare nomi, per il momento — si vogliono spingere oltre, raccogliendo le prove della corruzione, delle minacce, del peculato e della malafede di cui entrambi i dy Jironal si sono macchiati e mostrandole poi a Orico, così da costringerlo ad allontanare Martou dy Jironal dalla carica di Cancelliere e ad assumere una posizione netta nei suoi confronti…»

«… il che equivale a costruire una torre con la senape, quindi te lo sconsiglio», replicò Cazaril. «Orico non accetterà facilmente di liberarsi di dy Jironal perché… fa affidamento su di lui in misura molto maggiore di quanto io ti possa spiegare. Dovreste trovare prove assolutamente schiaccianti e inconfutabili.»

«Sì, e questo è uno dei motivi per cui sono venuto da te», disse Palli, protendendosi in avanti. «Saresti disposto a ripetere sotto giuramento, davanti al conclave della Figlia, la storia che mi hai raccontato a Valenda, in merito a come i dy Jironal ti hanno venduto come schiavo sulle galee?»

«Palli, come prova posso offrire soltanto la mia parola», obiettò Cazaril. «E ti garantisco che non sarebbe sufficiente a rovesciare un uomo come dy Jironal.»

«Da sola, no di certo, ma potrebbe essere la moneta che fa inclinare il piatto della bilancia, la goccia che fa traboccare il vaso.»

La moneta che si distingueva fra tutte le altre? Chiedendosi se voleva davvero avere un ruolo determinante in quel complotto, Cazaril contrasse le labbra in una smorfia di sgomento.

«Inoltre, sei un uomo che gode di una certa reputazione…» insistette Palli.

«Non buona, questo è certo!» esclamò Cazaril, con un sussulto.

«Però tutti sanno che l’astuto segretario della Royesse Iselle è un uomo assolutamente affidabile, un bastione inespugnabile, del tutto indifferente alla ricchezza…»

«No, non lo sono», gli garantì Cazaril, in assoluta serietà. «Non ho gusto nel vestire, ma la ricchezza mi piace.»

«Un uomo che gode della più assoluta fiducia e confidenza da parte della Royesse», riprese Palli. «E non fingere di essere un avido e interessato cortigiano… almeno, non farlo con me. Ti ho visto rifiutare per tre volte le ricche somme offerte dai roknari per la consegna di Gotorget, l’ultima quando già stavi praticamente morendo di fame, cosa che posso far confermare da testimoni.»

«Ecco… È ovvio che non abbia accettato…»

«In consiglio, la tua voce sarebbe ascoltata, Caz!»

«Io… ci rifletterò, perché devo pensare ai miei doveri più importanti», sospirò Cazaril. «Diciamo che sono disposto a parlare in una sessione a porte chiuse, soltanto se pensi che la mia testimonianza sia necessaria. Dopotutto, la politica interna del Tempio non è cosa che mi riguardi.» Un’improvvisa fitta al ventre gli fece rimpiangere le parole che aveva scelto. In questo momento, pensò allora, temo di essere tormentato dalla politica interna personale della Dea.

Annuendo con entusiasmo, segno che aveva dato a quel suo assenso più importanza di quanto Cazaril desiderasse, Palli si alzò, lo ringraziò e se ne andò.

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