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Ormai le clausole erano state accettate, i trattati stilati in più copie, firmati dalle parti interessate, nonché dai loro testimoni, e sigillati… Eppure, per poco, una questione pratica non mandò tutto a monte. La Volpe — non senza motivo, a parere di Cazaril — era infatti riluttante a mandare suo figlio a Chalion con così scarse garanzie per la sua sicurezza personale. A causa della guerra che aveva prosciugato le risorse del suo Stato, però, il Roya non aveva né gli uomini né il denaro necessari a radunare un nutrito contingente di truppe che garantisse la sicurezza di Bergon. Cazaril, inoltre, aveva paura dell’effetto che avrebbe avuto sulla gente di Chalion la vista di un esercito che valicava i confini, benché mosso da una causa valida. Com’era prevedibile, la discussione assunse toni accesi e il pensiero di dovere la vita stessa di Bergon a Cazaril fece crescere nel Roya un senso di umiliazione. La Volpe prese a evitare il Castillar e le sue petizioni con tattiche molto simili a quelle usate da Orico.

Tramite la catena di corrieri dell’Ordine della Figlia organizzata durante il viaggio di andata, Cazaril ricevette il primo messaggio cifrato di Iselle. Stilato pochi giorni dopo la sua partenza da Cardegoss, era molto breve, una semplice conferma che i riti funebri di Teidez si erano svolti senza incidenti e che Iselle avrebbe lasciato la capitale quel pomeriggio, insieme col corteo funebre, per la sepoltura del fratello a Valenda. In conclusione, la giovane scriveva, con evidente sollievo:


Le nostre preghiere sono state ascoltate… Gli animali sacri hanno dimostrato che il Figlio dell’Autunno ha preso con sé Teidez, nonostante tutto. Prego che possa trovare sollievo presso il Dio. Mio fratello Orico è ancora vivo e ha recuperato la vista da un occhio, ma è sempre assai gonfio, per cui rimane confinato a letto.


Seguiva però una nota che raggelò Cazaril.


Il nostro nemico mi ha affidato, come dame di compagnia, due sue nipoti… Non sarò in grado di scrivervi spesso. Che la Signora guardi con benevolenza alla vostra missione.


Nel cercare invano qualche aggiunta da parte di Betriz, per poco Cazaril non si lasciò sfuggire il suo breve messaggio, che individuò soltanto nel girare il foglio: i piccoli numeri, tracciati con la sua calligrafia precisa, erano seminascosti dalla cera crepata del sigillo. Grattato via il resto della cera con un’unghia, lui constatò che i numeri lo rimandavano a una delle ultime pagine del libro di Ordol. Si trattava di una delle sue preghiere più liriche: una supplica appassionata per la protezione di una persona cara che era in viaggio, lontano da casa.

Quanti anni… No, quanti decenni erano passati dall’ultima volta che qualcuno aveva pregato così per lui? Cazaril non era neppure certo che quel messaggio fosse destinato anche ai suoi occhi, e non soltanto a quelli degli Dei, ma si accostò comunque i numeri ai cinque punti sacri, trattenendoli un po’ più a lungo sulle labbra, prima di lasciare la camera per andare alla ricerca di Bergon.

Gli mostrò la lettera di Iselle, e lui rimase affascinato dal sistema di codifica, che studiò con estremo interesse; Cazaril compose una breve risposta, in cui informava la Royesse del successo della sua missione, e Bergon provvide a sua volta a stilare faticosamente di proprio pugno, con la massima concentrazione, un messaggio cifrato per la fidanzata.

Nella situazione di stallo venutasi a creare, Cazaril si sentiva sempre più inquieto. Era infatti impossibile che dy Jironal non avesse spie alla corte di Ibra, spie che, presto o tardi, gli avrebbero riferito della sua presenza a corte. Ma dy Jironal avrebbe intuito che i negoziati condotti da Cazaril nell’interesse di Iselle avevano avuto un esito positivo? E, se sì, come avrebbe reagito? Mettendo Iselle sotto stretto controllo e cercando di dedurre le mosse successive di Cazaril? Bloccando Bergon una volta che fosse stato a Chalion?

La sospensione dei negoziati si protrasse per parecchi giorni, giacché i timori del Roya per la sicurezza del figlio non si placavano. Ma, a un certo punto, Cazaril ebbe un’ispirazione geniale. Mandò lo stesso Bergon a perorare la propria causa: la Volpe, infatti, non poteva sottrarsi a quell’inviato, neppure nell’intimità delle proprie stanze. Bergon era giovane ed energico, con l’immaginazione accesa al pensiero della promessa sposa; il Roya era ormai vecchio e stanco… Senza contare che, proprio allora, una città dell’Ibra meridionale, fedele al defunto Erede, si sollevò contro il Roya, adducendo a pretesto l’inosservanza del trattato. La Volpe, costretto a fronteggiare quella circostanza funesta — benché Cazaril la considerasse invece assai favorevole -, si trovò dunque impegnato a organizzare una spedizione militare. Così, sebbene combattuto tra le grandi speranze accese nel suo animo e il terrore per la sicurezza del suo unico figlio, alla fine lasciò la decisione nelle mani di Bergon e dei suoi amici.

Come Cazaril ebbe modo di constatare, la risolutezza era una dote che non faceva difetto a Bergon. Il Royse accettò immediatamente il piano proposto da Cazaril: viaggiare leggeri e sotto mentite spoglie attraverso il territorio ostile tra il confine di Ibra e Valenda. Alla scorta formata da Cazaril e dai dy Gura aggiunse soltanto tre amici: due giovani nobili ibrani, dy Tagille e dy Cembuer, e il March dy Sould, poco più vecchio di lui.

Pieno di entusiasmo, dy Tagille propose di viaggiare come un gruppo di mercanti ibrani diretti a Cardegoss. Cazaril pose un’unica condizione e cioè che tutti gli uomini avessero una buona esperienza nell’uso delle armi.

Nell’arco di un giorno dalla decisione di Bergon, il gruppo si radunò in segreto — o almeno così si augurò Cazaril — in uno dei manieri che dy Tagille possedeva fuori da Zagosur. In realtà, non si sarebbe poi trattato di una compagnia particolarmente ristretta. Calcolando anche i servitori, infatti, si contavano una dozzina di uomini e un convoglio di bagagli formato da una mezza dozzina di muli e da quattro pony di montagna ibrani dal manto bianco, da considerare sia come cavalcature di scorta sia come dono per Iselle.

La partenza si svolse all’insegna dell’entusiasmo generale: era chiaro che, per i compagni di Bergon, quella era soprattutto una magnifica, nobile avventura. Ma Cazaril notò con piacere che il Royse aveva un atteggiamento più serio dei suoi amici, cosa che attenuò un poco il suo timore di trovarsi alla guida di un gruppo di bambini lanciati in un folle labirinto. Bergon non stava procedendo alla cieca, il che era più di quanto gli Dei avessero richiesto allo stesso Cazaril, il quale, formulando quelle cupe riflessioni, si ritrovò a chiedersi se la maledizione non lo stesse ingannando, inducendo a scatenare una guerra invece di evitarla. Dopotutto, neppure dy Jironal era stato così corrotto, quando era stato nominato Cancelliere.

Dovendo adattarsi a quella dei muli da soma, l’andatura del viaggio di ritorno ebbe lo stesso ritmo estenuante di quella dell’andata; soltanto l’ascesa dalla costa alla base delle montagne dei Denti del Bastardo richiese quattro giorni interi. Là, Cazaril venne raggiunto da un’altra lettera di Iselle, scritta un paio di settimane dopo la sua partenza da Cardegoss. La Royesse riferiva che Teidez era stato sepolto a Valenda con un rito adeguato e che lei, come voluto, era riuscita a prolungare la sua visita in città, sostenendo che desiderava consolare la madre e la nonna. Nel frattempo, dy Jironal era stato richiamato a Cardegoss dalla notìzia che lo stato di salute di Orico si era aggravato, e si era lasciato alle spalle non soltanto le spie da lui introdotte nel seguito di Iselle, ma anche numerosi soldati, con l’incarico di proteggere la nuova Erede di Chalion. Sto pensando a come liberarmi di loro, scriveva Iselle, un’affermazione che strappò un brivido di paura a Cazaril. C’era poi una lettera personale per Bergon, che Cazaril gli consegnò senza aprirla. Il Royse non ne rivelò il contenuto, tuttavia, nella soffocante camera della locanda in cui avevano preso alloggio, Cazaril lo vide sorridere spesso, mentre sfogliava il libro di Ordol per decifrare il codice, tenendo il capo il più vicino possibile alla luce delle candele.

Ancora più incoraggiante fu la lettera della Provincara, in cui l’anziana dama riferiva che Iselle, in privato, aveva ricevuto promesse di appoggio a quel suo matrimonio ibrano, da parte dello zio, il Provincar della Baocia, e di altri Provincar. Sembrava proprio che, al suo arrivo, Bergon avrebbe trovato numerosi difensori.

«Bene», esclamò in tono deciso il giovane Royse, quando Cazaril gli fece vedere il messaggio. «Proseguiamo.»

Quella notte stessa, però, alcuni viandanti esausti e scoraggiati arrivarono alla locanda, riferendo che il passo era ostruito dalla neve caduta in abbondanza. Consultata la mappa e facendo ricorso alla propria memoria, Cazaril decise che sarebbe stato meglio proseguire verso nord per un’intera giornata, in modo da raggiungere un altro valico, più alto e meno frequentato, che sembrava ancora praticabile. Lungo la salita, però, due cavalli si procurarono una distorsione. Ed erano ormai quasi giunti al passo allorché il March dy Sould — il quale aveva sempre dichiarato di sentirsi più a suo agio sul ponte di una nave che in sella a un cavallo -, dopo essere rimasto in silenzio per tutta la mattina, si protese oltre la sella e vomitò.

L’intero gruppo fu costretto a fermarsi. Mentre dy Sould, di solito vivace e arguto, borbottava una serie di scuse e di proteste imbarazzate e addirittura vagamente incoerenti, Cazaril, Bergon e Ferda si consultarono.

«Dobbiamo fermarci, accendere un fuoco e cercare di scaldarlo?» chiese il Royse, preoccupato, lasciando vagare lo sguardo su quei pendii desolati.

«Appare stordito, come un uomo in preda a una febbre molto alta, ma non è caldo al tatto», replicò Cazaril, lui stesso piegato in due per le fitte al ventre. «Essendo nato e cresciuto lungo la costa, non credo che si sia ammalato, ma piuttosto che soffra di quel malore che assale talvolta gli abitanti delle pianure che si trovano in alta montagna. In entrambi i casi, sarà meglio allontanarsi da queste rocce gelide prima di prestargli le cure necessarie.»

«E voi come vi sentite, mio signore?» domandò Ferda, scoccandogli un’occhiata in tralice.

«Non ho nulla che possa essere guarito semplicemente mettendomi a sedere qui», ribatté Cazaril, notando che anche Bergon lo stava scrutando con aria inquieta. «Proseguiamo.»

Il gruppo rimontò in sella e, ogni volta che la pista lo consentiva, Bergon si affiancava a dy Sould, il quale si teneva aggrappato alla sella con cupa determinazione. Dopo mezz’ora, comunque, Foix si abbandonò a un grido di gioia, indicando il tumulo di pietre che segnava il confine tra Ibra e Chalion. Condividendo il suo entusiasmo, i compagni si fermarono per aggiungere le loro pietre al tumulo, poi iniziarono la lunga discesa, ancora più pericolosa della salita. Le condizioni di dy Sould sembravano stabili e da quello Cazaril capì che la sua diagnosi era stata giusta. Quanto a lui, non accennava certo a migliorare, ma d’altronde non se lo aspettava neppure.

Nel pomeriggio, oltrepassato il bordo inferiore di una nuda vallata, si trovarono in mezzo a una fitta foresta di pini: l’aria sembrava più balsamica grazie al delizioso profumo degli alberi e il letto di aghi dava sollievo agli zoccoli dei cavalli doloranti, mentre i tronchi offrivano un riparo dal vento.

Nel superare una curva, Cazaril sentì un rumore soffocato di zoccoli sulla pista, davanti a loro: era il primo viaggiatore in cui si erano imbattuti nell’arco dell’intera giornata, e si trattava di un singolo cavaliere, dunque non poteva costituire un pericolo per il loro gruppo. Poi apparve un uomo brizzolato, dalle sopracciglia folte e dalla barba cespugliosa, vestito con sporchi abiti di cuoio. Li salutò con un cenno e, sconcertando un poco Cazaril, fermò il cavallo in modo da bloccare loro il passo.

«Sono il siniscalco del Castillar dy Zavar», spiegò l’uomo. «Quando la nebbia si è diradata, abbiamo visto che stavate discendendo la valle, così il mio signore mi ha mandato ad avvertirvi che sta per scoppiare una tempesta. V’invita dunque a ripararvi presso di lui finché non sarà passata.»

Dy Tagille accolse con entusiasmo quell’offerta di ospitalità, ma Bergon fece indietreggiare il cavallo per affiancarsi a Cazaril e gli sussurrò: «Ritieni che dobbiamo accettare, Caz?»

«Non ne sono certo…» borbottò lui, sforzandosi di ricordare se avesse mai sentito parlare di un Castillar dy Zavar.

Bergon lanciò un’occhiata a dy Sould, che si era accasciato sul pomo della sella. «Mi piacerebbe sistemarlo al coperto per la notte», osservò. «Dopotutto, siamo in molti, e armati.»

«E comunque non potremmo andare veloci in mezzo a una bufera, senza contare il rischio di smarrire la pista», convenne Cazaril.

«Fate come preferite, signori», commentò il brizzolato siniscalco. «Tuttavia, dal momento che a primavera spetterà a me il compito di recuperare i corpi sparsi nei fossi, vi sarei grato se accettaste la nostra ospitalità. Probabilmente, la tempesta si esaurirà entro domattina.»

«Se non altro, siamo riusciti a valicare il passo prima che il tempo cambiasse…» mormorò Bergon, poi, alzando il tono di voce, aggiunse: «D’accordo. Signore, vi ringraziamo e accettiamo la gentile offerta del Castillar».

L’uomo accennò un saluto e avviò il cavallo nella direzione da cui era giunto. Dopo un miglio, deviò su una pista secondaria, appena visibile, che si snodava tra alti pini scuri. Mentre i cavalli risalivano a fatica l’erto sentiero, Cazaril sentì in lontananza le strida di parecchi corvi, un suono che ridestò in lui ricordi confortanti.

Il gruppo infine sbucò dalla penombra degli alberi e si ritrovò su uno sperone roccioso, sul quale era appollaiata una piccola fortezza piuttosto malridotta, fatta di pietra nativa grezza, e dal cui camino si levava un’incoraggiante voluta di fumo. Oltrepassato un arco di pietra, il gruppo giunse in un cortile pavimentato con lastre di ardesia, sul quale si aprivano le stalle e un ampio porticato di legno, sovrastante la scala di accesso alla sala principale. Il perimetro del cortile era ingombro di attrezzi, di botti e di un’accozzaglia di altri oggetti. Numerose pelli di damo in fase di concia erano inchiodate al muro della stalla.

Alcuni uomini dall’aria dura — stallieri, servitori o guardie, o forse tutte e tre le cose insieme -, uscirono dal portico per occuparsi dei cavalli e dei muli dei viaggiatori. In quel momento, però, la vista di una mezza dozzina di spettri recenti, che vorticavano per il cortile, indusse Cazaril a dilatare gli occhi per lo sgomento, sentendo il respiro che gli si bloccava in gola.

Tre uomini, una donna e un bambino in lacrime… Sì erano spettri recenti, lo si capiva dalla nitidezza del loro contorno grigio, che conservava la forma avuta in vita. Poi la sagoma della donna indicò verso l’uomo brizzolato e la sua bocca si aprì in un urlo silenzioso, emettendo una voluta di fuoco bianco.

Cazaril fece subito indietreggiare il cavallo per affiancarlo a quello di Bergon. «È una trappola», mormorò. «Tieni pronte le armi e avverti gli altri.»

Bergon trasmise il messaggio a dy Tagille, che a sua volta si protese verso un paio di servitori, cui disse qualcosa in tono sommesso. Con un sorriso, Cazaril accostò intanto il proprio cavallo a quello di Foix e, sollevando la mano a coprirsi la bocca, come se stesse ridendo per una battuta scherzosa, gli spiegò quello che stava per succedere. Sorridendo a sua volta, Foix annuì e si girò verso il fratello, scrutando però il cortile per valutare la situazione.

Nel complesso, non era particolarmente preoccupante. C’era tuttavia un uomo appollaiato proprio sulle mura, accanto al portone, con una balestra che gli penzolava dalla mano con finta noncuranza… Un particolare di per sé insignificante, se non fosse stato che la balestra era carica. Tornando ad affiancarsi al Royse, Cazaril spostò il cavallo in modo da interporre se stesso e tra lui e l’uomo vicino al portone.

«Attento all’arciere», sussurrò. «Riparati sotto un mulo.» Gli spettri saettavano per il cortile, indicando uomini nascosti dietro le botti e gli attrezzi, oppure annidati nell’ombra delle stalle o in attesa poco oltre il portone. Erano così tanti che Cazaril fu costretto a ripensare alla tattica più opportuna da utilizzare, giacché non poteva più far conto sul vantaggio numerico.

L’uomo brizzolato rivolse un segnale a uno dei suoi compagni, e il portone venne chiuso alle spalle dei viaggiatori. Girandosi sulla sella, Cazaril affondò una mano nelle sacche e tastò prima un panno di seta, e poi una serie di fredde forme rotonde… Erano le perle di Dondo, che lui non aveva impegnato a Zagosur perché esse giungevano proprio da quell’area e quindi valevano poco agli occhi dei commercianti. Sollevando di scatto la mano, estrasse lo scintillante filo di perle con un ampio gesto del braccio, lo fece roteare intorno alla testa e contemporaneamente spezzò il filo col pollice. Com’era prevedibile, le perle si sfilarono dall’estremità della collana e volarono per tutto il cortile. I bravacci, colti di sorpresa, scoppiarono a ridere e si lanciarono verso quell’improvvisa ricchezza.

«Adesso!» urlò Cazaril, abbassando il braccio con una mossa repentina.

Il brizzolato comandante del gruppo di aggressori, che probabilmente era sul punto d’impartire quello stesso ordine, rimase sconcertato nel vedere i compagni di Cazaril estrarre la spada e scagliarsi sui nemici, distratti dalle perle. Cazaril fu quasi costretto a saltar giù di sella per evitare una quadrella di balestra, che in effetti si conficcò nel cuoio accanto a lui. Poi lottò per estrarre la spada, mentre il cavallo spaventato prendeva a impennarsi e a sgroppare.

Foix era peraltro riuscito a impugnare la propria balestra prima che si scatenasse quel caos di uomini che urlavano e di cavalli che si agitavano. Così, quando uno degli spettri saettò davanti all’occhio interiore di Cazaril, indicando una forma in ombra che si stava spostando lungo la sommità del portico, il Castillar batté un colpetto sul braccio di Foix e gridò: «Lassù!» Tendendo la balestra, il giovane si girò di scatto nel preciso istante in cui il secondo arciere si sollevava per tirare. E Cazaril avrebbe potuto giurare che lo spettro intendesse guidare il volo della quadrella, la quale penetrò nell’occhio destro dell’arciere, abbattendolo all’istante. Abbassandosi per non esporsi, Foix provvide quindi a ricaricare immediatamente, con un sonoro ronzio del piccolo meccanismo di trazione.

Cazaril si guardò intorno, alla ricerca di un avversario, e ne scoprì uno che stava puntando proprio lui. Dal portone stava infatti entrando un uomo, armato di spada, che lui riconobbe subito come Ser dy Joal, il principale bravaccio di dy Jironal. L’ultima volta, l’aveva visto a Cardegoss.

Cazaril sollevò la spada appena in tempo per deviare il primo, furioso attacco di dy Joal, poi fu costretto a mettersi sulla difensiva da violenti e dolorosissimi crampi al ventre, mentre lui e l’avversario giravano in cerchio, entrambi alla ricerca di un vantaggio da sfruttare. D’un tratto, però, dy Joal scattò in avanti. Il dolore al ventre era così intenso che per poco non prosciugò di ogni energia il braccio di Cazaril, che riuscì a malapena a respingere quell’attacco e non poté neppure pensare a un contrattacco. Con la coda dell’occhio, vide lo spettro della donna raggomitolarsi completamente su se stesso, poi scivolare, insieme con una perla, sotto lo stivale di dy Joal. L’uomo barcollò, in maniera tanto violenta quanto inaspettata, agitando le braccia per mantenere l’equilibrio.

Allora la punta della spada di Cazaril gli trapassò la gola, andando a incastrarsi per un momento contro le ossa del collo, con un impatto veemente che riverberò lungo il braccio del Castillar. Ormai gli sembrava di avere crampi in tutto il corpo, e la vista gli si stava annebbiando sempre di più, mentre, dentro di lui, Dondo urlava, trionfante, e il demone della morte saliva dietro i suoi occhi come fuoco vorticoso, impaziente e implacabile. In preda alle convulsioni, Cazaril cominciò a vomitare e, in un incontrollato spasmo all’indietro, strappò di lato la spada dalla ferita, squarciando le arterie di dy Joal, il quale cadde ai suoi piedi, immerso in una pozza di sangue.

Cazaril si ritrovò inginocchiato sulle pietre gelide, con la spada che tintinnava ancora debolmente dopo essere sfuggita alle sue dita, d’un tratto inerti. Il tremito che lo scuoteva era così violento da rendergli impossibile rialzarsi, la bile gli colava dalla bocca contratta, e ondate di nausea gli devastavano l’addome gonfio e pulsante. Sulla punta della sua spada, abbandonata a terra, il sangue di dy Joal, diventato nero, sembrava emettere una scia di vapore.

Dentro di lui, Dondo gemeva e ululava in preda all’ira e alla frustrazione. Lentamente, tuttavia, quei richiami andarono scemando, fino a cessare del tutto; quanto al demone, si era riadagiato nel suo ventre come un gatto in caccia, teso e guardingo. Dolorante, Cazaril provò a chiudere e ad aprire più volte la mano, per verificare se aveva ancora il controllo del proprio corpo.

Sembrava proprio che il demone della morte non fosse particolarmente schizzinoso riguardo alle anime con cui riempire i suoi secchi, a patto che fossero due: quella di Cazaril e quella di Dondo, oppure quella di Cazaril e quella di un altro assassino… o di un’altra vittima? Lui non avrebbe saputo dirlo, e non riteneva neppure che avesse importanza, date le circostanze. Dondo aveva sperato di rimanere aggrappato al suo corpo e di far strappare via l’anima di Cazaril, cosa che lo avrebbe lasciato in possesso del territorio conteso, se così si poteva dire. Ciò significava che gli intenti di Dondo e quelli del demone non coincidevano. Il demone pareva disposto ad accontentarsi della morte di Cazaril, comunque si fosse verificata, mentre Dondo voleva un assassinio.

Accasciato a terra, senza più forze, con le lacrime che gli filtravano da sotto le palpebre, Cazaril si rese conto che intorno a lui il chiasso era cessato. Una mano gli toccò una spalla, strappandogli un sussulto, e la voce spaventata di Foix gli risuonò all’orecchio. «Mio signore? Mio signore, siete ferito?»

«Non… sono ferito», ansimò Cazaril, sbattendo le palpebre e protendendo una mano verso la sua spada, ma solo per ritraila di scatto perché era rovente. Ferda sopraggiunse in quell’istante e, benché tremasse visibilmente, i fratelli dy Gura riuscirono a sollevarlo.

«Siete certo di star bene?» domandò Ferda. «A Cardegoss, quella dama dai capelli neri ci ha promesso che la Royesse ci avrebbe fatto staccare le orecchie, se non vi avessimo riportato da lei vivo.»

«Sì», confermò Foix. «E ha aggiunto che dopo lei avrebbe usato la nostra pelle per farci un tamburo.»

«La vostra pelle è salva, almeno per ora», garantì Cazaril, raddrizzandosi un poco e guardandosi intorno con sguardo ancora un po’ vacuo. Un servitore che sembrava più un sergente maggiore, stava minacciando con la spada una mezza dozzina di bravacci, distesi al suolo in segno di resa; altri tre banditi sedevano a ridosso del muro della stalla, gementi e sanguinanti, e un altro servitore stava trascinando nel centro del cortile il cadavere del balestriere.

Accigliandosi, Cazaril abbassò lo sguardo sul corpo di dy Joal. Nel corso del loro breve duello, non si erano scambiati una sola parola, e ciò creava nel Castillar un profondo disagio. La mera presenza di quel bravaccio, pur sottintendendo molte cose, non confermava nulla. Dy Joal era stato inviato da dy Jironal, oppure aveva agito di sua iniziativa? «Il capo… Dov’è il loro capo? Voglio interrogarlo», disse.

«È laggiù, mio signore, ma temo che non vi potrà rispondere», replicò Foix.

Poco lontano, Cazaril scorse Bergon che si stava rialzando dopo aver esaminato un cadavere. Purtroppo era il cadavere dell’uomo brizzolato.

«Ha combattuto con vigore e ha rifiutato di arrendersi», spiegò Ferda, in tono di scusa. «Aveva già ferito due dei nostri servitori, quando infine Foix lo ha abbattuto con una quadrella.»

«Credete che fosse davvero il siniscalco di questo posto, mio signore?» aggiunse Foix.

«No.»

Bergon si diresse verso di lui, la spada ancora in pugno, e lo squadrò da capo a piedi con aria preoccupata. «Adesso cosa facciamo, Caz?» domandò.

Lo spettro della donna, che sembrava meno agitato, stava additando il portone, mentre uno degli spettri maschili indicava le porte interne della rocca.

«Io… vi seguirò, tra un momento», sussurrò Cazaril.

«Come?» esclamò Bergon.

Cazaril si costrinse a distogliere lo sguardo da ciò che soltanto la sua seconda vista poteva scorgere. «Rinchiudeteli in una stalla sorvegliata», ordinò, facendo un cenno verso i nemici che si erano arresi. «Per ora metteteli tutti insieme, sani e feriti… Ci occuperemo di loro dopo aver curato le ferite dei nostri uomini. Poi bisognerà mandare qualcuno a perquisire la rocca, per accertarsi che non ci siano altri nemici o… altre persone, nascoste o prigioniere. Foix, prendi spada e balestra e vieni con me», concluse, rivolgendo lo sguardo al portone, dove il fantasma della donna continuava a chiamarlo.

«Non dovremmo prendere una scorta più numerosa, mio signore?» obiettò Foix.

«No, non credo sia necessaria…»

Lasciati Bergon e Ferda a occuparsi dei sicari superstiti, Cazaril si diresse verso il portone, seguito da Foix, che lo fissò con aria perplessa quando lui imboccò senza esitazione un sentiero tra i pini. Mentre camminavano, le strida dei corvi si fecero sempre più acute, inducendo Cazaril a farsi forza, in previsione di quello che avrebbero trovato. Il sentiero finiva sul bordo di un burrone.

«Per l’inferno del Bastardo», sussurrò Foix, abbassando la balestra e toccandosi i cinque punti sacri del corpo in un gesto di protezione.

Avevano trovato i cadaveri.

Giacevano in fondo al burrone, dov’erano stati gettati sopra un accumulo di anni di rifiuti di cucina e delle stalle. C’erano anzitutto un uomo giovane e due più anziani. Impossibile distinguere padrone da servitore perché, vivendo e lavorando in campagna, tutti si abbigliavano in modo pratico, con indumenti in cuoio e lana. Poi c’era la donna. Sembrava insignificante, grassoccia e di mezz’età. Era stata nuda, proprio come il bambino, un frugoletto di circa cinque anni. Entrambi erano stati mutilati… probabilmente dopo essere stati violati. La loro morte, almeno a giudicare dal lavoro dei corvi, risaliva al massimo al giorno prima. Lo spettro della donna si mise a piangere silenziosamente e quello del bambino si aggrappò a lei, gemendo… Non erano anime respinte dagli Dei, ma recise con troppa violenza dal corpo, ancora stordite dalla morte e incapaci di trovare la strada senza i necessari riti funebri.

«Signora, se io sono ancora vivo in questo luogo, allora significa che tu sei presente», sussurrò Cazaril, crollando in ginocchio. «Per favore, allevia la sofferenza di queste povere anime.»

L’espressione di quei volti spettrali passò immediatamente dall’angoscia alla meraviglia, poi i loro corpi evanescenti divennero sfocati, come raggi di sole riflessi in una nube lontana, e svanirono.

«Foix, aiutami a rialzarmi», disse Cazaril, dopo qualche istante. Sconcertato, Foix gli passò una mano sotto il gomito per sollevarlo, e lui si girò, barcollando, avviandosi lungo il sentiero.

«Mio signore, non dovremmo cercare se ce ne sono altri?» domandò Foix.

«No, sono tutti qui», garantì Cazaril, e il giovane ufficiale lo seguì senza aggiungere altro.

Al loro ritorno nel cortile, videro Ferda e un servitore armato uscire dal portone della rocca. «Avete trovato qualcuno?» chiese Cazaril.

«No, mio signore.»

Accanto al portone, lo spettro dell’uomo giovane stava ancora indugiando, sebbene il suo corpo luminescente sembrasse prossimo a dissolversi come fumo nel vento, e si contorceva, incitando Cazaril a entrare.

«Sì, sì, arrivo», gli disse lui, chiedendosi quale spaventosa urgenza potesse aver indotto quello spettro ad aggrapparsi al mondo reale, esitando a gettarsi nelle braccia aperte della Dea.

Quando lo spettro sgusciò nella fortezza, Cazaril, senza badare alle occhiate stupefatte di Foix e a Ferda, fece cenno ai due di seguirlo. Attraversarono la sala principale e passarono sotto una galleria, sbucando in cucina e scendendo una scala di legno verso un buio magazzino dalle pareti di pietra. «Avete cercato anche qui?» gridò, da sopra la spalla.

«Sì, mio signore», garantì Ferda.

«Fate più luce!» ordinò Cazaril, fissando con attenzione lo spettro, che adesso girava in cerchio nella stanza con crescente agitazione, descrivendo una spirale sempre più stretta. «Spostate quelle botti», disse infine.

Mentre Foix faceva rotolare di lato le botti, Ferda sopraggiunse dalla cucina con un paio di candele di sego, la cui fiamma, anche se gialla e fumosa, fu sufficiente a rischiarare la stanza. Nascosta sotto le botti, c’era una lastra di pietra incassata nel pavimento e dotata di un anello di ferro. A un altro cenno di Cazaril, Foix afferrò l’anello e prese a tirare finché la lastra non si sollevò, rivelando una stretta rampa di gradini che scendeva nell’oscurità.

Dal basso, una voce fievole lanciò un grido.

Chinandosi su Cazaril, lo spettro del giovane parve baciargli la fronte, le mani e i piedi, poi si dissolse nell’eternità. Ma una debole scintilla azzurra, simile a un accordo musicale reso visibile, brillò per un momento ancora davanti alla sua seconda vista.

Con le candele in una mano e la spada snudata nell’altra, Ferda cominciò a scendere con cautela i gradini di pietra. Dal sotterraneo buio giunse allora un clamore di voci e, quando Ferda riapparve, di lì a poco, sorreggeva un uomo anziano ma robusto, dall’aria sconvolta, col volto segnato a causa delle percosse e le gambe tremanti. Alle loro spalle, una dozzina di persone, sconvolte e piangenti di gioia, risali la scala alla spicciolata.

I prigionieri liberati si accalcarono tutti intorno a Ferda e a Foix, raccontando la loro storia e subissandoli di domande; in disparte, Cazaril si appoggiò a una botte e rimase ad ascoltare, formando a poco a poco un quadro preciso dell’accaduto. L’uomo anziano e robusto era il vero Castillar dy Zavar, una sconvolta donna di mezz’età era la sua Castillara, un ragazzo e una ragazza in giovane età — risparmiata per puro miracolo, pensò Cazaril — erano i loro figli, e gli altri erano i servi e i dipendenti di quella dimora rurale.

Dy Joal e i suoi uomini erano arrivati al castello il giorno precedente. In apparenza erano soltanto un gruppo di rozzi viaggiatori, ma, quando un paio di quei bravacci avevano cominciato a molestare la cuoca, il marito della donna e il siniscalco erano accorsi in sua difesa. Non appena avevano tentato di allontanare gli sgraditi visitatori, però, erano spuntate le armi. Per quella famiglia, accogliere i viandanti in difficoltà che giungevano dal passo o che erano minacciati da una tempesta imminente era una sorta di tradizione. Inoltre nessuno degli abitanti del castello aveva riconosciuto dy Joal o i suoi uomini.

«Il mio figlio maggiore è vivo?» domandò poi il vecchio Castillar, aggrappandosi al braccio di Ferda. «Lo avete visto? E accorso in aiuto del mio siniscalco…»

«Era un giovane più o meno della stessa età di questi altri, vestito di lana e di cuoio, come te?» replicò Cazaril, indicando i fratelli dy Gura.

«Sì…» confermò il vecchio, impallidendo.

«Allora ha trovato consolazione nell’abbraccio degli Dei», riferì Cazaril, mentre il padre si abbandonava ad alte grida strazianti.

Accodatosi ai prigionieri liberati, Cazaril risalì stancamente le scale verso la cucina. Ben presto uomini e donne si sparsero per la casa, per recuperare i morti, prendersi cura dei feriti e dedicarsi di nuovo alle loro faccende.

«Mio signore… Eravate mai stato in questa casa, prima d’ora?» chiese Ferda a Cazaril, allorché questi si soffermò accanto al fuoco della cucina, per riscaldarsi.

«No.»

«Allora come avete fatto… Quando ho guardato in cantina, io non ho sentito nulla. Avrei lasciato quella povera gente a morire di fame, di sete e di follia, al buio.»

«Credo che, prima della fine della notte, gli uomini di dy Joal ci avrebbero rivelato il loro misfatto. E adesso ho intenzione di apprendere da loro molte altre cose», ribatté Cazaril, accigliandosi.

Sotto le pressioni che Cazaril fu lieto di autorizzare, e che gli abitanti della fortezza misero subito in atto, i bravacci prigionieri si mostrarono fin troppo ben disposti a raccontare la loro versione della storia. Il loro gruppo comprendeva alcuni fuorilegge, vari soldati — allontanatisi dall’esercito e quindi bisognosi di denaro -, e alcuni uomini del posto, che, attirati dalla prospettiva di una ricompensa, avevano guidato gli altri fino alla dimora di dy Zavar, giacché la torre più alta di quella fortezza dominava la strada. A quanto pareva, dy Joal aveva raggiunto la frontiera ibrana da solo, assoldando quegli uomini in una città ai piedi delle montagne, dove essi si guadagnavano da vivere scortando a pagamento i viandanti oppure derubandoli. Loro sapevano soltanto che dy Joal era giunto lì per tendere un agguato a un uomo che, provenendo da Ibra, avrebbe attraversato uno dei passi, però ignoravano la sua vera identità, anche se il suo abbigliamento da cortigiano e i suoi modi arroganti non avevano suscitato molta simpatia.

Era chiaro che dy Joal non era riuscito a controllare quegli uomini da lui affrettatamente assoldati. Così, quando la disputa sulla cuoca aveva innestato una spirale di violenza, lui non aveva avuto il coraggio — o la forza — di porre termine alla faccenda, d’imporre un po’ di disciplina o di ripristinare l’ordine. E la situazione era degenerata.

Turbato da quei racconti, Bergon trasse in disparte Cazaril, sotto la luce incerta delle torce che rischiaravano il cortile. «Caz, sono stato io a scatenare questa sventura sulla brava gente del povero dy Zavar?» domandò.

«No, Royse. Dy Joal stava aspettando soltanto me, di ritorno da Ibra in qualità di corriere di Iselle. Il Cancelliere dy Jironal sta cercando di allontanarmi dal servizio della Royesse ormai da qualche tempo e, in mancanza di modi più ortodossi, non teme di ricorrere addirittura all’assassinio. Quanto vorrei non aver ucciso quell’idiota! Darei il braccio destro, pur di scoprire di quali informazioni dispone dy Jironal.»

«Sei certo che sia stato il Cancelliere a organizzare questa trappola?»

«Be’, dy Joal nutre un aspro rancore nei miei confronti…» ammise Cazaril, esitando. «Però tutti sapevano che ero andato a Valenda, quindi dy Joal può aver appreso la mia vera destinazione soltanto da dy Jironal. Il Cancelliere ha di certo ricevuto qualche rapporto sul mio conto dalle sue spie a Ibra. Probabilmente ha scoperto qualcosa sul reale obiettivo del nostro viaggio, ma non tutto, e ha mandato dy Joal per bloccarci. Tuttavia non m’illudo che sia l’unico ’inviato’ del Cancelliere. Dobbiamo aspettarcene altri.»

«Entro quanto tempo?»

«Non lo so. Dy Jironal ha il comando dell’Ordine del Figlio, dunque potrà attingere alle sue risorse di uomini, non appena sarà riuscito a escogitare una menzogna abbastanza plausibile.»

Tamburellando col fodero della spada contro il calzone di cuoio, Bergon fissò il cielo. Col sopraggiungere della sera, le nubi si erano diradate e le catene montuose, verso occidente, erano sagome scure sullo sfondo di un perdurante bagliore verde. Le prime stelle splendevano sopra di loro, a riprova che l’uomo brizzolato, parlando di una tempesta imminente, aveva mentito. Forse la leggera lieve nevicata del pomeriggio gli aveva dato lo spunto per quell’idea…

«La luna è quasi piena e, per mezzanotte, sarà alta nel cielo», osservò infine Bergon. «Se cavalcheremo giorno e notte, forse riusciremo ad attraversare il territorio pericoloso prima che dy Jironal possa inviare altri uomini.»

«Che dunque pattuglierebbero un confine che noi avremmo già attraversato?» commentò Cazaril. «L’idea mi piace.»

«Ma… riuscirai a sostenere una simile cavalcata, Caz?» domandò Bergon, osservandolo con aria dubbiosa.

«Preferisco cavalcare piuttosto che combattere», ribatté Cazaril.

«Ti capisco», sospirò Bergon.


Nonostante il suo lutto, il Castillar dy Zavar dimostrò la sua gratitudine offrendo loro tutti i viveri che la sua casa potesse offrire. Per alleggerire il convoglio, Bergon decise di lasciare i muli, i servitori feriti e i cavalli azzoppati alle cure del Castillar. Ferda selezionò poi i cavalli più robusti e veloci, e si accertò che fossero ben strigliati, nutriti a sufficienza e lasciati a riposare fino al momento della partenza.

Il March dy Sould, ormai ripresosi del tutto, insistette per accompagnare il Royse. Dy Cembuer, che, nel corso del combattimento, aveva riportato una frattura a un braccio e alcuni tagli, si offrì di rimanere coi servitori e col bagaglio, fornendo la propria assistenza a dy Zavar sinché non fossero stati tutti in condizione di viaggiare.

Con sollievo, Cazaril lasciò alle vittime dell’aggressione il compito di giudicare i briganti. La partenza notturna, decisa da Bergon, gli risparmiò anche di assistere alla loro impiccagione, che avrebbe avuto luogo all’alba. A titolo di risarcimento parziale, lasciò poi alla gente della fortezza le perle di Dondo che si erano sparse nel cortile, riponendo le altre nelle sacche da sella.

Il Royse e la sua scorta si rimisero in viaggio non appena la luna sorse sopra le colline, bagnando le valli innevate di una luce limpida. Non ci sarebbero più state altre soste fino a Valenda.

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