M’guk il Gobbo, ometto piccolo dalla faccia piatta proveniente da una delle tribù del Centro, la cui abilità nel gioco dei dadi era famosa in qualsiasi posto due persone si mettevano insieme per truffarne una terza, raccolse i dadi e li fissò. Maledisse in cuor suo Wa, la cui abilità nel barare coi dadi era ugualmente nota fra gli addetti ai lavori ma che aveva, apparentemente, fallito, augurò una dolorosa e prematura morte al giocatore in ombra che gli stava seduto davanti e lanciò i dadi a terra.

«Ventuno, secco!»

Wa sollevò i dadi da terra e li porse allo straniero. Mentre si volgeva verso il Gobbo strizzò uno dei suoi occhi leggerissimamente. Il Gobbo rimase impressionato… lui stesso aveva a mala pena notato il movimento delle traditrici dita nodose di Wa, e lui le stava guardando appositamente.

Fu sconcertante il modo in cui quei piccoli aggeggi sbatterono nella mano dello straniero e poi volarono in un lento arco che terminò con ventiquattro piccole macchioline che puntavano verso le stelle.

Alcuni dei più informati rispetto alle norme della strada che si trovavano nella folla si allontanarono dallo straniero in quanto una fortuna del genere poteva rivelarsi molto sfortunata nel gioco d’azzardo coi dadi di Wa lo Zoppo.

La mano di Wa si chiuse sui dadi emettendo un rumore simile allo scatto di un grilletto.

«Tutti otto» disse col fiato mozzo. «Una fortuna simile è davvero molto strana, signore.»

Il resto della folla evaporò come rugiada al sole, e restarono soltanto gli uomini ben piazzati, dallo sguardo poco simpatico che, se Wa avesse mai pagato le tasse, avrebbe detratto dalla dichiarazione come Attrezzatura Essenziale e Apparecchiatura Industriale.

«Forse non si tratta di fortuna» aggiunse. «Forse è magia.»

«QUESTA ILLAZIONE MI IRRITA ESTREMAMENTE.»

«Una volta è passato di qui un mago che ha cercato di diventare ricco» disse Wa. «Non riesco a ricordare che cosa gli sia successo. Ragazzi?»

«Gli abbiamo fatto una bella ramanzina…»

«…e lo abbiamo lasciato al Passaggio del Porco…»

«…e in Vicolo del Miele…»

«…ed in un paio di altri posti che non riesco a ricordare.»

Lo straniero si alzò in piedi. I ragazzi lo accerchiarono.

«QUESTO ATTEGGIAMENTO È DECISAMENTE SUPERFLUO. IO CERCAVO SOLTANTO DI IMPARARE. CHE PIACERE POSSONO MAI TRARRE GLI UMANI DA UNA MERA REITERAZIONE DELLE LEGGI DELLA CASUALITÀ?»

«La casualità non c’entra affatto. Ragazzi, diamo un’occhiata a questo tipo.»

Gli eventi che seguirono non vennero ricordati da alcuna anima vivente, eccetto quella appartenente ad un gatto selvatico, uno delle migliaia della città, che stava attraversando il vicolo, diretto ad un incontro amoroso. Si fermò ed osservò la scena con un certo interesse.

I ragazzi rimasero impietriti a mezza-coltellata. Dolorose luci purpuree balenarono attorno ad essi. Lo straniero tirò indietro il cappuccio e prese in mano i dadi, quindi li premette nella mano di Wa che non oppose alcuna resistenza. L’uomo apriva e chiudeva la bocca, con gli occhi che cercavano disperatamente e senza successo di non vedere colei che avevano di fronte. Sogghignante.

«LANCIA.»

Wa riuscì in qualche modo ad abbassare lo sguardo sulla propria mano.

«Quale è la posta?» sussurrò.

«SE VINCERAI, DOVRAI ASTENERTI DA QUESTI RIDICOLI TENTATIVI DI FAR SUPPORRE CHE LA CASUALITÀ GOVERNA GLI AFFARI DEGLI UOMINI.»

«Sì. Sì. E… se perdo?»

«DESIDERERAI DI AVERE VINTO.»

Wa cercò di deglutire, ma la gola gli si era improvvisamente seccata. «So che ho fatto uccidere un sacco di persone…»

«VENTITRÉ PER ESSERE PRECISI.»

«È troppo tardi per dire che mi dispiace?»

«QUESTO GENERE DI COSE NON MI RIGUARDA. ADESSO GETTA I DADI.»

Wa chiuse gli occhi e fece cadere i dadi a terra, troppo nervoso anche solo per tentare lo speciale lancio dello scatta-e-torci. Continuò a tenere gh occhi chiusi.

«TUTTI OTTO. ECCO QUI, NON È STATO POI TANTO DIFFICILE, NO?»

Wa svenne.

La Morte alzò le spalle e si allontanò, fermandosi soltanto per accarezzare le orecchie di un gatto di strada che si trovava a passare. Canticchiò fra sé e sé. Non riusciva a capire che cosa le fosse successo, ma le piaceva.


«Non potevi essere certo che avrebbe funzionato!»

Bersagliato allargò le braccia in un gesto conciliatorio.

«Be’, no» ammise lui «ma ho pensato: che cosa ho da perdere?» Indietreggiò.

«Che cosa hai da perdere tu?» gli gridò dietro Morty.

Avanzò ed estrasse il dardo da una delle colonnine del letto a baldacchino della principessa.

«Non mi verrai a dire che mi è passato attraverso?» esclamò con voce gelida.

«Lo stavo guardando appositamente» disse Bentagliato.

«L’ho visto anche io» intervenne Keli. «È stato terribile. Ti è venuto fuori esattamente dal punto in cui hai il cuore.»

«E io ti ho visto camminare attraverso un pilastro di marmo» disse Bentagliato.

«E io ti ho visto entrare a cavallo da una finestra.»

«Già ma allora ero in servizio» protestò Morty, agitando le mani nell’aria. «Non era una cosa da tutti i giorni, era diverso. E…»

Fece una pausa. «Il modo in cui mi state guardando» disse. «Mi hanno fissato alla stessa maniera quando mi trovavo alla taverna, questa sera. Che cosa c’è di storto?»

«È per il modo in cui agitavi le mani proprio attraverso il pilastrino del letto» rispose Keli con un fil di voce.

Morty si guardò una mano e la picchiò contro il legno.

«Vedete?» disse. «Solidi. Solida mano, solido legno.»

«Hai detto che la gente ti guardava in modo strano alla taverna?» chiese Bentagliato. «Che hai fatto lì? Sei passato attraverso una parete?»

«No! Voglio dire, no, ho soltanto bevuto quella roba, mi sembra che si chiamasse scumble…»

«Scumble?»

«Sì. Ha un sapore di mele marce. Avresti potuto pensare che si trattasse di una specie di veleno dal modo in cui continuavano a fissarmi.»

«Quanto ne hai bevuto?» chiese Bentagliato.

«Più o meno una pinta, non ci ho fatto particolarmente caso.»

«Lo sapevi che lo scumble è la bevanda acoolica più forte fra qui e le montagne Ramtop?» gli domandò il mago.

«No. Non me lo ha detto nessuno» rispose Morty. «Ma che cosa ha a che fare con…»

«No» disse lentamente Bentagliato «non lo sapevi. Ehm. Questa è la chiave, non è vero?»

«Ha qualcosa a che vedere con il salvare la principessa?»

«Probabilmente no. Tuttavia vorrei dare un’occhiata ai miei libri.»

«In questo caso vuol dire che non è niente di importante» disse fermamente Morty.

Si rivolse a Keli che lo stava guardando con un debole principio di ammirazione.

«Penso di poterti aiutare» disse. «Penso di poter mettere le mani su un incantesimo molto potente. Una magia potrebbe trattenere la cupola, no, Bentagliato?»

«La mia magia, no. Dovrebbe trattarsi di qualcosa di davvero forte e, anche in quel caso, non ne sono assolutamente sicuro. La realtà e più potente di…»

«Io devo andare» disse Morty. «A domani, addio!»

«È già domani» puntualizzò Keli.

Morty si sgonfiò leggermente.

«D’accordo, a questa notte, allora» disse sentendosi leggermente spiazzato e aggiunse «Tornerò vincitor!»

«Vincitore di che?»

«È un modo di dire da eroe» disse gentilmente Bentagliato. «Lui non può farne a meno.» Morty lo guardò con aria truce, sorrise cortesemente a Keli e uscì dalla stanza.

«Avrebbe anche potuto aprire la porta» osservò Keli, dopo che lui se ne fu andato.

«Penso che fosse leggermente imbarazzato» replicò Bentagliato. «Passiamo tutti attraverso quello stadio.»

«Quale, quello di camminare attraverso le cose?»

«In un certo senso. Entrandoci dentro, comunque.»

«Penso che mi farò una bella dormita» disse Keli. «Anche i morti hanno bisogno di un po’ di riposo. Bentagliato, ti prego di smetterla di armeggiare con quella balestra. Sono certa che non sia una magia trovarsi da solo nella stanza di una signora.»

«Eh? Ma io non sono solo, no? Ci sei anche tu.»

«È esattamente questo il punto, non ti pare?»

«Oh. Sì. Scusa. Ehm, ci vediamo domani mattina, allora.»

«Buona notte, Bentagliato. Chiuditi la porta alle spalle quando esci.»


Il sole si trascinò fino all’orizzonte, decise di fare una corsetta e cominciò a sorgere.

Sarebbe comunque occorso del tempo prima che la sua lenta luce si riversasse sul Disco addormentato, ammassando la notte come un gregge di fronte a sé, e quindi le ombre notturne regnavano ancora sulla città.

Esse di addensavano ora attorno al Tamburo Riparato in Via della Filigrana, la più importante delle taverne cittadine. Questa era famosa non tanto per la sua birra, che aveva l’aspetto di sciacquatura di piatti e il sapore di acido da batteria, quanto per la sua clientela. Si diceva che se rimanevi seduto a sufficienza al Tamburo, prima o poi qualche grandioso eroe del Disco ti avrebbe rubato il cavallo.

L’atmosfera all’interno era ancora rumorosa per le chiacchiere e pesante per il fumo sebbene l’oste stesse facendo tutte quelle cose che gli osti fanno generalmente quando ritengono che sia ora di chiudere i battenti come spegnere alcune delle luci, ricaricare l’orologio, appoggiare un panno sopra i rubinetti e, qualora potesse tornare utile, controllare lo stato di salute della propria mazza chiodata. Non che i clienti facessero il benché minimo caso alla cosa. La maggior parte dei frequentatori del Tamburo non avrebbe considerato perfino la mazza chiodata nulla di più di una allusione.

Essi erano tuttavia, sufficientemente accorti da essere vagamente preoccupati dalla figura alta e scura che si trovava davanti al bancone e stava bevendo sistematicamente tutto quello che il bar conteneva.

I bevitori solitari e accaniti generano sempre un campo mentale che assicura loro una completa privacy, ma questo, in particolare, stava irradiando una specie di malinconia fatalistica che stava lentamente facendo svuotare il bar.

Questa cosa non destava alcuna preoccupazione al barista, in quanto la figura solitaria si era imbarcata in un esperimento estremamente costoso.

Ogni posto in cui si beve, in tutto il multiverso, possiede cose del genere… quelle intere mensole di bottiglie appiccicose dalla forma strana che non contengono solamente liquidi dai nomi esotici, che sono generalmente blu o verdi, ma anche una grossa sequenza di stranezze che le bottiglie di bevande vere e proprie non si abbasserebbero mai a contenere, come ad esempio frutti interi, pezzetti di ramoscelli e, in casi estremi, anche piccole lucertole affogate. Nessuno sa perché i baristi ne raccolgano così tante, visto che esse hanno tutte lo stesso sapore di melassa sciolta nella trementina. È stato ipotizzato che essi sognino del giorno in cui qualcuno entrerà arrivando dalla strada e, in maniera del tutto spontanea, chiederà un bicchierino di Pesca di Cornovaglia con Una Idea Di Menta e, nel giro di una notte, quel posto diventerà un luogo Da Andare A Visitare.

Lo straniero stava procedendo lungo una fila di bottiglie.

«CHE COS’È QUELLA VERDE?»

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