«Loro… non è andato tutto liscio come avevo pensato» disse Morty restando in piedi sul tappeto davanti alla scrivania con atteggiamento nervoso.

«HAI AVUTO DEI PROBLEMI?» chiese la Morte, togliendo qualche pezzetto di penna.

«Insomma, vede, la strega non è voluta venire via e il monaco, be’, ha ricominciato tutto da capo.»

«NON C’È NULLA DI CUI PREOCCUPARSI, RAGAZZO…»

«…Morty…»

«…ORMAI AVRESTI DOVUTO COMPRENDERE CHE OGNUNO OTTIENE QUELLO CHE PENSA DI DOVER RICEVERE. COSÌ RISULTA UNA COSA MOLTO PIÙ SEMPLICE.»

«Lo so, signora. Ma questo significa che le persone cattive che pensano di dovere andare in una specie di paradiso ci vanno davvero. E che quelle buone che temono di doversi recare in una specie di posto terrificante soffrono davvero. Non mi sembra una cosa giusta.»

«CHE COSA TI HO DETTO CHE DEVI RICORDARE SEMPRE QUANDO SEI FUORI IN SERVIZIO?»

«Ebbene, lei…»

«ALLORA?»

Morty balbettò e si zittì.

«NON C’È GIUSTIZIA. CI SEI SOLTANTO TU.»

«Be’, io…»

«DEVI RICORDARLO.»

«Certo, ma…»

«IO RITENGO CHE ALLA FINE TUTTO SI RISOLVA PER IL MEGLIO. NON HO MAI CONOSCIUTO IL CREATORE MA MI È STATO DETTO CHE È DISPOSTO IN MANIERA PIUTTOSTO FAVOREVOLE NEI CONFRONTI DELLA GENTE.» La Morte spezzò il filo e cominciò a slegare il morsetto.

«TOGLITI QUESTI PENSIERI DALLA MENTE» aggiunse. «ALMENO LA TERZA PERSONA NON AVREBBE DOVUTO PROCURARTI ALCUN PROBLEMA.»

Questo era il momento adatto. Morty ci aveva pensato molto a lungo. Non aveva alcun senso nascondere la cosa. Aveva messo sottosopra l’intero corso della storia futura. Fatti di questo genere tendono ad attrarre l’attenzione della gente. Meglio toglierselo dallo stomaco. Comportarsi come un uomo. Mandar giù la pillola. Mettere le carte in tavola. Menare il can per l’aia non serviva a nulla. Meglio affidarsi alla pietà di lei.

I penetranti occhi blu sfavillarono su di lui.

Morty li guardò di rimando come un coniglio, di notte, che cerca di distogliere lo sguardo da un articolato a sedici ruote il cui guidatore è una specie di mostro da dodici ore di caffeina al giorno che supera i tachimetri dell’inferno.

Fallì.

«No, signora» disse.

«BENE. BEN FATTO. ALLORA, CHE NE PENSI DI QUESTO?»

I pescatori contano sul fatto che una buona mosca secca possa mimare con estrema bravura l’animale vero. Ci sono le mosche adatte per la mattinata. Ci sono poi mosche diverse per quando cala il tramonto. E così via.

Tuttavia la cosa che si trovava fra le trionfanti falangi della Morte era una mosca degli albori del tempo. Era la mosca del crogiolo primordiale. Si era riprodotta su sterco di mammut. Non era il tipo di mosca che sbatte contro i vetri delle finestre, era una di quelle che perfora le pareti. Era un insetto che sarebbe potuto strisciar fuori da sotto la retina dell’acchiappamosche più pesante, grondante veleno e in cerca di vendetta. Strane ali e pezzi penzolanti sporgevano da tutte le parti. Sembrava avere una massa di denti.

«Come si chiama?» chiese Morty.

«IO LA CHIAMERÒ’… ORGOGLIO DI MORTE.» La Morte dette alla cosa un’ultima occhiata di ammirazione e se la infilò nel cappuccio della tunica. «MI SENTO PROPENSA A VEDERE UN PO’ DI VITA QUESTA SERA» disse. «PUOI ESSERE DI SERVIZIO TU, ADESSO CHE HAI COMPRESO COME SI FA. ALMENO SEMBRA.»

«Sì, signora» disse Morty con aria afflitta. Vide la sua vita allungarsi davanti a sé come un odioso tunnel nero privo di una luce al termine.

La Morte tamburellò con le dita sulla scrivania e bofonchiò qualcosa fra sé.

«AH, GIÀ» disse. «ALBERT MI HA COMUNICATO CHE QUALCUNO È ANDATO A ROVISTARE NELLA BIBLIOTECA.»

«Scusi, signora?»

«TIRANDO FUORI LIBRI E LASCIANDOLI IN GIRO. LIBRI RIGUARDANTI GIOVANI FANCIULLE. LUI SEMBRA PENSARE CHE SIA UNA COSA DIVERTENTE.»

Come è già stato rivelato, i Santi Ascoltatori hanno un udito talmente ben sviluppato che possono venire assordati da un bel tramonto. Soltanto per qualche secondo a Morty sembrò che la pelle del suo collo stesse sviluppando degli strani poteri simili, in quanto riuscì a vedere Ysabell rimanere di sasso mentre eseguiva un punto. Udì anche il breve respiro trattenuto che aveva sentito in precedenza, dietro gli scaffali. Si ricordò del fazzoletto di pizzo.

Disse. «Sì, signora. Non accadrà più, signora.»

La pelle sulla parte posteriore del suo collo cominciò a prudergli furiosamente.

«FANTASTICO. ADESSO, VOI DUE POTETE ANCHE ANDARE VIA. FATEVI PREPARARE UN PIC-NIC DA ALBERT O QUALCOSA DEL GENERE. ANDATE A PRENDERVI UN PO’ D’ARIA BUONA. HO NOTATO IL MODO IN CUI VI EVITATE L’UN L’ALTRO.» Diede a Morty una gomitatina cospiratrice… era come essere pungolato da un bastone… e aggiunse: «ALBERT MI HA DETTO CHE COSA SIGNIFICA.»

«Davvero?» chiese Morty malinconicamente. Aveva avuto torto: c’era una luce alla fine del tunnel e si trattava di quella di un lanciafiamme.

La Morte gli fece un’altra di quelle sue strizzatine d’occhio stile supernova.

Morty non la ricambiò. Si girò e arrancò verso la porta, ad una velocità e con un portamento che faceva sembrare la Grande A’Tuin un capretto balzellante.

Era già a metà del corridoio quando sentì l’attutito fruscio di passi alle sue spalle e una mano lo prese per un braccio.

«Morty?»

Lui si voltò e guardò Ysabell attraverso una nebbia di depressione.

«Perché hai lasciato che pensasse che fossi stato tu nella biblioteca?»

«Non lo so.»

«È stato… molto… gentile da parte tua» disse lei con titubanza.

«Davvero? Non riesco a capire che cosa mi sia successo.» Sentì qualcosa in tasca e tirò fuori il fazzoletto. «Questo ti appartiene, immagino.»

«Grazie.» Lei si soffiò il naso molto rumorosamente. Morty era già quasi arrivato in fondo al corridoio, con le spalle incurvate come le ali di un avvoltoio. Lei gli corse dietro.

«Voglio dirti…» cominciò lei.

«Cosa?»

«Volevo dirti grazie.»

«Non c’è di che» bofonchiò lui. «Sarebbe soltanto meglio che tu non portassi più via libri. Pare che la cosa li sconvolga o roba del genere.» Emise quello che riteneva essere una risata priva di spirito.

«Ah!»

«Ah! che cosa?»

«Ah! e basta!»

Morty raggiunse il fondo del corridoio. C’era la porta che dava sulla cucina in cui Albert si sarebbe messo a sghignazzare con l’aria di chi la sa lunga e lui decise che non sarebbe riuscito ad affrontarlo. Si fermò.

«Io ho soltanto preso quei libri per avere un po’ di compagnia» disse la ragazza dietro di lui.

Lui cedette.

«Potremmo fare una passeggiata in giardino» propose al colmo della disperazione, e poi fece in modo di rafforzarsi internamente un po’ e aggiunse: «Senza impegno, intendo dire.»

«Vuoi forse intendere che non mi sposerai?» chiese lei.

Morty rimase inorridito. «Sposarti?»

«Non è forse il motivo per cui mia madre ti ha portato qui?» domandò lei. «Non ha alcun bisogno di un apprendista, dopo tutto.»

«Vuoi dire tutte quelle gomitatine, strizzatine d’occhi e commenti riguardo al fatto che "tutto questo figliolo un giorno sarà tuo"?» disse Morty. «Ho cercato di ignorarli. Non voglio sposarmi con nessuno, per adesso» aggiunse, sopprimendo una immagine mentale della principessa. «E poi certamente non con te, senza offesa.»

«Io non ti sposerei nemmeno se fossi l’ultimo uomo del Disco» replicò dolcemente lei.

Morty si sentì ferito per questa affermazione. Una cosa era non desiderare sposare qualcuno, ma ben diverso era se qualcun altro ti diceva che non voleva sposare te.

«Almeno io non ho l’aspetto di uno che ha passato anni ed anni a mangiare ciambelle in un guardaroba» disse lui, mentre passeggiavano sul praticello nero della Morte.

«Almeno io cammino come se le mie gambe avessero soltanto un ginocchio ciascuna» rispose lei.

«I miei occhi non sono due sbrodolose uova in camicia.»

Ysabell annuì. «D’altra parte, le mie orecchie non assomigliano a qualcosa che sporge crescendo da un albero stecchito. Che significa sbrodolose?»

«Hai presente le uova come le fa Albert?»

«Col bianco tutto appiccicoso, gocciolante e pieno di parti viscide?»

«Esattamente.»

«Una parola appropriata» ammise lei pensierosa. «Ma i miei capelli, tengo a precisare, non assomigliano ad uno scopino per il gabinetto.»

«Certamente, i miei invece non assomigliano ad un istrice fradicio.»

«Ti prego di notare che il mio petto non sembra una grata del tostapane in un sacchetto di carta bagnato.»

Morty lanciò in tralice un’occhiata alla parte superiore dell’abito di Ysabell, che conteneva una dose di grasso sufficiente per tirar su due figliate di Rotweiler e si proibì di commentare.

«Le mie sopracciglia non assomigliano ad una coppia di bruchi» azzardò lui.

«Vero. Ma le mie gambe, suppongo, potrebbero almeno bloccare un maiale in un passaggio.»

«Prego…?»

«Non sono storte» spiegò lei.

«Ah!»

Continuarono a passeggiare attraverso le aiuole di gigli momentaneamente a corto di parole. Alla fine Ysabell si mise davanti a Morty e gli allungò una mano. Lui la strinse in grato silenzio.

«Basta così?» disse lei.

«Più o meno.»

«Benissimo. Ovviamente non ci dovremmo sposare, se non altro per quei poveri figli che potrebbero nascere.»

Morty annuì.

Si sedettero su una roccia che si trovava in mezzo ad una siepe ben tosata. La Morte aveva fatto uno stagno in quell’angolo di giardino, alimentato da un gelido zampillo che sembrava essere vomitato dentro di esso da un leone di pietra. Una grassa carpa bianca si celava in profondità oppure affiorava in superficie fra i neri gigli acquatici vellutati.

«Avremmo dovuto portare delle molliche di pane» disse Morty con atteggiamento galante, optando per un argomento che non offrisse alcuno spunto per controversie.

«Lei non viene mai qui fuori, sai» disse Ysabell, osservando il pesce. «L’ha fatto soltanto per farmi divertire.»

«Non ha funzionato?»

«Non è reale» disse lei. «Nulla è reale qui. Non realmente reale. A lei piace semplicemente agire come un essere umano. In questo momento si sta sforzando moltissimo, hai notato? Penso che tu stia avendo una certo influsso su di lei. Sapevi che una volta ha cercato di imparare a suonare il banjo?»

«Mi sembra più un tipo da organo.»

«Non è riuscita a venirne a capo» disse Ysabell, ignorandolo. «Lei non è in grado di creare, capisci?»

«Hai detto che ha creato questo stagno.»

«È la copia di uno che ha visto da qualche altra parte. Tutto qui, è una copia.»

Morty si assestò meglio, sentendosi a disagio. Un piccolo insetto gli stava camminando lungo una gamba.

«È molto triste» disse il ragazzo, sperando che fosse approssimativamente il tono giusto da adottare.

«Già.»

Lei raccolse una manciata di sassolini dal sentiero e cominciò a gettarli, soprappensiero, nello stagno.

«Le mie sopracciglia sono davvero tanto male?» chiese.

«Uhmm» rispose Morty «temo di sì.»

«Oh.» Pluf, pluf. La carpa la stava osservando carica di disprezzo.

«E le mie gambe?» chiese lui.

«Sì. Mi dispiace.»

Morty fece appello, con grande ansia, a tutto il suo limitato repertorio di banalità e poi cedette.

«Non importa» disse in modo galante. «Almeno tu puoi usare le pinzette.»

«Lei è molto gentile» disse Ysabell, ignorandolo «anche se lo fa distrattamente.»

«Non è esattamente la tua vera madre, no?»

«I miei genitori sono rimasti uccisi attraversando il Grande Nef anni fa. C’è stata una tempesta, penso. Lei mi ha trovato e mi ha portato qui. Non so perché lo abbia fatto.»

«Forse si sentiva in pena per te?»

«Lei non sente nulla. Non intendo dirlo in maniera negativa, mi capisci? È soltanto che non ha nulla con cui sentire, niente come-cavolo-si-chiamano, niente ghiandole. Probabilmente ha pensato di avere pena per me.»

Lei voltò il pallido volto rotondo verso Morty.

«Non voglio sentire una singola parola contro di lei. Cerca di fare del suo meglio. È soltanto che ha sempre talmente tante cose a cui pensare.»

«Mio padre era anche lui un po’ così. Voglio dire, è.»

«Ritengo però che abbia le ghiandole.»

«Penso proprio di sì» disse Morty sentendosi un po’ a disagio. «Non è precisamente una delle cose alle quali ho pensato molto, le ghiandole, voglio dire.»

Ognuno dei due guardò fisso il grosso pesce. La carpa li fissò di rimando.

«Ho appena sconvolto l’intera storia del futuro» disse Morty.

«Ah, sì?»

«Vedi, quando lui ha cercato di uccidere lei io ho ucciso lui, ma il fatto è che, secondo la storia, sarebbe dovuta morire lei e il duca sarebbe diventato re, ma la cosa peggiore, la cosa peggiore è che sebbene lui sia corrotto fino al midollo avrebbe unito le città, alla fine esse avrebbero costituito una federazione e i libri dicono che ci sarebbero stati cento anni di pace e di prosperità. Voglio dire, saresti portato a pensare che ci sarebbe stato un regno di terrore o roba del genere, ma, apparentemente, la storia a volte ha bisogno di questo tipo di persone e invece la principessa sarebbe soltanto un’altra monarca. Voglio dire, non cattiva, magari anche piuttosto buona, ma semplicemente non quella giusta e adesso tutto questo non succederà e la storia sta crollando a brandelli ed è tutta colpa mia.»

Il ragazzo si fermò, aspettando ansiosamente la replica di lei.

«Avevi ragione, sai?»

«Davvero?»

«Avremmo dovuto portare delle molliche di pane» disse. «Immagino che trovino anche delle cose da mangiare nell’acqua, scarafaggi e così via.»

«Hai ascoltato quello che ti ho detto?»

«A che proposito?»

«Oh. Niente. Niente di importante, davvero. Scusami.»

Ysabell sospirò e si alzò in piedi.

«Immagino che tu non veda l’ora di andartene» disse lei. «Sono contenta di avere chiarito questa storia del matrimonio. È stato alquanto piacevole parlare con te.»

«Potremmo instaurare una specie di rapporto odio-odio» disse Morty.

«Generalmente non riesco a parlare con la gente con cui lavora mia madre.» La ragazza sembrava incapace di allontanarsi, come se stesse aspettando che Morty aggiungesse qualcosa.

«Be’, non farlo» fu tutto quello che lui fu in grado di pensare.

«Ritengo che tu debba metterti al lavoro, adesso.»

«Più o meno.» Morty esitò, conscio del fatto che in qualche maniera indefinibile la discussione si fosse spostata dalla secca e stesse ora fluttuando su qualche strana profondità che non riusciva a comprendere fino in fondo.

Ci fu un rumore che…

A Morty fece venire in mente il vecchio giardino di casa sua, provocandogli un fremito di malinconia. Durante i rigidi inverni sulle montagne Ramtop la famiglia allevava nel cortile le resistenti bestie di montagna tharga, gettando loro della paglia quando necessario. Dopo il disgelo primaverile il cortile era aumentato di parecchi centimetri di spessore e aveva sopra una crosta piuttosto solida. Ci si poteva camminare sopra se si stava molto attenti. Se non lo si era, e si sprofondava fino al ginocchio nello sterco, allora il rumore che produceva lo stivale mentre ne veniva estratto, verdastro e fumante assomigliava parecchio al suono dell’anno che cambia, al cinguettio degli uccelli e al ronzare delle api.

Si trattava esattamente di quel rumore. Morty esaminò immediatamente le proprie scarpe.

Ysabell stava piangendo, non con piccoli singulti da damigella ma con enormi singhiozzi a bocca spalancata, come gorgoglii provenienti da un vulcano sottomarino che combattevano l’uno contro l’altro ognuno per essere il primo a risalire in superficie. Erano singhiozzi che esplodevano sotto pressione, maturati in una struggente infelicità.

Morty chiese: «Come?»

Il corpo di lei veniva scosso come il letto di un fiume in una zona terremotata. Lei armeggiò velocemente nelle maniche alla ricerca del fazzoletto, ma esso, date le circostanze, non avrebbe avuto una maggiore utilità rispetto ad un cappellino di carta durante un temporale. Lei cercò di dire qualche cosa, che venne fuori come uno scroscio di consonanti frammiste a singhiozzi.

Morty chiese ancora: «Ehm?»

«Volevo dire, quanti anni pensi che io abbia?»

«Quindici?» tirò ad indovinare lui.

«Ne ho sedici» piagnucolò lei., «E sai da quanto tempo ho sedici anni?»

«Mi dispiace, io non capis…»

«No, non potresti. Nessuno potrebbe.» Lei si soffiò ancora una volta il naso e, nonostante le mani tremanti, riinfilò accuratamente il fazzoletto alquanto bagnato su per una manica.

«A te è permesso di uscire» disse lei. «Tu non sei qui da un periodo sufficientemente lungo da essertene accorto. Il tempo, qui, è immobile, non lo hai notato? Oh, qualcosina passa, ma non si tratta di tempo reale. Lei non può creare il tempo reale.»

«Oh.»

Quando la ragazza riprese a parlare, lo fece con la tipica voce delicata, attenta e soprattutto audace di uno che si è ricomposto nonostante le travolgenti avversità ma che potrebbe lasciarsi nuovamente andare da un momento all’altro.

«Sono una sedicenne da trentacinque anni.»

«Eh?»

«È già stato abbastanza brutto il primo anno.»

Morty ripensò alle ultime poche settimane che aveva trascorso e annuì di solidarietà.

«È questo il motivo per cui hai letto tutti quei libri?» chiese lui. Ysabell abbassò lo sguardo e rigirò un piede nel ghiaietto con atteggiamento imbarazzato.

«Sono molto romantici» riprese. «Ci sono delle storie veramente deliziose. C’era quella della ragazza che bevve del veleno quando il suo ragazzo morì e ce ne era una che invece si buttò da una rupe visto che il padre insisteva nel volerle far sposare un vecchio e un’altra che si affogò piuttosto di sottomettersi a…»

Morty la ascoltava allibito. A giudicare dall’attenta scelta di Ysabell riguardo alle letture era veramente notevole per qualsiasi donna del Disco riuscire a sopravvivere all’adolescenza abbastanza a lungo da logorare un paio di calze.

«…e poi lei pensò che lui fosse morto e si uccise e quando lui si svegliò si uccise a sua volta, e poi c’era quella ragazza…»

Il buon senso suggeriva che almeno qualche donna raggiungesse la terza decade senza suicidarsi per amore, ma il buon senso non sembrava avere nemmeno una particina da comparsa in questo genere di tragedie.[5] Morty si era già accorto che l’amore faceva sentire caldo e freddo, spietato e debole, ma non si era ancora reso conto del fatto che potesse anche far diventare stupidi.

«…guadava a nuoto il fiume ogni notte, ma una notte ci fu una tempesta e quando lui non arrivò lei…»

Morty aveva la netta sensazione che alcune giovani coppie si conoscessero, diciamo, a un ballo del paese, che si trovassero simpatici a vicenda, che uscissero insieme per un anno o due, che qualche volte litigassero, che si riappacificassero, che si sposassero e non si suicidassero affatto.

Lui si accorse che la litania degli amori avversati dalle stelle si stava affievolendo.

«Oh» osservò lui, timidamente. «Non è mai successo che qualcuno, come dire… che sia durato un po’ di più?»

«Amare è soffrire» disse Ysabell. «Ci deve essere moltissima oscura passione.»

«Deve proprio?»

«Assolutamente. E anche angoscia.»

Ysabell sembrò ricordare qualcosa.

«Non hai parlato di un qualcosa che stava crollando a brandelli?» chiese lei con la voce tirata di uno che sta tentando di contenersi.

Morty rifletté un istante. «No» disse.

«Temo di non averti prestato molta attenzione.»

«Non è assolutamente importante.»

Ritornarono fino a casa in silenzio.

Quando Morty rientrò nello studio scoprì che la Morte se ne era andata, lasciando quattro clessidre sulla scrivania. Il grande librone di cuoio era appoggiato su un leggio, accuratamente sigillato.

Sotto le clessidre c’era infilato un appunto.

Morty aveva immaginato che la calligrafia della Morte sarebbe stata o gotica o angolare, stile pietra sepolcrale, invece lei aveva effettuato uno studio classico sulla grafologia prima di scegliere uno stile e aveva adottato una grafia che indicava una personalità equilibrata e ben regolata.

C’era scritto:


Sono andata a pescare. Presentansi una esecuzione in Pseudopolis, una morte naturale a Krull, una caduta letale nelle Montagne del Carrick e una febbre malarica in Ell-Kinte. Hai libero il resto della giornata.


Morty pensava che la storia stesse vagando colpendo a casaccio come un cavo d’acciaio privo di tensione che vibra avanti e indietro attraverso la realtà sferzandola con immensi colpi distruttivi.

La storia non è così. La storia si dipana delicatamente, come un maglione usato. È stata rappezzata e rammendata parecchie volte, rilavorata per adeguarsi a persone diverse, nascosta in una scatola sotto il lavello della censura per essere stagliuzzata e per formare gli stracci da spolvero della propaganda: tuttavia riesce sempre… alla fine… a ritornare alla sua antica e familiare forma. La storia ha l’abitudite di cambiare la gente che pensa di stare cambiando lei. La storia ha sempre qualche asso nella manica sfrangiata. È in giro da un sacco di tempo.

Questo era ciò che stava realmente accadendo.

Il colpo mal assestato della falce di Morty aveva tagliato la storia in due realtà separate. Nella città di Sto Lat la Principessa Keli regnava ancora, con una certa difficoltà e con l’aiuto a tempo pieno del Riconoscitore Reale, che era stato inserito sul ruolino dei pagamenti di corte ed era incaricato del compito di ricordare agli altri che lei esisteva. Nel territorio circostante, tuttavia… oltre la pianura, nelle montagne Ramtop, in tutto l’Oceano Circolare e fino al Rim… la realtà tradizionale continuava a seguire il proprio corso e la riteneva definitivamente morta, il duca era re e il mondo stava procedendo lentamente seguendo i piani prestabiliti, qualsiasi essi fossero.

Il problema era che entrambe le realtà erano vere.

Una specie di orizzonte dell’evento storico si trovava attualmente più o meno ad una ventina di miglia dalla città e non era ancora eccessivamente evidente. Questo succedeva in quanto… be’, chiamiamola la differenza delle pressioni storiche… non era ancora molto grande. Stava però crescendo. Fuori negli umidi campi di cavoli c’era un luccichio nell’aria e un debole sfrigolare, come di cavallette che friggono.

Le persone non alterano la storia più di quanto gli uccelli alterino il cielo, ci tracciano soltanto dei brevi disegni. Centimetro dopo centimetro, implacabile come un ghiacciaio ma ben più fredda, la reale realtà stava ritornando come una pressa verso Sto Lat.


Morty fu la prima persona ad accorgersi della cosa.

Aveva avuto un pomeriggio molto duro. Il montanaro era stato aggrappato al suo appiglio ghiacciato fino all’ultimo istante e il condannato a morte aveva chiamato Morty "lacché della monarchia". Soltanto la vecchietta di centotré anni, che aveva ricevuto la sua ricompensa circondata dai parenti addolorati, gli aveva sorriso e gli aveva detto che sembrava un po’ pallidino.

Il sole del Disco era prossimo all’orizzonte mentre Binky avanzava, affaticato, al canter attraverso i cieli di Sto Lat e Morty guardava giù notando il confine della realtà. Esso si incurvava al di sotto di lui, una mezzaluna di pallida foschia argentea. Morty non sapeva precisamente cosa fosse ma aveva la sgradevole premonizione che avesse qualcosa a che fare con lui.

Tirò le redini del cavallo e lo fece avanzare dolcemente al trotto verso il terreno, toccando terra qualche metro all’interno della muraglia di aria iridescente. Essa si stava muovendo a una velocità di poco inferiore al passo di marcia, sibilando delicatamente mentre fluttuava come un fantasma attraverso l’incombente umidità dei campi di cavoli e dei canali di irrigazione gelati.

Era una notte fredda, quel classico tipo di notte in cui la nebbia e il ghiaccio lottano per la supremazia e ogni suono sembra attutito. E fiato di Binky produceva fiotti di fumo nell’aria immobile. Il cavallo nitrì in maniera delicata, quasi in tono di scusa, e scalpitò sul terreno.

Morty scivolò giù dalla sella e si avvicinò all’interfaccia. Essa scricchiolò leggermente. Strane ombre vi brillavano attraverso, fluttuando, andando alla deriva e scomparendo.

Dopo una breve ricerca, Morty trovò un bastone e lo infilò nella muraglia. Quello produsse misteriose increspature in essa e lentamente ondeggiò e scomparve alla vista.

Morty sollevò lo sguardo mentre una sagoma scura passava sopra la sua testa. Si trattava di un gufo nero, che pattugliava i canali di irrigazione in cerca di qualcosa di piccolo e squittente.

Colpì la strana muraglia producendo uno schizzo di foschia scintillante, lasciando intravvedere una tremolante sagoma di gufo che si allargò e si diffuse finché non si dissolse nel brulicante caleidoscopio.

A quel punto scomparve. Morty riusciva a vedere attraverso l’interfaccia trasparente e fu più che certo che nessun gufo fosse riapparso dall’altra parte. Soltanto mentre si stava arrovellando su cosa stesse accadendo, notò un altro schizzo che non emise alcun rumore a qualche metro di distanza e l’uccello riapparve alla vista, con assoluta indifferenza, e poi sparì attraverso i campi.

Morty si fece coraggio e camminò all’interno della barriera, che non era affatto una barriera. Essa gli fece provare una specie di solletico.

Un istante dopo ne venne fuori anche Binky dietro di lui, con gli occhi che gli roteavano per la disperazione mentre filamenti di interfaccia gli penzolavano dagli zoccoli. Si impennò, scuotendo la criniera come un cane per sbarazzarsi delle fibre di foschia che gli erano rimaste addosso e guardò Morty con espressione implorante.

Morty lo afferrò per le briglie, gli diede qualche leggera pacca sul muso e armeggiò in tasca estraendone poi una zolletta di zucchero alquanto sudicia. Si era reso conto di trovarsi davanti a qualcosa di importante, ma non era ancora del tutto certo di cosa di trattasse.

C’era una strada che correva in mezzo ad un viale di salici malinconici e lugubri. Morty risalì in sella e indirizzò Binky attraverso il campo nell’oscurità gocciolante sotto i rami.

In lontananza riusciva a distinguere le luci di Sto Helit, che non era davvero nulla di più di un paesello, e un debole bagliore al limite del visibile che doveva essere Sto Lat. Lui lo fissò con una certa malinconia.

La barriera lo preoccupava. La poteva vedere strisciare attraverso il campo al di là degli alberi.

Morty era quasi sul punto di incitare Binky a rituffarsi nel cielo quando vide una luce proprio davanti a sé, calda e invitante. Stava filtrando dalle finestre di un largo edificio situato un po’ all’interno rispetto alla strada. Si trattava probabilmente di una luce che emetteva allegria in ogni caso, ma in quell’ambiente e paragonata all’umore di Morty era praticamente entusiasmante.

Mentre il ragazzo cavalcava verso quella luce vide delle ombre che si muovevano contro di essa e riuscì a captare alcuni brandelli di canzoni. Si trattava di una taverna e al suo interno c’erano delle persone che si stavano divertendo, o che comunque godevano di qualcosa che passava per divertimento se si era contadini e si trascorreva la maggior parte del proprio tempo a stretto contatto coi cavoli. Confrontata coi cavoli, qualsiasi cosa può essere considerata divertente.

C’erano degli uomini lì dentro che facevano cose umane poco complesse, del tipo ubriacarsi e dimenticare le parole delle canzoni.

Morty non aveva mai sentito la nostalgia di casa, forse anche perché la sua mente era stata troppo occupata con altre questioni. Adesso però la provava, per la prima volta… una specie di malinconia, non tanto rispetto a un posto, quanto rispetto ad uno stato mentale, rispetto ad essere semplicemente un comune essere umano che si deve preoccupare di problemi assolutamente semplici come il denaro, la malattia e il prossimo…

"Mi farò un goccetto" pensò "e forse mi sentirò meglio."

C’era una scuderia, con la sezione frontale aperta, su uno dei lati dell’edificio principale e lui condusse Binky in quella calda oscurità dall’odore di stallatico in cui erano già sistemati altri cavalli. Mentre Morty slegava il sacchetto del foraggio si chiedeva se il cavallo della Morte provasse, rispetto agli altri cavalli che conducevano uno stile di vita ben poco soprannaturale, le stesse sensazioni che provava lui. Binky aveva un aspetto certamente imponente, se paragonato agli altri che lo guardavano con grande cautela. Era un cavallo vero… le vesciche che Morty aveva sulle mani, che gli erano state procurate dal manico della pala, ne erano una chiara testimonianza… e paragonato agli altri sembrava anche più reale che mai. Più solido. Più cavallino. Qualcosa di leggermente di più che non soltanto vivo.

In effetti, Morty era sul punto di fare una importante scoperta e fu una vera sfortuna che fosse distratto dalla vista dell’insegna della taverna, mentre camminava attraverso il cortile verso il basso portone della stessa. L’artista che l’aveva disegnata non era stato particolarmente dotato, ma non c’era possibilità di confondere la linea delle mascelle di Keli o la massa della sua fiera chioma nel ritratto de "Il Capo della Regina".

Sospirò e spinse la porta, aprendola.

Come un sol uomo, la compagnia lì riunita smise immediatamente di parlare e lo fissò con l’onesto sguardo rurale che lascia immaginare che, per due soldi, tutti i suoi membri ti fracasserebbero una pala in testa e seppellirebbero il tuo corpo sotto un mucchio di letame in una notte di luna piena.

Potrebbe anche valere la pena di soffermarsi un attimo sull’aspetto di Morty, in quanto esso è parecchio mutato durante gli ultimi capitoli. Tanto per dirne una, sebbene egli continui ad avere una gran quantità di gomiti e ginocchia sulla sua persona, essi sembrano essere migrati nelle loro residenze normali, inoltre il ragazzo non si muove più come se le sue giunture fossero legate insieme a casaccio con degli elastici. Prima sembrava avere l’aspetto di chi non sa assolutamente nulla: adesso sembra invece che sappia anche troppo. Qualcosa nei suoi occhi fa intuire che lui abbia visto cose che la gente comune non vede mai, o almeno, non vede mai più di una volta.

Qualcos’altro nel resto del giovane suggerisce poi all’osservatore casuale che provocare qualche inconveniente a questo ragazzo potrebbe rivelarsi un’azione saggia quanto dare un calcione a un nido di vespe. In breve, Morty non ha più l’aspetto di qualcosa che un gatto ha ingerito e poi vomitato.

L’oste allentò la presa sul pesante "riappacificatore" di pruno che teneva sotto al bancone e ricompose i suoi lineamenti in qualcosa che poteva assomigliare, anche se non in maniera eccessiva, ad un allegro sorrisetto di benvenuto.

«Buona sera, vossignoria» disse. «Quale cosa vi potrebbe essere gradita in questa notte fredda e brinosa?»

«Cosa?» chiese Morty, strizzando gli occhi per la vivida luce.

«Vuole dire: che vuoi da bere?» disse un omino con la faccia da furetto che stava seduto accanto al focolare e che stava gettando a Morty il classico sguardo che dà un macellaio ad un campo pieno di agnelli.

«Ehm. Non so» disse Morty. «Avete del succo di stella?»

«Mai sentito parlare di una cosa simile, vossignoria.»

Morty si dette un’occhiata attorno, osservando le facce, illuminate dal bagliore del fuoco, che lo stavano guardando. Erano quelle del genere di persone che viene generalmente considerato il sale della terra. In altre parole, erano tipi duri, ben messi e nocivi per la salute altrui, ma Morty era troppo preoccupato per poterlo notare.

«Che cosa beve la gente qui, allora?»

L’oste gettò un’occhiata in tralice ai suoi clienti, un trucco estremamente astuto considerando che essi gli stavano direttamente di fronte.

«Be’, vossignoria, noi beviamo, preferibilmente "scumble".»

«Scumble?» chiese Morty, mancando di notare le risatine soffocate che si alzarono dietro di lui.

«Esattamente, vossignoria. Fatto con le mele. Insomma, prevalentemente con le mele.»

Questa cosa sembrò a Morty sufficientemente salutare. «Oh, benone» disse. «Allora datemi una pinta di scumble.» Infilò una mano in tasca ed estrasse il sacchetto di monete d’oro che gli aveva dato la Morte. Era ancora abbastanza pieno. Nell’improvviso silenzio della taverna, il debole tintinnio delle monete risuonò come i leggendari Gong di ottone di Leshp, che possono essere uditi in mare aperto durante le notti di tempesta quando la corrente sbatte contro di essi nelle torri sommerse a trecento braccia di profondità.

«Vi prego inoltre di servire a questi gentiluomini quello che desiderano» aggiunse.

Era talmente sopraffatto dal coro di ringraziamenti che non fece particolare attenzione al fatto che ai suoi nuovi amici venissero servite le bevande in bicchierini della dimensione di un ditale, mentre soltanto la sua apparve in un grosso boccale di legno.

Si raccontano moltissime storie riguardo allo scumble e a come viene prodotto negli umidi acquitrini secondo antiche ricette passate in maniera alquanto incerta da padre in figlio. Non è vero che ci siano dentro i ratti o le teste di serpente e nemmeno la polvere da sparo. La storia che narra della pecora morta è una completa invenzione. Possiamo anche lasciare da parte tutte le varianti di quella che narra del bottone dei pantaloni. Ma quella che dice che lo scumble non deve entrare in contatto coi metalli è assolutamente vera, in quanto quando l’oste porse il resto a Morty con scarsa attenzione e il mucchietto di monetine di rame andò a finire su un po’ del liquido che si era versato, esse cominciarono immediatamente a fare la schiuma.

Morty annusò la sua bevanda e poi ne assaggiò un goccettino. Aveva un vago sapore di mele, qualcosa delle mattinate d’autunno e moltissimo del fondo di una legnaia. Tuttavia, non volendo apparire irrispettoso, ne bevve un sorso.

La gente lo guardò, contando sotto voce.

Morty ritenne che ci si aspettasse qualche cosa da lui.

«Buono» disse «molto rinfrescante.» Bevve un altro goccetto. «Ha un tantino di retrogusto» aggiunse «ma vale la pena di provarlo, ne sono certo.»

Si udirono un paio di mormorii di scontento provenire dal fondo del gruppo.

«Ha annacquato lo scumble, ecco come stanno le cose!»

«No, sai benissimo che cosa succede se fai entrare anche una sola goccia d’acqua in contatto con lo scumble.»

L’oste cercò di ignorare i commenti. «Vi piace?» chiese a Morty, più o meno con lo stesso tono di voce usato quando dissero a San Giorgio "Hai ucciso un che cosa?"

«È abbastanza pungente» disse Morty. «E ha qualche cosa delle noci.»

«Scusatemi» disse l’oste e prese gentilmente il boccale dalle mani di Morty. Gli dette un’annusatina e poi si asciugò gli occhi.

«Aaahhhggg» disse. «È proprio la roba giusta.»

Guardò il ragazzo con un’aria che rasentava l’ammirazione. Non tanto per il fatto in sé che avesse bevuto un terzo di pinta di scumble, quanto perché era ancora in posizione verticale e, apparentemente, vivo. Gli restituì il boccale: era come se a Morty fosse stato consegnato un trofeo dopo una incredibile contesa. Quando il ragazzo ne ingollò un altro sorso, parecchi degli osservatori sussultarono. L’oste si chiese di che cosa fossero fatti i denti di Morty e stabilì che si dovese trattare dello stesso materiale del quale era fatto il suo stomaco.

«Non è, per caso, che siete un mago?» gli chiese, tanto per informarsi.

«Mi dispiace, no. Dovrei esserlo?»

"Non lo pensavo nemmeno" meditò fra sé l’oste "questo qui non cammina come un mago e poi non sta fumando nulla." Fissò nuovamente la caraffa di scumble.

C’era qualcosa di storto in tutto questo. C’era qualcosa di storto nel ragazzo. Non sembrava a posto. Appariva…

…più solido di quanto non dovesse essere.

Questa era, ovviamente, una cosa ridicola. Il bancone era solido, il pavimento era solido, i clienti erano solidi più di quanto non si potesse desiderare. E tuttavia, Morty, in piedi lì, con atteggiamento alquanto imbarazzato, a bere con indifferenza un liquido con il quale si sarebbero potute lavare le stoviglie, sembrava emettere un genere di solidità particolarmente potente, una dimensione eccessiva di realtà. I suoi capelli erano più capelli, i suoi vestiti più vestiti, i suoi stivali erano l’archetipo della stivalità. Faceva male la testa soltanto a guardarlo.

Comunque, Morty dimostrò, a quel punto, che dopo tutto era un essere umano. Il boccale gli cadde dalle dita contratte e rotolò sulle pietre del pavimento, e, una volta arrivativi, i resti dello scumble cominciarono a corrodersi una strada attraverso di esse. Indicò con un dito la parete opposta con la bocca che gli si spalancava e richiudeva senza proferir parola.

I clienti affezionati riportarono la loro attenzione alle chiacchiere e ai giochi di asso pigliatutto, rassicurati, ormai, che le cose erano come dovevano essere: adesso Morty si stava comportando in maniera perfettamente normale. L’oste, sollevato per il fatto che la sua bevanda era stata vendicata, si sporse sopra il bancone e dette al ragazzo qualche amichevole pacca sulla spalla.

«È tutto a posto» disse. «Spesso alla gente fa questo effetto, avrete soltanto un forte mal di testa per qualche settimana, non vi preoccupate di questo, una goccia di scumble vi rimetterà in carreggiata.»

È un dato di fatto che il migliore rimedio per i postumi di sbronza da scumble consista nell’ingoiare un pelo del cane che ti ha morso (nel bere insomma un bicchierino della stessa roba che ti ha messo KO), anche se in questo caso sarebbe stato più corretto chiamarlo un dente dello squalo o magari un cingolo del bulldozer.

Morty continuò soltanto ad indicare la parete e a dire con voce tremante: «Non riuscite a vederla? Sta passando attraverso la parete! Sta passando proprio attraverso la parete!»

«C’è un sacco di roba che può passare attraverso i muri dopo la prima volta che si è bevuto lo scumble. Di solito si tratta di affari verdi e pelosi.»

«È la foschia! Non la sentite sfrigolare?»

«Una foschia sfrigolante?» L’oste fissò la parete, che era alquanto spoglia e niente affatto misteriosa eccetto che per un paio di ragnatele. L’urgenza nella voce di Morty, però, lo sconvolse. Avrebbe preferito i soliti mostri squamati. Si sapeva sempre in che acque ci si trovava con quelli.

«Sta attraversando tutta la stanza! Non riuscite a vederla?»

I clienti si guardarono l’un l’altro. Morty li stava facendo sentire a disagio. Uno o due di essi ammisero successivamente di avere avvertito qualche cosa, una specie di solletico ghiacciato, ma che poteva anche essersi trattato di indigestione.

Morty indietreggiò e si aggrappò al bancone. Rabbrividì.

«State a sentire» disse l’oste «uno scherzo è uno scherzo, ma…»

«Voi avevate addosso una camicia verde, prima!»

L’oste abbassò lo sguardo sulla propria persona. Nella voce del ragazzo c’era una sfumatura di terrore.

«Prima di cosa?» balbettò quello. Con suo grande stupore e prima che la mano riuscisse a completare il suo viaggio surrettizio verso il bastone di pruno, Morty balzò al di là del bancone e lo afferrò per il grembiule.

«Voi avete una camicia verde, no?» domandò. «L’ho vista, aveva dei bottoncini gialli!»

«Be’, sì, io ho due camicie.» L’oste cercò di darsi un contegno. «Sono un uomo che ha dei mezzi» aggiunse. «Soltanto che oggi non la indosso.» Non aveva alcuna intenzione di scoprire come facesse Morty a sapere dei bottoncini.

Morty lo lasciò andare e turbinò su se stesso.

«Stanno tutti seduti in posti diversi! Dove si trova l’uomo che stava accanto al camino? È tutto cambiato!»

Corse fuori passando per la porta e si udì un grido soffocato provenire dall’esterno. Sfrecciò nuovamente dentro, con occhi sbarrati, e affrontò la folla terrorizzata.

«Chi ha cambiato l’insegna? Qualcuno ha cambiato l’insegna!»

L’oste si passò nervosamente la lingua sulle labbra.

«Volete dire dopo che è morto il vecchio re?» chiese.

Lo sguardo di Morty lo pietrificò, gli occhi del ragazzo erano due pozze nere di terrore.

«È il nome, quello che voglio sapere!»

«Noi abbiamo… c’è sempre stato lo stesso nome» disse l’uomo, guardando disperatamente i clienti in cerca di sostegno. «Non è così, ragazzi? "Il Capo del Duca".»

Si udì un mormorato coro di assenso.

Morty guardò tutti quanti, visibilmente scosso. Quindi si voltò e corse fuori un’altra volta.

Le persone in ascolto udirono un rumore di zoccoli di cavallo nel cortile che divenne sempre più debole e poi scomparve interamente, come se il cavallo avesse lasciato la faccia della terra.

Non si sentiva alcun suono all’interno della taverna. Gli uomini cercavano di evitare lo sguardo l’uno dell’altro. Nessuno voleva essere il primo ad ammettere di avere visto quello che riteneva di avere appena visto.

E così fu lasciato all’oste il compito di incamminarsi barcollando attraverso la stanza, di allungare la mano e di passare le dita sulla superficie familiare e rassicurante del legno del portone. Era solido, intatto, tutto quello che un portone doveva essere.

Tutti avevano visto Morty correrci attraverso per tre volte. L’unica cosa era che non l’aveva aperto.


Binky scalpitò per raggiungere una certa altitudine, sollevandosi quasi verticalmente con le zampe, mandando l’aria e il suo fiato ad avvolgersi dietro di sé in una specie di scia di vapore. Morty si teneva aggrappato con le ginocchia, le mani e, soprattutto, con la forza di volontà, col volto seppellito nella criniera del cavallo. Non guardò verso il basso finché l’aria attorno a lui non fu gelida e inconsistente quanto il sugo di un ospizio.

Sopra la sua testa, le Luci del Centro brillavano silenziosamente attraverso il cielo invernale. Sotto…

…si notava una specie di sottocoppa rovesciata, del diametro di parecchie miglia, argentea al chiarore delle stelle. Il ragazzo poteva vederci delle luci all’interno. Le nuvole ci scorrevano dentro.

No. Osservò più attentamente. Le nuvole stavano sicuramente fluttuando verso di esso, c’erano delle nuvole al suo interno, ma le nuvole che si trovavano dentro erano più esili, si muovevano in una direzione leggermente differente e, a dire il vero, non sembrava che avessero molto a che fare con quelle che stavano fuori. C’era anche qualcos’altro… oh, sì, le Luci del Centro. Esse conferivano alla notte all’esterno dell’emisfero fantasma una leggera sfumatura verdastra, ma, sotto la volta, non se ne scorgeva traccia.

Era come guardare in un pezzo di un mondo diverso, quasi identico all’originale, che era stato innestato sul Disco. Il tempo atmosferico era un po’ differente lì dentro e le Luci del Centro non vi si notavano, quella sera.

E il Disco lo stava attaccando, circondando e respingendo nella non esistenza. Morty non poteva notare da lassù che esso stesse diventando sempre più piccolo, ma nell’orecchio della sua mente riusciva a percepire lo sfrigolio di locusta di quella cappa mentre essa passava attraverso il territorio, mutando nuovamente le cose in quelle che sarebbero dovute essere. La realtà stava guarendo se stessa.

Morty sapeva, senza nemmeno doverci pensare, che cosa c’era al centro della cupola. Era ovvio anche da lì che essa fosse sistemata esattamente al di sopra di Sto Lat.

Morty cercò di non pensare a che cosa sarebbe successo quando la cupola si fosse ridotta alla dimensione di una stanza, e poi a quella di una persona, infine a quella di un uovo. Non ci riuscì.

La Logica avrebbe detto a Morty che proprio in quello consisteva la sua salvezza. Nel giro di un paio di giorni il problema si sarebbe risolto da sé: i libri della biblioteca sarebbero stati nuovamente giusti, il mondo si sarebbe riassestato nella sua forma normale come una benda elastica. La Logica gli avrebbe detto che interferire una seconda volta con quel processo avrebbe soltanto peggiorato le cose. La Logica gli avrebbe detto tutto questo, se soltanto anche la Logica non si fosse presa la sua serata di libera uscita.


La luce viaggia piuttosto lentamente sul Disco a causa dell’effetto frenante dell’imponente campo magico e, al momento, la parte del Rim che ospitava l’isola di Krull si trovava direttamente sotto la piccola orbita del sole ed era, quindi, ancora primo pomeriggio. Era anche abbastanza caldo, visto che il Rim trattiene più calore e può contare quindi su un gradevole clima marittimo.

In effetti Krull, insieme con gran parte di quella che, per mancanza di una migliore parola, deve essere chiamata la zona costiera che si affacciava sul Bordo, era un’isola fortunata. I soli nativi Krulliani che non l’apprezzavano erano quelli che non guardavano dove mettevano i piedi oppure i sonnambuli e, a causa della selezione naturale, non erano rimasti molti rappresentanti di entrambe la categorie comunque. Tutte le società hanno la loro razione di persone che vivono ai margini di esse, tuttavia a Krull queste non avevano mai una opportunità di rientrare entro il margine.

Terpsic Mims non era un emarginato. Era un pescatore. C’è una bella differenza: pescare è più costoso. Tuttavia Terpsic era felice. Stava osservando una piuma infilzata su un turacciolo che si muoveva con grazia sulle delicate acque costeggiate dai canneti del fiume Hakrull e la sua mente era quasi completamente sgombra. L’unica cosa che avrebbe potuto disturbare il suo umore sarebbe stato, in realtà, catturare un pesce, in quanto catturare pesci era l’unico lato della pesca che lui temeva. Essi erano freddi, scivolosi, facili al panico e gli davano ai nervi e i nervi di Terpsic non erano in condizione ottimale.

Finché non catturava nulla, Terpsic Mims era uno dei pescatori più felici del Disco, visto che il fiume Hakrull si trovava a sette chilometri da casa sua e quindi a sette chilometri dalla signora Gwladys Mims, con la quale egli aveva vissuto sei mesi di felice vita coniugale. Questo era però successo una ventina di anni prima.

A Terpsic non spiaceva eccessivamente il fatto che un altro pescatore si sistemasse nelle sue vicinanze, lungo la riva. Ovviamente alcuni pescatori si sarebbero opposti ad una tale infrazione all’etichetta, ma per quanto riguardava Terpsic tutto quello che avesse effettivamente ridotto le sue possibilità di acchiappare una di quelle schifose bestiacce era il benvenuto. Con la coda dell’occhio notò che il nuovo arrivato pescava con la mosca, interessante passatempo che Terpsic aveva accantonato in quanto obbligava a rimanere a casa decisamente troppo a lungo per preparare tutto l’equipaggiamento.

Non aveva mai visto una mosca da pesca di quel tipo. Esistevano mosche umide e mosche secche, ma questa in particolare si proiettò nell’acqua con un gemito da denti a sega e fece scappare tutti i pesci all’indietro.

Terpsic osservò con affascinato orrore mentre l’indistinta figura, che si trovava dietro ai salici, continuava a gettare l’esca a ripetizione.

L’acqua si mise quasi a bollire mentre l’intera fauna ittica del fiume smaniava per allontanarsi in tutta fretta da quel terrore sibilante e, sfortunatamente, un grosso luccio impazzito abboccò all’amo di Terpsic a causa di un mero stato di confusione mentale.

In un momento l’uomo si trovò in piedi sulla riva e nell’istante successivo, in una tenebra verdastra e rimbombante, perdendo tutto il fiato in bolle, guardando la propria vita balenargli davanti agli occhi in un lampo e, perfino nel momento in cui stava affogando, temendo di rivedere il periodo che andava dal giorno del suo matrimonio al presente. Gli venne in mente che Gwladys sarebbe presto rimasta vedova e questo lo rallegrò un poco. In effetti Terpsic aveva sempre cercato di guardare il lato più allettante delle cose e si rese conto, mentre sprofondava felicemente nel limo, che da quel momento in poi la sua vita sarebbe soltanto potuta migliorare…

E una mano lo afferrò per i capelli e lo strattonò, riportandolo alla superficie che fu improvvisamente carica di dolore. Orribili macchie blu e nere gli fluttuarono davanti agli occhi. Sentiva i polmoni in fiamme. La sua gola era un canale di pura agonia.

Mani… mani fredde, mani congelanti, mani che sembravano guanti pieni di dadi… lo estrassero dall’acqua e lo rigettarono sulla riva su cui, dopo qualche vano tentativo di continuare ad affogare, lui si sentì alla fine rigettato in quella che passava per essere la sua vita.

Terpsic non si arrabbiava di frequente, visto che Gwladys non lo approvava. Però si sentiva preso in giro. Era venuto al mondo senza essere stato consultato, si era sposato perché Gwladys e suo padre avevano voluto che così fosse e ora la sola ultima realizzazione umana che era unicamente sua gli era stata così rudemente strappata via. Qualche secondo prima ogni cosa era stata tanto semplice. Adesso era di nuovo tutto complicato.

Non che lui volesse morire, questo era ovvio. Gli dei erano molto precisi rispetto all’argomento suicidio. Soltanto che non aveva desiderato di essere salvato.

Attraverso occhi arrossati, in una maschera di fango e alghe, egli sbirciò verso la sagoma indistinta che gli stava sopra e gridò: «Perché mai mi hai dovuto salvare?»

La risposta lo preoccupò. Ci ripensò mentre ritornava a casa con le scarpe che gli facevano cif-ciaf per l’acqua. Essa gli rimase fissa nel fondo della mente mentre Gwladys si lamentava per lo stato dei suoi vestiti. Gli vorticò nel cervello mentre sedeva e starnutiva con atteggiamento colpevole, accanto al fuoco, visto che il fatto che lui fosse malato era un’altra cosa che Gwladys non approvava. Mentre giaceva rabbrividendo nel letto, essa si piazzò nei suoi sogni come un iceberg. In preda alla febbre egli balbettò: «Che diavolo voleva dire con: "PER DOPO"…?»


Le torce brillavano nella città di Sto Lat. Interi squadroni di uomini erano incaricati di rinnovarle costantemente. Le strade rilucevano. Le fiammelle sfrigolanti ricacciavano indietro le ombre che si erano fatte innocentemente i fatti propri tutte le notti per secoli e secoli. Esse illuminavano gli antichi angoli in cui gli occhi di ratti allibiti scintillavano nelle profondità delle loro tane. Esse costringevano i ladri a restare in casa. Esse rilucevano sulle foschie notturne, formando un’aureola di luce giallastra che oscurava la alte e fredde fiamme che si diffondevano dal Centro. Come prima cosa, però, esse brillavano sul volto della Principessa Keli.

Si trovava ovunque. Ricopriva ogni superficie piatta. Binky passò al galoppo leggero lungo le strade inondate di luce tra la Principessa Keli sulle porte, sui muri e sui frontoni. Morty notò cartelloni raffiguranti la sua amata su ogni superficie in cui i muratori erano stati in grado di fare attaccare la colla di farina.

Cosa anche più strana, nessuno sembrava degnare queste immagini di grande attenzione. Anche se la vita notturna di Sto Lat non era colorita e carica di avvenimenti come quella di Ankh-Morpork, allo stesso modo in cui un cestino della carta straccia non può competere con una discarica municipale, le strade erano comunque stracolme di gente e stridule delle grida di mercanti ambulanti, giocatori d’azzardo, venditori di dolciumi, saltimbanchi, donne per appuntamenti, borsaioli e vi era anche qualche occasionale commerciante onesto che era arrivato lì per sbaglio e adesso non riusciva a raccogliere il denaro sufficiente per andarsene. Mentre Morty cavalcava oltre loro gli arrivarono alle orecchie brandelli di conversazioni in almeno una mezza dozzina di lingue: con una consapevolezza quasi intorpidita lui si rese conto di essere in grado di capirle tutte.

Alla fine smontò e condusse il cavallo lungo la Wall Street, alla vana ricerca della casa di Bentagliato. La trovò solamente in quanto una protuberanza sul cartellone più vicino stava emettendo farfuglii e bestemmie attutiti.

Morty allungò una mano con circospezione e scostò un pezzo di carta.

«Graffie mille» disse la gargolla che fungeva da battaglio. «Roba da non crederfi, eh? Un momento la vita è normale e il momento dopo ti trovi la bocca impaftata di colla.»

«Dov’è Bentagliato?»

«Fi è trafferito al palazzo.» Il battaglio lanciò al ragazzo un’occhiata impudica e strizzò un occhio di ferro battuto. «Fono arrivati degli uomini e hanno portato via tutta la fua roba. Poi ne fono arrivati altri e hanno cominciato ad appiccicare immagini della fua ragazza da tutte le parti. Baftardi» aggiunse.

Morty avvampò.

«La sua ragazza?»

Il battaglio, essendo di fede demoniaca, sogghignò per il suo tono. La risata risuonò come unghie che passano su una lima.

«Già» disse. «Anche a me è fembrato che faceffero le cofe un po’ troppo in fretta.»

Morty era già risalito in sella a Binky.

«Afcolta!» gridò il battaglio dietro la sua schiena. «Afcolta! Non mi potrefti ftaccare da qui, ragazzo?»

Morty tirò le redini di Binky così selvaggiamene che il cavallo indietreggiò e danzò follemente a ritroso sull’acciottolato, quindi allungò una mano e afferrò l’anello del battaglio. La gargolla lo guardò in volto e si sentì improvvisamente un battaglio davvero terrorizzato. Gli occhi di Morty balenavano come crogioli, la sua espressione era simile a una fornace, la sua voce aveva un calore sufficiente a far fondere il ferro. Il battaglio non sapeva che cosa egli sarebbe stato in grado di fare, ma preferiva non scoprirlo.

«Come mi hai chiamato?» sibilò Morty.

Il battaglio rifletté velocemente. «Fignore?» rispose.

«E che cosa mi hai chiesto di fare?»

«Ftaccarmi da qui?»

«Non ho alcuna intenzione di farlo.»

«D’accordo» disse il battaglio «d’accordo. A me va beniffimo cofì. Vorrà dire che refterò attaccato qui ancora un po’, allora.»

Guardò Morty partire al galoppo lungo la strada e rabbrividì dal sollievo, sbatacchiandosi leggermente fra sé per il nervosismo.

«Te la seeeei cavaaata per un peeelo» disse uno dei cardini.

«Chiudi il becco!»


Morty passò davanti ai soldati della guardia notturna, il cui compito sembrava consistere nel suonare campane e gridare il nome della Principessa, anche se lo facevano con una certa qual incertezza, visto che lo ricordavano con fatica. Lui li ignorò, in quanto stava ad ascoltare alcune voci nella sua testa che gli dicevano:

"Lei ti ha incontrato soltanto una volta, pazzo. Perché dovrebbe interessarsi di te?"

"Già, però io le ho salvato la vita…"

"Questo significa che essa appartiene a lei. Non a te. Inoltre, lui è un mago."

"E allora? I maghi non sarebbero tenuti a… a uscire con le ragazze, sono dediti al celebrato."

"Celebrato?"

"Non sono tenuti a fare sai-quel-che-intendo…"

"Cosa, proprio mai sai-quel-che-intendo?" disse la voce interna e suonava come se stesse ridacchiando.

"Si dice che faccia male alla magia" pensò Morty amaramente.

"Che buffo posto per tenere la magia."

Morty era sconcertato. "Chi sei?" chiese.

"Io sono te, Morty. Il tuo io interno."

"Benissimo, vorrei che tu ti levassi dalla mia testa, è già sufficientemente affollata con me."

"Abbastanza" disse la voce "stavo soltanto cercando di esserti di aiuto. Ma ricordati, se dovessi mai avere bisogno di te, tu sarai sempre nei paraggi."

La voce si dissolse.

"Bene" pensò tristemente Morty "dovevo proprio essere io. Sono l’unica persona che mi chiama Morty."

Il colpo provocato da questa rivelazione, fece quasi passare inosservato il fatto che, mentre Morty era stato impegnato nel monologo, aveva cavalcato attraverso le porte del palazzo. Ovviamente le persone cavalcavano attraverso le porte del palazzo ogni giorno, ma la maggior parte di esse aveva bisogno che esse fossero state prima aperte.

Le guardie che si trovavano dall’altra parte si erano irrigidite per il terrore, in quanto avevano pensato di avere visto un fantasma. Probabilmente sarebbero rimaste anche più terrorizzate se avessero saputo che quello che avevano visto era tutto meno che un fantasma.

Anche la guardia posta all’esterno delle porte della grande sala aveva visto tutto, ma aveva avuto il tempo per recuperare una parte della sua presenza di spirito, o quel poco che ne era rimasta, e per sollevare la lancia mentre Binky trottava attraverso il cortile.

«Alt!» gracchiò. «Alt. Chi va là?»

Morty lo vide per la prima volta.

«Cosa?» disse, ancora perso nei propri pensieri.

La guardia si passò la lingua sulle labbra aride e indietreggiò. Morty scivolò giù dalla sella e cominciò ad avanzare.

«Volevo dire, che succede qui?» provò a dire di nuovo la guardia, con un misto di cocciutaggine e stupidità suicida che lo segnalava per una prossima promozione.

Morty afferrò con delicatezza la lancia e la scansò dall’arco della porta. Mentre così faceva, la luce della torcia gli illuminò il volto.

«Morty» disse a voce bassa.

Questo sarebbe stato sufficiente per qualsiasi altro soldato normale, ma questo aveva la stoffa dell’ufficiale.

«Volevo dire: amico o nemico?» farfugliò quello, cercando di evitare lo sguardo di Morty.

«Quale preferisci?» sogghignò lui. Non era ancora precisamente il ghigno dalla sua Padrona, ma era comunque un ghigno piuttosto efficace e non aveva nemmeno una traccia di umorismo.

La guardia si rilassò, sollevata, e si scostò da una parte.

«Passa, amico» disse.

Morty avanzò impettito attraverso la sala verso la scala che conduceva agli appartamenti reali. La sala era cambiata moltissimo dall’ultima volta che l’aveva vista. I ritratti della Principessa Keli si trovavano dappertutto: avevano perfino sostituito gli antichi e laceri stendardi di guerra nelle ombreggiate altezze sottostanti il tetto. Chiunque avesse camminato all’interno del palazzo avrebbe trovato impossibile fare più di qualche passo senza vedere un ritratto. Una parte della mente di Morty si chiese il perché, proprio mentre un’altra parte di essa si preoccupava della luccicante cupola che si stava chiudendo, avanzando ad una velocità stabile sopra la città, tuttavia la parte preponderante della sua mente era un crogiolo incandescente e fumante di rabbia, perplessità e gelosia. "Ysabell aveva ragione" pensò "questo deve essere l’amore."

«Il ragazzo che cammina attraverso le pareti!»

Morty sollevò di scatto la testa. Bentagliato si trovava in piedi in cima alle scale.

Anche il mago era cambiato parecchio, pensò Morty amaramente. Forse però non poi così tanto. Sebbene stesse indossando una tunica bianca e nera ricamata e carica di lustrini, sebbene il suo cappello a punta fosse alto un metro e decorato con più simboli mistici di una mappa dentale e sebbene le sue scarpe di velluto rosso avessero fibbie d’argento e le punte che si attorcigliavano come serpenti, aveva ancora parecchie macchie sul colletto e sembrava stare masticando. Osservò Morty mentre quello saliva su per le scale verso di lui.

«Sei arrabbiato per qualche cosa?» domandò. «Ho cominciato a lavorare al tuo problema, ma poi mi sono trovato invischiato in altre cose. Davvero difficile, passare attraverso le… perché mi stai fissando in questo modo?»

«Che ci fai tu qui?»

«Potrei farti la stessa domanda. Ti va una fragola?»

Morty gettò un’occhiata al cestino di legno che il mago teneva in mano.

«In pieno inverno?»

«A dire il vero sono cavolini di Bruxelles con uno spruzzo di magia.»

«Sanno di fragola?»

Bentagliato sospirò. «No, sanno di cavolini di Bruxelles. L’incantesimo non funziona alla perfezione. Pensavo che avrebbero potuto tirare su il morale della principessa, ma me li ha tirati dietro. È un peccato sciuparli. Serviti pure.»

Morty lo guardò a bocca spalancata.

«Te li ha tirati dietro?»

«Con grande precisione, purtroppo. Gran bel caratterino la giovane signora.»

"Ciao" disse una voce all’interno della mente di Morty "sono di nuovo te e ti faccio notare che le possibilità che la principessa abbia anche soltanto distrattamente pensato a fare sai-quel-che-intendo con questo tipo sono, nella migliore delle ipotesi, remote."

"Vattene" pensò Morty. Il suo subconscio gli stava creando dei problemi. Sembrava avere accesso diretto a parti del suo corpo che, al momento, desiderava ignorare.

«Perché sei qui?» chiese a voce alta. «Ha forse qualcosa a che vedere con tutti questi ritratti?»

«È stata una bella idea, vero?» disse raggiante Bentagliato. «Ne sono anche io alquanto fiero.»

«Scusami» disse debolmente Morty. «Ho avuto una giornata pesante. Penso che mi andrebbe di sedermi da qualche parte.»

«C’è la Sala del Trono» disse Bentagliato. «Non c’è mai nessuno lì a quest’ora della notte. Dormono tutti.»

Morty annuì e poi guardò con atteggiamento sospettoso il giovane mago.

«E allora tu che ci fai in piedi?» chiese.

«Ehm» disse Bentagliato «ehm, io ho soltanto pensato di fare un giretto per vedere se c’era qualcosa in dispensa.»

Rabbrividì.[6]

È il momento di fare osservare che anche Bentagliato si trova a notare il fatto che Morty, perfino un Morty stanco per la cavalcata e la mancanza di sonno, sembra, per così dire, brillare dall’interno ed essere, nonostante tutto, in qualche strano modo che non ha niente a che vedere con la dimensione, più vivo del solito. Questo accade in quanto Bentagliato è, per allenamento, un osservatore migliore rispetto alle altre persone e sa che, nelle questioni riguardanti l’occulto, la risposta più ovvia è quasi sempre quella sbagliata.

Morty riesce a passare, se è sovrappensiero, attraverso le pareti e a bere tranquillamente un ammazzabudella liscio non tanto perché si stia trasformando in un fantasma, ma in quanto sta diventando pericolosamente reale.

In effetti, quando il ragazzo inciampa mentre essi camminano lungo il corridoio e riesce a passare attraverso un pilastro di marmo senza nemmeno accorgersene, è ovvio che il mondo sta diventando un posto alquanto privo di sostanza dal suo punto di vista.

«Sei appena passato attraverso un pilastro di marmo» osservò Bentagliato. «Come hai fatto?»

«Davvero?» Morty si guardò attorno. Il pilastro aveva un aspetto abbastanza solido. Cercò di infilarci un braccio e si ammaccò un gomito.

«Avrei potuto giurare che tu l’avessi fatto» disse Bentagliato. «I maghi notano sempre questo genere di cose, sai.» Si infilò una mano in tasca.

«Allora hai anche notato la cupola di foschia che si trova attorno al paese?» disse Morty.

Bentagliato guaì. Il barattolo che aveva in mano gli cadde e si frantumò sulle piastrelle: si sentì un odore di condimento da insalata leggermente rancido.

«Di già?»

«Non so nulla di un "di già"» disse Morty «però c’è una specie di parete scricchiolante che scivola sul terreno e nessuno sembra preoccuparsene e…»

«A che velocità si muove?»

«…cambia le cose!»

«L’hai vista? A che distanza si trova? A che velocità si muove?»

«È chiaro che io l’abbia vista. Ci ho cavalcato attraverso due volte è stato come…»

«Ma tu non sei un mago e quindi…»

«A proposito che ci fai tu qui…»

Bentagliato trasse un profondo respiro. «Tutti zitti!» gridò.

Ci fu silenzio. Quindi il mago afferrò Morty per un braccio. «Vieni con me» disse, spingendolo lungo il corridoio. «Non so chi tu sia esattamente e spero di avere abbastanza tempo per poterlo scoprire un giorno o l’altro, ma sta per succedere qualcosa di veramente terribile e io penso che tu sia, in qualche modo, coinvolto.»

«Qualcosa di terribile? Quando?»

«Dipende dalla distanza dell’interfaccia e dalla sua velocità di avanzamento» disse Bentagliato, trascinando Morty lungo un passaggio laterale. Quando si trovarono davanti a una piccola porta di quercia lui gli lasciò andare il braccio e si infilò nuovamente la mano in tasca, tirandone fuori un pezzetto di formaggio rinsecchito e un pomodoro sgradevolmente molliccio.

«Tieni un po’. Grazie.» Ricominciò ad armeggiare nella tasca, ne estrasse una chiave e aprì la porta.

«Ucciderà la principessa, non è vero?» chiese Morty.

«Sì» disse Bentagliato «o meglio no.» Si fermò con la mano sulla maniglia. «È stata una intuizione abbastanza perspicace da parte tua. Come facevi a saperlo?»

«Io…» Morty esitò.

«La principessa mi ha raccontato un storia molto strana» disse Bentagliato.

«Mi immagino di sì» disse Morty. «Se era incredibile, è comunque vera.»

«Tu sei lui, non è vero? L’assistente della Morte?»

«Sì. Tuttavia al momento non sono in servizio.»

«Sono felice di sentirtelo dire.»

Bentagliato chiuse a chiave la porta alle loro spalle e cercò a tastoni un candeliere. Si udì una specie di puff, si vide un lampo di luce azzurrognola e si sentì un lamento.

«Scusami» disse lui, succhiandosi un dito. «Incantesimo del fuoco. Non mi è mai riuscito benissimo.»

«Tu stavi aspettando l’arrivo di quella cosa a forma di cupola, non è così?» chiese Morty con apprensione: «Che succederà quando essa si chiuderà?»

Il mago si sedette pesantemente sui resti di un tramezzino al bacon.

«Non ne sono esattamente sicuro» rispose. «Sarà molto interessante da guardare. Ma non dalla parte interna, temo. Quello che penso succederà è che la settimana scorsa non sarà mai esistita.»

«La principessa morirà improvvisamente?»

«Tu non mi comprendi fino in fondo. Lei sarà morta da una settimana. Tutto questo…» agitò le mani nell’aria in modo vago «non sarà mai accaduto. L’assassino avrà compiuto il suo lavoro. Tu avrai eseguito il tuo. La storia si sarà guarita da sé. Sarà tutto a posto. Dal punto di vista della storia, almeno. Non ne esiste davvero un altro.»

Morty guardò fuori dalla stretta finestra. Poteva vedere il cortile e le strade illuminate all’esterno, in cui un ritratto della principessa sorrideva al cielo.

«Parlami dei ritratti» disse. «Sembrano fare parte di una specie di magia.»

«Non sono certo che stia funzionando. Vedi, le persone cominciavano ad essere un po’ scombussolate e non sapevano il perché e questo rendeva la situazione anche peggiore. Le loro menti si trovavano in una realtà mentre i loro corpi erano in un’altra. Molto sgradevole. Non riuscivano ad abituarsi all’idea che lei fosse ancora viva. Io ho pensato che i ritratti potessero essere una buona idea ma, sai, le persone non vedono assolutamente quello che le menti suggeriscono loro che non esiste.»

«Avrei potuto dirtelo già io» disse Morty amaramente.

«Ho fatto andare in giro i banditori della città durante il giorno» continuò Bentagliato «pensavo che se la gente fosse riuscita a credere in lei, allora questa nuova realtà sarebbe potuta divenire quella vera.»

«Eh?» disse Morty. «Si voltò dalla finestra.» Che intendi dire?

«Insomma… mi capisci… io contavo sul fatto che se un numero sufficiente di persone avesse creduto in lei, avrebbero potuto cambiare la realtà. Per gli dei funziona così. Se la gente smette di credere in un dio, quello muore. Se moltissimi credono in lui quello diventa più forte.»

«Non lo sapevo. Pensavo che gli dei fossero semplicemente dei.»

«A loro non piace che la voce si diffonda» disse Bentagliato, tergiversando con il cumulo di libri e pergamente che aveva sulla sua tavola da lavoro.

«Be’, questa cosa potrebbe valere per gli dei perché essi sono speciali» disse Morty. «Le persone sono… più solide. Non funzionerebbe per le persone.»

«Non è affatto vero. Supponiamo che tu esca di qui e cominci a passeggiare avanti e indietro per il palazzo. Una delle guardie, alla fine, ti vedrebbe, penserebbe che sei un ladro e farebbe scoccare un dardo dalla sua balestra. Voglio dire, nella sua realtà, tu saresti un ladro. La cosa non sarebbe effettivamente la verità ma tu saresti morto esattamente come se lo fosse. Le credenze sono molto potenti. Io sono un mago. Noi sappiamo bene queste cose. Guarda qui. Tirò fuori un libro dall’ammasso di detriti che aveva di fronte a sé e lo aprì al pezzo di pancetta che aveva usato come segnalibro. Morty guardò da sopra le sue spalle e corrugò la fronte per gli arzigogoli della scrittura magica. Essa si muoveva sulla pagina, girandosi e contorcendosi nello sforzo di cercare di non potere essere letta da un non-mago e l’effetto in generale era alquanto sgradevole.»

«Che cos’è questo?» chiese.

«È il Libro della Magia di Alberto Malich il Mago» rispose Bentagliato «una specie di libro di teoria magica. Non è una buona idea guardare le parole in modo troppo fisso, a loro dà fastidio. Guarda, qui dice…»

Le sue labbra si mossero senza emetter suono. Piccole perle di sudore gli apparvero sulla fronte e decisero di scendere insieme per vedere che cosa stesse facendo il suo naso. Gli occhi gli divennero acquosi.

Ad alcune persone piace mettersi comode a leggere un buon libro. Nessuno in possesso di un set completo di biglie gradirebbe mettersi seduto a leggere un libro di magia, perché anche le singole parole hanno una vita privata e vendicativa e, per farla breve, leggerle risulta una specie di lotta Indiana mentale. Molti giovani maghi hanno tentato di leggere un libro di magia troppo impegnativo per loro e la gente che ha udito le urla ha rinvenuto poi soltanto le loro scarpe a punta dalle quali si alzava il classico fil di fumo e un libro che era, magari, appena appena un po’ più grasso. Possono accadere cose talmente folli ai lettori nelle biblioteche magiche che sentirsi la faccia manipolata da mostruosità a tentacoli che provengono dalle Dimensioni Sotterranee può sembrare, al confronto, un leggero massaggio.

Per fortuna Bentagliato aveva il libro in una versione ridotta e alcune delle pagine più sconvolgenti erano state incollate insieme (nonostante questo, durante le notti tranquille il mago poteva udire le parole imprigionate che grattavano in maniera irritante all’interno della loro prigione, come un ragno rinchiuso in una scatola di fiammiferi: tutti quelli che si sono trovati seduti accanto a una persona che usa un Walkman saranno in grado di immaginare con precisione assoluta il genere di rumore).

«Ecco qui il punto» disse Bentagliato. «Dice che perfino gli dei…»

«L’ho già visto!»

«Cosa?»

Morty indicò con un dito tremante il libro.

«Lui!»

Bentagliato gli gettò una strana occhiata ed esaminò la pagina di sinistra. C’era un figura di un mago attempato che teneva in mano un libro ed una candela con atteggiamento di dignità quasi-terminale.

«Quello non fa parte della magia» disse lui in modo risentito «è soltanto l’autore del libro.»

«Che c’è scritto sotto la figura?»

«Ehm. C’è scritto "Se avete tratto gaudio da questo tomo potreste essere interessati ad altri volumi di…»

«No, proprio sotto la figura, intendevo dire!»

«È facile. È il vecchio Malich in persona. Lo conoscono tutti i maghi. Voglio dire, è stato lui che ha fondato l’Università.» Bentagliato si mise a ridacchiare. «C’è un’antica statua che lo raffigura nella Grande Sala e durante la Settimana Stracciata, una volta, ci sono salito sopra e ho messo un…»

Morty continuava a fissare l’immagine.

«Dimmi» chiese con voce pacata «la statua aveva forse una goccia che scendeva dalla punta del naso?»

«Direi proprio di no» rispose Bentagliato. «Era di marmo. Ma non riesco assolutamente a capire che cosa ti sconvolga tanto. Moltissima gente sa che aspetto avesse. Lui è famoso.»

«È vissuto moltissimo tempo fa, vero?»

«Duemila anni, mi sembra. Ascolta, non so perché…»

«Eppure scommetto che non è morto» aggiunse Morty. «Sommerto che, un giorno, è semplicemente scomparso. È così?»

Bentagliato rimase in silenzio per un istante.

«È buffo che tu dica una cosa del genere» disse lentamente. «Ho udito una leggenda a questo proposito. Si è imbattuto in qualcosa di veramente misterioso, dicono. Dicono che sia andato a finire nelle Dimensioni Sotterranee mentre cercava di eseguire un rito di AshkEnte al contrario. Tutto quello che hanno trovato è il suo cappello. Davvero tragico. L’intera città in lutto per un giorno soltanto per un cappello. Non era nemmeno un cappello particolarmente bello: aveva un sacco di bruciacchiature.»

«Alberto Malich» disse Morty fra sé. «Bene. Fantastico.»

Tamburellò le dita sulla tavola, sebbene il suono risultasse sorprendentemente attutito.

«Mi spiace» disse Bentagliato. «Non riesco nemmeno a fare dei buoni tramezzini con la melassa.»

«Mi sembra che l’interfaccia si stia muovendo ad un lento passo di marcia» riprese Morty, leccandosi le dita sovrappensiero. «Puoi fermarla con la magia?»

Bersagliato scosse la testa. «Non io. Mi metterebbe al tappeto» disse allegramente.

«Che ti succederà allora, quando arriverà?»

«Oh, tornerò a vivere a Wall Street. O meglio, non ne sarò mai andato via. Tutto questo non sarà mai accaduto. Un vero peccato. La cucina qui è abbastanza buona e mi lavano la biancheria gratis. Quanto hai detto che era lontana, a proposito?»

«Mi sembra più o meno trenta chilometri.»

Bentagliato roteò gli occhi verso il cielo e mosse le labbra. Alla fine disse: «Questo significa che arriverà approssimativamente a mezzanotte di domani, proprio nel momento dell’incoronazione.»

«Di chi?»

«Di lei.»

«Ma lei è già una regina, no?»

«In un certo senso, sì, ma ufficialmente non è regina finché non sarà incoronata.» Bentagliato fece una specie di ghigno, il suo volto si trovava in chiaroscuro nella luce di candela, e aggiunse: «Se vuoi un suggerimento per comprendere questa cosa puoi considerarla come la differenza che esiste fra smettere di vivere ed essere morto.»

Venti minuti prima, Morty si era sentito tanto stanco da poter mettere radici. Adesso riusciva a sentire una specie di formicolio nel sangue. Era il genere di energia frenetica da notte fonda che si sa benissimo si pagherà più o meno verso il mezzogiorno dell’indomani; per il momento, però, sentiva che doveva mettersi in azione oppure i suoi muscoli sarebbero schizzati via dalla pura vitalità.

«Voglio vederla» disse. «Se tu non puoi fare niente, forse però potrei fare qualche cosa io.»

«Ci sono delle guardie fuori dalla sua porta» disse Bentagliato.

«Te lo dico soltanto a titolo di informazione. Non penso nemmeno lontanamente che esse possano fare la minima differenza.»


Era mezzanotte ad Ankh-Morpork, ma nella grande città gemella l’unica differenza esistente fra il giorno e la notte era che… be’, era più scuro. I mercati erano affollati di persone, gli spettatori erano ancora densamente ammassati attorno alle catapecchie delle prostitute, i secondi arrivati nelle eterne e bizantine faide cittadine fluttuavano silenziosamente lungo le fredde acque del fiume con pesi di piombo attaccati ai piedi, i trafficanti di svariati piaceri illeciti e a volte anche illogici portavano avanti i propri commerci clandestini, i borseggiatori borseggiavano, i coltelli rilucevano alla luce delle stelle nei vicoli, gli astrologi cominciavano il loro lavoro giornaliero e, nelle Tenebre, un banditore che aveva perso la strada agitava una campanella e gridava: «È mezzanotte e tutto va beeaaarrrggghhh…»

Tuttavia la Camera di Commercio di Ankh-Morpork non sarebbe stata entusiasta dell’affermazione che l’unica vera differenza fra la sua città e una palude, consisteva nel numero delle gambe degli alligatori, e, a dire il vero, nei quartieri scelti di Ankh, che tendevano a trovarsi sulla zona collinare dove c’era una possibilità che soffiasse un filo di vento, le notti erano gradevoli e profumate di abiscinia e fiori di cecillia.

Quella notte in particolare, la collina era anche profumata di salnitro, in quanto era il decimo anniversario dell’elezione del Patrizio[7] e lui aveva invitato qualche amico per un drink, nel caso specifico cinquecento, e stava offrendo uno spettacolo di fuochi artificiali. Le risate e l’occasionale gorgoglìo di passione riempivano i giardini del palazzo e la serata era appena arrivata a quell’interessante stadio in cui ognuno aveva bevuto troppo per il proprio carattere, ma non ancora esattamente a sufficienza da stramazzare al suolo. È il genere di stadio in cui una persona compie delle azioni che ricorderà poi, paonazzo di vergogna, più in là nella vita, del tipo di soffiare attraverso una trombetta di carta, ridendo tanto da sentirsi male.

In effetti duecento degli ospiti del Patrizio, stavano ora caracollando e facendosi strada, sbattendo i piedi, impegnati nella Danza del Serpente, una curiosa tradizione di Morpork che consisteva nell’ubriacarsi per benino, nel tenere per la vita la persona che si aveva davanti e poi nel traballare e ridacchiare fragorosamente in un lungo serpentare che si intrufolava nel maggior numero di stanze possibili, preferibilmente in quelle che contenevano suppellettili frangibili, mentre si batteva un piede più o meno a tempo con il ritmo, o almeno a tempo con il ritmo di una qualsiasi altra persona. Questa danza stava ormai proseguendo da una mezz’ora ed era passata attraverso ogni stanza del palazzo, coinvolgendo anche due troll, il cuoco, il primo boia del Patrizio, tre camerieri, un borsaiolo che si trovava lì di passaggio e un piccolo dragone di palude.

In un punto imprecisato, più o meno al centro della danza, si trovava il grasso Lord Rodley di Quirm, erede delle favolose proprietà Quirm, la cui preoccupazione attuale era data dalle dita aguzze che gli stavano aggrappate alla vita. Immerso nel bagno d’alcool, il suo cervello cercò di attirare la sua attenzione.

«Ehi» gridò quello alle proprie spalle, mentre oscillavano per la decima ilare volta attraverso l’immensa cucina «non stringere così, per favore.»

«SONO TERRIBILMENTE SPIACENTE.»

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