Si udì un nuovo gemito proveniente dall’altra parte della stanza sovrarredata. Morty lo seguì fino alla sua fonte, avanzando goffamente su tappeti arrotolati, grappoli di datteri, montagne di terrecotte e cumuli di gemme. Il re, evidentemente, non era stato in grado di decidere che cosa lasciare a casa quando aveva intrapreso questo viaggio e così aveva stabilito di andare sul sicuro e di portarsi dietro tutto.

«SOLTANTO CHE NON FUNZIONA SEMPRE COSÌ VELOCEMENTE» aggiunse Morty con espressione triste.

Ysabell si arrampicò coraggiosamente dopo di lui e avvistò da sopra una canoa una ragazza gettata su una pila di tappeti.

Indossava dei calzoni di garza, un gilè tagliato da una stoffa di dimensione insufficiente e un numero abbastanza cospicuo di bracciali da caviglia da potere ormeggiare una nave di discrete dimensioni. Aveva una macchia verde attorno alla bocca.

«Fa male?» chiese delicatamente Ysabell.

«NO, PENSANO CHE LI PORTI IN PARADISO.»

«Ed è così?»

«FORSE, CHI LO SA?» Morty tirò fuori la clessidra da una tasca interna e la controllò al bagliore della spada. Sembrava stesse contando fra sé e poi, con un movimento improvviso si gettò la clessidra alle spalle e abbassò la spada con l’altra mano.

L’ombra della ragazza si sedette e si stiracchiò, emettendo un tintinnìo di gioielli fantasma. Vide Morty e piegò la testa.

«Mio signore!»

«NON SONO IL SIGNORE DI NESSUNO» disse Morty. «ADESSO CORRI VERSO IL POSTO IN CUI CREDI DI DOVERE ANDARE.»

«Io sarò una concubina alla corte celeste del Re Zetesphut, che regnerà sulle stelle per sempre» disse lei fermamente.

«Non è una cosa assolutamente necessaria» intervenne Ysabell con voce tagliente. La ragazza si volse verso di lei con occhi sgranati.

«Oh, ma io devo. Mi sono addestrata per questo» aggiunse quella, mentre si dissolveva sparendo alla vista. «Sono riuscita soltanto ad essere una ancella fino ad adesso.»

Scomparve. Ysabell fissò con oscura disapprovazione lo spazio che lei aveva occupato.

«Bene!» disse. «Hai visto quel che aveva addosso?»

«USCIAMO DI QUI.»

«Ma non può essere vero che il Re Comesichiama regni sulle stelle» brontolò lei mentre si facevano strada fuori dalla stanza affollata. «Non esiste nulla se non spazio vuoto, lassù.»

«È DIFFICILE DA SPIEGARE» disse Morty. «LUI REGNERÀ SULLE STELLE NELLA SUA MENTE.»

«Con gli schiavi?»

«SE È QUELLO CHE ESSI PENSANO DI ESSERE.»

«Non mi sembra molto giusto.»

«NON C’È GIUSTIZIA» esclamò Morty. «CI SIAMO SOLTANTO NOI.»

Si affrettarono lungo le file di demoni in attesa e stavano già quasi correndo quando uscirono all’aria notturna del deserto. Ysabell si appoggiò contro la ruvida pietra e respirò affannosamente.

Morty non aveva il fiato corto.

Non stava respirando affatto.

«TI PORTERÒ OVUNQUE TU VOGLIA» disse «POI TI DOVRÒ LASCIARE.»

«Ma io pensavo che tu volessi salvare la principessa!»

Morty scosse la testa.

«NON HO SCELTA. NON CI SONO SCELTE.»

Lei gli corse incontro e lo afferrò per un braccio mentre lui si voltava verso Binky che lo stava aspettando. Il ragazzo le tolse con delicatezza la mano.

«HO FINITO IL MIO APPRENDISTATO.»

«È tutto soltanto nella tua mente!» strillò Ysabell. «Tu sei tutto quello che pensi di essere!»

Ysabell si fermò e abbassò lo sguardo. La sabbia attorno ai piedi di Morty stava cominciando a sollevarsi in piccoli vortici e demoni formati da spirali di polvere.

Si udì uno schianto nell’aria e una sensazione untuosa. Morty sembrava a disagio.

«QUALCUNO STA ESEGUENDO IL RITO DI ASH…» Esso colpì come un martello, una forza che proveniva dal cielo che fece esplodere la sabbia in un cratere. Si sentiva un cupo ronzio e l’odore di latta incandescente.

Morty si guardò attorno nella tempesta di sabbia vorticante, girandosi come in un sogno, solo nel tranquillo fulcro del vortice. Il lampo brillò nella nube turbinante. Nel profondo della sua mente, lui cercò disperatamente di divincolarsi, ma qualcosa lo teneva in pugno e lui non poteva resistere più di quanto un ago di bussola possa ignorare la forza che gli impone di dirigersi verso il Centro.

Alla fine trovò quello che stava cercando. Era l’arco di una porta bordato di luce color ottarino che conduceva ad un breve tunnel. C’erano delle figure all’altro capo di esso, che gli facevano dei cenni.

«ARRIVO» disse, e poi si voltò, udendo un improvviso rumore dietro di sé. Settanta chili di giovane carne femminile lo colpirono dritto al petto e lo sollevarono dal terreno.

Morty atterrò con Ysabell inginocchiata sopra di lui che lo teneva fermamente per le braccia.

«LASCIAMI ANDARE» esclamò lui. «SONO STATO CONVOCATO.»

«Non tu, idiota!»

Lei fissò all’interno delle pozze azzurre e prive di pupille degli occhi di lui. Era come guardare dentro un tunnel passandovi di corsa. Morty si inarcò e gridò una imprecazione tanto antica e violenta che, nel forte campo magico, essa prese una forma reale, sbatté le ali di pelle e se la svignò. Un temporale privato si riversò sulle dune di sabbia.

Gli occhi di lui attirarono di nuovo quelli di lei. Ysabell distolse lo sguardo subito prima di cadere come un sasso lungo un pozzo di luce blu.

«TE LO ORDINO.» La voce di Morty avrebbe potuto scavare dei buchi nella pietra.

«La mamma ha provato ad usare quel tono con me per anni» disse lei tranquillamente. «Generalmente quando voleva che pulissi la mia camera da letto. Non ha funzionato nemmeno allora.»

Morty gridò un’altra bestemmia, che si materializzò nell’aria e cercò di andarsi a seppellire nella sabbia.

«IL DOLORE…»

«È tutto nella tua testa» disse lei, facendosi forte contro la potenza che voleva trascinarli verso quella scintillante porta. «Tu non sei la Morte. Sei soltanto Morty. Sei tutto quello che pensi di essere.»

Nel centro della azzurra foschia dei suoi occhi erano comparsi adesso due minuscoli puntolini marroni, che venivano a galla a vista.

La tempesta attorno a loro si sollevò e scomparve. Morty strillò.


Il Rito di Ashk-Ente, molto semplicemente, convoca e trattiene la Morte. Gli studenti dell’occulto sapranno benissimo che esso può venire eseguito tramite un banale incantesimo, tre pezzetti di legno e quattro centilitri di sangue di topo, ma nessun mago che vale il proprio cappello aguzzo si sognerebbe mai di fare qualcosa di così poco impressionante: tutti sapevano nel profondo del cuore che se un incantesimo non prevedeva imponenti candele gialle, enormi quantità di incenso raro, cerchi tracciati a terra con otto differenti gessetti colorati e qualche calderone sistemato attorno al posto, non valeva semplicemente la pena di prenderlo nemmeno in considerazione.

Gli otto maghi che si trovavano ai posti assegnati sulle punte del grande ottogramma cerimoniale, ondeggiavano e intonavano inni, con le braccia allungate di fianco in modo da riuscire a toccare appena con le punta delle dita i maghi che avevano ai lati.

Tuttavia qualcosa stava andando storto. Sì, era vero che si era formata una specie di foschia proprio al centro dell’ottogramma vivente, ma si stava contorcendo e ritornando in se stessa, rifiutandosi di mettersi a fuoco.

«Più potere!» gridò Albert. «Date più forza!»

Nel fumo apparve, per un momento, una figura, vestita di nero e con una spada luccicante in mano. Albert lanciò una bestemmia quando captò un’occhiata del pallido volto sotto al cappuccio: non era sufficientemente pallido.

«No!» strillò Albert, infilandosi nell’ottogramma e allontanando la sagoma traballante ed indistinta con le mani. «Non tu, non tu…»

E, nel distante Tsort, Ysabell dimenticò di essere una signora, serrò stretto un pugno, strizzò gli occhi e beccò Morty direttamente alla mascella. Il mondo attorno a lei esplose…

Nella cucina della Casa delle Costolette di Harga la padella per friggere si schiantò al suolo, facendo scappar via tutti i gatti dalla porta…

Nella grande sala della Università Invisibile tutto successe un solo istante.[9]

La tremenda forza che i maghi stavano esercitando sul reame delle ombre improvvisamente ebbe un centro. Come un tappo di bottiglia riluttante, come una mestolata di fiero ketchup dalla bottiglia di salsa ribaltata dell’Infinito, la Morte atterrò nell’ottogramma e bestemmiò.

Albert si rese conto troppo tardi di trovarsi all’interno del cerchio magico e cercò di tuffarsi verso il bordo. Dita scheletriche, però, lo afferrarono per l’orlo della tunica.

I maghi, alcuni dei quali stavano ancora in piedi ed erano in stato di coscienza, restarono alquanto sorpresi dal notare che la Morte stava indossando un grambiule e tenendo in mano un gattino.

«Perché mai hai ROVINATO TUTTO?»

«Rovinato tutto? Ha visto che cosa ha fatto il ragazzo?» disse bruscamente Albert, mentre continuava a tentare di raggiungere il bordo del cerchio.

La Morte sollevò il cranio e annusò l’aria.

Quel suono eliminò tutti gli altri rumori della grande sala e li obbligò al silenzio.

Era il tipo di rumore che viene sentito ai crepuscolari limiti del sogno di quel particolare genere da cui ci si sveglia sudando freddo in preda ad un mortale terrore. Era l’annusare sotto la porta della paura. Era come l’annusare di un porcospino, ma, in questo caso, di un porcospino che è in grado di distruggere palizzate e appiattire autocarri. Era il genere di rumore che non si sarebbe voluto sentire due volte: non lo si sarebbe voluto sentire nemmeno una.

La Morte si raddrizzò lentamente.

«È QUESTO IL MODO IN CUI RIPAGA LA MIA GENTILEZZA? RAPENDO MIA FIGLIA, INSULTANDO I MIEI SERVITORI E RISCHIANDO LA TRAMA STESSA DELLA REALTÀ PER UN CAPRICCIO PERSONALE? OH, PAZZA, PAZZA, SONO STATA, PAZZA TROPPO A LUNGO!»

«Padrona, se volesse essere soltanto così gentile da lasciarmi la tunica…» cominciò a dire Albert e il mago notò una sfumatura di preghiera nella propria voce che non vi era stata in precedenza.

La Morte lo ignorò. Schioccò le dita come fossero nacchere e il grembiule che aveva attorno alla vita esplose in piccole fiammelle. Il gattino, tuttavia, venne adagiato a terra con grande attenzione e spinto delicatamente via con un piede.

«NON GLI AVEVO FORSE DATO LA PIÙ GRANDE DELLE OPPORTUNITÀ?»

«Esattamente, Padrona, e se adesso mi volesse lasciare andare…»

«ABILITÀ? UNA CARRIERA STRUTTURATA? PROSPETTIVE? UN LAVORO PER LA VITA?»

«Davvero, se però volesse soltanto lasciarmi…»

Il cambiamento nella voce di Albert era stato completo. Le trombe del comando erano divenute ottavini di supplica. Sembrava, in effetti, terrorizzato, ma riuscì a incrociare lo sguardo di Scuotivento e a sibilargli:

«Il mio bastone! Gettami il bastone! Mentre si trova all’interno del cerchio non è invincibile! Fammi avere il bastone e mi potrò liberare!»

Scuotivento disse. «Come, scusi?»

«OH, MIA È LA COLPA PER ESSERE CADUTA IN QUESTA DEBOLEZZA CHE, IN MANCANZA DI UNA PAROLA MIGLIORE, POTREI DEFINIRE DELLA CARNE!»

«Il mio bastone, pezzo di un idiota, il mio bastone!» farfugliò Albert.

«Scusi?»

«BEN FATTO, MIO SERVITORE, PER AVERMI RICHIAMATO AI MIEI DOVERI» disse la Morte. «NON PERDIAMO ALTRO TEMPO.»

«Il mio bas…!»

Ci fu un’implosione e una raffica di vento. Le fiammelle delle candele si allungarono come linee di fuoco per un momento e poi si spensero.

Passò qualche istante.

Quindi la voce dell’economo, che proveniva più o meno dal pavimento, disse: «È stata una cosa davvero poco carina, Scuotivento, perdere il suo bastone in quel modo. Ricordami di punirti severamente uno di questi giorni. C’è qualcuno che possa fare un po’ di luce?»

«Non so che cosa sia successo al bastone! Io l’ho soltanto appoggiato contro questo pilastro e adesso è…»

«Oook.»

«Oh» esclamò Scuotivento.

«Razione di banane extra a questa scimmia» disse l’economo con voce pacata. Si notò la fiammella di un fiammifero e qualcuno riuscì ad accendere una candela. I maghi cominciarono a rialzarsi dal pavimento.

«Bene, è stata una lezione per tutti noi» continuò a dire l’economo, spazzolandosi via polvere e cera di candela dalla tunica. Sollevò lo sguardo, aspettandosi di vedere la statua di Alberto Malich di nuovo sul proprio piedistallo.

«Evidentemente anche le statue hanno dei sentimenti» disse. «Io stesso ricordo che quando ero soltanto studente del primo anno e stavo scrivendo il mio nome sul suo… be’, non importa. Il fatto è che io suggerisco di far sostituire immediatamente la statua.»

Un silenzio di tomba accolse la sua proposta.

«Diciamo… fusa in oro e con una perfetta somiglianza. Adeguatamente abbellita di gioielli come si addice al nostro grande fondatore» proseguì in modo raggiante.

"E per essere sicuri che nessuno studente la possa profanare in alcun modo, suggerisco di erigerla nella più profonda cantina" continuò a dire.

«E poi di chiudere a chiave la porta» aggiunse. Parecchi maghi cominciarono a rallegrarsi.

«E di gettare via la chiave?» domandò Scuotivento.

«E di saldare la porta» aggiunse l’economo. Si era appena ricordato del Tamburo Riparato. Rifletté per qualche istante e poi rammentò anche gli esercizi di ginnastica.

«E quindi di murare l’entrata» terminò. Si levò uno scroscio di applausi.

«E di allontanare il muratore!» ridacchiò Scuotivento, che stava per la prima volta comprendendo il senso del ragionamento.

L’economo lo fissò con sguardo truce. «Non c’è alcun motivo di lasciarsi trasportare dall’entusiasmo» disse.


Nell’assoluto silenzio, una duna di sabbia più grossa del normale fremette goffamente e poi ricadde al suolo per rivelare Binky che soffiava via sabbia dalle narici e scuoteva la criniera.

Morty aprì gli occhi.

Ci dovrebbe essere una parola per descrivere quel brevissimo momento, subito dopo che una persona si è svegliata, quando ha la testa ancora piena di un caldo e rosato nulla. Giace lì, interamente priva di pensieri, eccetto che per un crescente sospetto che si stiano dirigendo verso di essa, come una calza carica di sabbia bagnata in un vicolo notturno, tutti i ricordi dei quali farebbe volentierissimo a meno, i quali la portano alla consapevolezza che l’unico fattore lenitivo, nel suo orribile futuro, è la certezza che sarà piuttosto breve.

Morty si sedette e si portò le mani alla testa per cercare di farla smettere di svitarsi.

La sabbia accanto a lui si sollevò e Ysabell si portò in posizione seduta. Aveva la testa piena di sabbia e il volto sudicio di polvere di piramide. Alcuni dei suoi capelli si erano arricciati sulle punte. Lei lo fissò in maniera distratta.

«Mi hai colpito?» le chiese lui, toccandosi delicatamente la mascella.

«Sì.»

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