21

Cazaril e la sua scorta arrivarono a Valencia al tramonto del giorno successivo. La massa della città si stagliava contro il cielo grigio come il peltro, immersa in una penombra sempre più fitta, venata dal bagliore arancione di una torcia o di una candela, tenui scintille di luce e di vita. Sulla strada secondaria che conduceva a Valenda non avevano trovato stazioni per i corrieri, tutte dislocate sulla strada principale diretta alla sede provinciale baociana, Taryoon. L’ultimo tratto del viaggio era stato particolarmente faticoso per i cavalli, e per Cazaril fu un sollievo percorrerlo a passo lento. Avrebbe voluto fermarsi di schianto, accasciandosi sul bordo della strada senza muoversi per giorni… Entro pochi minuti avrebbe dovuto informare una madre della morte di suo figlio, la peggiore fra tutte le prove di quel viaggio.

Fin troppo presto, arrivarono al portone del castello della Provincara, e le guardie lo riconobbero immediatamente, chiamando a gran voce i servitori. Lo stalliere Demi, prendendo le redini del suo cavallo, fu il primo a chiedergli il motivo della sua presenza lì. E non sarebbe stato l’ultimo. «Reco messaggi per la Provincara e Lady Ista», rispose seccamente Cazaril, chinandosi in avanti sul pomo della sella.

Foix gli si avvicinò e rimase a fissarlo con aria piena di aspettativa, in attesa di aiutarlo a smontare. Passata la gamba destra oltre il dorso del cavallo, Cazaril liberò l’altro piede dalla staffa e si lasciò cadere a terra. Le ginocchia gli cedettero e sarebbe caduto se una mano robusta non lo avesse sorretto per un braccio. Chiedendosi quale prezzo avrebbe pagato per l’andatura sostenuta cui avevano viaggiato, rimase immobile, tremando, ancora per qualche istante. Infine ritrovò l’equilibrio e chiese: «Ser dy Ferrej è qui?»

«Ha accompagnato la Provincara a un banchetto di nozze, in città», rispose Demi. «Non so quando abbiano intenzione di ritornare.»

«Oh», mormorò Cazaril, troppo stanco anche solo per pensare.

La notte precedente, si era sentito così esausto che, in pochi minuti, si era addormentato nella cuccetta della stazione di posta cui l’avevano condotto i suoi compagni. Non si era svegliato neppure durante la consueta crisi notturna scatenata da Dondo. Gli conveniva forse aspettare la Provincara, informarla e lasciare che fosse lei a stabilire cosa dire alla figlia? Dopo una breve riflessione, decise che quell’attesa gli era intollerabile. Era meglio affrontare il problema e farla finita. «In tal caso, vedrò prima Lady Ista. Nel frattempo, bada ai cavalli: hanno bisogno di essere strigliati, abbeverati e nutriti. I miei compagni sono Ferda e Foix dy Gura, gentiluomini di Palliar. Per favore, provvedi a loro… in tutto. Non abbiamo ancora mangiato.» Non ci fu bisogno di aggiungere che non si erano neppure lavati: tutti e tre avevano gli abiti intrisi di sudore e schizzati di fango, nonché le mani e la faccia striate di polvere. Inoltre, nella fioca luce delle torce che rischiaravano il cortile, apparivano decisamente stanchi. Con dita rigide per aver stretto le redini al freddo fin dall’alba, Cazaril cercò di sciogliere i lacci delle sacche da sella, ma Foix si precipitò ad aiutarlo, rimuovendo anche le sacche dalla groppa del cavallo. Con aria piuttosto determinata, Cazaril tornò a impossessarsene, se le ripiegò sul braccio e si voltò. «Accompagnatemi da Ista, per favore», disse, con voce fievole. «Ho per lei alcune lettere da parte della Royesse Iselle.»

Un servitore lo condusse in casa e lungo le scale dell’edificio nuovo, fermandosi di tanto in tanto per permettere a Cazaril, che si sentiva le gambe pesanti come piombo, di raggiungerlo. L’uomo scambiò poi qualche parola sommessa con le dame di compagnia di Ista, e ottenne il permesso di far entrare il visitatore. L’aria delle stanze era profumata da ciotole di petali di fiori secchi e, in un angolo, un focolare rischiarava l’ambiente, riscaldandolo. In quel delicato salotto, Cazaril si sentì d’un tratto enorme, goffo e sporco.

Seduta su una panca rivestita di cuscini, Ista era avvolta in caldi scialli e aveva i capelli castani raccolti in una spessa treccia. Come Sara, anche lei era avviluppata dall’ombra nera della maledizione. A quanto pare, la mia supposizione era esatta, pensò Cazaril.

Nel girarsi verso di lui, Ista sgranò gli occhi e s’irrigidì. Era bastata la semplice presenza di Cazaril per farle capire che era successo qualcosa di molto grave. Lui allora dimenticò di colpo i cento modi diversi che aveva elaborato durante il viaggio per darle gentilmente la ferale notizia. Pensando che un ulteriore indugio sarebbe ormai stato una crudeltà indicibile, Cazaril s’inginocchiò davanti a lei, si schiarì la gola e disse: «Per prima cosa, Iselle sta bene… Aggrappatevi a questo». Tratto un profondo respiro, aggiunse: «Come seconda cosa… Teidez è morto due notti fa, a causa di una ferita che si è infettata».

Le due dame di compagnia che assistevano Ista lanciarono un grido di sgomento e si abbracciarono, ma la Royina Vedova quasi non si mosse, tranne per un lieve sussulto, come se fosse stata colpita da una freccia invisibile. Dopo un momento, sospirò.

«Avete compreso le mie parole, Royina?» chiese Cazaril, esitante.

«Oh, sì», sussurrò lei, incurvando verso l’alto un angolo della bocca in un’espressione che non si poteva definire un sorriso, ma esprimeva piuttosto un’amara ironia. «Quando un colpo atteso da troppo tempo sopraggiunge, è quasi un sollievo. Adesso che l’attesa è finita, posso smettere di avere paura… Riuscite a capirlo?»

Cazaril annuì.

«Come si è procurato questa ferita?» domandò con voce pacata la Royina, dopo un momento di silenzio infranto soltanto dai singhiozzi delle sue dame. «Cacciando? Oppure… in qualche altro modo?»

«Non… proprio cacciando, in un certo senso è stato…» Cazaril si umettò le labbra crepate dal freddo, poi chiese: «Signora, vedete in me qualcosa di strano

«Adesso posso vedere soltanto coi miei occhi. Per il resto, sono cieca da anni. Voi potete vedere?» ribatté Ista.

Cazaril colse all’istante il significato di quella domanda. «Sì.»

«L’avevo capito», annuì Ista. «Coloro che vedono con quegli occhi hanno un aspetto particolare.»

Tremando, una delle dame le si avvicinò. «Mia signora, adesso forse dovreste andare a letto», disse in un tono permeato di falsa tranquillità. «Senza dubbio la vostra signora madre sarà presto di ritorno…» E scoccò da sopra la spalla una significativa occhiata a Cazaril, evidentemente convinta che Ista stesse per scivolare in una delle sue crisi di follia… o, per meglio dire, in quelle che tutti credevano fossero crisi di follia. Ma in realtà, Ista era mai stata pazza?

«Per favore, lasciateci soli», intervenne Cazaril, accoccolandosi sui talloni. «Ho bisogno di parlare in privato con la Royina di questioni della massima urgenza.»

«Mio signore, io…» mormorò la donna, poi sfoggiò un falso sorriso e gli sussurrò all’orecchio: «Non osiamo lasciarla sola in quest’ora di dolore… potrebbe farsi del male».

Alzatosi, Cazaril afferrò entrambe le dame per un braccio, guidandole fuori con gentile ma inesorabile fermezza. «Provvederò io a proteggerla», garantì. «Voi potrete aspettare nella camera dall’altra parte del corridoio. Se avrò bisogno di aiuto, vi chiamerò. D’accordo?» E chiuse la porta, nonostante le proteste di entrambe.

Ista era rimasta immobile. Muoveva soltanto le mani, che stringevano un fazzoletto di fine merletto e che continuavano a piegarlo e a ripiegarlo. Con un grugnito di stanchezza, Cazaril sedette a gambe incrociate ai suoi piedi, e sollevò lo sguardo su quel volto pallidissimo, dagli occhi dilatati. «Ho visto gli spettri dello Zangre», disse.

«Sì.»

«Non solo. Ho anche visto la nube nera che aleggia sulla vostra Casa, la maledizione del Generale Dorato, la sventura degli eredi di Fonsa.»


«Sì.»


«Allora ne siete al corrente?»

«Oh, sì.»

«Essa vi aleggia intorno, in questo momento.»

«Sì.»

«Era presente intorno a Orico e a Sara, a Iselle… e a Teidez.»

«Sì», ripeté Ista, chinando la testa di lato e fissando lo sguardo in lontananza.

Osservando la Royina, a Cazaril vennero in mente quei soldati che, durante una battaglia, erano colpiti, ma, prima di cadere al suolo, entravano in una sorta di trance e continuavano per qualche tempo a muoversi barcollando, compiendo talvolta gesta straordinarie. Quella quieta coerenza era forse indice di una simile condizione, che ben presto si sarebbe dissolta? Doveva approfittarne? Oppure Ista era stata davvero sempre incoerente? O forse erano semplicemente loro che non erano in grado di comprenderla? «Orico si è ammalato gravemente», provò a spiegarle. «Il modo in cui sono giunto a godere della seconda vista fa parte integrante di questo guazzabuglio di magia nera, perciò vi supplico, signora, vi scongiuro… Ditemi come siete venuta a conoscenza di tutto ciò. Che cosa avete visto, quando e come? Io devo capire, perché credo, anzi temo, che mi sia stato attribuito l’onere, che sia ricaduto su di me il compito di agire, senza però che mi sia stato detto nulla su quale azione intraprendere… È un velo di oscurità che neppure la seconda vista può trapassare.»

«Io vi posso svelare alcune verità», replicò Ista, inarcando le sopracciglia. «Ma non vi posso dare la comprensione… Come potrei, dato che non la possiedo? Io ho sempre detto la verità.»

«Sì, ora lo capisco», annuì Cazaril. «Ma l’avete mai detta per intero?»

Ista si tormentò il labbro inferiore, mentre le mani tremanti, che sembravano quasi non appartenerle, cominciarono a riaprire le pieghe del fazzoletto, lisciandolo su un ginocchio. Infine annuì lentamente e prese a parlare, con voce tanto bassa da costringere Cazaril a chinare il capo verso di lei, per essere certo di cogliere tutte le parole.

«Tutto ha avuto inizio quando sono rimasta incinta di Iselle», disse. «Sono cominciate le visioni e la seconda vista è affiorata a tratti. Ho creduto che si trattasse di un effetto della gravidanza, che sconvolge la mente di alcune donne, e, per qualche tempo, i medici mi hanno convinta che era veramente cosi. Vedevo gli spettri fluttuare alla cieca, l’ombra nera che aleggiava intorno a Ias, al giovane Orico… Sentivo voci e sognavo gli Dei, il Generale Dorato, Fonsa e i suoi due fedeli compagni che bruciavano nella torre, Chalion che ardeva come quella torre. Dopo la nascita di Iselle, quelle visioni sono cessate. Ho pensato che si trattasse di una follia transitoria.»

Anche con l’occhio della mente, non si poteva vedere se stessi. A Cazaril, però, erano stati concessi il sostegno di Umegat e un sapere comprato col sacrificio di altri, elargitogli come un dono. Se stessi ancora tentando di spiegare l’inesplicabile, ne sarei atterrito, pensò.

«Poi sono rimasta incinta di nuovo, di Teidez. Le visioni si sono ripresentate ed è stato molto peggio di prima. Non riuscivo a credere di essere pazza, ma soltanto quando ho minacciato di uccidermi Ias mi ha confessato che si trattava della maledizione, e che lui ne era al corrente, lo era sempre stato.»

E quanto si sarebbe sentito tradito, scoprendo che coloro che conoscevano la verità non lo avevano informato, lasciandolo a brancolare da solo nel buio, in preda al terrore?

«Ero inorridita all’idea di aver generato due figli, esponendoli a quell’orribile pericolo, e ho cominciato a pregare gli Dei perché la maledizione venisse rimossa, o almeno perché mi dicessero come poteva essere annullata, così da risparmiare vite innocenti. Poi, quand’ero prossima a dare alla luce Teidez, la Madre dell’Estate è venuta da me… Non in sogno, non mentre stavo dormendo, bensì in pieno giorno, mentre ero lucida e sveglia. Mi si è fermata vicinissima, proprio come siete voi adesso, e io sono crollata in ginocchio. Se avessi osato, avrei potuto toccare le sue vesti. Sentivo addirittura il profumo del suo alito, simile a quello dei fiori estivi. Il suo volto era troppo bello perché i miei occhi potessero contemplarlo, e tanto luminoso che pareva di fissare il sole. La sua voce era musica.» La voce di Ista si raddolcì e la pace che quella visione le aveva infuso trasparì dal suo volto, un bagliore di bellezza simile al riflesso di un raggio di sole sulle acque scure. Poi però la sua fronte tornò a corrucciarsi, e lei si protese in avanti. «La Madre ha detto che gli Dei stavano cercando di riprendersi la maledizione, che essa non apparteneva a questo mondo ed era un dono per il Generale Dorato e da lui usato in maniera impropria. Poi ha aggiunto una sorta di… profezia. Gli Dei avrebbero annullato la maledizione soltanto tramite la volontà di un uomo disposto a sacrificare tre volte la vita per la Casa di Chalion.»

«E se invece…» Cazaril esitò. Il rumore del proprio respiro gli echeggiava nelle orecchie, così forte da soffocare quella voce sommessa. «Non potrebbero tre uomini sacrificare ciascuno la propria vita una volta sola?» Si diede dello stolto per aver posto quella domanda, ma non era riuscito a trattenersi.

«No», ribatté Ista, incurvando nuovamente le labbra in quel suo sorriso sarcastico. «Ma avete giustamente notato il problema…»

«Non mi sembra che ci sia una soluzione. Quella… profezia era dunque una specie di trucco?»

Ista allargò le mani in un gesto ambiguo, poi ricominciò a piegare il fazzoletto. «Ne ho parlato a Ias, e naturalmente lui si è confidato con Lord dy Lutez… Ias non gli teneva mai nascosto nulla, tranne quando si trattava di me. Tranne che per me.»

Stupito, Cazaril si trovò a riflettere che quella «santità» da lui condivisa con Ista rendeva più facile parlarle. Era un atteggiamento sconsiderato e precario, una sensazione destinata irrimediabilmente a svanire, eppure… Da santo a santo, da anima ad anima, quel fugace momento pareva aver creato tra loro un’intimità più intensa di quella tra due amanti. Cominciò a capire perché Umegat si fosse tanto attaccato a lui. «Che rapporto esisteva tra loro, in realtà?» chiese.

«Erano amanti fin da prima che io nascessi», rispose Ista, scrollando le spalle. «Chi ero io per giudicarli? Dy Lutez amava Ias, io amavo Ias e lui ci amava entrambi. Si è impegnato così a fondo, ha dato tutto se stesso, portando il peso di tutti i suoi fratelli morti e di suo padre Fonsa! L’angoscia e il coinvolgimento lo hanno consumato fin quasi a portarlo sull’orlo della morte… ma tutto è andato per il verso sbagliato.» Ista esitò, e Cazaril fu assalito dall’improvviso terrore di avere inavvertitamente fatto qualcosa per bloccare quel flusso di confidenze. A quanto pareva, invece, Ista stava soltanto mettendo ordine… non nei suoi pensieri, ma nel suo cuore, perché infine riprese a parlare, sia pure più lentamente. «Non ricordo più di chi sia stata l’idea. Quella notte, successiva alla nascita di Teidez, eravamo riuniti in consiglio, solo noi tre. Io avevo ancora la seconda vista, e sia io sia Ias sapevamo che i nostri figli, e il povero Orico, erano fagocitati da quella cosa oscura. ’Salva i miei figli!’ ha gridato Ias, appoggiando la fronte sul tavolo e scoppiando in pianto. ’Salva i miei figli!’ E Lord dy Lutez ha risposto: ’Ci proverò, per l’amore che ti porto. Tenterò questo sacrificio’.»

«Ma come, per i cinque Dei?» sussurrò Cazaril.

«Abbiamo vagliato insieme un centinaio di piani. Com’era possibile uccidere un uomo e poi riportarlo in vita?» replicò Ista, con un sussulto. «Be’, era quasi impossibile, in effetti. L’annegamento offriva le possibilità maggiori: anzitutto avrebbe causato i minori danni fisici e poi c’erano molti resoconti di persone richiamate in vita da un annegamento. Allora dy Lutez ha indagato su alcuni di quei casi, cercando di capire come avessero fatto gli interessati a salvarsi.»

A Cazaril quasi si mozzò il respiro. L’annegamento… e a sangue freddo, per di più. Adesso anche le sue mani stavano tremando.

Pacata e impassibile, Ista proseguì: «Abbiamo fatto giurare a un medico di mantenere il segreto e siamo andati nelle segrete dello Zangre, dove dy Lutez si è lasciato spogliare, legare con braccia e gambe bloccate contro il corpo e appendere a testa in giù sopra un serbatoio. Lo abbiamo calato a testa in avanti, tirandolo fuori soltanto quando ha smesso di dibattersi…»

«Ed era morto?» chiese Cazaril, con un filo di voce. «Allora l’accusa di tradimento era…»

«Era morto, certo, ma non per l’ultima volta, perché siamo riusciti a riportarlo in vita, sia pure a stento.»

«Oh.»

«La cosa stava funzionando!» continuò Ista, serrando le mani. «Lo avvertivo, vedevo una crepa nella maledizione. Però a dy Lutez è mancato il coraggio e, la notte successiva, si è rifiutato di sottoporsi a una seconda immersione. Ha cominciato a gridare, sostenendo che ero gelosa di lui e stavo cercando di assassinarlo. A quel punto, Ias e io… abbiamo commesso un errore.»

Cazaril cominciò a capire come si sarebbe conclusa quella storia e avrebbe voluto chiudere gli occhi. Ma sapeva che sarebbe stato inutile. Si costrinse a tenerli aperti e fissi sul volto della Royina.

«Lo abbiamo afferrato, sottoponendolo a viva forza alla seconda prova. Lui urlava, piangeva… e Ias ha esitato. ’Dobbiamo farlo!’ ho gridato allora. ’Pensa ai bambini!’ Stavolta, però, quando lo abbiamo tirato fuori, lui era annegato definitivamente, e tutte le nostre lacrime e le nostre preghiere non sono bastate a richiamarlo in vita. Ias ne è stato distrutto, io ero sgomenta. È stato allora che la seconda vista mi è stata tolta e che gli Dei hanno distolto il loro viso da me.»

«Allora l’accusa di tradimento era falsa», osservò Cazaril.

«Sì, era una menzogna per nascondere il nostro peccato… e giustificare il cadavere», ammise Ista. «Alla sua famiglia è stato comunque permesso di ereditare i suoi possedimenti, e nulla è stato confiscato.»

«Nulla, tranne la sua reputazione e il suo onore», obiettò Cazaril. «Quell’onore che era tutto per l’orgoglioso dy Lutez, che considerava la ricchezza e la gloria soltanto un simbolo di esso.»

«Abbiamo agito in preda al panico. Dopo, non potevamo più tirarci indietro. Fra tutti i motivi di rammarico, credo sia stato questo che ha più logorato Ias, nei mesi successivi. Ias non ha più voluto tentare, si è rifiutato di cercare un altro volontario. Il sacrificio doveva essere spontaneo, capite? Nessun assassinio avrebbe dato il risultato voluto: bisognava trovare un uomo che si facesse avanti di propria volontà e in piena consapevolezza. Ias ha perso la voglia di vivere ed è morto, oppresso dal dolore e dal senso di colpa…» Ista tirò il fazzoletto di pizzo fin quasi a lacerarlo. «E mi ha lasciata sola, con due bambini e senza un modo per proteggerli da… questa cosa nera…» Trasse un respiro affannoso, ma non scivolò nell’isteria, benché Cazaril fosse già pronto a richiamare le dame di compagnia. Dopo un momento, la respirazione tornò regolare, le spalle le si rilassarono, e lei domandò: «Ditemi di voi… Gli Dei vi hanno toccato?»

«Sì.»

«Me ne dispiace.»

«Già», convenne lui, con una risata tremante. Era il suo turno per confessarsi. Con altri, avrebbe anche potuto nascondere la verità, ma con Ista… No, glielo doveva: valore per valore, ferita per ferita. «Quali notizie vi sono giunte da Cardegoss riguardo al fidanzamento di Iselle e alla sorte di Lord Dondo dy Jironal?»

«I messaggeri sono giunti l’uno dopo l’altro… Non abbiamo neanche potuto festeggiare. Però non siamo stati in grado d’interpretare gli eventi.»

«Volevate festeggiare il matrimonio di un quarantenne con una sedicenne?»

«Tra Ias e me c’era un divario d’età anche maggiore», ribatté Ista, sollevando di scatto la testa in un modo così simile a quello di Iselle da togliere il respiro a Cazaril, il quale, comunque, si rese conto che Ista, per il ruolo che ricopriva, vedeva quel fidanzamento sotto una luce diversa.

«Dondo non era Ias, mia signora», spiegò. «Era corrotto, vizioso, empio… Era un intrallazzatore e un mezzano. Sono quasi certo che abbia fatto assassinare Ser dy Sanda e forse ha addirittura provveduto di persona a ucciderlo. Inoltre, era in combutta con suo fratello, Martou, per ottenere un controllo assoluto della Casa di Chalion tramite Orico, Teidez… e Iselle.»

«Ho incontrato Martou a corte, alcuni anni fa», commentò Ista, portandosi una mano alla gola. «Già allora aspirava a diventare il successivo Lord dy Lutez, l’astro più nobile e scintillante dell’intera corte di Chalion… benché non fosse degno di lucidargli gli stivali. Quanto a Dondo, non l’ho mai conosciuto.»

«Dondo era un vero disastro. Io l’ho incontrato per la prima volta anni fa e ho capito subito che non aveva carattere. Con gli anni è peggiorato. Iselle era sgomenta e furente per il modo in cui le era stato imposto di sposarlo, e ha pregato gli Dei perché le risparmiassero quell’abominevole matrimonio. Gli Dei non hanno risposto… perciò l’ho fatto io. Ho dato la caccia a Dondo per un’intera giornata, con l’intenzione di ucciderlo, però non sono riuscito neppure ad avvicinarlo, e alla fine ho pregato il Bastardo perché mi concedesse un miracolo di magia di morte. E lui lo ha fatto.»

«Come mai non siete morto?» domandò Ista, sorpresa, inarcando le sopracciglia.

«Ho creduto di morire… Quando mi sono svegliato, scoprendo che Dondo era morto e che io ero ancora vivo, non sapevo più cosa pensare. Umegat, però, ha scoperto che le preghiere di Iselle hanno causato un secondo miracolo: la Signora della Primavera mi ha risparmiato la vita dal demone del Bastardo, ma solo temporaneamente. Il santo Umegat, che io credevo un semplice stalliere…» La storia si stava facendo spaventosamente intricata… Allora Cazaril fece una digressione per spiegare chi fosse Umegat, come funzionasse il miracolo del serraglio e come esso avesse preservato la vita del povero Orico, nonostante la maledizione. «Purtroppo Dondo, quand’era ancora certo che avrebbe sposato Iselle, ha convinto Teidez dell’esatto contrario, sostenendo che il serraglio era una magia dei roknari escogitata per mantenere Orico malato. E Teidez gli ha creduto. Cinque giorni fa, ha preso con sé le sue guardie baociane e ha massacrato quasi tutti gli animali sacri, mancando per puro caso di uccidere anche il santo. Nell’agonia, il leopardo di Orico lo ha graffiato… Vi giuro che era soltanto un graffio! Se avessi immaginato… La ferita si è infettata, e la fine di Teidez è stata… molto rapida», concluse Cazaril, ricordando d’un tratto che stava parlando con la madre del ragazzo.

«Povero Teidez», gemette Ista, distogliendo lo sguardo. «Mio povero Teidez. Credo che tu sia nato per essere tradito.»

«Comunque sia, a causa di questa strana concatenazione di miracoli, adesso il demone della morte e lo spettro di Dondo sono intrappolati nel mio ventre, rinchiusi, a quanto pare, in una sorta di tumore. Quando verranno liberati, io morirò.»

L’espressione dolente sul volto di Ista scomparve. «Questa sarebbe la seconda morte», disse lei, sollevando gli occhi su Cazaril.

«Ah… Come?»

Le mani della donna abbandonarono di colpo il fazzoletto stropicciato per serrare il colletto di Cazaril, mentre il suo sguardo era così intenso da essere quasi doloroso. «Sei il dy Lutez di Iselle?» domandò la Royina, col respiro affannoso.

«Io… io… io…» balbettò Cazaril, assalito da un improvviso sgomento.

«Due volte. Due volte… Ma come realizzare la terza? Oh…» sussurrò Ista, con le pupille dilatate e pulsanti, le labbra che tremavano. «Che cosa sei?» chiese.

«Io… sono soltanto Cazaril, mia signora! Non sono un altro dy Lutez, questo è certo, perché non sono brillante, ricco o forte. Gli Dei sanno che non sono neppure avvenente o coraggioso, benché, messo alle strette, non esiti a combattere.»

«Se si levano tutti questi ornamenti inutili… Denudato, appeso a testa in giù, quell’uomo risplendeva, ed è rimasto fedele, sino alla morte. Ma non lo è stato fino a due morti o a tre!» esclamò Ista, con un gesto impaziente.

«No, è una follia! Non è il modo con cui ho intenzione d’infrangere la maledizione», ribatté Cazaril. I cinque Dei gli erano testimoni che lui non intendeva annegarsi! «Ho un altro piano per salvare Iselle.»

«Allora gli Dei vi hanno parlato?» domandò Ista, continuando a sondarlo con un’intensità spaventosa negli occhi.

«No, procedo sulla base della ragione.»

Ista si accasciò all’indietro e, con suo sollievo, lo lasciò andare. «La ragione?» ripeté, aggrottando la fronte. «In una cosa del genere?»

«Voi e Sara siete state coinvolte nella maledizione a causa del vostro matrimonio con un membro della Casa di Chalion. Di conseguenza, credo che Iselle possa sottrarsi alla maledizione tramite il matrimonio. Questo genere di fuga non era possibile per Teidez, ma adesso… Sono diretto a Ibra, deciso a far unire in matrimonio Iselle col nuovo Erede, il Royse Bergon. Dy Jironal cercherà d’impedirlo, perché esso segnerà la fine del suo potere a Chalion, ma Iselle ha intenzione di sottrarsi a lui riportando il corpo di Teidez qui a Valenda per la sepoltura», spiegò Cazaril, procedendo a esporre nei dettagli il piano di Iselle: sarebbe giunta a Valenda col corteo funebre e si sarebbe incontrata lì con Bergon.

«Forse», sussurrò Ista. «Forse…»

Cazaril non capì a cosa si stesse riferendo. «Vostra madre sa di tutto questo?» chiese allora, notando che Ista non smetteva di fissarlo. «Sa della maledizione? Conosce la vera storia della morte di dy Lutez?»

«Una volta ho cercato di parlargliene, e lei ha deciso che ero davvero pazza. Non è poi così brutto, essere pazzi, sapete? Ha i suoi vantaggi. Non devo prendere nessuna decisione in merito a cosa mangiare, a cosa indossare, a dove andare, su chi vive o chi muore… Potreste provarci anche voi. Vi basterà dire la verità. Raccontate di avere dentro un demone e uno spettro, di un rumore che v’insulta nottetempo e di come gli Dei proteggano i vostri passi. Vedrete, cosa succede…» replicò Ista, abbandonandosi a una risata priva d’umorismo. Poi contrasse le labbra in un amaro sorriso, e aggiunse: «Non siate così allarmato, Lord Cazaril. Se pure dovessi riferire ad altri la vostra storia, vi basterà negarla, e tutti penseranno che sia io ad aver smarrito la ragione, non voi».

«Credo che le vostre parole siano state negate già troppo, signora.»

Assalita da un tremito, Ista si morse un labbro e distolse lo sguardo.

A disagio, Cazaril improvvisamente si ricordò delle sacche da sella, appoggiate contro il suo fianco. «Iselle ha scritto una lettera per voi, e una per sua nonna, e mi ha incaricato di consegnarle», spiegò, frugando nella sacca. Ne estrasse il pacchetto della corrispondenza e porse a Ista la sua lettera, con mani che tremavano anche, ma non solo, per la stanchezza e la fame. «Adesso dovrei andare a lavarmi e a mangiare qualcosa», aggiunse. «In tal modo, quando la Provincara rientrerà, forse sarò in condizioni adeguate per presentarmi a lei.»

«Allora richiama le mie dame», replicò Ista, stringendosi al petto la lettera. «Credo che adesso mi ritirerò, perché non ho più motivo di vegliare…»

«C’è Iselle», ribatté Cazaril, sollevando lo sguardo di scatto. «Lei è un motivo per vegliare.»

«Ah, sì, c’è ancora un ostaggio da sacrificare, poi potrò dormire per sempre.» Si protese a battere un colpetto sulla spalla di Cazaril in uno strano gesto di rassicurazione. «Adesso, tuttavia, dormirò soltanto per stanotte. Sono così stanca che credo di aver consumato tutte le lacrime e i lamenti, al punto che mi sento del tutto svuotata.»

«Vi capisco, signora.»

«Sì, è vero. Ed è strano.»

Allungando una mano verso la panca, per puntellarsi, Cazaril si alzò e permise alle dame piangenti di rientrare nella stanza. Lasciata Ista alle loro attenzioni, si gettò in spalla le sacche da sella e si congedò con un inchino.


Dopo essersi lavato, aver cambiato l’abito ed essersi concesso un pasto caldo, Cazaril si sentì ristorato, anche se la sua mente era ancora sconvolta dalla conversazione con Ista. Quando poi i servitori lo pregarono di attendere il ritorno della Provincara nel suo tranquillo salottino, all’interno dell’edificio nuovo, lui accolse con gratitudine quell’opportunità di mettere ordine nei propri pensieri. Un fuoco vivace ardeva nel focolare; dolorante in tutto il corpo, Cazaril si sedette su una sedia dotata di cuscini e prese a sorseggiare un po’ di vino annacquato, cercando di non assopirsi e dicendosi che con ogni probabilità l’anziana dama sarebbe tornata abbastanza in fretta.

E così avvenne. La Provincara sopraggiunse in breve tempo, accompagnata dalla cugina e dama di compagnia, Lady dy Hueltar, nonché da Ser dy Ferrej, grave in volto. Indossava ancora l’elegante abito di gala di seta e velluto verde, ed era adorna di gioielli, ma a Cazaril bastò guardarla per capire che qualche servitore le aveva già riferito la tragica notizia. Alzandosi a fatica, si affrettò a inchinarsi.

«Cazaril, è vero?» domandò la Provincara, serrandogli le mani nelle proprie e scrutandolo in volto.

«Teidez è morto all’improvviso, per un’infezione. Quanto a Iselle, sta bene… ed è l’Erede di Chalion.»

«Povero ragazzo! Povero ragazzo! Lo hai già detto a Ista?»

«Sì.»

«Oh, povera me. Come l’ha presa?»

Non si poteva di certo rispondere bene. «Con calma, Vostra Grazia», preferì dire Cazaril. «Se non altro, non ha avuto la crisi violenta che paventavo. I colpi che la vita le ha inflitto l’hanno lasciata come intorpidita… Tuttavia ignoro in quale stato sarà domani. Le sue dame l’hanno messa a letto.»

La Provincara sospirò, e si costrinse a ricacciare indietro le lacrime.

«Iselle mi ha affidato una lettera per voi», proseguì Cazaril, inginocchiandosi accanto alle sacche da sella. «E ce n’è anche una per Ser dy Ferrej, da parte di Betriz, anche se non ha avuto il tempo di scrivere molto», aggiunse, porgendo le due missive sigillate. «Adesso verranno qui entrambe, perché Iselle intende far seppellire Teidez a Valenda.»

«Ah», mormorò la Provincara, infrangendo il sigillo della lettera senza badare a dove cadevano i frammenti di cera. «Quanto desidero rivederla!» aggiunse, divorando con gli occhi il messaggio. «È breve», si lamentò poi, inarcando le sopracciglia grigie. «Afferma che provvederai tu a spiegarmi ogni cosa.»

«Sì, Vostra Grazia. Ho molte cose da dirvi, e alcune sono confidenziali.»

«Andate», ordinò lei ai suoi accompagnatori. «Provvederò io a richiamarvi.»

Nel dirigersi alla porta, dy Ferrej stava già infrangendo il sigillo della sua lettera.

Sedutasi con un frusciare di stoffe, la missiva di Iselle ancora stretta tra le mani, la Provincara indicò a Cazaril un’altra sedia, che lui accostò alla sua. «Devo andare da Ista, prima che si addormenti», lo ammonì lei.

«Cercherò di essere succinto, Vostra Grazia. Vi riferirò ciò che ho appreso nel corso della stagione trascorsa a Cardegoss. Quanto al prezzo che ho pagato per apprenderlo…» Quel prezzo, lo squarcio che si era prodotto nel suo mondo, era una cosa che Ista aveva compreso all’istante. Ma lui non era certo che la Provincara sarebbe riuscita a fare altrettanto. «… adesso non ha importanza», proseguì. «Tuttavia sappiate che l’Arcidivino Mendenal di Cardegoss vi potrà confermare le mie parole, se avrete modo d’incontrarlo. Se andrete da lui a mio nome, non vi negherà nulla.»

«Come puoi controllare un Arcidivino?» esclamò la Provincara, inarcando di scatto le sopracciglia.

«Invocando un rango superiore al suo», replicò lui, con una sommessa risata.

«Cazaril, niente stupidi scherzi», lo ammonì l’anziana dama, raddrizzandosi e serrando le labbra con aria contrariata. «Sembri oscuro al pari di Ista.»

Già, a pensarci, era probabile che fosse piuttosto irritante vivere a stretto contatto con l’ironia che Ista usava a mo’ di protezione… Ma del resto lei non aveva nessuno che prendesse le sue difese, rifletté Cazaril, poi disse: «Provincara… Vostra figlia ha il cuore infranto e la sua forza di volontà è annientata al punto che desidera la liberazione della morte, ma non è pazza. Gli Dei non sono così misericordiosi.»

La dama s’incurvò su se stessa, come se quelle parole avessero toccato un punto dolente. «Il suo dolore è assurdo. Forse che nessun’altra donna è rimasta vedova prima d’ora? Nessuna ha perso dei figli? Io ho sofferto entrambe queste perdite, ma non gemo e piango di continuo, per anni di fila. Certo, ho pianto a suo tempo, ma poi ho continuato a svolgere il mio dovere. Se la sua mente non ha ceduto, allora Ista commisera se stessa in modo davvero eccessivo.»

Sarebbe riuscito a spiegare alla Provincara la situazione di Ista senza tradire le confidenze che lei gli aveva fatto? Forse, ricorrendo a una verità parziale… «Tutto risale all’epoca della grande guerra tra Fonsa l’Abbastanza Saggio e il Generale Dorato…» cominciò. Espose il meccanismo della maledizione nel modo più semplice possibile e illustrò come essa avesse operato sulla storia della Casa di Chalion. Durante il regno di Ias, i disastri erano stati così numerosi che lui non ebbe quasi bisogno di accennare alla caduta di dy Lutez, adducendo l’impotenza di Orico, la lenta corruzione dei suoi consiglieri, il fallimento della sua politica e il crollo della sua salute, a esemplificazione dell’effetto della maledizione.

«Tutta questa immonda sfortuna è dunque opera della magia nera dei roknari?» chiese la Provincara, accigliandosi.

«Da quel che ne capisco io, no. È una sorta di… traboccamento, la perversione di una divinità ineffabile, che ha perso il suo giusto posto.»

«Le due cose sono abbastanza simili», dichiarò la dama, scrollando le spalle. «Se funziona come la magia nera, allora è magia nera. Bisogna chiedersi come contrastarla, dunque.»

Secondo Cazaril, quella somiglianza era alquanto dubbia: di certo, soltanto una comprensione corretta della cosa poteva portare a un’azione altrettanto corretta, Ista e Ias avevano tentato d’imporre una soluzione con la forza, come se la maledizione fosse stata una magia, da contrastare con altra magia, una sorta di rito trito e ritrito.

«Tutto ciò si collega in qualche modo alle storie assurde che abbiamo sentito circolare, secondo le quali Dondo dy Jironal sarebbe stato assassinato mediante magia di morte?» chiese la Provincara.

Quella, se non altro, era una domanda cui nessuno, meglio di lui, avrebbe potuto rispondere. Cazaril aveva già deciso di escludere, da quella versione, la massima quantità possibile di dettagli ultraterreni. Se lui avesse preso a farneticare di demoni, spettri, santi, seconda vista e altre cose ancora più grottesche, dubitava che la fiducia della Provincara nei suoi confronti ne sarebbe emersa rinforzata. Era comunque certo che anche quella versione epurata non avrebbe mancato di suscitare un profondo sconcerto nella dama. Narrò le vicissitudini del disastroso fidanzamento di Iselle, ma evitò di fornire l’identità della persona che aveva causato il miracolo di morte, abbattendo Dondo, e nascose il proprio atto omicida nello stesso modo in cui aveva evitato di parlare di quello di Ista.

La Provincara si rivelò assai meno schizzinosa di lui. «Se Lord Dondo era davvero l’individuo che tu mi descrivi, pregherò per questo ignoto benefattore», dichiarò infatti.

«Ah, Vostra Grazia, io prego per lui tutti i giorni.»

«E poi, affibbiare a Iselle come marito un semplice figlio cadetto! Si può sapere cos’è saltato in mente a quello stolto di Orico?»

Evitando di scendere in considerazioni che rasentavano l’ineffabile, Cazaril presentò alla Provincara il serraglio di Orico come un miracolo terapeutico studiato dal Tempio per preservare la sua salute cagionevole, il che era abbastanza veritiero. D’altronde, la dama intuì immediatamente il segreto scopo politico che aveva indotto Dondo a spingere Teidez — e anche Orico — incontro alla distruzione, e serrò i denti con rabbia, gemendo per il modo in cui il nipote era stato tradito. La notizia che Valenda si doveva preparare per un funerale, un matrimonio e una guerra ebbe poi l’effetto di rivitalizzarla.

«Iselle può contare sul supporto di suo zio, dy Baocia?» domandò Cazaril. «Quanti altri nobili potrete radunare, per contrastare la fazione di dy Jironal?»

Con un rapido calcolo mentale, la Provincara passò in rassegna i nobili che avrebbe potuto chiamare a Valenda, ufficialmente in occasione del funerale di Teidez, ma in realtà per strappare Iselle dalle mani di dy Jironal. Dopo aver osservato per decenni l’andamento della politica di Chalion, quella formidabile dama non aveva bisogno di studiare una mappa per elaborare le proprie tattiche.

«Chiedete loro di presenziare al funerale di Teidez, portandosi appresso tutti gli uomini disponibili», suggerì Cazaril. «Dobbiamo soprattutto controllare le strade tra qui e Ibra, per garantire la sicurezza del Royse Bergon.»

«È difficile», replicò la Provincara, appoggiandosi allo schienale della sedia. «Alcune delle terre di dy Jironal e dei suoi cognati si estendono tra qui e il confine. Dovresti prendere con te una scorta… Vorrà dire che ridurrò al minimo le difese di Valenda per darti gli uomini necessari.»

«No», ribatté Cazaril. «Quando Iselle arriverà, il che può benissimo succedere prima del mio ritorno, voi avrete bisogno del maggior numero di uomini. Inoltre raggiungere Ibra richiederebbe molto tempo, dato che non troveremmo lungo la strada i cambi di cavalli necessari per così tante persone, e mantenere il segreto diventerebbe impossibile. È meglio viaggiare leggeri, in fretta e senza dare nell’occhio. Tenete qui le vostre truppe, perché ci vengano incontro sulla via del ritorno… Ah, guardatevi dal capitano baociano che avete mandato con Teidez, perché si è venduto a Dondo. Quando rientrerà a Valenda, dovrete sostituirlo.»

«Avrò le sue orecchie, per i demoni del Bastardo!» sibilò la Provincara.

I due elaborarono un piano per trasmettere a Iselle le missive cifrate di Cazaril e far arrivare a lui le risposte della Royesse passando da Valenda, così da far credere alle spie di dy Jironal che lui si trovasse ancora là. La Provincara decise anche che, il mattino seguente, avrebbe impegnato alcuni gioielli di Iselle per suo conto, al prezzo migliore, in modo da procurare a Cazaril il denaro necessario per proseguire il suo viaggio. In pochi minuti, affrontarono e risolsero almeno una dozzina di problemi pratici, e ciò indusse Cazaril a pensare che la determinazione della Provincara era più che sufficiente a renderla immune ai capricci degli Dei. Sebbene partecipasse a tutte le cerimonie religiose, infatti, nessun Dio sarebbe mai riuscito a insinuarsi sotto quella sua volontà ferrea. Ma gli Dei le avevano comunque elargito talenti meno pericolosi, e lui ne era loro grato. «Come avrete compreso, spero proprio che questo progetto di matrimonio salvi Iselle, tuttavia non so se sarà sufficiente a salvare anche Ista», concluse il Castillar. No, rifletté, non c’era speranza per Ista, che si aggirava con aria triste nel castello di Valenda, e neppure per Orico, che giaceva cieco e gonfio nel suo letto, nello Zangre. Nessuna esortazione della Provincara per indurla a riscuotersi sarebbe stata utile alla Royina Vedova, non finché quella nube nera avesse continuato a soffocarla come un veleno.

«Mi basta che Iselle si salvi dalle grinfie del Cancelliere dy Jironal. Non riesco a credere che Orico possa aver inserito simili disposizioni nel suo testamento», ribatté la Provincara. Quella disposizione legale l’aveva turbata quasi più delle questioni soprannaturali. «Come ha osato togliermi la tutela di mia nipote senza neppure consultarmi?»

«Immagino vi renderete conto che, se tutto andrà per il meglio, vostra nipote diventerà la vostra sovrana, giacché sarà di diritto Royina di Chalion e avrà il titolo di Royina-consorte di Ibra», replicò Cazaril, accarezzandosi la barba.

«Questa è la cosa più folle di tutte!» esclamò la Provincara, con una smorfia. «È soltanto una ragazza… benché la sua mente sia sempre stata più acuta di quella del povero Teidez. Cosa mai sarà saltato in mente agli Dei di Chalion, quando hanno deciso di mettere sul trono di Cardegoss una bambina come lei?»

«Forse hanno pensato che ci vorrà una vita intera per risollevare le sorti di Chalion. E dunque che gli anziani, come me o voi, non sarebbero vissuti abbastanza a lungo per assistere a una simile rinascita», replicò Cazaril, in tono mite.

«Tu stesso sei poco più che un bambino!» sbuffò la Provincara. «Ultimamente, sono i bambini ad avere il controllo del mondo… Non mi meraviglia che la follia imperi ovunque. Bene, adesso dobbiamo pensare a ciò che ci attende domani. Per i cinque Dei, Cazaril, va’ a dormire, anche se dubito che io riuscirò a chiudere occhio: sembri un morto che cammina, e non hai neppure la giustificazione di essere vecchio quanto me.»

A fatica, Cazaril si alzò e s’inchinò, consapevole che quelle ondate di energia nervosa della Provincara erano passeggere e fragili, e che ci sarebbe voluto l’aiuto di tutti coloro che la circondavano per impedirle di sfinirsi pericolosamente. Così, dopo aver detto a Lady dy Hueltar, che si trovava in ansiosa attesa nella stanza accanto, di andare ad assistere la cugina, Cazaril si allontanò.


Gli venne assegnata la sua gelida, ma dignitosa cameretta nel corpo principale della fortezza, e lui scivolò tra le lenzuola riscaldate con un sollievo nato anche dalla sensazione di essere tornato a casa, una sensazione che non sperimentava da anni. D’altro canto, la sua nuova seconda vista aveva l’effetto di rendere strani anche i posti più familiari. Il mondo gli sembrava sempre più estraneo e non costituiva mai per lui un luogo di riposo.

Per quanto imperversasse con tutto il suo furore, quella notte Dondo non riuscì a tenerlo sveglio, anche perché il pericolo che egli generava era divenuto ormai abituale per Cazaril, che si ritrovò dunque assalito da nuove paure. Il ricordo della spaventosa, intensa speranza scorta nello sguardo di Ista lo turbava profondamente, e ancora di più lo toccava la consapevolezza che l’indomani, quando fosse montato a cavallo, ogni passo lo avrebbe riportato sempre più vicino all’odiato mare.

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