Terry Pratchett Morty l’apprendista

Per Arianna


Questa è la vivida stanza illuminata da luci di candela in cui viene custodita la durata di ogni vita… scansia su scansia, tozze clessidre, una per ogni persona vivente, riversano la loro finissima sabbia dal futuro nel passato. Il sibilo condensato dei granelli che cadono fa ruggire la stanza come fosse il mare.

Questa è invece la padrona della stanza, che incede impettita attraverso di essa con aria preoccupata. Il suo nome è Morte.

Tuttavia non si tratta di una Morte qualsiasi. Questa è la Morte la cui sfera d’azione specifica, be’, in realtà non è affatto una sfera, ma è il Mondo Disco che è piatto e sta appoggiato sulla schiena di quattro elefanti giganti che si trovano in piedi sul guscio dell’enorme tartaruga spaziale Grande A’Tuin ed è circondato da una cascata che riversa le sue acque all’infinito nello spazio.

Gli scienziati hanno calcolato che le reali probabilità di esistenza di una cosa effettivamente assurda come questa siano una su un miliardo.

I maghi, invece, hanno calcolato che le probabilità stimate una su un miliardo si avverano nove volte su dieci.

La Morte procede attraverso il pavimento di piastrelle bianche e nere producendo un rumore secco con le dita dei piedi di sole ossa, bofonchiando all’interno del cappuccio, mentre le sue dita scheletriche contano le file delle clessidre indaffarate.

Alla fine sembra averne trovata una che la soddisfa, la solleva delicatamente dalla sua scansia e la porta accanto alla candela più vicina.

La tiene in modo che la luce ci possa brillare sopra e guarda con intensità il piccolo punto in cui il bagliore si riflette.

Lo sguardo fisso che proviene da quelle scintillanti orbite vuote comprende il mondo della tartaruga, che avanza attraverso le profondità dello spazio col carapace inciso dalle comete e butterato dalle meteore. Un giorno perfino la Grande A’Tuin morirà, la Morte lo sa: quella sì che sarebbe una bella sfida.

Tuttavia il suo sguardo si focalizza più in profondità verso la magnificenza verde-azzurrina del Disco stesso, che gira lentamente sotto il suo piccolo sole orbitante.

Ora esso si muove in direzione della grande catena montuosa chiamata Ramtop. Le montagne Ramtop sono caratterizzate da profonde vallate, inaspettati picchi e da una geografia considerevolmente più complessa di quanto non sappiano che farsene. Hanno un loro clima particolare, carico di piogge a goccioloni grossi quanto granate, venti sferzanti e permanenti tempeste temporalesche. Alcuni dicono che il motivo consiste nel fatto che la catena delle montagne Ramtop è patria dell’antica e selvaggia magia. Attenzione, alcune persone direbbero qualsiasi cosa.

La Morte strizza gli occhi per aggiustare la visione in profondità. Ora vede la campagna erbosa sui declivi delle montagne.

Ora vede il fianco di una collina in particolare.

Ora vede un campo.

Ora vede un ragazzo che corre.

Ora osserva.

Ora, con una voce simile a lastre di piombo che cadono sul granito dice: «Sì.»


Non c’era alcun dubbio che ci fosse qualche cosa di magico nel suolo di quella zona collinosa e irregolare che… a causa dello strano colore che essa conferiva alla flora locale… era conosciuta come la contea erbosa d’ottarino. Tanto per fare un esempio, si trattava di uno dei pochi posti sul Disco in cui le piante producevano varietà retro-annuali, altrimenti dette re-annuali.

Le piante retro-annuali, sono quelle che crescono al contrario nel tempo. Si seminano i semi quest’anno ed essi maturano l’anno passato.

La famiglia di Morty si era specializzata nel distillare vino dalle vigne retro-annuali. Quel tipo di vino era molto forte e ricercato dai veggenti, in quanto, ovviamente, permetteva loro di vedere il futuro. L’unica seccatura era che si prendeva il mal di testa la mattina precedente e si doveva bere moltissimo per riuscire a farlo passare.

I coltivatori delle piante retro-annuali erano generalmente uomini robusti e seri, molto dediti all’introspezione e al preciso studio del calendario. Un contadino che dimentica di seminare i semi normali perde soltanto il raccolto, mentre chiunque si dimentichi di seminare i semi di una messe che è già stata raccolta dodici mesi prima rischia di turbare l’intero tessuto della causalità, per non parlare poi dell’estremo imbarazzo in cui si viene a trovare.

Un’altra cosa che risultava estremamente imbarazzante per la famiglia di Morty era che il figlio minore non fosse affatto molto serio, e che avesse più o meno lo stesso talento per l’agricoltura che si sarebbe potuto notare in una stella di mare morta. Non che fosse un incapace, ma possedeva quel genere di vaga e allegra incapacità che gli uomini seri imparavano presto a temere. C’era qualcosa di infettivo, forse perfino di letale, in essa. Era un ragazzo alto, dai capelli rossi e pieno di lentiggini, con il tipo di corpo che sembra essere soltanto marginalmente sotto il controllo del suo proprietario: sembrava essere stato costruito con "troppe" ginocchia.

In quel particolare giorno si stava scapicollando attraverso i campi dell’altopiano, agitando le braccia e gridando.

Il padre e lo zio lo guardavano con aria sconsolata dalle mura di pietra.

«Quello che non capisco» disse il padre, Lezek «è che gli uccelli non scappano nemmeno via. Io scapperei via se me lo vedessi arrivare addosso.»

«Eh. Il corpo umano è una cosa meravigliosa. Voglio dire, le sue gambe vanno un po’ dovunque ma riesce, nonostante tutto, a raggiungere una discreta velocità.»

Morty raggiunse il fondo di un solco. Un piccione ben rimpinzato barcollò via lentamente dal suo cammino.

«Ha senz’altro delle buone qualità, son sicuro» disse Lezek con grande cautela.

«Ah. Certamente, è il resto di lui che non ne ha.»

«In casa è piuttosto ordinato. Non mangia molto» disse Lezek.

«No, questo lo vedo.»

Lezek lanciò una occhiata di sbieco al fratello che stava guardando con occhio fisso il cielo.

«Ho sentito dire che hai un posto in più nella tua fattoria, Hamesh» disse.

«Sì. Ma ho già assunto un apprendista, no?»

«Davvero?» disse Lezek con aria triste. «E quando è successo?»

«Ieri» gli rispose il fratello, mentendo con la velocità di un serpente a sonagli. «Tutto firmato e pattuito. Mi dispiace. Ascolta, non ho assolutamente niente contro il tuo Morty, vedi, è il ragazzo più caro che potresti desiderare di incontrare, soltanto che…»

«Lo so, lo so» disse Lezek. «Non sarebbe in grado di trovarsi il sedere usando entrambe le mani.»

Fissarono la figura in lontananza. Il ragazzo era caduto a terra. Alcuni piccioni gli si erano ammassati attorno per ispezionarlo.

«Non è stupido, bada bene» disse Hamesh. «Non è almeno quello che si definirebbe uno stupido.»

«È certamente dotato di cervello» ammise Lezek. «Qualche volta comincia a pensare ed è tanto concentrato che gli devi dare uno scappellotto per attirare la sua attenzione. La nonna gli ha insegnato a leggere, sai. Devo ammettere che questa cosa gli ha surriscaldato la mente.»

Morty si era alzato in piedi, inciampando sul proprio vestito.

«Dovresti avviarlo a un mestiere» disse Hamesh, con atteggiamento pensoso. «Magari alla religione. Oppure alla magia. I maghi leggono moltissimo.»

Si guardarono l’un l’altro. In entrambe le loro menti si insinuò un barlume di quello che Morty sarebbe potuto essere in grado di combinare se avesse messo le sue mani bene intenzionate su un libro di magia.

«D’accordo» disse Hamesh tutto d’un fiato. «Forse qualcos’altro. Ci devono essere un sacco di cose in cui potrebbe applicarsi.»

«Comincia a pensare troppo, questo è il problema» disse Lezek. «Guardalo adesso. Non ci si mette a pensare su come si fa a scacciare gli uccelli, lo si fa e basta. Questo almeno vale per un ragazzo normale.»

Hamesh si grattò il mento, pensieroso.

«Potrebbe anche diventare il problema di qualcun altro» disse.

L’espressione di Lezek non mutò, ma ci fu un leggero cambiamento attorno ai suoi occhi.

«Che cosa intendi dire?» chiese.

«C’è la fiera a Sheepridge la settimana prossima. Tu lo metti a disposizione come apprendista, capisci, e il suo nuovo maestro avrà il compito di rimetterlo in sesto. Questa è la legge. Fai in modo che venga assunto e la cosa è vincolante.»

Lezek guardò, attraverso il campo, suo figlio che stava ora esaminando una roccia.

«Non vorrei mai che gli succedesse qualcosa, bada bene» disse con fare dubbioso. «Siamo abbastanza contenti di lui, io e sua madre. Ci si abitua alle persone.»

«Sarà per il suo stesso bene, vedrai. Fai di lui un uomo.»

«Ah, certo. C’è di sicuro un bel po’ di materia grezza» sospirò Lezek.


Morty cominciava a sentirsi interessato alla roccia. Essa aveva dentro di sé delle conchiglie a spirale, reliquie dei primi giorni del mondo quando il Creatore aveva tirato fuori le creature dalla pietra, nessuno sapeva perché.

Morty si interessava di moltissime cose. Per esempio del perché i denti degli uomini combinassero così bene uno accanto all’altro. A questo problema si era dedicato davvero parecchio. C’era poi il mistero del perché il sole venisse fuori durante il giorno invece che di notte quando la luce sarebbe tornata utile. Conosceva la spiegazione comune che però non riusciva a soddisfarlo.

In breve, Morty era una di quelle persone che risultano ben più pericolose di un sacco stracolmo di serpenti a sonagli. Era determinato a scoprire la logica che stava dietro all’universo.

E la cosa sarebbe stata difficile, in quanto non ne esisteva alcuna. Il Creatore aveva avuto una miriade di idee decisamente degne di nota quando aveva messo insieme il mondo, ma il concetto di renderlo comprensibile non aveva fatto parte di quelle.

Gli eroi tragici si lamentano sempre quando gli dei si interessano a loro, ma è la gente che gli dei ignorano che si accolla i compiti davvero improbi.

Suo padre gli stava gridando dietro qualcosa, come sempre. Morty scagliò la roccia verso un piccione, che era quasi troppo pieno per caracollare via dalla sua strada, e ritornò a casa passando attraverso i campi.


Questo fu il motivo per cui Morty e suo padre scesero giù attraverso le montagne verso Sheepridge alla Vigilia della Notte della Posta del Cinghiale con le misere cose che appartenevano al ragazzo contenute in un sacco legato sul dorso di un mulo. Il paese non consisteva in molto di più dei quattro lati di una piazza lastricata, su cui erano allineati i negozi che fornivano tutti i beni di consumo industriali alla comunità contadina.

Cinque minuti dopo, Morty uscì dalla bottega di un sarto indossando una specie di grembiule marrone dalla funzione imprecisata che gli stava malissimo, e che era stato, senza alcun dubbio, restituito da un precedente proprietario e gli lasciava un notevole spazio a disposizione per la crescita, sempre che si supponesse che lui sarebbe cresciuto fino a diventare un elefante a diciannove zampe.

Suo padre lo osservò con sguardo critico.

«Davvero grazioso» disse «per quel che costa.»

«Pizzica» replicò Morty. «Penso che ci siano delle altre cose qui dentro con me.»

«Almeno un migliaio di ragazzi nel mondo sarebbero veramente grati per un bel, caldo…» Lezek fece una pausa e poi rinunciò… «vestito come questo, figlio mio.»

«Non potrei dividerlo con loro?» chiese Morty tutto speranzoso.

«Devi avere un bell’aspetto» disse Lezek in tono severo. «Devi riuscire a fare una buona impressione, emergere dalla folla.»

Su questo non esisteva alcun dubbio. Ci sarebbe riuscito. Si diressero verso la calca che si stava ammassando sulla piazza, ognuno dei due intento ai propri pensieri. Solitamente a Morty piaceva visitare il paese con la sua atmosfera cosmopolita e gli strani dialetti dei villaggi distanti cinque e perfino dieci miglia: questa volta, tuttavia, si sentiva sgradevolmente in apprensione, come se potesse ricordare qualcosa che non era ancora successo.

La fiera sembrava funzionare in questo modo: gli uomini che cercavano lavoro stavano in piedi, in ranghi irregolari, al centro della piazza. Molti di essi esibivano piccoli simboli sui cappelli per mostrare a tutti il tipo di lavoro in cui avevano esperienza… i pastori portavano un fiocco di lana, i carrettieri una matassina di crine di cavallo, i decoratori d’interni una striscia di vistosa stoffa da tappezzeria e così via.

I ragazzi che cercavano un posto come apprendista si erano radunati nella parte della piazza rivolta verso il Centro.

«Devi soltanto andare lì e restare fermo: qualcuno verrà e ti offrirà un posto da apprendista» disse Lezek con la voce venata di incertezza. «Sempre che a qualcuno piaccia il tuo aspetto, insomma.»

«E come fanno a stabilirlo?» chiese Morty.

«Be’» disse Lazek e si fermò. Hamesh non glielo aveva affatto spiegato. Fece appello a tutta la sua limitata conoscenza del mercato, che si restringeva alle vendite di capi di bestiame e buttò lì: «Suppongo che ti contino i denti, o roba del genere. Si assicurano che tu non ansimi e che i tuoi piedi siano a posto. Io non direi nulla sul fatto di sapere leggere, questa cosa tende a sconvolgere la gente.»

«E poi che succede?» chiese Morty.

«Poi tu parti e impari un mestiere» disse Lezek.

«Che mestiere in particolare?»

«Be’… la falegnameria è una buona prospettiva» azzardò Lezek. «Oppure il ladrocinio. Qualcuno deve pur farlo.»

Morty si guardò i piedi. Era un figliolo ossequioso, quando se ne ricordava e, se diventare un apprendista era quello che ci si aspettava da lui, allora era assolutamente determinato a diventare uno bravo. Tuttavia, la falegnameria non suonava particolarmente promettente… il legno aveva una caparbia vitalità autonoma e una tendenza a scheggiarsi. I ladri ufficiali, poi, erano molto rari nelle montagne Ramtop visto che la gente non era sufficientemente ricca per poterseli permettere.

«D’accordo» rispose alla fine «andrò a provare. Ma che succederà se non troverò un posto come apprendista?»

Lezek si grattò la testa.

«Non lo so» disse. «Voglio soltanto che tu aspetti fino alla fine della fiera. A mezzanotte. Immagino.»


Si stava ormai approssimando la mezzanotte.

Un leggero strato di ghiaccio cominciò a incresparsi sull’acciottolato. Nella decorativa torre dell’orologio che sovrastava la piazza, un paio di piccoli automi delicatamente scolpiti frullarono fuori da sportelli che si trovavano sul quadrante dell’orologio e batterono il quarto d’ora.

Mancavano quindici minuti a mezzanotte. Morty rabbrividì, ma le vampate cremisi della vergogna e dell’ostinazione gli bruciavano dentro, più ardenti dei declivi dell’Inferno. Si soffiò sulle dita tanto per fare qualcosa e fissò in alto il cielo ghiacciato, cercando di evitare gli sguardi dei pochi ritardatari che erano rimasti ancora alla fiera.

La maggior parte dei proprietari di bancarelle avevano fatto fagotto e se ne erano andati. Perfino l’uomo che vendeva polpette calde aveva smesso di pubblicizzare la sua merce gridando e, privo di ogni riguardo per la sua sicurezza personale, ne stava mangiando una.

L’ultima giovane promessa che si trovava vicino a Morty era svanita ore prima. Si trattava di un giovanotto con gli occhi storti che aveva un naso aquilino perennemente gocciolante, e l’unico accattone patentato di Sheepridge aveva dichiarato che fosse materiale ideale. Il ragazzo che stava dall’altra parte di Morty aveva finito con l’essere preso come giocattolaio. Uno alla volta, erano andati via tutti… i muratori, i maniscalchi, gli assassini, i commercianti di tessuti pregiati, i bottai, i truffatori e i contadini. Nel giro di pochi minuti sarebbe arrivato l’anno nuovo e un centinaio di ragazzi avrebbe iniziato, con grandi speranze, la propria carriera: nuove e valide vite di utile servizio si dipanavano di fronte a loro.

Morty si chiese, afflitto, come mai lui non fosse stato scelto. Aveva cercato di assumere un aspetto rispettabile e aveva guardato tutti i potenziali maestri diritto negli occhi per dare loro l’impressione di avere un carattere eccellente e qualità estremamente apprezzabili.

Questo sembrava però non avere sortito l’effetto giusto.

«Ti va una polpetta?» gli chiese suo padre.

«No.»

«Le sta vendendo a un prezzo bassissimo.»

«No. Grazie.»

«Oh!»

Lezek esitò.

«Potrei chiedere a quell’uomo se ha bisogno di un apprendista» disse, cercando di essere d’aiuto. «Il mercato alimentare è molto affidabile.»

«Non penso che ne abbia bisogno» disse Morty.

«No, probabilmente no» confermò Lezek. «Immagino che sia un commercio per un uomo solo. Adesso poi se ne sta anche andando. Sai che ti dico, te ne lascerò un po’ della mia.»

«A dire il vero non ho molta fame, papà.»

«C’è pochissimo scarto.»

«No. Ma grazie lo stesso.»

«Oh.» Lezek si lasciò leggermente andare. Ballonzolò attorno per far scorrere un po’ di sangue nei piedi e fischiò un paio di note prive di melodia fra i denti. Sentiva che avrebbe dovuto dire qualche cosa, che avrebbe dovuto fornire un qualche consiglio, che avrebbe dovuto spiegare che la vita aveva i suoi alti e bassi, che avrebbe dovuto mettere un braccio attorno alle spalle del figlio e parlargli in modo esplicito dei problemi della crescita, che avrebbe dovuto chiarirgli … in breve… che il mondo è un buffo vecchio posto in cui non si dovrebbe mai, metaforicamente parlando, essere tanto orgogliosi da declinare l’offerta di una ottima polpetta di carne calda.

Adesso erano soli. Il ghiaccio, l’ultimo dell’anno, serrava la sua morsa sui sassi.

Su nella torre che si trovava sopra di loro una ruota dentata scattò, spostò una leva, rilasciò un dente d’arresto e fece cadere giù un grave peso di piombo. Si avvertì un terribile rumore cigolante e metallico e gli sportelli sul quadrante dell’orologio si spalancarono, facendo uscire i pupazzi del carillon. Agitando a scatti i loro martelli, come se fossero afflitti da una artrite robotica, essi cominciarono ad annunciare l’arrivo del nuovo giorno.

«Be’, ecco fatto» disse Lezek, speranzoso. Dovevano trovare un posto in cui andare a dormire… la notte di della Posta del Cinghiale non era adatta per camminare attraverso le montagne. Forse c’era una stalla da qualche parte…

«Non è ancora mezzanotte fino all’ultimo rintocco» disse Morty con voce assente.

Lezek scrollò le spalle. La semplice forza dell’ostinazione di Morty lo stava sconfiggendo.

«D’accordo» disse. «Allora aspetteremo.»

A quel punto sentirono il clip-clop di zoccoli che rimbombavano nella piazza deserta ben più fragorosamente di quanto non avrebbe dovuto permettere la normale acustica. A dire il vero, clip-clop era un termine assolutamente inadeguato per il genere di rumore che riecheggiava nella testa di Morty: clip-clop suggeriva l’immagine di un giocoso piccolo pony, che doveva avere addosso, possibilmente, un cappellino di paglia con due fori per farci passare le orecchie. Una strana sfumatura in questo rumore rendeva completamente chiaro il fatto che non ci fossero cappellini di paglia come optional.

Il cavallo entrò in piazza passando dalla strada del Centro, mentre il vapore gli si alzava a spirali dagli enormi e bianchi fianchi umidi e delle scintille si sollevavano dai ciottoli sotto i suoi zoccoli. Trottava in maniera baldanzosa, come un destriero da carica di guerra. Decisamente non aveva addosso alcun cappellino di paglia.

L’alta figura che gli stava in groppa era ben coperta contro il freddo. Quando il cavallo raggiunse il centro della piazza il cavaliere smontò, lentamente, e armeggiò con qualcosa che si trovava dietro la sella. Alla fine lui… o lei… tirò fuori un sacco del foraggio, lo fissò sopra le orecchie del cavallo e gli diede un’amichevole pacca sul collo.

L’aria cominciò ad assumere una qualità spessa, untuosa, e le profonde ombre attorno a Morty acquistarono ai bordi una sfumatura di arcobaleni blu e purpurei. Il cavaliere avanzò verso di lui, col nero mantello che svolazzava e i piedi che producevano dei leggeri ticchettii sui ciottoli. Erano gli unici rumori che si potevano sentire… il silenzio aveva attanagliato la piazza come se le avesse compresso sopra enormi cumuli di bambagia.

Quell’effetto impressionante venne alquanto attenuato da una lastra di ghiaccio.

OH, BASTARDA.

Non si trattava precisamente di una voce. Le parole erano certamente presenti, tuttavia erano arrivate nella testa di Morty senza preoccuparsi di passare prima attraverso le orecchie.

Lui corse in avanti per aiutare la figura caduta a terra e si trovò ad afferrare una mano che non era nulla di più se non lucido osso, levigato e alquanto ingiallito, come una vecchia palla da biliardo. Il cappuccio della sagoma cadde all’indietro e un nudo teschio voltò le orbite vuote nella sua direzione.

Tuttavia esse non erano completamente vuote. Nelle loro profondità, come se fossero finestre che guardavano attraverso abissi spaziali, c’erano due piccole stelle azzurre.

A Morty venne in mente che si sarebbe dovuto sentire terrorizzato, e così rimase alquanto scioccato nello scoprire che non lo era affatto. C’era uno scheletro seduto lì, di fronte a lui, che si sfregava le ginocchia bofonchiando fra sé, ma era uno scheletro vivente, destava una notevole impressione ma, per qualche strambo motivo, non era particolarmente terrificante.

«GRAZIE, RAGAZZO» disse il teschio. «COME TI CHIAMI?»

«Ehm» disse Morty. «Mortimer, signore. Però mi chiamano Morty.»

«MA GUARDA CHE COINCIDENZA» disse il teschio. «AIUTAMI A RIMETTERMI IN PIEDI.»

La figura si sollevò barcollando, spazzolandosi il vestito. Adesso Morty poteva vedere che essa aveva una pesante cintura attorno alla vita, dalla quale pendeva una spada dall’elsa bianca.

«Spero che non si sia fatto male, signore» disse lui cortesemente.

Il cranio sogghignò. Era ovvio, pensò Morty, non aveva un gran che da scegliere.

«NON MI SON FATTA NULLA, NE SONO CERTA.» Il teschio si guardò attorno e sembrò notare allora per la prima volta Lezek, che pareva essersi congelato sul posto. Morty ritenne che fosse necessaria una spiegazione.

«Mio padre» disse, cercando di spostarsi in modo protettivo di fronte all’Oggetto in Mostra Numero Uno senza procurargli offesa. «Mi scusi, signore, ma lei è la Morte?»

«ESATTO. IL RAGAZZO MERITA IL MASSIMO PUNTEGGIO PER QUANTO RIGUARDA L’OSSERVAZIONE.»

Morty deglutì.

«Mio padre è un buon uomo» disse. Rifletté per un istante, poi aggiunse «Abbastanza buono. Preferirei che lei lo lasciasse in pace, se per lei è lo stesso. Non so che cosa lei gli abbia fatto, ma mi piacerebbe che la smettesse. Senza offesa.»

La Morte fece un passo indietro, piegando il cranio da una parte.

«HO SEMPLICEMENTE POSTO NOI DUE AL DI FUORI DEL TEMPO PER QUALCHE ISTANTE» disse. «LUI NON VEDRÀ NÉ UDRÀ NULLA CHE LO DISTURBI. NO, RAGAZZO, È PER TE CHE SONO VENUTA.»

«Per me?»

«STAI CERCANDO UN IMPIEGO?»

Una luce di speranza albeggiò in Morty. «Lei sta cercando un apprendista?» chiese.

Le orbite si voltarono verso di lui, con i loro puntini che balenavano.

«OVVIAMENTE.»

La Morte agitò una mano ossuta. Ci fu un’ondata di luce purpurea, una specie di "puff" visibile e Lezek si scongelò. Sopra la sua testa, gli automi del carillon proseguirono il loro lavoro di annunciare la mezzanotte, quando al Tempo venne permesso di tornare indietro.

Lezek strizzò gli occhi.

«Non ti ho visto qui per un momento» disse. «Mi dispiace… dovevo essere distratto.»

«STAVO OFFRENDO AL SUO RAGAZZO UN LAVORO» disse la Morte. «CONFIDO NEL FATTO CHE QUESTA COSA INCONTRI LA SUA APPROVAZIONE.»

«Quale ha detto che è il suo mestiere, scusi?» chiese Lezek parlando ad uno scheletro vestito di nero senza mostrare nemmeno un barlume di sorpresa.

«IO CONDUCO LE ANIME NELL’ALTRO MONDO» disse la Morte.

«Ah» disse Lezek «è chiaro, scusi, avrei dovuto immaginarlo dal vestito. Lavoro davvero necessario, molto sicuro. Ha un’impresa solida?»

«SÌ, SONO IN GIRO DA PARECCHIO TEMPO» rispose la Morte.

«Bene. Bene. Non avevo mai pensato che potesse essere un lavoro adatto per Morty, sa, ma è davvero molto buono, sempre molto affidabile. Come si chiama?»

«MORTE.»

«Papà…» incalzò Morty.

«Non mi sembra di conoscere questa ditta» disse Lezek. «Dove ha sede, precisamente?»

«DALLE PIÙ ESTREME PROFONDITÀ DEL MARE ALLE ALTITUDINI CHE NEMMENO L’AQUILA PUÒ RAGGIUNGERE» rispose la Morte.

«Mi sembra più che sufficiente» annuì Lezek. «Bene, io…»

«Papà…» disse Morty tirando il padre per la giubba.

La Morte appoggiò una mano sulla spalla di Morty.

«QUELLO CHE TUO PADRE VEDE E SENTE NON È QUELLO CHE VEDI E SENTI TU» disse. «NON LO TURBARE. PENSI CHE LUI GRADIREBBE DI VEDERMI… IN CARNE E OSSA, PER COSÌ DIRE?»

«Ma tu sei la Morte» disse Morty. «Tu vai in giro ad uccidere la gente!»

«IO? UCCIDERE?» disse la Morte evidentemente offesa. «CERTO CHE NO. LE PERSONE VENGONO UCCISE MA QUESTI SONO AFFARI LORO. IO MI PRENDO SOLTANTO CURA DI ESSE DA QUEL MOMENTO IN POI. DOPO TUTTO, SAREBBE UN MONDO MALEDETTAMENTE STUPIDO SE LE PERSONE VENISSERO UCCISE SENZA MORIRE, NON TI PARE?»

«Be’, sì…» disse Morty con espressione dubbiosa.

Morty non aveva mai sentito la parola "intrigato". Essa non era regolarmente in uso nel vocabolario di famiglia. Tuttavia una scintilla della sua anima gli disse che c’era qualche cosa di misterioso, di affascinante e di non interamente orribile nella faccenda e che se lui si fosse fatto scappare quella occasione avrebbe passato il resto della propria vita a rammaricarsene. E ripensò anche a tutte le umiliazioni subite durante quella giornata, alla lunga camminata che lo attendeva per tornare a casa…

«Ehm» cominciò a dire «non devo morire per ottenere il posto, no?»

«ESSERE MORTO NON È INDISPENSABILE.»

«E… le ossa…?»

«NO, SE NON VUOI.»

Morty riprese a tirare il fiato. Aveva cominciato a strizzare via l’aria perfino dal cervello.

«Se papà dice che gli va bene» disse.

Guardarono entrambi Lezek che si stava grattando la barba.

«Che te ne pare, Morty?» domandò, con la instabile lucidità di una persona febbricitante. «Non è una occupazione che possa venire in mente a tutti. Non è esattamente quello che mi ero aspettato io, lo ammetto. Dicono però che quella del becchino è una professione onorevole. A te la scelta.»

«Becchino?» disse Morty. La Morte annuì, sollevò le dita alle labbra in un gesto cospiratorio.

«È interessante» disse lentamente Morty. «Penso che mi piacerebbe provare.»

«Dove ha detto che si trova la sua impresa?» chiese Lezek. «È molto distante?»

«NON PIÙ LONTANO DELLO SPESSORE DI UN’OMBRA» disse Morte. «DOVE ERA LA PRIMA CELLULA, ANCHE IO ERO LÌ. DOVE C’È L’UOMO, IO CI SONO, QUANDO L’ULTIMA VITA STRISCERÀ SOTTO LE STELLE GELIDE, LÌ IO SARÒ.»

«Ah» disse Lezek «allora avete un bel po’ di strada da fare.» Sembrò leggermente perplesso, come un uomo che smania per ricordarsi qualcosa di importante e che poi, ovviamente, deve rinunciare.

La Morte gli dette una pacca sulla spalla in modo amichevole e poi si rivolse a Morty.

«HAI DELLE COSE TUE, RAGAZZO?»

«Sì» disse Morty e poi si ricordò. «Temo soltanto di averle lasciate nel negozio. Papà, abbiamo lasciato il sacco nel negozio del sarto!»

«Ormai sarà chiuso» disse Lezek. «I negozi non aprono il giorno della Posta del Cinghiale. Dovrai tornare dopodomani… be’ ormai, domani.»

«È UNA COSA DI SCARSA IMPORTANZA» disse la Morte. «ADESSO NOI PARTIREMO; NON NUTRO ALCUN DUBBIO CHE AVRÒ TRA POCO QUALCHE LAVORO DA COMPIERE DA QUESTE PARTI.»

«Spero che riuscirai a fare presto un salto da noi per una visitina» disse Lezek. Sembrava stare ancora combattendo coi propri pensieri.

«Non sono certo che sarebbe una bella idea» disse Morty.

«Allora addio, ragazzo» disse Lezek. «Farai quello che ti verrà detto di fare, capito? E… mi scusi, signore, lei ha un figlio maschio?»

La Morte sembrò essere stata presa in contropiede.

«NO» rispose «NON HO FIGLI MASCHI.»

«Vorrei soltanto scambiare qualche ultima parola col mio ragazzo, se lei non ha nulla da obbiettare.»

«ALLORA IO ANDRÒ A CONTROLLARE IL CAVALLO, INTANTO» disse la Morte mostrando un tatto più che normale.

Lezek appoggiò un braccio attorno alle spalle del figlio, con qualche difficoltà, data la differenza della loro altezza e lo spinse gentilmente dall’altra parte della piazza.

«Morty, sai che è stato tuo zio Hamesh a parlarmi di questa storia dell’apprendistato?» sussurrò.

«Davvero?»

«Be’, mi ha detto anche qualcos’altro» gli disse il vecchio con tono confidenziale. «Ha detto che non è raro che un apprendista possa anche ereditare l’impresa del maestro. Che ne pensi di questo, eh?»

«Ehm. Non sono sicuro» rispose Morty.

«Vale la pena che tu ci pensi un po’ su» disse Lezek.

«Io ci sto pensando sopra, papà.»

«Molti giovanotti hanno cominciato in questo modo, ha detto Hamesh. Uno si rende utile, guadagna la fiducia del proprio maestro e, insomma, se poi ci sono in casa delle figlie… il signor, ehm, signor ha detto nulla rispetto a delle figlie?»

«Il signor chi?» chiese Morty.

«Il signor… il tuo nuovo maestro.»

«Ah. Lui. No. Non penso» disse lentamente Morty. «Non penso che sia un tipo adatto al matrimonio.»

«Più di un giovane brillante deve il suo avanzamento di carriera alle proprie nozze» disse Lezek.

«Chi?»

«Morty, non penso che tu mi stia a sentire.»

«Cosa?»

Lezek si fermò sui ciottoli latricati di ghiaccio e strattonò il ragazzo in modo che quello lo guardasse in faccia.

«Dovrai proprio cercare di comportarti meglio di così» disse. «Non capisci, ragazzo? Se vuoi diventare qualcuno in questo mondo devi imparare ad ascoltare. È tuo padre che ti dice queste cose.»

Morty guardò in basso verso il volto del padre. Voleva dire moltissime cose: voleva dire quanto lo amava, quanto era preoccupato; voleva chiedere che cosa il padre avesse realmente pensato di avere appena udito e visto. Voleva dire che si sentiva come se fosse salito su un mulino e avesse scoperto che si trattava di un vulcano. Voleva chiedergli che cosa significasse "nozze".

Quello che però disse fu: «Sì. Grazie. Adesso è meglio che io vada. Vedrò di scriverti una lettera.»

«Speriamo che riusciremo a trovare qualcuno di passaggio che ce la legga» rispose Lezek. «Addio, Morty.» Si soffiò il naso.

«Addio, papà. Tornerò a farti visita» promise Morty.

La Morte tossì, con tatto, sebbene quel colpo suonasse come lo scoppio di un’antica pistola piena di scarafaggi morti.

«FAREMMO MEGLIO AD ANDARE» disse. «SALTA SU, MORTY.»

Mentre Morty si arrampicava faticosamente dietro la sella ornata d’argento, la Morte si chinò in avanti e strinse la mano a Lezek.

«GRAZIE» disse.

«È davvero un bravo ragazzo» replicò Lezek. «Un po’ nelle nuvole, tutto qui. Ritengo che siamo stati tutti giovani, un tempo.»

La Morte ci pensò un po’ su.

«NO» disse lei «NON PENSO.»

Recuperò le redini e girò il cavallo verso la strada del Rim. Dal suo punto d’appoggio dietro alla figura vestita di nero Morty agitò le mani in un saluto disperato.

Anche Lezek lo salutò. Quindi, quando il cavallo e i suoi due cavalieri scomparvero alla vista, egli abbassò la mano e la guardò. Quella stretta di mano… gli aveva dato una strana sensazione. Ma, non si sa come, non riusciva a ricordare esattamente perché.


Morty rimase ad ascoltare il rumore dell’acciottolato sotto gli zoccoli del cavallo. Udì poi i delicati colpi contro la terra battuta, quando raggiunsero la strada, e poi non sentì più nulla.

Abbassò lo sguardo e vide il paesaggio ampliarsi sotto di sé: la notte era incisa dall’argenteo chiaro di luna. Se fosse caduto, l’unica cosa contro la quale avrebbe sbattuto sarebbe stata l’aria.

Raddoppiò la forza della propria presa sulla sella.

Quindi la Morte chiese: «HAI FAME, RAGAZZO?»

«Sì, signora.» Le parole gli vennero fuori direttamente dallo stomaco senza alcun intervento da parte del suo cervello.

La Morte annuì e tirò le redini del cavallo. Esso rimase fermo nell’aria, mentre il grande panorama circolare del Disco scintillava sotto di loro. Qui e lì una città veniva contraddistinta da un bagliore arancione: nei caldi mari più vicini al Rim c’era una sfumatura fosforescente. In alcune delle profonde vallate, la luce intrappolata del giorno del Disco, che è lenta e limitatamente pesante,[1] stava evaporando come fumo argentato.

Essa veniva però offuscata dal bagliore che si innalzava verso le stelle proveniente dallo stesso Rim. Immense correnti di luce brillavano e scintillavano attraverso la notte. Grandi muraglie dorate circondavano il mondo.

«È bellissimo» disse Morty con un fil di voce. «Che cos’è?»

«IL SOLE SOTTO AL DISCO» rispose la Morte.

«È così ogni notte?»

«OGNI NOTTE» disse la Morte. «LA NATURA È FATTA COSÌ.»

«Non lo sa nessuno?»

«IO. TE. GLI DEI. VA BENE, NO?»

«Caspita!»

La Morte si sporse sulla sella e guardò in basso ai regni del mondo.

«NON SO CHE COSA NE PENSI TU» disse «MA IO POTREI FAR FUORI UN BEL PIATTO DI CURRY.»


Sebbene fosse passata da parecchio la mezzanotte, la città gemella di Ankh-Morpork era roboante di vita. Morty aveva ritenuto che Sheepridge fosse frenetica, ma considerando il tumulto che si notava per le strade che aveva attorno, quel paese sembrava, insomma, una specie di mortorio.

Molti poeti hanno cercato di descrivere Ankh-Morpork. Hanno tutti fallito. Forse a causa della vitalità completamente godereccia del posto oppure, forse, soltanto perché una città con un milione di abitanti e nessun contadino risulta alquanto pesante per i poeti che preferiscono molti narcisi e nessun mistero. Basti dire questo: Ankh-Morpork è tanto piena di vita quanto un formaggio stagionato in una giornata calda, roboante quanto una bestemmia in una cattedrale, lucente quanto una macchia d’olio sul mare, colorata quanto un livido e piena di attività, industriosità, confusione e frenesia di pura esuberanza quanto un cane morto su un termitaio.

C’erano anche dei templi, le loro porte stavano spalancate e diffondevano nelle strade i suoni dei gong, dei cimbali e, nel caso di alcune delle religioni più conservatrici e fondamentaliste, delle brevi grida delle vittime. C’erano negozi le cui strane merci si riversavano fin sul pavimento. Sembrava anche esserci una gran quantità di giovani donne tanto simpatiche che non si potevano permettere molti vestiti. C’erano inoltre saltimbanchi, truffatori e spacciatori assortiti di immediata trascendenza.

E la Morte camminava impettita attraverso tutto ciò. Morty si era quasi aspettato di vederla passare attraverso la folla come fosse fumo, ma non era affatto così. La verità, più semplice, era che in qualsiasi posto la Morte camminasse, la gente si dileguava immediatamente, togliendosi dai piedi.

Non accadeva la stessa cosa con Morty. Le persone che gentilmente si aprivano davanti alla sua nuova padrona, le si richiudevano dietro giusto in tempo per bloccare a lui il passo. Gli venivano pestati i piedi, colpite le costole e la gente continuava a cercare di vendergli sgradevoli spezie, verdura dall’aspetto molto suggestivo, mentre addirittura una donna piuttosto anziana gli disse, contro ogni evidenza, che lui sembrava un ragazzo ben messo che avrebbe certo gradito di spassarsela un po’.

Lui la ringraziò moltissimo e le rispose che gli pareva che si stesse già divertendo abbastanza.

La Morte raggiunse l’angolo della strada mentre la luce delle fiaccole sollevava brillanti riverberi sulla parte superiore del suo cranio lucido, e annusò l’aria. Un ubriaco si alzò barcollando e, senza rendersi precisamente conto del perché, fece una breve marcia indietro nel suo cammino irregolare, senza alcuna ragione plausibile.

«QUESTA È LA CITTÀ, RAGAZZO» disse la Morte. «CHE NE PENSI?»

«È molto grande» rispose Morty con una certa indecisione. «Voglio dire: perché si può desiderare di vivere tutti ammassati insieme in questo modo?»

La Morte alzò le spalle.

«A ME PIACE» disse. «È PIENA DI VITA.»

«Signora?»

«SÌ.»

«Che cos’è il curry?»

Le fiammelle azzurrognole balenarono nel profondo degli occhi della Morte.

«HAI MAI DATO UN MORSO A UN CUBETTO DI GHIACCIO INCANDESCENTE?»

«No, signora» disse Morty.

«IL CURRY È UNA COSA DEL GENERE.»

«Signora?»

«SÌ?»

Morty deglutì con fatica. «Mi scusi, signora, ma mio padre dice che quando non capisco devo chiedere.»

«DAVVERO ENCOMIABILE» disse la Morte. Si gettò in una stradina laterale, mentre le persone si disperdevano davanti a lei come fossero molecole libere.

«Ebbene, signora, non ho potuto fare a meno di notare, insomma, il fatto, signora, è che…»

«FUORI IL ROSPO, RAGAZZO.»

«Come fa lei a mangiare, signora?»

La Morte si bloccò di colpo e così Morty le andò a sbattere contro. Quando il ragazzo aveva cominciato a parlare lei gli aveva subito fatto un gesto perché rimanesse in silenzio. Sembrava stare ascoltando qualcosa.

«A VOLTE, SAI» disse, quasi a se stessa «MI SENTO DAVVERO SCONVOLTA.»

Si girò sui tacchi e si diresse velocemente verso un vicolo mentre il mantello le sventolava alle spalle. Il vicolo procedeva curvando tra pareti oscure ed edifici addormentati, non era una via di grande transito quanto piuttosto un buco tortuoso.

La Morte si fermò accanto ad un decrepito barile d’acqua e vi infilò dentro un braccio, tirando fuori un piccolo sacco con un mattone legato ad esso. Estrasse la spada, una linea di blu luccicante nell’oscurità, e tagliò via la corda.

«SONO ARRABBIATA DAVVERO MOLTISSIMO» disse. Rovesciò il sacco e Morty vide dei patetici resti di pelo intriso d’acqua scivolare fuori per andare a giacere nella pozzanghera che si stava formando sull’acciottolato. La Morte allungò una mano dalle bianche dita e li accarezzò con dolcezza.

Dopo qualche istante, qualcosa di simile ad una spirale di fumo grigio salì dai gattini e formò tre piccole nuvole dalla forma di gatto, nell’aria. Ondeggiarono un poco, incerti rispetto alla propria sagoma e fissarono Morty con grandi occhi grigi sbalorditi. Quando lui tentò di toccarne uno la sua mano vi passò direttamente attraverso e gli formicolò.

«NON VEDI MAI LA GENTE NELLA SUA CONDIZIONE IDEALE, IN QUESTO LAVORO» disse la Morte. Soffiò su un gattino, ribaltandolo delicatamente. Il suo miao disturbato suonò come se fosse arrivato da una distanza lontanissima attraverso un tubo di latta.

«Sono anime, non è vero?» chiese Morty. «Che aspetto hanno le persone?»

«ASPETTO DI PERSONE» disse la Morte. «DIPENDE TUTTO, FONDAMENTALMENTE, DAL CAMPO MORFOGENETICO CARATTERISTICO.»

Sospirò emettendo un fruscio di velo, prese i gattini dall’aria e li ripose con delicatezza da qualche parte all’interno degli oscuri recessi della sua tunica. Si sollevò.

«È L’ORA DEL CURRY» disse.


Il Curry Gardens, che si trovava all’angolo fra la Via di Dio e il Vicolo Insanguinato, era molto affollato, ma soltanto con la crema della società… almeno con quelle persone che si trovano a galleggiare sulla cresta dell’onda e che, di conseguenza, è estremamente saggio definire "crema". Cespugli profumati piantati fra i tavoli riuscivano quasi a nascondere l’odore di base della città stessa, che poteva essere paragonato al corrispettivo olfattivo di una fogna.

Morty mangiò come un lupo, tenne tuttavia a freno la propria curiosità e non si mise a osservare come potesse la Morte mangiare anche un solo boccone. Inizialmente il cibo si trovava lì e alla fine non c’era più, quindi doveva evidentemente essere successo qualche cosa nel frattempo. Morty ebbe la sensazione che la Morte non fosse effettivamente abituata a tutto questo ma che lo stesse facendo per mettere lui a suo agio, come uno zio scapolo un po’ avanti negli anni che si trova a trascorrere una vacanza con un nipote ed è terrorizzato all’idea di fare qualcosa di sbagliato.

Gli altri commensali non li degnarono di grande attenzione, nemmeno quando la Morte si appoggiò all’indietro e si accese una bellissima pipa. È richiesto un certo sforzo per riuscire ad ignorare uno che emette fumo dalle orbite degli occhi, ma tutti ci riuscirono alla perfezione.

«È una magia?» chiese Morty.

«CHE INTENDI DIRE?» disse la Morte. «SE SONO DAVVERO QUI, RAGAZZO?»

«Sì» disse lentamente Morty. «Io… io ho osservato le altre persone. La guardano ma non la vedono, penso. Lei fa forse qualcosa alle loro menti?»

La Morte scosse la testa.

«FANNO TUTTO DA SOLI» disse. «NON C’È ALCUNA MAGIA. LE PERSONE NON POSSONO VEDERMI, NON PERMETTEREBBERO MAI A SE STESSE DI FARLO. FINCHÉ NON È ARRIVATO IL LORO MOMENTO, OVVIAMENTE. I MAGHI MI POSSONO VEDERE E ANCHE I GATTI. MA L’UOMO MEDIO… NO, MAI.» Sbuffò un anello di fumo verso il cielo e aggiunse «STRANO MA VERO.»

Morty osservò il cerchio di fumo ondeggiare nell’aria e poi venire sospinto verso il fiume.

«Ma io la posso vedere» disse.

«È DIVERSO.»

Il cameriere klatchiano arrivò con il conto e lo lasciò di fronte alla Morte. L’uomo era scuro e tarchiato con un taglio di capelli simile a una noce di cocco esplosa a supernova e il suo volto rotondo assunse un aspetto perplesso quando la Morte annuì in maniera garbata. Scosse la testa come qualcuno che cerca di sbarazzarsi del sapone che gli è rimasto nelle orecchie e si allontanò.

La Morte infilò una mano nelle profondità della sua tunica e tirò fuori una grossa borsa di cuoio piena di monete di bronzo assortite, la maggior parte di esse azzurrognole e verdi per l’età. Esaminò attentamente il conto. Scelse quindi una dozzina di monete.

«VIENI» disse. «DOBBIAMO ANDARE.»

Morty le si mise a trotterellare dietro mentre lei camminava impettita fuori dal giardino e nella strada che era ancora molto affollata sebbene all’orizzonte si notassero già le prime avvisaglie dell’alba.

«E adesso che cosa facciamo?»

«COMPRIAMO DEI VESTITI NUOVI PER TE.»

«Ma questi erano nuovi oggi… cioè ieri.»

«DAVVERO?»

«Mio padre ha detto che quel negozio era famoso per i suoi vestiti» disse Morty mettendosi a correre per tenere il passo.

«AGGIUNGONO CERTAMENTE UNA NOTA ULTERIORMENTE ORRIBILE ALLA POVERTÀ.»

Svoltarono in una strada più grande che conduceva in un quartiere più ricco della città (le torce erano più vicine l’una all’altra e gli escrementi più lontani). Qui non c’erano bancarelle e venditori ambulanti, ma lussuosi edifici con insegne appese all’esterno. Non erano semplici negozi, erano dei veri e propri empori: avevano grande scelta di merce, poltroncine e sputacchiere. La maggior parte di essi era ancora aperta a quest’ora della notte, in quanto il commerciante medio di Ankh non riesce a dormire a forza di pensare ai soldi che non sta guadagnando.

«Ma questa gente non va mai a letto?» chiese Morty.

«QUESTA È UNA CITTÀ» disse la Morte e aprì la porta di un negozio di abbigliamento. Quando uscirono fuori, una ventina di minuti più tardi, Morty indossava un abito nero che gli calzava a pennello con un leggero ricamo argentato mentre il negoziante osservava una manciata di antiche monete di rame e si chiedeva come avesse fatto di preciso ad esserne entrato in possesso.

«Come tira fuori tutte quelle monete?» chiese Morty.

«A COPPIE.»

Un barbiere che teneva aperta la bottega tutta la notte, aggiustò i capelli di Morty con un taglio all’ultima moda fra i rampolli cittadini mentre la Morte si rilassava nella poltroncina accanto, canticchiando fra sé e sé. Con sua grande sorpresa, si sentiva di buon umore.

Dopo qualche minuto, infatti, tirò indietro il cappuccio, gettò un’occhiata all’apprendista del barbiere, che gli annodò un asciugamano attorno al collo in quel tipico modo ipnotizzato di chi non riesce a distinguere bene le cose, che cominciava ormai a essere familiare a Morty, e disse: «UNO SPRUZZO DI COLONIA E UNA RINFRESCATINA, BRAV’UOMO.»

Uno stregone attempato che si stava facendo dare una spuntatina alla barba, all’altra estremità del negozio, si irrigidì quando udì quei toni plumbei e gravi e si girò di scatto. Impallidì e bofonchiò qualche incantesimo di protezione dopo che la Morte si era girata, lentissimamente, per ottenere il massimo effetto, e gli aveva lanciato un ghigno.

Qualche minuto dopo, sentendosi piuttosto fiero di sé e infreddolito attorno alle orecchie, Morty si stava dirigendo nuovamente verso le scuderie in cui la Morte aveva lasciato il cavallo. Tentò, tanto per provare, di incedere con una camminata baldanzosa, ritenendo che i nuovi vestiti e il taglio di capelli lo richiedessero. Non sembrò funzionare un gran che.


Morty si svegliò.

Rimase sdraiato, fissando il soffitto, mentre i suoi ricordi eseguivano una veloce marcia indietro e gli eventi della giornata precedente gli si cristallizzavano nella mente come piccoli cubetti di ghiaccio.

Non poteva assolutamente avere incontrato la Morte. Non poteva avere consumato un pasto con uno scheletro che aveva occhi dai bagliori azzurrognoli. Doveva essere stato uno strano sogno. Non poteva avere cavalcato, sulla parte posteriore della sella, in groppa a un grosso cavallo bianco che aveva galoppato su nel cielo e poi essere andato a finire…

…dove?

La risposta gli piombò nella mente con la inevitabilità di una cambiale in scadenza.

Qui.

Tastando con le mani arrivò fino ai capelli tagliati e poi giù sulle lenzuola che erano di uno strano e lucido tessuto liscio. Era ben più sottile della lana alla quale era abituato a casa che era ruvida e puzzava sempre di pecora: questo dava una sensazione paragonabile al caldo ghiaccio secco.

Si precipitò giù dal letto e si guardò attorno nella stanza. Tanto per cominciare essa era spaziosa, molto più spaziosa dell’intera casa in cui aveva abitato, ed era asciutta come le vecchie tombe sotto gli antichi deserti. L’aria sembrava avere ribollito per ore prima di essere stata lasciata raffreddare. Il tappeto che aveva sotto i piedi era sufficientemente spesso da poter nascondere una tribù di pigmei e produceva minuscole scariche elettriche mentre lui vi camminava sopra a piedi nudi. Tutto era arredato con i toni del porpora e del nero.

Guardò quindi il proprio corpo che era avvolto in una lunga camicia da notte bianca. I suoi vestiti erano stati ripiegati con grande cura su una sedia ai piedi del letto: la sedia stessa, non poté fare a meno di osservare, era decorata con un intaglio dal motivo raffigurante teschio e ossa.

Morty si sedette sul bordo del letto e cominciò a vestirsi, mentre la mente gli vorticava all’impazzata.

Aprì la pesante porta di quercia e si sentì stranamente deluso quando essa mancò di cigolare in maniera sinistra.

C’era, all’esterno, uno spoglio corridoio di legno, con enormi candele gialle sistemate in candelabri sulla parete opposta. Morty scivolò fuori e strisciò cautamente sulle assi del pavimento finché non raggiunse la tromba delle scale. Riuscì ad arrivarvi con successo senza che gli accadesse nulla di terrorizzante, giungendo in quello che sembrava un pianerottolo su cui davano molte porte. C’erano parecchi drappi funebri e una enorme pendola che produceva un tic-tac simile al battito del cuore di una montagna. Di fianco ad essa si trovava una ombrelliera.

C’era dentro una falce.

Morty guardò le porte che aveva attorno. Sembravano tutte importanti. Le loro arcate erano intagliate col motivo, ormai familiare, raffigurante ossa. Lui si avviò a provare quella che gli stava più vicina e una voce dietro di lui disse:

«Non devi entrare lì ragazzo.»

A Morty occorse qualche istante per rendersi conto del fatto che quella non era una voce che sentiva nel cervello, ma che erano state formate da una bocca vere parole umane che erano poi state trasferite alle sue orecchie attraverso un utile sistema di compressione dell’aria, come natura comandava. La natura si era presa un sacco di fastidi per sei parole che avevano, oltretutto, un tono leggermente petulante.

Lui si voltò. C’era una ragazza, più o meno della sua stessa altezza e forse di qualche anno maggiore di lui. Aveva i capelli argentati, gli occhi dal bagliore perlaceo e il classico tipo di abito lungo molto interessante, ma anche ben poco pratico, che tendeva a essere indossato dalle eroine tragiche che stringono al petto singole rose mentre gettano languidi sguardi verso la luna. Morty non aveva mai udito la parola "Pre-Raffaellita" ed era un vero peccato in quanto essa avrebbe fornito una definizione pressoché perfetta. Tuttavia, quel genere di ragazze erano tendenzialmente di tipo pallido e consunto mentre questa dava l’impressione di avere abusato di cioccolatini.

Lei lo fissò tenendo la testa piegata da una parte mentre un piede le tamburellava sul pavimento per l’irritazione. Allungò quindi velocemente una mano e gli dette un maligno pizzicotto sul braccio.

«Ahi!»

«Uhmm. Allora sei davvero vero» disse lei. «Come ti chiami, ragazzo?»

«Mortimer. Ma mi chiamano Morty» disse lui sfregandosi il braccio. «Perché lo hai fatto?»

«Io ti chiamerò Ragazzo» disse lei. «E non sono tenuta a spiegarti assolutamente nulla, hai capito? Devi però sapere che pensavo tu fossi morto. Sembri morto.»

Morty non disse nulla.

«Hai perso la lingua?»

Morty stava, in effetti, contando fino a dieci.

«Non sono morto» disse alla fine. «Almeno non penso. È un po’ difficile da stabilire. E tu chi sei?»

«Puoi chiamarmi Signorina Ysabell» rispose lei, altezzosa. «Mia madre mi ha detto che devi mangiare qualcosa. Seguimi.»

Lei incedette maestosamente verso una delle altre porte. Morty la seguì a ruota, alla distanza opportuna per potersi girare, e sbatté l’altro gomito.

Dall’altra parte della porta c’era una cucina… lunga, bassa e calda, con pentole di rame appese al soffitto e una immensa stufa di ferro che occupava interamente una delle lunghe pareti. Un vecchio stava in piedi di fronte ad essa, friggendo uova e pancetta e fischiettando fra i denti.

L’odorino attirò le papille gustative di Morty fin dall’altro lato della stanza, facendogli presagire che, se entrambi fossero riusciti ad incontrarsi, si sarebbero potuti davvero divertire moltissimo. Scoprì di essersi mosso in avanti senza avere nemmeno consultato le proprie gambe.

«Albert» disse Ysabell in modo brusco «ce n’è un altro per colazione.»

L’uomo voltò lentamente la testa ed annuì senza dire una sola parola. Lei si rivolse nuovamente a Morty.

«Devo dire» disse «che con l’intero Disco a disposizione per poter scegliere, avrei pensato che mia madre potesse procurarsi qualcosa di meglio di te. Suppongo che ci si dovrà accontentare e basta.»

La ragazza uscì impettita dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle.

«Fare che cosa?» chiese Morty, a nessuno in particolare.

La stanza rimaneva nel più assoluto silenzio, eccetto che per lo sfrigolio della padella e il rumorino del carbone che si frantumava nel calore ardente della stufa. Morty notò che essa aveva impresse le parole "Il Piccolo Moloch" sullo sportello del forno.

Il cuoco non sembrò prestargli eccessiva attenzione e così Morty prese una sedia e si sedette alla tavola bianca e consunta.

«Funghi?» chiese il vecchio senza voltarsi?

«Ehm? Cosa?»

«Ho detto, vuoi dei funghi?»

«Oh. Scusa. No, grazie» disse Morty.

«Allora è pronto, mio giovane signore.»

Si voltò e si diresse verso la tavola.

Perfino dopo che ci si fu abituato, Morty continuava a trattenere il respiro quando osservava Albert camminare. Il maggiordomo della Morte era uno di quegli uomini ossuti dal naso a uncino che sembra sempre stiano indossando i guanti con le mezze dita… anche quando non li hanno… e il suo modo di camminare implicava una complessa sequenza di movimenti. Albert si sporgeva in avanti e il braccio sinistro cominciava ad oscillargli, dapprima lentamente ma poi evolvendo presto in un selvaggio movimento a scatto che, alla fine, improvvisamente, più o meno nel momento in cui lo spettatore si sarebbe aspettato che il braccio gli schizzasse via dal gomito, gli si trasferiva giù per la lunghezza di tutto il corpo fino ad arrivare alle gambe e lo proiettava in avanti come uno che camminasse sui trampoli a velocità vertiginosa. La padella seguì una serie di intricate volute nell’aria e arrivò a un alt proprio sopra al piatto di Morty.

Albert possedeva davvero il giusto tipo di occhiali a mezzaluna dai quali si poteva guardare al di sopra della montatura.

«Ci sarebbe del porridge come contorno» disse e strizzò un occhio, apparentemente per coinvolgere Morty nella parola porridge in maniera cospiratoria.

«Scusa» disse Morty «ma dove mi trovo, esattamente?»

«Non lo sai? Questa è la casa della Morte, ragazzo. Ti ha portato qui la notte scorsa.»

«Io… mi sembra di ricordare. Soltanto che…»

«Eh?»

«Be’. Le uova e la pancetta» riprese Morty in tono vago. «Non mi sembrano, per così dire, appropriate.»

«Ho anche del budino nero da qualche parte» disse Albert.

«No. Volevo dire…» Morty esitò. «È soltanto che non riesco a immaginarmi lei seduta davanti a un paio di fette di pancetta e uova fritte.»

Albert emise un ghigno. «Oh, non lo fa, ragazzo. Non di solito, almeno. È davvero molto semplice da accontentare, la padrona. Io faccio da mangiare soltanto per me e…» fece una pausa «per la signorina, ovviamente.»

Morty annuì. «Tua figlia» disse.

«Mia? Ah!» rispose Albert. «Qui ti sbagli. È figlia sua.»

Morty fissò le uova fritte. Esse lo fissarono di rimando dal loro laghetto di grasso. Albert aveva sentito parlare di tabelle nutritive ed evidentemente non le approvava.

«Stiamo forse parlando della stessa persona?» chiese alla fine. «Alta, vestita di nero, è un po’… ossuta…»

«Adottata» rispose gentilmente Albert. «È una storia piuttosto lunga…»

Risuonò una campanella sopra la sua testa.

«…che dovrà attendere. Ti vuole vedere nel suo studio. Non le piace essere lasciata ad aspettare. Comprensibile, tutto sommato. Su per le scale, la prima porta a sinistra. Non ti puoi sbagliare…»

«Ci sono ossa e teschio attorno alla porta?» chiese Morty, scostando indietro la sedia.

«È un motivo presente quasi su tutte» sospirò Albert. «È soltanto un suo ghiribizzo. Non significano nulla.»

Lasciando la propria colazione a freddare, Morty si affrettò su per gli scalini, lungo il corridoio e si fermò di fronte alla prima porta. Sollevò una mano per bussare.

«ENTRA.»

La maniglia si abbassò per conto suo. La porta si aprì verso l’interno.

La Morte era seduta dietro a una scrivania e fissava con grande concentrazione un librone dalla copertina di cuoio che era quasi più grosso della stessa scrivania. Sollevò lo sguardo quando Morty entrò, tenendo un dito calcareo fermo su un punto e fece un sogghigno. Non aveva grande alternativa.

«AH» disse. Quindi si fermò. Si grattò poi il mento producendo un rumore simile a quello di un’unghia che scorre sui denti di un pettine.

«CHI SEI TU, RAGAZZO?»

«Morty, signora. Il suo apprendista. Si ricorda?»

La Morte lo fissò per qualche tempo. Poi i suoi occhi dalle scintille blu si riportarono sul libro.

«OH, GIÀ» disse «MORTY. BENE, RAGAZZO, DESIDERI SINCERAMENTE IMPARARE GLI ESTREMI SEGRETI DEL TEMPO E DELLO SPAZIO?»

«Sì, signora. Penso di sì, signora.»

«BENE. LE SCUDERIE SI TROVANO SUL RETRO. LA PALA È APPESA GIUSTO ALL’INTERNO DELLA PORTA.»

Abbassò lo sguardo. Rialzò lo sguardo. Morty non si era mosso.

«È FORSE POSSIBILE CHE TU NON SIA RIUSCITO A COMPRENDERMI?»

«Non completamente, signora» disse Morty.

«STERCO, RAGAZZO. STERCO. ALBERT TIENE UN CUMULO DI LETAME IN GIARDINO. RITENGO CHE CI SIA UNA CARRIOLA DA QUALCHE PARTE NELLA TENUTA. PORTACELO CON QUELLA.»

Morty annuì mestamente. «Sì, signora. Ho capito, signora. Signora?»

«SÌ?»

«Signora, non riesco a capire che cosa abbia a che fare questo con i segreti del tempo e dello spazio.»

La morte non sollevò lo sguardo dal libro.

«QUESTO» disse «È IL MOTIVO PER CUI TI TROVI QUI: PER IMPARARE.»


È un dato di fatto che sebbene la Morte del Mondo Disco è, secondo le sue stesse parole, una PERSONIFICAZIONE ANTROPOMORFICA, aveva ormai da molto tempo smesso di usare i tradizionali scheletri di cavallo, a causa della seccatura di doversi fermare in continuazione per rimettere insieme i pezzi. Adesso i suoi cavalli erano tutte bestie in carne ed ossa e della razza più pregiata.

Morty scoprì che erano, inoltre, anche molto ben nutriti.

Alcuni lavori offrono incrementi. Questo offriva… be’, decisamente il contrario, ma almeno si svolgeva al caldo ed era piuttosto facile da imparare. Dopo un po’ il ragazzo riuscì ad entrare nel ritmo giusto e cominciò a fare fra sé e sé il gioco relativo alla misurazione delle piccole quantità in cui ognuno si cimenta in queste circostanze. "Vediamo un po’" pensò "ho fatto quasi un quarto, diciamo un terzo, e così quando avrò terminato quell’angolo vicino al fienile sarò già a più della metà, diciamo cinque ottavi, che significa altri tre carichi di carriola…" Tutto questo non dimostra nulla, a parte che lo sconvolgente splendore dell’universo è molto più semplice da fronteggiare se riesci a pensarlo come una serie di pezzettini.

Il cavallo lo guardava dalla sua stalla e cercava occasionalmente di mangiargli i capelli con atteggiamento amichevole.

Dopo qualche tempo, Morty si rese conto che c’era anche qualcun altro che lo stava osservando. La ragazza, Ysabell, era appoggiata sulla mezza porta e si teneva il mento fra le mani.

«Sei un servo?» gli chiese.

Morty si raddrizzò.

«No» disse «sono un apprendista.»

«Che cosa sciocca. Albert dice che tu non puoi essere un apprendista.»

Morty si concentrò sul sollevare una palata piena sopra la carriola. "Ancora due palate, diciamo tre se ben pressate, e significa che con altre quattro carriole, insomma, diciamo cinque, sono già arrivato a metà di…"

«Lui dice» riprese Ysabell a voce più alta «che gli apprendisti diventano poi maestri e che non ci può essere più di una Morte. E così tu sei soltanto un servo e devi fare quello che io ti ordino.»

"…e poi con altre otto carriole significa che sono arrivato fino alla porta, che vuol dire circa due terzi dell’intero lavoro, e cioè…"

«Hai sentito quello che ti ho detto, ragazzo?»

Morty annuì. "E poi con altre quattordici carriole, solo che è meglio calcolarne quindici perché non ho spazzato via proprio bene nell’angolo, e…"

«Hai perduto la lingua?»

«Morty» disse Morty con delicatezza.

Lei lo guardò furibonda. «Cosa?»

«Mi chiamo Morty» disse Morty. «Oppure Mortimer. La maggior parte della gente mi chiama Morty. Volevi parlarmi di qualche cosa?»

La ragazza rimase priva di parole per qualche istante, facendo rimbalzare lo sguardo dal volto di lui alla pala e viceversa.

«Soltanto che mi è stato detto di andare avanti col lavoro» disse Morty.

Lei esplose.

«Perché sei qui? Perché mia madre ti ha portato qui?»

«Mi ha assunto alla fiera» rispose Morty. «Tutti i ragazzi sono stati assunti. E anche io.»

«E tu volevi essere assunto?» chiese bruscamente lei. «Lei è la Morte, sai. La truce Mietitrice. Lei è molto importante. Non è una cosa che tu puoi diventare, è qualcosa che sei.»

Morty fece un vago cenno in direzione della carriola.

«Mi aspetto che le cose si risolvano per il meglio» disse lui. «Mio padre dice che di solito succede così.»

Prese la pala, si voltò e fece un sorrisetto al fondoschiena del cavallo quando udì Ysabell sbuffare e andarsene via.

Morty lavorò incessantemente attraverso i sedicesimi, gli ottavi, i quarti e i terzi, scorrazzando con la carriola in giardino fino al cumulo di letame vicino all’albero di mele.

Il giardino della Morte era grande, pulito e davvero ben tenuto. Era anche molto, molto nero. L’erba era nera. I fiori erano neri. Nere mele spuntavano tra le nere foglie di un nero albero di mele. Perfino l’aria sembrava color inchiostro.

Dopo un po’ Morty pensò di riuscire a distinguere… no, non era nemmeno possibile immaginare di riuscire a distinguere… diversi colori neri.

Cioè non soltanto toni molto scuri di verde, rosso o che altro, ma vere e proprie sfumature di nero. Un intero spettro di colori, tutti diversi e tutti… insomma, neri. Rovesciò l’ultimo carico, mise via la carriola e tornò in casa.

«ENTRA.»

La Morte stava in piedi dietro ad un leggìo, studiando attentamente una mappa. Guardò Morty come se lui non fosse completamente lì.

«NON HAI MAI SENTITO PARLARE DELLA BAIA DI MANTE, VERO?» domandò.

«No, signora» rispose Morty.

«FAMOSO NAUFRAGIO, LÌ.»

«C’è stato?»

«CI SARÀ» disse la Morte «SE RIUSCIRÒ A TROVARE QUEL MALEDETTISSIMO POSTO.»

Morty girò dietro al leggìo e sbirciò sulla mappa.

«Lei farà naufragare la nave?» chiese.

La Morte lo guardò, inorridita.

«CERTO CHE NO. CI SARÀ UNA COMBINAZIONE DI FATTORI QUALI LA CATTIVA ARTE DI NAVIGAZIONE, LE ACQUE BASSE E IL VENTO CONTRARIO.»

«Ma è terribile» disse Morty. «Affogheranno in molti?»

«QUESTO DIPENDE DAL FATO» rispose la Morte, voltandosi verso la libreria che aveva alle spalle e tirando fuori un pesante dizionario geografico. «NON C’È NULLA CHE IO POSSA FARCI, CHE COS’È QUESTO ODORE?»

«Io» disse semplicemente Morty.

«AH. LE STALLE.» La Morte fece una pausa, tenendo la mano sulla costola del libro. «E PERCHÉ MAI PENSI CHE IO TI ABBIA DIRETTO ALLE STALLE? RIFLETTI ATTENTAMENTE, ORA.»

Morty esitò. Lui aveva effettivamente pensato con grande attenzione, mentre contava le carriole. Si era domandato se non glielo avesse chiesto perché imparasse a coordinare meglio l’occhio e la mano, oppure se non lo avesse fatto per insegnargli l’obbedienza, oppure ancora per fargli comprendere l’importanza, su scala umana, dei compiti più semplici, oppure per farlo render conto del fatto che anche i grandi uomini dovevano iniziare dal basso. Nessuna di queste spiegazioni gli sembrava completamente giusta.

«Io penso…» cominciò a dire.

«SÌ?»

«Be’, penso che me lo abbia fatto fare perché aveva lo sterco di cavallo fino al ginocchio, se devo dir la verità.»

La Morte lo guardò a lungo. Morty spostò il peso da un piede all’altro, a disagio.

«ASSOLUTAMENTE GIUSTO» disse seccamente la Morte. «CHIAREZZA DI PENSIERO. APPROCCIO REALISTICO. MOLTO IMPORTANTE IN UN LAVORO COME IL NOSTRO.»

«Sì, signora. Signora?»

«UHMM?»

La Morte stava combattendo con l’indice geografico.

«Le persone muoiono in continuazione, no? A milioni. Lei deve essere molto occupata. Ma…»

La Morte gettò a Morty uno sguardo con il quale lui stava prendendo dimestichezza. Cominciava come vacua sorpresa, baluginava brevemente di seccatura, faceva una visitina per un drink alla comprensione e si stabilizzava alla fine in una vaga sopportazione.

«MA?»

«Io avevo pensato che lei sarebbe stata, insomma, un po’ più in giro. Capisce. A camminare per le strade. L’almanacco di mia nonna aveva un disegno che la raffigurava con una falce e roba del genere.»

«HO CAPITO. HO PAURA CHE SIA DIFFICILE DA SPIEGARE FINCHE NON SAPRAI QUALCOSA SUL PUNTO DELLA INCARNAZIONE E SULLA CONVERSIONE DEI NODI. NON MI ASPETTO CHE TU NE SAPPIA NULLA, NON È COSÌ?»

«No, penso di no.»

«DI SOLITO SONO TENUTA SOLTANTO A FARE UNA COMPARSA VERA E PROPRIA SOLTANTO IN OCCASIONI SPECIALI.»

«Come un re, immagino» disse Morty. «Voglio dire, un re regna anche quando sta facendo qualcos’altro oppure quando dorme. È così non è vero, signora?»

«PIÙ O MENO» rispose la Morte arrotolando le mappe. «E ADESSO, RAGAZZO, SE HAI FINITO CON LE STALLE PUOI ANDARE A VEDERE SE ALBERT HA QUALCHE LAVORETTO DA FARTI FARE. SE VUOI, PUOI VENIRE CON ME PER IL GIRO DI QUESTA NOTTE.»

Morty annuì. La Morte tornò al suo grosso librone di cuoio, prese una penna, la fissò per un istante, e poi sollevò nuovamente lo sguardo su Morty tenendo il cranio piegato da una parte.

«HAI GIÀ INCONTRATO MIA FIGLIA?» domandò.

«Ehm. Sì, signora» rispose Morty tenendo già la mano sulla maniglia della porta.

«È UNA RAGAZZA DAVVERO GRADEVOLE» disse la Morte «MA PENSO CHE LE PIACCIA AVERE ATTORNO QUALCUNO DELLA SUA ETÀ CON CUI SCAMBIARE QUALCHE PAROLA.»

«Signora?»

«E, OVVIAMENTE, UN GIORNO TUTTO QUESTO APPARTERRÀ A LEI.»

Qualcosa come una piccola supernova azzurrognola balenò per un istante nel profondo delle sue orbite. Morty immaginò che, con un certo imbarazzo e una completa mancanza di esperienza, la Morte stesse cercando di fare l’occhietto.


In un paesaggio che non aveva nulla a che spartire con tempo e spazio, che non appariva su alcuna mappa, che esisteva solo in quelle infinite distanze del cosmo multiplo conosciuto ai pochi astrofisici che si son fatti una bella dose di LSD, Morty passò il pomeriggio ad aiutare Albert a raccogliere broccoli. Erano neri, dipinti di rosso.

«Lei ci prova, vedi» disse Albert, sventolando e brandendo il chiavicchio. «È soltanto che quando si tratta di colori, non ha un gran che di immaginazione.»

«Non sono certo di riuscire a capire» disse Morty. «Tu hai detto che è stata lei a fare tutto ciò?»

Al di là della recinzione del giardino, il terreno scivolava verso una profonda vallata e poi si rialzava in una brughiera scura che arrivava fino a distanti montagne, aguzze quanto denti di gatto.

«Già» disse Albert. «Attento a quel che fai con quell’annaffiatoio.»

«Che cosa c’era prima, qui?»

«Non lo so» disse Albert, iniziando un filare nuovo. «Firmamento, suppongo. È l’appellativo che viene dato al nulla assoluto. Non è un gran bella opera d’arte, per la verità. Voglio dire, il giardino va bene, ma le montagne sono assolutamente scadenti. Sono completamente sfuocate, quando ci arrivi più vicino. Io ci sono andato a dare un’occhiata una volta.»

Morty guardò di sbieco gli alberi che aveva accanto. Sembravano del tutto solidi.

«È perché mai l’avrebbe fatto?» chiese.

Albert sbuffò. «Sai quello che succede ai ragazzi che fanno troppe domande?»

Morty rifletté per un istante.

«No» disse alla fine «che succede?»

Ci fu silenzio.

Quindi Albert si raddrizzò e disse. «Che io sia dannato se lo so. Probabilmente ottengono delle risposte e gli sta anche bene.»

«Ha detto che questa sera potevo andare con lei» disse Morty.

«Allora sei un ragazzo fortunato, no?» commentò Albert in tono vago, indirizzandosi nuovamente verso casa.

«Ehi, ha fatto davvero lei tutto questo?» chiese Morty, seguendolo passo passo.

«Sì.»

«Perché?»

«Suppongo che desiderasse un posto in cui sentirsi a casa.»

«E tu sei morto, Albert?»

«Io? Sembro forse morto?» il vecchio sbuffò quando Morty cominciò a scrutarlo con una lenta e critica occhiata «e adesso puoi anche farla finita. Io sono vivo quanto te. Forse anche di più.»

«Scusami.»

«Lascia stare.» Albert aprì la porta sul retro e si voltò per guardare Morty nel modo più gentile che riuscisse a realizzare.

«È meglio non porre troppe domande» aggiunse «la gente si sente imbarazzata. Adesso che ne dici di un bel pasticcio di avanzi fritti?»


Il campanello suonò mentre loro stavano giocando a domino. Morty balzò sull’attenti.

«Vorrà che le venga preparato il cavallo» disse Albert. «Seguimi.»

Uscirono entrambi e si diressero verso la scuderia mentre il tramonto incombeva e Morty osservò il vecchio che sellava il cavallo della Morte.

«Si chiama Binky» disse Albert mentre stringeva il sottopancia. «Sta solo a dimostrare che non puoi mai essere certo di nulla.»

Binky cercò di mordergli la sciarpa in modo affettuoso.

Morty ricordò l’incisione in legno dell’almanacco di sua nonna, tra la pagina dedicata ai periodi di semina e la sezione delle fasi lunari, che mostrava la Morte, La Grande Livellatrice che Viene per Tutti gli Uomini. L’aveva guardata per centinaia di volte mentre stava imparando a leggere. Non sarebbe stata solenne nemmeno la metà, se fosse stato universalmente risaputo che il cavallo sputafuoco che montava lo spettro si chiamava Binky.

«Io avrei studiato qualcosa come Zanna oppure Sciabola o Ebano» continuò a dire Albert «ma la padrona vuole concedersi i suoi ghiribizzi, sai. Non vedi l’ora di partire, eh?»

«Penso di sì» rispose Morty con aria incerta. «Non ho mai visto la Morte effettivamente all’opera.»

«Non è successo a molti» disse Albert. «Certamente poi, non due volte.»

Morty trasse un profondo respiro.

«E riguardo a quella sua figlia…» cominciò a dire.

«AH. BUONA SERA, ALBERT, RAGAZZO.»

«Morty» disse automaticamente Morty.

La Morte avanzò impettita nella scuderia, abbassandosi leggermente per evitare di sbattere contro il soffitto. Albert fece un cenno col capo, non in maniera sottomessa, notò Morty, ma semplicemente con atteggiamento informale. Morty aveva conosciuto un paio di servi, nelle rare occasioni in cui era stato portato in paese, e Albert non assomigliava affatto a nessuno dei due. Sembrava agire come se la casa appartenesse in effetti a lui e la proprietaria fosse soltanto un ospite di passaggio, qualcosa che si deve tollerare come l’intonaco che si stacca e i ragni nel gabinetto. La Morte sembrava sopportare pazientemente questo atteggiamento, come se lei e Albert avessero discusso tutto quello di cui c’era bisogno di discutere già molto tempo prima e fossero semplicemente soddisfatti, adesso, di portare avanti i propri lavori creandosi il minimo possibile di incomodo reciproco. A Morty sembrava quasi di stare facendo una passeggiata dopo una terribile tempesta… tutto era molto fresco, nulla particolarmente sgradevole, tuttavia si percepiva una sensazione di immense energie che erano appena state spese.

Il pensiero di scoprire qualcosa su Albert andò ad inserirsi alla fine della sua lista delle cose da fare.

«TIENI QUESTA» disse la Morte e gli mise in mano una falce, mentre saliva con un balzo su Binky. La falce sembrava quasi normale, eccetto che per la lama: essa era tanto sottile che Morty ci poteva vedere attraverso, un pallido bagliore azzurrognolo nell’aria che era in grado di tagliare la fiamma e mozzare il suono. La tenne con grande cautela.

«BENE, RAGAZZO» disse la Morte. «SALTA SU. ALBERT, NON CI ASPETTARE ALZATO.»

Il cavallo uscì al trotto dal cortile per balzare nel cielo.

Ci sarebbe dovuto essere un lampo oppure un affollamento di stelle. L’aria si sarebbe dovuta sollevare in spirali e trasformarsi in scintille acceleranti come succede normalmente nei comuni iperbalzi transdimensionali di ogni giorno. Ma quella era la Morte, che dominava l’arte di andare in ogni luogo senza ostentazione e poteva scivolare fra le diverse dimensioni con la stessa facilità con la quale poteva passare attraverso una porta chiusa ed essi si mossero quindi, ad un galoppo tranquillo, attraverso canyon di nuvole e oltre montagne ondeggianti di cumuli, finché esse non si aprirono di fronte a loro e apparve il Disco, sotto, che si crogiolava al sole.

«QUESTO È IL MOTIVO PER CUI IL TEMPO È RELATIVO» disse la Morte quando Morty lo indicò col dito. «NON È REALMENTE IMPORTANTE.»

«Ho sempre pensato che lo fosse.»

«LA GENTE PENSA CHE LO SIA SOLTANTO PERCHÉ LO HA INVENTATO» disse la Morte con tono serio. Morty ritenne che l’affermazione fosse alquanto trita, ma decise di non mettersi a discutere.

«E adesso che cosa faremo?» chiese.

«C’È UNA PROMETTENTE GUERRA IN KLATCHISTAN» disse la Morte. «SCOPPI DI PARECCHIE EPIDEMIE, UN ASSASSINIO PIUTTOSTO IMPORTANTE, SE PREFERISCI.»

«Come, un omicidio?»

«GIÀ, DI UN RE.»

«Oh, i re» disse Morty mettendo da parte la questione. Conosceva i re. Una volta all’anno arrivava a Sheepridge una compagnia di attori girovaghi, o almeno ambulanti, e le commedie che recitavano riguardavano invariabilmente dei re. I re si uccidevano sempre l’un l’altro, oppure venivano uccisi. Le trame erano alquanto complicate e comprendevano false identità, veleni, battaglie, figli perduti da lungo tempo, fantasmi, streghe e, di solito, una marea di pugnali. Dato che risultava chiarissimo che essere un re non era affatto una scampagnata era davvero sorprendente che metà degli attori tentassero visibilmente di diventarlo. Il concetto di Morty della vita di palazzo era leggermente confuso, ma si immaginava che nessuno vi potesse dormire sonni tranquilli.

«Mi piacerebbe abbastanza vedere un re vero» disse. «Hanno sempre in testa la corona, diceva mia nonna. Perfino quando vanno al gabinetto.»

La Morte rifletté seriamente su questo punto.

«NON ESISTE ALCUN MOTIVO TECNICO PER CUI NON DOVREBBERO» ammise. «TUTTAVIA, PER QUANTO RIGUARDA LA MIA ESPERIENZA PERSONALE, GENERALMENTE NON SUCCEDE.»

Il cavallo turbinò su se stesso e la vasta scacchiera pianeggiante della pianura di Sto accelerò sotto di essi alla velocità del lampo. Era un paese ricco, pieno di limo, di campi di cavoli e di minuti e lindi regni i cui confini si contorcevano come serpenti mentre piccole guerre formali, patti matrimoniali, complesse alleanze e l’occasionale morso della sciatta cartografia cambiavano la sagoma politica del territorio.

«Questo re» chiese Morty mentre una foresta sfrecciava sotto di loro «è buono o cattivo?»

«NON MI PREOCCUPO MAI DI QUESTE COSE» disse la Morte. «NON È PEGGIORE DI QUALSIASI ALTRO RE, ALMENO LO IMMAGINO.»

«Ha condannato a morte delle persone?» domandò Morty e, ricordando poi con chi stava parlando, aggiunse «esclusi i presenti, ovviamente.»

«A VOLTE. CI SONO DELLE COSE CHE DEVI NECESSARIAMENTE FARE, QUANDO SEI UN RE.»

Una città scivolò sotto di loro, ammassata attorno ad un castello costruito su un affioramento roccioso che spuntava dalla pianura come una pustola geologica. Era una delle grandi rocce delle distanti montagne Ramtop, spiegò la Morte, lasciata lì dai ghiacci in ritirata nei giorni leggendari in cui i Giganti dei Ghiacci avevano mosso guerra agli Dei e avevano spinto i loro ghiacciai attraverso il territorio nel tentativo di congelare l’intero mondo. Alla fine avevano comunque lasciato perdere, e avevano riportato le loro mandrie luccicanti nelle terre nascoste fra le montagne dai crinali affilati come rasoi vicini al Centro. Nessuno, nelle pianure, aveva mai saputo perché lo avessero fatto: la generazione dei giovani della città di Sto Lat, quella che si trovava attorno alla roccia, sosteneva all’unanimità che fosse successo in quanto quel posto era mortalmente noioso.

Binky trottò verso il basso sul nulla e atterrò sul lastricato della torre più alta del castello. La Morte smontò e disse a Morty di tirare fuori il sacco del foraggio.

«La gente non noterà che c’è un cavallo quassù?» chiese, mentre si dirigevano verso una rampa di scale.

La Morte scosse la testa.

«TU CREDERESTI ALLA POSSIBILITÀ CHE CI SIA UN CAVALLO IN CIMA A QUESTA TORRE?» domandò.

«No. Non si riuscirebbe a farlo salire da queste scale» disse Morty.

«BENE, E ALLORA?»

«Oh. Ho capito. La gente non vuole vedere quello che non è possibile che esista.»

«BEN DETTO.»

Adesso stavano camminando lungo un ampio corridoio alle cui pareti erano appesi grandi arazzi. La Morte infilò una mano nel vestito e tirò fuori una clessidra, guardandola attentamente nella luce soffusa.

Era di foggia particolarmente raffinata, il vetro era abilmente sfaccettato ed era imprigionato in una cornice intagliata di legno e ottone. Le parole "Re Olerve il Bastardo" vi erano profondamente incise dentro.

La sabbia che si trovava all’interno scintillava in modo strano. Non ce n’era rimasta molta.

La Morte canticchiò fra sé e riinfilò la clessidra nel recesso, qualunque esso fosse, in cui era stata precedentemente contenuta.

Svoltarono ad un angolo e sbatterono contro una vera e propria parete di suono. Lì c’era una grande sala piena di persone, sotto una nuvola di fumo e chiacchiere che si innalzava su fino alle ombre dei vessilli conquistati in guerra, fissati al soffitto. Nella galleria, un trio di menestrelli stava cercando di fare del proprio meglio per essere udito, senza successo.

La comparsa della Morte non sollevò grande agitazione. Un lacché che si trovava presso la porta si voltò verso di lei, aprì la bocca e quindi corrugò la fronte in maniera distratta, mettendosi a pensare a qualcos’altro. Un limitato numero di cortigiani gettarono sguardi nella loro direzione, ma i loro occhi perdevano immediatamente la messa a fuoco mentre il buon senso teneva a bada gli altri cinque sensi.

«ABBIAMO POCHI MINUTI» disse la Morte, prendendo un bicchiere da un vassoio che le passava davanti «MISCHIAMOCI A LORO.»

«Non possono vedere nemmeno me!» disse Mort. «Ma io sono reale!»

«LA REALTÀ NON È SEMPRE QUELLO CHE SEMBRA» rispose la morte. «COMUNQUE, SE NON VOGLIONO VEDERE ME, CERTAMENTE NON VOGLIONO VEDERE TE. QUESTI SONO ARISTOCRATICI, RAGAZZO. SONO BRAVISSIMI NEL NON VEDERE LE COSE. PERCHÉ MAI C’È UNA CILIEGINA SU UNO STUZZICADENTI IN QUESTO DRINK?»

«Morty» disse Morty automaticamente.

«NON SI PUÒ CERTO DIRE CHE AGGIUNGA NULLA AL GUSTO. PERCHÉ MAI QUALCUNO DOVREBBE PRENDERE UN OTTIMO DRINK E POI INFILARCI DENTRO UNA CILIEGIA SU UNO STECCHINO DI LEGNO?»

«E adesso che cosa succederà?» chiese Morty. Un conte attempato gli andò a sbattere contro un gomito e guardò da ogni parte eccetto che direttamente lui, alzò le spalle e si allontanò.

«PRENDI QUESTE COSE, PER ESEMPIO» riprese la Morte indicando col dito un vassoio di passaggio colmo di salatini. «VOGLIO DIRE, I FUNGHI VANNO BENE, IL POLLO VA BENE, LA SALSA VA BENE, NON HO NULLA IN CONTRARIO RISPETTO A NESSUNO DI ESSI, MA PERCHÉ MAI, NEL NOME DELLA SANITÀ MENTALE, BISOGNA MISCHIARLI TUTTI INSIEME E INFILARLI IN PICCOLI RECIPIENTI DI PASTA?»

«Come, scusi?» chiese Morty.

«TIPICO DEI MORTALI COME TE» continuò a dire la Morte. «HANNO SOLTANTO POCHI ANNI DA PASSARE SU QUESTO MONDO E LI PASSANO TUTTI A COMPLICARSI LE COSE DA SÉ. AFFASCINANTE. PRENDI UN CETRIOLINO.»

«Dove si trova il re?» disse Morty allungando il collo per guardare al di sopra delle testa della corte.

«È QUEL TIPO CON LA BARBA DORATA» rispose la Morte. Dette ad un servitore un colpetto sulla spalla e quando l’uomo si voltò e si guardò attorno con aria stupita gli sottrasse velocemente un altro drink dal vassoio.

Morty scandagliò la stanza con gli occhi finché non vide una figura in piedi, in mezzo a un gruppetto al centro della folla, che si incurvava leggermente in avanti per udire meglio quello che gli stava dicendo un cortigiano piuttosto basso. Era un uomo alto, ben piazzato dotato del classico genere di viso paziente e flemmatico dal quale si sarebbe volentieri acquistato un cavallo usato.

«Non ha l’aspetto di un re cattivo» disse Morty. «Perché qualcuno dovrebbe volerlo uccidere?»

«VEDI L’UOMO CHE GLI STA ACCANTO? QUELLO COI BAFFETTI E IL GHIGNO DI UNA LUCERTOLA?» La Morte indicò con la falce.

«Sì!»

«SUO CUGINO, IL DUCA DI STO HELIT. NON È LA MIGLIORE DELLE PERSONE» disse la Morte. «È UN UOMO CHE SA FARE DI TUTTO, CON UNA BOCCETTA DI VELENO IN MANO, QUINTO IN LINEA DI DISCENDENZA AL TRONO L’ANNO SCORSO, ORA SECONDO, È UNA SPECIE DI ARRAMPICATORE SOCIALE, SI POTREBBE DIRE.» Armeggiò all’interno della tunica ed estrasse una clessidra in cui della sabbia nera scorreva attraverso un reticolo di filo spinato. Gli dette una scosserella, tanto per provare. «E DOVREBBE VIVERE ANCORA UN TRENTA, TRENTACINQUE ANNI» disse con un sospiro.

«E va in giro a uccidere la gente?» domandò Morty. Scosse la testa. «Non c’è giustizia.»

La Morte sospirò ancora. «NO» disse, allungando il suo bicchiere a un paggio che restò sorpreso di trovarsi improvvisamente un bicchiere vuoto in mano «CI SONO SOLTANTO IO.»

Estrasse la spada che aveva la stessa lama, sottile quanto un’ombra e azzurro ghiaccio, della falce di servizio e fece un passo in avanti.

«Pensavo che lei usasse la falce» sussurrò Morty.

«AI RE SPETTA LA SPADA» disse la Morte. «È UNA REALE COME-CAVOLO-SI-CHIAMA… PREROGATIVA.»

La mano libera infilò nuovamente le falangi ossute sotto il mantello e tirò fuori la clessidra del Re Olerve. Nella metà superiore gli ultimi pochi granelli di sabbia si stavano ammassando insieme.

«FAI GRANDE ATTENZIONE» disse la Morte «POTREI FARTI DELLE DOMANDE, DOPO.»

«Aspetti» disse Morty in modo desolato. «Non è corretto. Lei non può impedire una cosa del genere?»

«CORRETTO?» chiese la Morte. «CHI HA MAI PARLATO DI CORRETTEZZA?»

«Insomma, se l’altro uomo è un tale…»

«STAMMI A SENTIRE» disse la Morte «LA CORRETTEZZA NON C’ENTRA NULLA, NON PUOI PRENDERE LE PARTI DI NESSUNO, PUOI PROVARE UN SANO CORDOGLIO, QUANDO È TEMPO, È TEMPO, TUTTO QUI, RAGAZZO.»

«Morty» disse Morty con un lamento, fissando la folla.

A quel punto, poi, vide lei. Un movimento casuale fra la gente aprì uno spazio tra Morty e una sottile ragazza dai capelli rossi seduta in mezzo a un gruppo di donne più anziane, dietro al re. Non era proprio bellissima, essendo eccessivamente dotata nel reparto lentiggini e, a dire il vero, tendeva ad essere un po’ scarna. Tuttavia la sua vista causò a Morty uno shock che gli afferrò il cervelletto e glielo spinse giù fino al fondo dello stomaco, sghignazzando in maniera ripugnante.

«È ARRIVATO IL MOMENTO» disse la Morte dando a Morty un colpettino con un gomito puntuto. «SEGUIMI.»

La Morte si incamminò verso il re, soppesando la spada in mano. Morty strizzò gli occhi e cominciò a seguirla. Gli occhi della ragazza incontrarono i suoi per un secondo e, immediatamente, si girarono da un’altra parte… poi però ruotarono nuovamente verso di lui, trascinandosi dietro tutta la testa, mentre la bocca le si cominciava ad aprire in una "O" di orrore.

La spina dorsale di Morty si sciolse. Egli cominciò a correre verso il re.

«Attento!» gridò. «Lei è in grave pericolo!»

E il mondo si fece di melassa. Iniziò a riempirsi di ombre azzurre e purpuree, come in un sogno febbrile, e il suono si dissolse finché il fracasso della corte non divenne lontano e gracchiante, come la musica che proviene dalla cuffia dello stereo di qualcun altro. Morty vide la Morte stare in piedi in modo amichevole accanto al re: i suoi occhi si voltarono in alto verso…

…la galleria dei menestrelli.

Morty vide l’arciere, vide l’arco, vide il dardo che stava ora sfrecciando attraverso l’aria alla velocità di un serpente malato. Per quanto fosse lento, lui non riuscì a deviarlo. Sembrava passassero ore prima che lui potesse riprendere il controllo delle proprie gambe, pesanti quanto il piombo, ma alla fine riuscì a fare in modo che entrambi i piedi gli toccassero il suolo nello stesso momento e scalciò apparentemente con tutta l’accelerazione della spinta continentale.

Mentre si divincolava al rallentatore attraverso l’aria, la Morte gli disse, senza rancore: «NON FUNZIONERÀ, SAI. È SOLTANTO NATURALE CHE TU DEBBA DESIDERARE DI PROVARCI, MA NON FUNZIONERÀ.»

Come in un sogno, Morty andò alla deriva attraverso un mondo silente…

Il dardo colpì il bersaglio. La Morte brandì la spada e, con una oscillazione a due mani, la fece passare delicatamente attraverso il collo del re senza lasciare alcun segno. A Morty, che procedeva in una dolce spirale attraverso il mondo crepuscolare, sembrò quasi che la sagoma di un fantasma fosse caduta a terra.

Non poteva trattarsi del re in quanto quello stava ancora manifestamente in piedi lì, guardando direttamente la Morte con una espressione di estrema sorpresa. C’era un indistinto qualcosa attorno ai suoi piedi e, ad una distanza immensa, la gente stava reagendo con grida e urla.

«UN BEL LAVORETTO PULITO» disse la Morte. «I REALI SONO SEMPRE UN PROBLEMA. TENDONO A DESIDERARE DI OPPORRE RESISTENZA. IL VOSTRO CONTADINO MEDIO DI ADESSO, INVECE, NON VEDE L’ORA DI DIPARTIRE.»

«Chi diavolo sei tu?» chiese il re. «Che stai facendo qui? Eh? Guardie! Coman…»

L’insistente messaggio che gli perveniva dagli occhi riuscì alla fine a penetrare fino al suo cervello. Morty era davvero impressionato. Il re Olerve aveva resistito sul suo trono per parecchi anni e, anche da morto, sapeva come comportarsi.

«Oh» disse «ho capito. Non mi aspettavo di vederVi tanto presto.»

«VOSTRA MAESTÀ» disse la Morte inchinandosi «CAPITA A POCHI.»

Il re si guardò attorno. Era tutto silenzioso e opaco in questo mondo di ombre, ma fuori di esso sembrava esserci una grande eccitazione.

«Quello laggiù sono io, non è vero?»

«TEMO PROPRIO DI SÌ, SIRE.»

«Lavoretto pulito. Balestra, eh?»

«SÌ. E ADESSO, SIRE, SE NON VI DISPIACE…»

«Chi è stato?» disse il re. La Morte esitò.

«UN ASSASSINO PREZZOLATO AD ANKH-MORPORK» disse.

«Uhmm. Intelligente. Mi congratulo con Sto Helit. Ecco a che mi è servito riempirmi di antidoti. Non esiste antidoto contro il gelido acciaio, eh? Eh?»

«A DIRE IL VERO NO, SIRE.»

«Il vecchio trucco della scala di corda e del cavallo veloce vicino al ponte levatoio, eh?»

«SEMBREREBBE DI SÌ, SIRE» disse la Morte, prendendo l’ombra del re delicatamente a braccetto. «SE PUÒ ESSERVI DI CONSOLAZIONE, TUTTAVIA, IL CAVALLO DEVE ASSOLUTAMENTE ESSERE VELOCE.»

«Come?»

La Morte fece in modo che il suo ghigno fisso si allargasse un poco.

«HO UN APPUNTAMENTO COL SUO CAVALIERE PER DOMANI AD ANKH» disse la Morte. «VEDETE, HA CONCESSO AL DUCA DI FORNIRGLI UNA COLAZIONE AL SACCO.»

Il re, la cui estrema adeguatezza per il proprio mestiere stava a indicare che non fosse eccessivamente veloce nel comprendere al volo, rifletté su questa cosa per qualche momento e poi emise una breve risata. Notò quindi Morty per la prima volta.

«È questo chi è?» chiese. «Morto anche lui?»

«IL MIO APPRENDISTA» disse la Morte. «E SI BECCHERÀ UNA BELLA RAMANZINA PRIMA CHE DIVENTI MOLTO PIÙ VECCHIO, IL BIRBANTE.»

«Morty» disse automaticamente Morty. I suoni della loro conversazione lo mondavano ma lui non riusciva a distogliere gli occhi dalla scena che avevano attorno. Si sentiva reale. La Morte aveva un aspetto solido. Il re sembrava sorprendentemente in forma per essere morto. Ma il resto del mondo era una massa di ombre che fluttuavano. C’erano delle figure piegate sul corpo crollato al suolo che si muovevano attraverso Morty come se non avessero una consistenza maggiore di quella della nebbia. La ragazza era inginocchiata a terra, piangente.

«Quella è mia figlia» disse il re. «Dovrei provare tristezza. Perché non è così?»

«LE EMOZIONI VENGONO LASCIATE ALLE SPALLE. È TUTTA UNA QUESTIONE DI GHIANDOLE.»

«Ah. Questo spiega tutto, suppongo. Lei non ci può vedere, vero?»

«NO.»

«Immagino che io non abbia nemmeno una possibilità di poter…?»

«NESSUNA» disse la Morte.

«Il fatto è che lei diventerà regina e se potessi soltanto farle…»

«MI SPIACE.»

La ragazza sollevò lo sguardo, trapassando Morty. Lui vide il duca avvicinarlesi da dietro la schiena e appoggiarle una mano sulla spalla in segno di conforto. Un debole sorriso si insinuò sulle labbra dell’uomo. Era il genere di sorriso che giace sugli scogli affioranti in attesa di nuotatori incauti.

"Non riesco a farmi sentire" disse Morty. "Non avere fiducia in lui!"

Lei sbirciò verso Morty, storcendo gli occhi. Lui allungò una mano e la vide passare direttamente attraverso quella di lei.

«VIENI VIA, RAGAZZO. NIENTE SMANCERIE.»

Morty sentì la mano della Morte stringerglisi sulla spalla, ma non in maniera ostile. Si voltò, riluttante, seguendo la Morte e il re.

Uscirono passando attraverso una parete. Lui si trovava già a metà strada dietro di loro quando si rese conto che camminare attraverso le pareti era impossibile.

La logica suicida di questo fatto per poco non lo uccise. Sentì il freddo della pietra attorno alle proprie membra prima che una voce nella sua testa dicesse: «CONSIDERA LA COSA IN QUESTO MÒDO. LA PARETE NON PUÒ ESSERE LÌ. IN CASO CONTRARIO TU NON SARESTI RIUSCITO A PASSARCI ATTRAVERSO. NON È COSÌ, RAGAZZO?»

«Morty» disse Morty.

«COME?»

«Mi chiamo Morty. Oppure Mortimer» disse arrabbiato il ragazzo, spingendosi in avanti. Si lasciò la sensazione di freddo alle spalle.

«ECCO FATTO. NON ERA POI TANTO DURO, NO?»

Morty guardò il corridoio in su e in giù e batté una mano sulla parete, per fare una prova. Doveva essere passato attraverso di essa, ma adesso quella sembrava decisamente solida. Piccole particelle di mica rilucevano verso di lui.

«Com’è riuscita a fare una cosa del genere?» chiese. «E come l’ho fatto io? È forse una magia?»

«MAGIA È L’UNICA COSA CHE NON È ASSOLUTAMENTE, RAGAZZO. QUANDO RIUSCIRAI A FARLO PER CONTO TUO, IO NON AVRÒ PIÙ NULLA DA INSEGNARTI.»

Il re, che era ormai decisamente più disinvolto, disse: «È impressionante, ve lo garantisco. A proposito, mi sembra di stare svanendo.»

«È IL CAMPO MORFOGENETICO CHE SI ATTENUA» disse la Morte.

La voce del re non era più forte di un sussurro. «E allora è così?»

«SUCCEDE A TUTTI. CERCATE DI GODERVELA.»

«Come?» Ora la voce non era nulla più se non un soffio nell’aria.

«SIATE SEMPLICEMENTE VOI STESSO.»

In quel momento il re collassò, diventando sempre più piccolo nell’aria mentre il campo, alla fine, crollava in un piccolissimo puntino brillante. Successe tutto tanto in fretta che Morty rischiò quasi di perdersi la scena. Da fantasma a granello di polvere in un mezzo secondo, con un debole sospiro.

La Morte afferrò con delicatezza quella cosa luccicante e la ripose da qualche parte all’interno della sua tunica.

«Che cosa gli è successo?» chiese Morty.

«LO SA SOLTANTO LUI» rispose la Morte. «VIENI.»

«Mia nonna dice che è come addormentarsi» aggiunse Morty con un’ombra di speranza.

«IO NON NE HO LA MINIMA IDEA. NON HO MAI FATTO NESSUNA DELLE DUE COSE.»

Morty gettò un’ultima occhiata lungo il corridoio. Le grandi porte si erano spalancate e i cortigiani stavano uscendo fuori. Due donne anziane si sforzavano di offrire conforto alla principessa, ma lei stava camminando impettita davanti a loro così che le due poverette le si precipitavano dietro come una coppia di ingombranti palloni. Scomparvero in un altro corridoio.

«È GIÀ UNA REGINA» disse la Morte con tono di approvazione. Alla Morte piaceva la classe.

Prima che parlasse ancora una volta si trovarono di nuovo sul tetto.

«TU HAI CERCATO DI AVVERTIRLO» disse, togliendo il sacco del foraggio dal collo di Binky.

«Sì, signora, mi dispiace.»

«NON PUOI INTERFERIRE CON IL FATO. CHI SEI TU PER GIUDICARE CHI DOVREBBE VIVERE E CHI MORIRE?»

La Morte osservò con grande attenzione l’espressione di Morty.

«SOLAMENTE AGLI DEI È PERMESSA UNA COSA SIMILE» aggiunse. «CERCARE DI MUTARE IL FATO ANCHE DI UN SINGOLO INDIVIDUO POTREBBE DISTRUGGERE L’INTERO MONDO. HAI CAPITO?»

Morty annuì con espressione avvilita.

«Mi rimanderà a casa?» chiese.

La Morte allungò una mano e lo fece salire con un balzo sulla parte posteriore della sella.

«PERCHÉ HAI MOSTRATO COMPASSIONE? NO. AVREI POTUTO FARLO SE TU AVESSI MOSTRATO COMPIACIMENTO. TUTTAVIA DEVI IMPARARE LA COMPASSIONE ADEGUATA AL TUO MESTIERE.»

«Di che tipo è?»

«HA UNA SFUMATURA MOLTO AFFILATA.»

I giorni passavano, sebbene Morty non fosse certo di quanti fossero, fi malinconico sole del mondo della Morte girava regolarmente attraverso il cielo, ma le visite allo spazio mortale sembravano non avvenire secondo un qualche particolare schema. La Morte, inoltre, non visitava soltanto re o importanti battaglie: la maggior parte delle visite personali erano fatte a gente comune.

I pasti venivano serviti da Albert che sorrideva moltissimo fra sé e sé e non raccontava un gran che. Ysabell si tratteneva per gran parte del tempo in camera sua oppure cavalcava il proprio pony nelle nere brughiere oltre la casa. La vista della ragazza con i capelli svolazzanti al vento sarebbe potuta essere più suggestiva se lei fosse stata una migliore amazzone, o se il pony fosse stato un pochino più grosso, o anche se i suoi capelli fossero stati del tipo che svolazza in maniera naturale. Alcuni capelli lo fanno, altri no. I suoi non lo facevano.

Quando non era impegnato in quello che la Morte chiamava IL DOVERE, Morty aiutava Albert, si trovava qualche lavoretto da fare in giardino o nella scuderia, oppure curiosava nell’immensa biblioteca della Morte, leggendo con la velocità e la voracità tipiche di quelli che hanno scoperto la magia del mondo scritto per la prima volta.

La maggior parte dei libri delia biblioteca erano, ovviamente, biografie.

Tuttavia avevano una caratteristica insolita. Essi si auto-scrivevano. La gente che era già morta, come era ovvio, aveva riempito il proprio libro dall’inizio alla fine e quelli che non erano ancora nati si dovevano accontentare di pagine vuote. Quelli che invece si trovavano in mezzo… Morty prese alcune annotazioni, segnò dei punti, contò le linee in eccesso, e stabilì che alcuni libri aggiungevano paragrafi alla velocità di quattro o cinque ogni giorno. Non riconobbe la scrittura.

Alla fine prese il coraggio a quattro mani.

«UN CHE COSA?» chiese la Morte, stupita, seduta dietro alla scrivania a volute, rigirandosi in continuazione fra le mani il tagliacarte a forma di falce.

«Un pomeriggio libero» ripeté Morty. La stanza sembrò essere diventata all’improvviso oppressivamente grande, e lui estremamente esposto al centro del tappeto che aveva più o meno la dimensione di un campo.

«MA PERCHÉ?» chiese la Morte. «NON PUÒ CERTO ESSERE PER ASSISTERE AL FUNERALE DI TUA NONNA» aggiunse. «IO LO SAPREI.»

«Io vorrei soltanto, be’, insomma, uscire fuori e incontrare delle persone» disse Morty cercando di evitare quello sguardo azzurrognolo immobile.

«MA TU INCONTRI PERSONE OGNI GIORNO» replicò la Morte.

«Sì, lo so, soltanto che, insomma, non per molto tempo» disse Morty. «Voglio dire, sarebbe carino incontrare qualcuno con una prospettiva di vita più lunga di cinque minuti, signora» aggiunse.

La Morte tamburellò le dita sulla scrivania, producendo un suono simile a quello di un topo che balla il tip-tap e gettò a Morty un altro sguardo lungo qualche secondo. Notò che il ragazzo sembrava meno male in arnese di quanto non si ricordasse, che stesse un po’ più dritto con la schiena e che, senza troppe cerimonie, fosse in grado di usare un termine del tipo "prospettiva di vita". Dipendeva tutto da quella biblioteca.

«D’ACCORDO» disse di malavoglia. «TUTTAVIA MI SEMBRA CHE TU ABBIA QUI TUTTO QUELLO DI CUI HAI BISOGNO. IL LAVORO NON È TROPPO ONEROSO, NO?»

«No, signora.»

«HAI ANCHE DEL BUON CIBO A DISPOSIZIONE, UN LETTO CALDO, DEGLI SVAGHI E PERSONE DELLA TUA STESSA ETÀ.»

«Come, signora?» chiese Morty.

«MIA FIGLIA» disse la Morte. «L’HAI GIÀ CONOSCIUTA, MI PARE.»

«Oh, sì, signora.»

«HA UNA PERSONALITÀ DAVVERO AFFETTUOSA QUANDO IMPARI A CONOSCERLA.»

«Sono certo che l’abbia, signora.»

«NONOSTANTE TUTTO, TU DESIDERI…» la Morte lanciò quelle parole con una sfumatura di disgusto… «UN POMERIGGIO LIBERO?»

«Sì, signora. Se non le spiace, signora.»

«BENISSIMO, E SIA. SARAI LIBERO FINO AL TRAMONTO.»

La Morte aprì il grande libro, prese in mano una penna e cominciò a scrivere. Di tanto in tanto allungava una mano e spostava le palline di un abaco.

Dopo un minuto sollevò lo sguardo.

«SEI ANCORA QUI?» chiese. «E DURANTE IL TUO TEMPO LIBERO, COME SE NON BASTASSE» aggiunse in modo acido.

«Ehm» domandò Morty «le persone saranno in grado di vedermi, signora?»

«IMMAGINO DI SÌ, NE SONO ANZI CERTA» rispose la Morte. «C’È QUALCOSA D’ALTRO IN CUI IO TI POTREI ESSERE DI AIUTO PRIMA CHE TU TE NE VADA PER LA TUA USCITA DISSOLUTA?»

«Be’, signora. Ci sarebbe una cosa, signora, io non so come arrivare al mondo dei mortali, signora» disse Morty disperato.

La Morte sospirò in modo greve e aprì un cassetto della scrivania.

«A PIEDI.»

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