27

Appoggiandosi su una mano, Cazaril si alzò e spinse indietro la sopravveste per liberare l’elsa della spada, imitato dagli altri. Tutti si guardavano intorno con aria allarmata.

«Dy Tagille, va’ a vedere», ordinò Bergon, rivolgendo un cenno al compagno ibrano che annuì e si allontanò di corsa.

«Sarà meglio sbarrare le porte», suggerì dy Cembuer, che aveva ancora il braccio destro appeso al collo con una fascia. Poi liberò l’elsa della spada e si avviò per seguire l’altro nobile.

Cazaril lasciò correre lo sguardo per il cortile, osservando l’arcata di accesso, il cui cancello in ferro battuto era rimasto spalancato dopo il passaggio di dy Tagille, e chiedendosi se ci fossero altri ingressi.

«Royesse, Royse, Betriz… Non dovete rimanere intrappolati qui», disse, correndo per seguire dy Cembuer, col cuore che già gli martellava nel petto. Se solo fosse riuscito a portarli fuori di lì prima che…

Un paggio arrivò a precipizio proprio nel momento in cui dy Cembuer raggiungeva il cancello. «Signori, aiuto! Uomini armati hanno fatto irruzione nel palazzo!» gridò, guardandosi con terrore alle spalle.

In effetti, due uomini con la spada in pugno stavano sopraggiungendo di corsa sulla scia del paggio e dy Cembuer, che stava cercando di chiudere il cancello con la mano sinistra, impacciata dalla spada, riuscì a stento a schivare il primo colpo. Poi Cazaril si lanciò all’attacco con un fendente troppo affrettato e mal diretto, che il suo avversario parò. L’urto del metallo contro il metallo riecheggiò per tutto il cortile.

«Andate via!» urlò, da sopra la spalla. «Passate per i tetti, se necessario!» Fugacemente si chiese se Iselle sarebbe riuscita ad arrampicarsi, con indosso gli abiti di gala, ma non poté neppure girarsi per vedere se il suo ordine era stato seguito, perché il suo avversario si era ripreso e lo stava incalzando. Quei bravacci — o soldati o qualsiasi cosa fossero — indossavano abiti da comuni cittadini, senza colori o stemmi che li identificassero, probabilmente per infiltrarsi in città in piccoli gruppi, mescolandosi alla folla di quel giorno di festa.

Dy Cembuer attaccò un avversario, ma un violento colpo di risposta lo raggiunse al braccio rotto, con un impatto che lo fece impallidire e ricadere all’indietro con un grido soffocato. In quel momento, un soldato svoltò l’angolo e prese a correre verso l’arcata. Nel notare che portava i colori baociani, verde e nero, per un momento Cazaril provò un impeto di speranza… Ma poi riconobbe in lui il corrotto capitano delle guardie di Teidez. A quanto pareva, stava diventando sempre più esperto nell’arte del tradimento.

Nel vedere Cazaril, il capitano baociano ritrasse le labbra in un ringhio e serrò la spada con maggior determinazione, andando ad affiancarsi al compagno contro cui il Castillar già stava combattendo. Cazaril avrebbe voluto chiudere il cancello, ma non aveva né il tempo né le mani libere per farlo. Per di più, l’avversario di dy Cembuer era caduto attraverso la soglia, bloccandola. Cazaril, però, non osava neppure indietreggiare, perché quella strettoia costringeva gli avversari ad affrontarlo uno per volta, ed era il punto migliore per una difesa a oltranza. La mano gli si stava già intorpidendo per le vibrazioni che ogni impatto sulla lama trasmetteva all’impugnatura, e il ventre era contratto dai crampi, ma ogni suo respiro affannoso garantiva un altro passo alla fuga di Bergon, Iselle e Betriz. Un passo, due passi, cinque… Dov’era dy Tagille? Nove passi, undici… Quanti altri aggressori sarebbero giunti oltre a quelli? La sua lama staccò un pezzo di mascella al primo avversario, che barcollò all’indietro con un grido di dolore. Ma ciò permise al capitano di attaccare da un’angolazione migliore. Cazaril notò che aveva ancora al dito l’anello con lo smeraldo donatogli da Dondo, che scintillava a ogni movimento della spada. Quaranta passi, cinquanta…

Cazaril stava lottando in preda a un’esaltazione che nasceva dal terrore, così pressato dalla necessità di difendersi da non avere il tempo di riflettere sui pericoli sovrannaturali connessi, per esempio, a un affondo, in seguito al quale il demone della morte avrebbe potuto strappargli l’anima dal corpo e portarla via insieme con quella della sua vittima morente. Il suo mondo si era ristretto in modo sorprendente e lui non desiderava uscire vittorioso da quella giornata o da quello scontro, e neppure salvarsi la vita. Per lui contavano soltanto i passi dei suoi protetti in fuga, e ognuno di essi era una piccola vittoria. Sessanta passi… Accorgendosi che stava perdendo il conto, ricominciò da capo. Uno. Due. Tre…

Adesso probabilmente morirò, si disse. Morire due volte però non sarebbe servito ad annullare la maledizione, e ciò fece divampare nel suo animo una rabbia folle. Non posso morire abbastanza! Il suo braccio, ormai stanco, tremava: per difendere quel cancello ci sarebbe voluto uno spadaccino, non un segretario, ma la veglia privata della Royesse aveva coinvolto soltanto una manciata di nobili. Possibile che nessuno stesse arrivando alle sue spalle per dargli aiuto? Anche i servitori più anziani avrebbero potuto afferrare qualche oggetto e scagliarlo contro i nemici… Ventidue…

Prossimo allo sfinimento, Cazaril si chiese se non era il caso d’indietreggiare attraverso il cortile, e se i fuggiaschi avevano già salito le scale. La frenetica occhiata che si gettò alle spalle fu un errore, perché gli fece perdere il ritmo: con uno stridio metallico, la lama del baociano gli strappò la spada dalla mano ormai formicolante e la fece schizzare sulle pietre, dove prese a ruotare su se stessa. Poi il baociano gli assestò un violento spintone all’indietro, allontanandolo dall’arcata e facendolo cadere supino. Subito dopo, una mezza dozzina di uomini oltrepassò il portone, al seguito del capitano, sparpagliandosi per il cortile e, nel passare accanto a Cazaril, un paio di loro, più prudenti ed esperti, gli assestarono un calcio per accertarsi che non si rialzasse. La loro identità rimaneva ancora ignota, ma non c’erano dubbi su chi li avesse mandati.

Tossendo, Cazaril si girò su un fianco in tempo per vedere dy Jironal varcare a grandi passi il cancello, nella scia di un’altra mezza dozzina di uomini, e superare dy Cembuer che era ancora a terra, piegato su se stesso coi denti serrati per il dolore. Ma Iselle e Bergon si erano messi in salvo, risalendo magari una scala riservata alla servitù o passando per i tetti? Per gli Dei, bisognava soltanto sperare che non avessero ceduto al panico, barricandosi nelle loro stanze…

«Martou!» tuonò Cazaril, sollevandosi sulle ginocchia, scorgendo dy Jironal che si dirigeva verso le scale della galleria, dove un gruppetto dei suoi uomini lo stava aspettando.

«Tu!» esclamò dy Jironal, girandosi di scatto, come se fosse stato attaccato all’estremità di una fune. In risposta a quel movimento, il capitano baociano e un altro soldato afferrarono subito Cazaril per le braccia, piegandogliele dietro la schiena e alzandolo.

«Sei arrivato troppo tardi!» gridò Cazaril. «Il matrimonio è stato celebrato e consumato, e adesso non c’è modo di annullarlo. Chalion possiede Ibra, al prezzo più basso mai pagato, e tutta la nazione celebra questa fortuna. Iselle è la Figlia della Primavera, la delizia degli Dei, non puoi vincere contro di lei. Arrenditi! Salva la tua vita e quella dei tuoi uomini!»

«È sposata?» ringhiò dy Jironal. «Se necessario, la renderò vedova. È una pazza traditrice, la prostituta di Ibra, è maledetta e non intendo permetterle di continuare ciò che sta facendo!» Giratosi di scatto, tornò ad avanzare verso le scale.

«Sei tu la prostituta, Martou! Tu hai venduto Gotorget in cambio del denaro roknari che io avevo rifiutato, e hai venduto me come schiavo sulle galee per impedirmi di parlare!» urlò Cazaril, scoccando occhiate frenetiche ai soldati, che adesso esitavano. Dentro di sé, continuava a contare i passi. Cinquantacinque, cinquantasei, cinquantasette… «Questo bugiardo vende i suoi uomini. Seguitelo, e rischiate di essere traditi la prima volta che lui sentirà odore di profitto!»

Dy Jironal tornò a girarsi ed estrasse la spada. «Adesso ti chiuderò la bocca, miserabile stolto!» sibilò. «Tenetelo fermo.»

Un momento, no…

I due uomini che trattenevano Cazaril si spostarono leggermente di lato, sgranando gli occhi, nel vedere dy Jironal che avanzava roteando la spada per vibrare un possente fendente a due mani.

«Mio signore… è un assassinio», balbettò l’uomo che teneva Cazaril per il braccio sinistro. Poi lui e il compagno bloccarono il fendente inteso a decapitarlo.

Senza darsi per vinto, dy Jironal cambiò l’attacco a metà del movimento della spada, trasformandola in un basso e violento affondo cui impresse tutto il peso e la forza che gli venivano dalla sua ira.

L’acciaio trapassò il broccato di seta, la pelle e i muscoli, affondando nel ventre di Cazaril, che venne quasi sollevato da terra dalla violenza dell’impatto.

Tutt’intorno scese il silenzio. La spada stava scivolando nel suo corpo con la lentezza di una perla che affondasse nel miele, e in maniera altrettanto indolore. Davanti a lui, il volto arrossato di dy Jironal era immobilizzato in una maschera di furia, e gli uomini che lo trattenevano si tenevano discosti da lui, la bocca aperta in un muto grido di sorpresa.

Con un ululato di trionfo che soltanto Cazaril poté sentire, il demone della morte fluì lungo la lama della spada, lasciandola incandescente al suo passaggio, e raggiunse la mano di dy Jironal, seguito da una specie di melassa nera, ululante di angoscia, che era l’essenza di Dondo. Crepitanti scintille biancazzurre si diffusero intorno al braccio destro di dy Jironal, avviluppandolo come edera e risalendo poi ad avvolgere tutto il suo corpo. Lentamente, la testa di dy Jironal s’inclinò all’indietro. Quando l’anima venne strappata dal corpo, una voluta di fuoco bianco gli scaturì dalla bocca, mentre i capelli si rizzavano e gli occhi dilatati ribollivano di una luce bianca. La spada che lui ancora stringeva in pugno si mosse sotto il suo peso, facendo sfrigolare intorno alla propria lama la carne di Cazaril. Poi bianco, rosso e nero vorticarono sino a fondersi, sgorgando all’esterno senza una direzione particolare. Le percezioni di Cazaril vennero aspirate sulla scia di quel ciclone, verso l’alto e fuori del suo corpo, come una colonna di fumo. Tre anime e un demone, vincolati tra loro, giunsero così al cospetto di un’azzurra Presenza…

La mente di Cazaril sembrò esplodere.

Si ritrovò ad aprirsi sempre più verso l’esterno, fino ad avere l’impressione che il mondo giacesse sotto di lui, come visto dall’alto di una montagna. Quello non era però il regno della materia, bensì un panorama di sostanza spirituale, fatto di colori cui non riusciva a dare un nome e di una luminosità devastante, che lo stava sollevando in una gloriosa turbolenza. Sentiva le menti del mondo sussurrare in un sospiro, simile all’alito del vento che soffiasse in una foresta… ammesso di poter distinguere, simultaneamente e separatamente, il canto di ciascuna foglia. E poteva anche udire tutte le grida di dolore e di cordoglio, di vergogna e di gioia, percepire ogni speranza e aspirazione… Mille migliaia di momenti di mille migliaia di vite che si stavano riversando attraverso il suo spirito sempre più dilatato.

Dalla superficie che si stendeva sotto di lui, piccole bolle di colore stavano emergendo a una a una, fluttuando in una danza a spirale, a centinaia e poi a migliaia, simili a grandi gocce di pioggia dirette verso l’alto… Morire significa dunque riversarsi attraverso le lacerazioni del mondo in questo luogo. Le anime generate dalla sostanza terrena andavano incontro, morendo, a questa strana, nuova nascita. È troppo, troppo, troppo… La sua mente non riuscì a contenere tutto e le visioni esplosero, allontanandosi da lui come acqua che gli colasse tra le dita.

Un tempo, nelle sue incerte elucubrazioni giovanili, aveva pensato che la Signora della Primavera fosse una giovane donna attraente, e gli insegnamenti dei Divini e di Ordol non avevano sostanzialmente modificato quell’idea. Quella Mente, invece, ascoltava in contemporanea ogni grido e canto del mondo. Osservava le anime salire in una spirale in tutta la loro terribile, complessa bellezza, con la gioia di un giardiniere che respirasse il profumo dei suoi fiori. E adesso quella Mente stava rivolgendo la sua attenzione su di lui.

Cazaril si sciolse e si trovò racchiuso tra le sue mani, poi gli parve che lei bevesse il fluido che lui era diventato, staccandolo dalla catena formata dai fratelli dy Jironal e dal demone, che vennero proiettati altrove, mentre lui veniva soffiato fuori dalle labbra di lei e proiettato di nuovo, in una spirale sempre più stretta, attraverso la grande lacerazione nel tessuto del mondo che si era creata nel momento della sua morte, tornando nel proprio corpo nel momento in cui la lama di dy Jironal gli usciva infine dalla schiena, col sangue che fioriva intorno alla sua punta come i petali di una rosa.

E adesso mettiamoci all’opera, sussurrò la Signora. Apriti a me, dolce Cazaril.

Posso guardare? domandò lui, con voce tremula.

È permesso, almeno finché riuscirai a tollerarlo.

Cazaril si abbandonò, pervaso da una sorta di languore, mentre la Dea fluiva attraverso lui e nel mondo, poi le labbra gli s’incurvarono in un sorriso, o almeno cercarono di farlo, perché il suo corpo fisico era ancora rallentato nei movimenti al pari di quello degli altri uomini nel cortile. A tutti sembrò che soltanto in quell’istante lui si stesse accasciando sulle ginocchia. Davanti a lui, il cadavere di dy Jironal non era ancora crollato a terra, anche se, negli spasimi della morte, la sua mano aveva abbandonato la presa sulla spada. Poco lontano, dy Cembuer si stava sollevando sul braccio sano, la bocca aperta in un urlo che prima o poi sarebbe scaturito dalle sue labbra, suonando come «Cazaril!» e tutt’intorno gli uomini si stavano prostrando al suolo o si davano alla fuga.

Sotto i suoi occhi, la Dea trasse a sé la maledizione di Chalion, come se si fosse trattato di uno spesso filo di lana nera che Lei raggomitolò nelle mani, rimuovendola da Iselle e da Bergon, che si trovavano da qualche parte nelle strade di Taryoon, da Ista a Valenda e da Sara a Cardegoss, estraendola dalla terra di Chalion, da montagna a montagna, da fiume a pianura, senza però che Cazaril riuscisse a scorgere anche Orico in mezzo a quella nebbia scura. La Signora fece poi scorrere attraverso Cazaril quella sorta di lana nera, lo usò come un portale per fluire nell’altro regno, dove la sua oscurità scomparve ed essa diventò qualcosa di diverso… Cazaril non avrebbe saputo dire se un filo o un flusso di scintillante acqua limpida, di vino o di qualcosa di ancor più meraviglioso.

Un’altra Presenza, solenne e grigia, era in attesa e raccolse quel flusso, assorbendolo con un sospiro che esprimeva sollievo, completamento, equilibrio. Quello era il sangue di un Dio, versato, contaminato, assorbito, ripulito e finalmente restituito…

Non capisco. Ista si è sbagliata? Oppure ho sbagliato io a calcolare le mie morti? chiese Cazaril.

Pensaci bene… rise la Dea.

Poi quella vasta Presenza si riversò fuori del mondo, attraversandolo come un fiume che finisse in una cascata, accompagnata da una musica trionfante la cui bellezza, lui comprese con un senso di rammarico, non avrebbe potuto ricordare appieno finché non fosse giunto di nuovo nel suo regno. Infine, la grande lacerazione si chiuse, risanata e sigillata.

Bruscamente, tutto svanì.


Il tonfo delle pietre contro le sue ginocchia accompagnò il ritorno delle sensazioni fisiche, e lui lottò disperatamente per rimanere diritto, appoggiandosi all’indietro sui talloni, in modo da non spingere ulteriormente la spada attraverso il proprio corpo. Davanti a sé, vedeva l’elsa e una spanna di lama; il resto gli attraversava il torace con un’angolazione verso l’alto a partire dallo stomaco, appena sotto e a sinistra rispetto all’ombelico. Quanto alla punta, sembrava trovarsi da qualche parte, più in alto e sulla destra rispetto alla spina dorsale. E adesso stava sopraggiungendo il dolore.

Quando tentò di trarre un primo, tremante respiro, l’arma oscillò leggermente, e un odore di carne cauterizzata gli assalì le narici, insieme con un profumo celestiale, come di fiori primaverili. Sebbene cercasse di rimanere immobile, Cazaril prese a tremare, sconvolto, attraversato da un senso di gelo.

D’un tratto, si trovò a lottare contro l’assurdo bisogno di ridere, cosa che gli avrebbe fatto ancora più male. L’odore di carne bruciata non giungeva esclusivamente dal suo corpo. Il cadavere di dy Jironal era disteso davanti a lui, coi capelli e gli abiti che fumavano. Pur avendo già visto cadaveri carbonizzati, quella era la prima volta che Cazaril ne vedeva uno bruciato dall’interno.

Poi la sua attenzione fu attratta da un ciottolo accanto al suo ginocchio. Un oggetto così denso e costante… Gli Dei non potevano sollevare neppure una piuma ma lui, un semplice umano, poteva raccogliere quel ciottolo antico e immutabile e metterlo ovunque avesse voluto, perfino nella propria tasca. Si chiese come mai non avesse mai apprezzato prima la cocciuta tenacia della materia e, in quell’istante, scorse una foglia secca, la cui complessità era ancora più sconvolgente. La materia inventava forme, e continuava a generare bellezza al di là di se stessa. Era una fonte di stupore per gli Dei, ricordava se stessa con chiarezza assoluta. Com’era possibile che non se ne fosse mai accorto? Perfino la sua mano tremante era un miracolo, come lo erano la spada conficcata nel suo ventre, gli alberi di arancio nei vasi — uno dei quali si era rovesciato ed era meravigliosamente rotto, un misto di terra e cocci — e i vasi stessi, il canto degli uccelli al mattino e l’acqua… L’acqua! Per i cinque Dei, l’acqua della fontana, e la luce del mattino che filtrava dal cielo…

«Lord Cazaril?» chiamò una voce debole, che proveniva da un punto accanto al suo gomito.

Lanciando un’occhiata in quella direzione, Cazaril vide che dy Cembuer era riuscito a strisciare fino a lui.

«Cos’è successo?» domandò il nobile ibrano, prossimo alle lacrime.

«Abbiamo assistito ad alcuni miracoli», rispose Cazaril. Troppi miracoli in un posto solo e in un solo momento, tanti che ne era sopraffatto. Riempivano il suo sguardo ovunque lo volgesse.

Parlare fu un errore, perché le vibrazioni così prodotte ridestarono il dolore al ventre. Il fatto stesso che potesse parlare, tuttavia, indicava che la spada non gli aveva trapassato un polmone… Comunque non gli andava d’immaginarsi quanto gli avrebbe fatto male tossire e sputare sangue, in quello stato.

Allora è una ferita al ventre, pensò. Morirò entro tre giorni.

Già poteva avvertire un vago sentore di feci che si mescolava all’odore della carne bruciata e al profumo che la Dea si era lasciata alle spalle, e sentiva singhiozzi…

Eppure… quel lezzo di feci non proveniva dal suo corpo. Il capitano baociano, raggomitolato su un fianco a poca distanza da lui, le braccia strette intorno alla testa, stava piangendo, benché non sembrasse ferito. D’altro canto, era stato il testimone vivente più vicino, e la Dea, al suo passaggio, doveva averlo sfiorato.

Dopo un istante, Cazaril si azzardò a trarre un altro respiro. «Che cosa avete visto?» chiese a dy Cembuer.

«Quell’uomo… era dy Jironal?»

Con un movimento del capo appena percettìbile, Cazaril annuì.

«Quando vi ha trafitto, c’è stato un crepitio infernale, poi lui è esploso in lingue di fuoco azzurro. È… sono stati gli Dei ad abbatterlo?»

«Non proprio. È… una cosa più complicata…»

Notando che sul cortile era sceso uno strano silenzio, Cazaril si azzardò a girare la testa, scoprendo che una mezza dozzina dei bravacci di dy Jironal e alcuni servitori di Iselle erano distesi al suolo, alcuni intenti a borbottare, altri in pianto, come il capitano baociano. Gli altri erano scomparsi.

Cazaril cominciava a capire perché un uomo dovesse rinunciare per tre volte alla propria vita per compiere quel miracolo… e pensare che aveva giudicato arbitrario e cavilloso il comportamento degli Dei, ritenendo che stessero infliggendo agli uomini qualche arcana punizione! No, le prime due morti gli erano servite per esercitarsi! Nella prima, la fustigazione subita sulla galea, aveva imparato ad accettare la morte del corpo… No, non aveva sbagliato i calcoli: quando si era verificata quella morte, essa non si poteva considerare a beneficio della Casa di Chalion, però era diventata utile proprio a Chalion nel momento in cui il matrimonio tra Iselle e Bergon era stato consumato. La loro unione, che aveva ripartito in modo così orribile la presenza della maledizione, aveva ripartito anche i sacrifici. Era stata quella la dote segreta portata da Bergon, e Cazaril sperava soltanto di vivere abbastanza a lungo da riuscire a riferirglielo, perché era certo che gli avrebbe fatto piacere. La seconda accettazione, quella della morte dell’anima, era avvenuta in solitudine, con l’unica compagnia dei corvi della Torre di Fonsa. Così, quand’era giunta la morte definitiva, lui aveva potuto offrire alla Dea un collaboratore saldo e affidabile…

Un umile parallelismo che riguardava l’addestramento dei muli gli stava affiorando nella mente allorché un rumore di passi lo riscosse dai suoi pensieri. Nel sollevare lo sguardo, vide dy Tagille, affannato, in disordine, ma con la spada nel fodero, entrare di corsa nel cortile e precipitarsi verso di loro, per arrestarsi poi di colpo. «Per l’inferno del Bastardo», imprecò, quindi spostò lo sguardo sul suo compagno ibrano e domandò: «Tu stai bene, dy Cembuer?»

«Quei figli di cani mi hanno rotto di nuovo il braccio. È lui, quello nelle condizioni peggiori. Cosa succede là fuori?»

«Dy Baocia ha raccolto i suoi uomini e ha scacciato gli invasori dal palazzo. Per adesso è ancora tutto molto confuso, ma pare che i sopravvissuti stiano attraversando di corsa la città per arrivare al Tempio.»

«Decisi ad attaccarlo?» domandò dy Cembuer, in tono allarmato, lottando per rialzarsi.

«No, per arrendersi a uomini armati che non cerchino di farli a pezzi», spiegò dy Tagille. «Sembra che tutti i cittadini di Taryoon siano scesi in strada per dare loro la caccia, e le donne sono le peggiori. Per l’inferno del Bastardo», ripeté poi, fissando i resti fumanti di dy Jironal. «Alcuni soldati chalionesi stavano urlando e farfugliando di aver visto dy Jironal abbattuto da un lampo scaturito da un cielo limpido, per il sacrilegio di aver scatenato una battaglia nel Giorno della Figlia… e io non ci avevo creduto.»

«L’ho visto anch’io», affermò dy Cembuer. «C’è stato un fragore spaventoso, e lui non ha avuto neppure il tempo di gridare.»

Trascinato il cadavere un po’ più lontano, dy Tagille s’inginocchiò davanti a Cazaril, fissando con timore il suo stomaco trafitto e spostando poi lo sguardo sul suo volto. «Lord Cazaril, dobbiamo estrarre questa spada ed è meglio farlo subito», disse.

«No… aspettate…» ansimò Cazaril, che aveva visto un uomo trafitto da una quadrella di balestra sopravvivere per mezz’ora, finché la quadrella non era stata estratta, provocando un’emorragia che l’aveva ucciso quasi all’istante. «Prima voglio vedere Lady Betriz.»

«Mio signore, non potete restare li seduto con una spada in corpo!»

«Ecco, di certo non mi posso muovere…» obiettò Cazaril.

Lo sforzo di parlare gli provocò un ansito, il che non era un buon segno, e il gelo che lo pervadeva aumentò, strappandogli un brivido. D’altro canto, il dolore che avvertiva non era devastante come lui si era aspettato, forse perché era riuscito a rimanere del tutto immobile. E finché continuava a non muoversi, le fitte non erano peggiori dei crampi causatigli da Dondo.

Nel cortile giunsero altri uomini, accompagnati da un accavallarsi di voci, dalle grida dei feriti e da un ripetersi di storie che venivano riferite in toni sempre più acuti. Ignorando ogni cosa, Cazaril tornò a concentrarsi sul ciottolo, chiedendosi come fosse arrivato fin lì e cosa fosse stato prima di diventare un ciottolo… Una roccia? Una montagna? E dove? Quanti anni aveva impiegato a mutarsi in un ciottolo? Quella contemplazione gli riempiva la mente… E se un semplice ciottolo poteva assorbirlo a tal punto, che effetto avrebbe avuto su di lui una montagna? Gli Dei ospitavano nella loro mente le montagne, e tutto il resto, contemporaneamente, dedicando a ogni cosa la stessa attenzione che lui aveva per una cosa sola. Aveva avuto modo di vederlo, attraverso gli occhi della Signora, e se avesse sopportato quello spettacolo per più di una frazione infinitesimale di secondo, la sua anima sarebbe esplosa. Anche così, la sentiva stranamente estesa, e cominciava a chiedersi se quella fugace occhiata fosse stata un dono o soltanto un caso.

«Cazaril?»

Una voce tremula, quella che stava aspettando di sentire. Cazaril sollevò lo sguardo e scoprì che, se il ciottolo era affascinante, il volto di Betriz era stupefacente. Sarebbe rimasto ore intere ad ammirare la struttura del suo naso… Si disinteressò all’istante del ciottolo, concentrandosi su quella cosa splendida. Poi però notò le gocce trasparenti che colmavano gli occhi castani della dama e il pallore del volto. La cosa peggiore, tuttavia, era che le sue fossette sembravano scomparse. «Eccoti qui», mormorò, con voce roca ma felice. «Baciami subito.»

Deglutendo a fatica, Betriz s’inginocchiò, avanzò verso di lui sulle ginocchia e protese il collo. Il profumo delle sue labbra non aveva nulla a che vedere con quello della Dea, ma era molto gradevole. Quelle labbra erano poi così calde che lui vi premette contro le proprie, gelate, per attingere al calore e alla giovinezza che emanavano. Aveva nuotato nei miracoli ogni giorno della sua vita e non se n’era neppure reso conto. «D’accordo», disse, ritraendo la testa. Non aggiunse: «Così è sufficiente», perché non lo era affatto. «Ora potete estrarre la spada», ordinò.

Alcuni uomini gli si accalcarono intorno, per lo più sconosciuti dall’aria preoccupata. Asciugandosi gli occhi, Betriz cercò di assestargli la tunica, poi si alzò e gli rimase accanto, mentre qualcuno afferrava le spalle di Cazaril, un paggio teneva pronto un tampone di stoffa da premere sulla ferita, e qualcun altro si preparava a porgere delle bende per fasciargli il torso.

D’un tratto, lui si guardò intorno con aria incerta. Se Betriz era lì, voleva dire che c’era anche Iselle, però… «Iselle? Bergon?» domandò.

«Sono qui, Lord Caz», rispose la voce di Iselle, che proveniva da un punto al suo fianco. Lei si spostò in modo da mettersi di fronte a lui e rimase a guardarlo con sgomento. Nel corso della fuga si era liberata della pesante sopravveste e sembrava ancora un po’ affannata, però, oltre alla sopravveste, aveva perso anche il nero mantello della maledizione… oppure no? La sua seconda vista cominciava a oscurarsi, però, alla fine, Cazaril fu certo che esso non c’era più.

«Bergon è con mio zio», continuò Iselle, con voce salda, nonostante le lacrime che le rigavano il volto. «Lo sta aiutando a spazzare via gli uomini di dy Jironal.»

«L’ombra nera è stata rimossa… da voi, da Bergon, da tutti», disse Cazaril.

«Come?»

«Se sopravvivrò, ne parleremo.»

«Cazaril!»

La familiare, esasperata cadenza con cui era stato pronunciato il suo nome gli strappò un sorriso.

«In tal caso, dovrete vivere!» esclamò Iselle, con un tremito nella voce. «Io… ve lo ordino.»

Dy Tagille s’inginocchiò davanti a Cazaril, che gli rivolse un secco cenno del capo. «Estraila», sussurrò.

«Tiratela senza inclinarla e senza dare strattoni, Lord dy Tagille, in modo da non aggravare la ferita», lo ammonì Iselle.

«Sì, mia signora», rispose dy Tagille, umettandosi le labbra per la tensione, e afferrò l’impugnatura dell’arma.

«Con cautela, certo, ma fate in fretta, per favore…» mormorò Cazaril.

La lama gli uscì dal corpo, accompagnata da un fiotto di liquido caldo. Cazaril si era augurato di svenire, ma barcollò soltanto, mentre i tamponi venivano applicati con decisione sulle due ferite, al ventre e alla schiena. Quando abbassò lo sguardo, aspettandosi di vedere il proprio grembo rosso di sangue, scorse invece un liquido limpido appena sfumato di rosa. Evidentemente la spada aveva trapassato il tumore… il quale non conteneva affatto una sorta di grottesco feto demoniaco. Che il Bastardo si portasse via Rojeras per avergli messo in mente un’idea tanto spaventosa!

Dalle persone intorno a lui si levò un mormorio di stupore: quel liquido aveva un profumo di fiori.

Cazaril si abbandonò tra le braccia dei suoi soccorritori, ma, prima che numerose mani lo sollevassero e lo trasportassero nella sua stanza, riuscì a raccogliere il ciottolo. Intorno a sé avvertiva soltanto agitazione e paura… Lui invece si sentiva deliziosamente rilassato e trovava meraviglioso essere accudito in quel modo. Nel momento in cui lo sistemarono nel letto, Betriz gli prese la mano. Lui la serrò nella propria e non la lasciò più.

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