«Oh.»
Lui guardò il cielo come se quello potesse ricordargli delle cose. Doveva trovarsi presto da qualche parte, gli sovveniva. Poi ricordò anche qualcos’altro.
«Grazie» disse.
«Non c’è di che, te lo assicuro.» Ysabell si sollevò in piedi e cercò di spazzolarsi via la polvere e le ragnatele dal vestito.
«Andrai a salvare quella tua principessa?» chiese lei con una certa diffidenza.
La realtà interna e personale di Morty lo assalì. Lui balzò in piedi con un grido strozzato, vide dei fuochi d’artificio azzurri esplodergli davanti agli occhi e collassò ancora una volta. Ysabell lo afferrò sotto le ascelle e lo risistemò in piedi.
«Andiamo giù al fiume» disse la ragazza. «Penso che un sorso d’acqua farebbe bene a tutti.»
«Che cosa mi è successo?»
Lei alzò le spalle nel modo migliore che poté mentre sosteneva il peso di lui.
«Qualcuno ha eseguito il Rito di Ashk-Ente. Mia madre lo odia, dice che la convoca sempre nei momenti più sconvenienti. La… parte di te che era la Morte è andata e tu sei rimasto qui. Penso. Almeno ti è tornata la voce di prima.»
«Che ore sono?»
«A che ora avevi detto che i sacerdoti avrebbero chiuso la piramide?»
Morty sbirciò attraverso occhi lacrimosi in direzione della tomba del re. Era sicurissimo che alcune dita illuminate da torce stavano lavorando alla porta. Presto, secondo la leggenda, i guardiani sarebbero tornati in vita e avrebbero cominciato il loro infinito pattugliamento.
Lui sapeva che lo avrebbero fatto. Ricordava quella conoscenza. Ricordava la sensazione della sua mente fredda come ghiaccio e priva di limiti come il cielo notturno. Ricordava di essere stato richiamato ad una riluttante esistenza nel momento in cui aveva vissuto la prima creatura nella assoluta consapevolezza che sarebbe sopravvissuto alla vita finché l’ultimo essere della natura non fosse arrivato alla propria ricompensa, quando sarebbe poi stato un suo compito, metaforicamente parlando, quello di mettere le seggiole sopra i tavoli e spegnere la luce.
Ricordava la solitudine.
«Non mi lasciare» disse con apprensione.
«Sono qui» rispose lei. «Fino a quando avrai bisogno di me.»
«È mezzanotte» aggiunse lui, offuscato, gettandosi a terra presso il Tsort e piegando la testa indolenzita verso l’acqua. Accanto a sé sentì un rumore simile ad una vasca da bagno che si stava svuotando quando anche Binky si fece una bevuta.
«Significa forse che siamo ormai in ritardo?»
«Sì.»
«Mi dispiace. Avrei voluto poter fare qualcosa.»
«Non c’è niente da fare.»
«Almeno hai mantenuto la promessa fatta ad Albert.»
«Sì» disse amaramente Morty. «Almeno ho mantenuto quella.»
Più o meno alla distanza che passava fra una parte del Disco e l’altra…
Dovrebbe esistere una parola per definire la microscopica scintilla di speranza che non si osa nutrire per paura che il semplice atto del prenderla in considerazione possa farla svanire, che assomiglia leggermente al cercare di guardare un fotone. Si può solamente scivolargli accanto, guardare oltre esso, camminare oltre esso, aspettando che diventi grande a sufficienza da poter affrontare il mondo.
Morty sollevò la testa gocciolante e guardò verso l’orizzonte al tramonto, cercando di ricordare il grosso modellino del Disco che si trovava nello studio della Morte senza lasciare che l’universo si accorgesse di che cosa avesse in mente in realtà.
In momenti come quelli può sembrare che l’eventualità si trovi in un equilibrio tanto precario che soltanto un pensiero troppo vivo possa distruggere tutto.
Si orientò sfruttando le deboli correnti di Luce del Centro che danzavano contro le stelle e gli sovvenne il corretto pensiero che Sto Lat era… dall’altra parte…
«Mezzanotte» disse a voce alta.
«Mezzanotte passata, adesso» aggiunse Ysabell.
Morty si alzò in piedi cercando di far sì che la sua felicità non trasparisse da lui come un raggio e si aggrappò ai finimenti di Binky.
«Forza» disse. «Non abbiamo molto tempo.»
«Di che stai parlando?»
Morty allungò una mano per farla salire dietro di sé. Era una idea gentile, ma significò quasi farlo cadere dalla sella. Lei lo respinse delicatamente indietro e montò su per conto proprio. Binky scartò di lato, avvertendo la febbrile eccitazione di Morty, nitrì e batté la sabbia con gli zoccoli.
«Ti avevo chiesto di che cosa stessi parlando.»
Morty voltò il cavallo per fargli fronteggiare il distante bagliore del tramonto.
«Alla velocità della notte» disse.
Bentagliato sporse la testa al di sopra dei bastioni del palazzo e gemette. L’interfaccia si trovava alla distanza di una singola strada, chiaramente visibile nell’ottarino, e lui non si doveva immaginare lo sfrigolio. Poteva sentirlo… un ronzio odioso, simile ai denti di una sega, mentre le particelle sparse di possibilità colpivano l’interfaccia e le trasmettevano la loro energia sotto forma di rumore. Mentre macinava il proprio cammino lungo la strada, la parete perlacea inghiottiva i dipinti, le torce e la gente in attesa, lasciando soltanto strade oscure. "Da qualche parte, là fuori" pensò Bentagliato "devo essere profondamente addormentato nel mio letto e nulla di tutto ciò è mai accaduto. Fortunato me."
Scese, appoggiò la scala sull’acciottolato e si affrettò verso la sala principale con la tunica che gli svolazzava attorno alle caviglie. Entrò attraverso il piccolo accesso secondario nella immensa porta e ordinò alle guardie di chiuderla a chiave, sollevò quindi le sottane e marciò a passo veloce attraverso il corridoio laterale così che gli ospiti non potessero notarlo.
La sala era illuminata dalla luce di migliaia di candele e affollata con i dignitari di Sto Lat, quasi tutti alquanto incerti del perché si trovassero lì. E, ovviamente, c’era anche l’elefante.
Era stato proprio l’elefante a convincere Bentagliato di essere ormai deragliato dai binari della sanità mentale, tuttavia, qualche ora prima, gli era sembrata un’ottima idea, quando cioè la sua disperazione rispetto alla scarsissima vista dell’Alto Sacerdote gli aveva fatto ricordare che un taglialegna al limitare della città possedeva la suddetta bestia per il trasporto dei pesi più imponenti. L’elefante era un po’ vecchio, artritico e aveva un carattere instabile, tuttavia come vittima sacrificale offriva un notevole vantaggio. L’Alto Sacerdote sarebbe stato in grado di vederlo.
Una mezza dozzina di guardie stava cercando con grande cautela di tener fermo l’animale, nel lento cervello del quale aveva cominciato ad albeggiare il pensiero che si sarebbe dovuto trovare nella sua familiare stalla, con un sacco di fieno, acqua e tempo per sognare i cocenti giorni nelle grandi pianure color terra bruciata di Klatch. Si stava facendo irrequieto.
Presto risulterà chiaro che un altro motivo per la sua crescente vivacità era dato dal fatto che, nella generale confusione precedente alla cerimonia, la sua lunga proboscide aveva trovato il calice cerimoniale contenente cinque litri di vino robusto e aveva scolato il tutto. Strane e calorose immagini stavano cominciando a ribollirgli davanti agli occhi incispati riguardanti baobab sradicati, lotte per l’accoppiamento con altri maschi, gloriose incursioni attraverso villaggi indigeni e altre piacevolezze mezzo ricordate. Presto avrebbe cominciato a vedere persone rosa.
Fortunatamente tutto questo era completamente ignoto a Bentagliato il quale colse lo sguardo dell’assistente dell’Alto Sacerdote… un giovanotto di belle speranze che aveva avuto la preveggenza di fornirsi di un lungo grembiule di tela cerata e di stivaloni impermeabili… e gli segnalò che la cerimonia sarebbe dovuta iniziare.
Egli sfrecciò nella stanza della vestizione dei sacerdoti e si dimenò per infilarsi nella speciale tunica da cerimonia che la sarta del palazzo aveva cucito per lui, dandoci dentro con pizzi, lustrini e fili dorati per confezionare un abito di tale abbacinante cattivo gusto che perfino l’Arcicancelliere dell’Università Invisibile non si sarebbe vergognato di indossare. Bentagliato si concesse cinque secondi per ammirarsi nello specchio prima di calzarsi in testa il cappello a punta e di ritornare correndo alla porta, fermandosi appena in tempo per emergere a passo tranquillo come si confaceva ad una persona di rango.
Raggiunse l’Alto Sacerdote mentre Keli iniziava la sua avanzata lungo il corridoio centrale, affiancata da ancelle che si accalcavano dietro a lei come rimorchiatori attorno ad una nave di linea.
Nonostante gli inconvenienti dell’abito ereditario, Bentagliato pensò che lei sembrava bellissima. C’era qualcosa in lei che lo…
Digrignò i denti e cercò di concentrarsi sulle disposizioni di sicurezza. Aveva sistemato delle guardie in diversi punti cardine della sala, nel caso in cui il Duca di Sto Helit avesse cercato di realizzare all’ultimo momento un rimaneggiamento della successione reale, e si ricordò di tenere personalmente sott’occhio il duca stesso, che si trovava seduto in prima fila sfoggiando uno strano e pacato sorriso sul volto. Il duca colse lo sguardo di Bentagliato e il mago, prontamente, distolse il proprio.
L’Alto Sacerdote sollevò le mani per ottenere silenzio. Bentagliato gli scivolò accanto mentre il vecchio si voltava in direzione del Centro e con voce gracchiante cominciava l’invocazione agli dei.
Bentagliato lasciò che i propri occhi tornassero fugacemente sul duca.
«Ascoltatemi, ehm, o dei…»
Sto Helit non stava forse guardando in alto nell’oscurità del sottotetto infestata di pipistrelli?
«…ascoltami, o Cieco Io dei Cento Occhi; ascoltami o Grande Offler dalla Bocca Piena di Uccelli; ascoltami, o Pietoso Fato; ascoltami o Freddo, ehm, destino; ascoltami, o Sek dalle Sette Mani; ascoltami, o Hoki dei Boschi; ascoltami, o…»
Sgomento dall’orrore, Bentagliato si rese conto che quel vecchio pazzo scatenato, contro tutte le istruzioni, stava per menzionare l’intera serie. C’erano più di novecento dei conosciuti sul Disco e ricercatori teologici ne stavano scoprendo ogni anno qualcuno in più. Potevano volerci ore. La congregazione cominciava già a scalpitare.
Keli si trovava in piedi di fronte all’altare con uno sguardo furioso in volto. Bentagliato dette all’Alto Sacerdote una gomitatina nelle costole, che non sortì alcun effetto apprezzabile, e poi agitò le sopracciglia in modo feroce in direzione del giovane novizio.
«Fermalo!» sibilò. «Non abbiamo abbastanza tempo!»
«Gli dei resterebbero dispiaciuti…»
«Non certo dispiaciuti quanto me, e io sono qui.»
Il novizio fissò per un istante l’espressione di Bentagliato e decise che avrebbe fatto meglio a spiegarsi con gli dei successivamente. Dette un colpetto sulle spalle dell’Alto Sacerdote e gli sussurrò qualcosa all’orecchio.
«"…o Steikhegel dio di, ehm, stalle isolate per vacche; ascoltami, o… salve?" Cosa?»
Mormorio, mormorio.
«Questo è, ehm, altamente irregolare. Benissimo, andremo direttamente alla, ehm, Recitazione del Lignaggio.»
Mormorio, mormorio.
L’Alto Sacerdote guardò Bentagliato con atteggiamento truce, o almeno nel punto in cui credeva si trovasse Bentagliato.
«Oh, d’accordo. Ehm, prepara l’incenso e le fragranze odorose per l’Assoluzione del Sentiero-Avvolto-Quattro-Volte.»
Mormorio, mormorio.
Il volto dell’Alto Sacerdote si rabbuiò.
«Suppongo che… ehm… una breve preghiera, ehm, sia completamente fuori discussione» disse in tono acido.
«Se certa gente non si sbrigherà» intervenne Keli in modo contegnoso «ci saranno dei bei guai.»
Mormorio.
«Non so se ho capito bene» replicò l’Alto Sacerdote. «Determinate persone potrebbero non avere alcun interesse nella cerimonia religiosa in sé. Andate a prendere quel dannato elefante, allora.»
Il novizio gettò a Bentagliato uno sguardo frenetico e fece un cenno alle guardie. Mentre esse spingevano in avanti il loro affidato che ondeggiava delicatamente, pungolandolo con lance e bastoni appuntiti, il giovane sacerdote si avvicinò a Bentagliato e gli infilò qualcosa in mano.
Egli abbassò lo sguardo. Era un cappello impermeabile.
«È necessario?»
«Lui è molto devoto» disse il novizio. «Potremmo avere bisogno di un respiratore.»
L’elefante raggiunse l’altare e venne costretto, senza eccessiva difficoltà, ad inginocchiarsi. Aveva il singhiozzo.
«Bene, dov’è, allora?» domandò seccamente l’Alto Sacerdote. «Vediamo di portare a termine questa farsa!»
Il novizio gli mormorò qualcosa. L’Alto Sacerdote lo stette ad ascoltare, annuì gravemente, prese il coltello sacrificale dalla bianca impugnatura e lo sollevò a due mani al di sopra della propria testa. L’intera sala lo guardava, trattenendo il respiro. Quindi egli lo abbassò di nuovo.
«Davanti a me dove?»
Mormorio.
«Non ho certo bisogno del tuo aiuto, ragazzo mio! Ho sacrificato uomini e bambini… e, ehm, donne e animali… per settant’anni e se non so usare il, ehm, il coltello, puoi mettermi a letto con una pala!»
Abbassò la lama con una selvaggia sferzata che, per pura fortuna, provocò all’elefante una leggera ferita superficiale sulla proboscide.
La creatura si risvegliò dal suo gradevole e riflessivo instupidimento e barrì. Il novizio si voltò in preda al terrore per guardare due piccoli occhi iniettati di sangue che lo fissavano passando per tutta la lunghezza della proboscide oltraggiata e superò l’altare con un balzo a piè pari.
L’elefante era furioso. Vaghe e confuse rimembranze di fuochi e di grida di uomini con reti, di gabbie e lance, e dei troppi anni in cui aveva trascinato pesanti tronchi d’albero gli fluivano nella testa indolenzita. Abbassò la proboscide sull’altare di pietra e, anche con sua grande sorpresa, lo spezzò in due, sollevando in aria le due parti con le zanne; cercò di sradicare un pilastro senza successo e poi, sentendo l’improvviso bisogno di una boccata di aria fresca, cominciò a caricare, in maniera un po’ artritica, lungo tutta la sala.
Colpì la porta a capofitto, col sangue che gli pulsava per il richiamo della foresta e lo stimolo dell’alcool, e la strappò via dai cardini. Portandosene ancora lo stipite sulle spalle, sbandò attraversando il cortile, abbatté i cancelli esterni, ruttò, tuonò attraverso la città dormiente e stava ancora leggermente accelerando quando annusò il distante continente nero di Klatch nella brezza notturna e, a coda sollevata, seguì l’antico richiamo di casa.
Intanto, nella sala, regnavano grida, polvere e gran confusione. Bentagliato sollevò il cappello dagli occhi e si alzò mettendosi carponi.
«Grazie tante» disse Keli che era rimasta schiacciata sotto di lui. «Perché mai mi saresti balzato addosso?»
«Il mio primo istinto è stato quello di proteggerti, Maestà.»
«Sì, di istinto può anche essersi trattato ma…» Lei stava per cominciare a dire che forse l’elefante sarebbe stato meno pesante ma la vista del grosso, serio e alquanto rosso volto di lui glielo impedì.
«Di questo parleremo più tardi» disse la ragazza, sollevandosi a sedere e spazzolandosi via la polvere di dosso. «Nel frattempo, penso che faremo a meno del sacrificio. Non sono ancora vostra Maestà, soltanto sua Altezza e se qualcuno volesse andare a prendere la corona…»
Si udì lo scatto di una sicura dietro di loro.
«Il mago metterà le mani dove io possa vederle bene» disse il duca.
Bentagliato si alzò lentamente e si voltò. Il duca era spalleggiato da una mezza dozzina di uomini estremamente grossi e seri, del tipo di quelli la cui unica funzione nella vita è di apparire dietro le spalle di persone come il duca. Avevano una dozzina di balestre grosse e serie, il cui scopo principale era quello di sembrare sul punto di scattare.
La principessa balzò in piedi e si lanciò verso suo zio ma Bentagliato la fermò.
«No» disse lui pacatamente. «Questo non è il genere di uomo che ti lega in una cella lasciando il tempo necessario ai topi per rosicchiare le corde prima che si alzi la marea. Questo è il tipo d’uomo che ti ammazza su due piedi.»
Il duca fece un inchino.
«Penso che possa venire asserito con certezza che abbiano parlato gli dei» disse. «È chiaro che la principessa è stata tragicamente travolta dal rude elefante. Il popolo rimarrà sconvolto. Io per primo proclamerò una settimana di lutto cittadino.»
«Non puoi farlo, tutti gli ospiti hanno visto…!» cominciò a dire la principessa sul punto di scoppiare a piangere.
Bentagliato scosse la testa. Poteva vedere le guardie avanzare attraverso una folla di ospiti sconcertati.
«Non hanno visto niente» riprese lui. «Rimarresti sconvolta nel sapere tutto quello che non hanno mai visto. Soprattutto quando scopriranno quanto può essere contagioso venire tragicamente travolti a morte da un rude elefante. Puoi morirne perfino nel tuo letto.»
Il duca rise con atteggiamento compiaciuto.
«Sei davvero abbastanza intelligente per essere un mago» disse. «Adesso, sto soltanto proponendo un esilio…»
«Non riuscirai a farla franca» disse Bentagliato. Ci ripensò per un istante, quindi aggiunse: «Be’, forse la farai anche franca, ma ti arrecherà gravi dolori sul letto di morte e desidererai aver…»
Smise di parlare. Rimase a bocca aperta.
Il duca si voltò parzialmente per seguire il suo sguardo.
«Ebbene, mago? Che cosa hai visto?»
«Non riuscirai a farla franca» disse Bentagliato in tono isterico. «Non sarai nemmeno qui. Tutto questo non sarà mai accaduto, capisci?»
«Guardate le sue mani» disse il duca. «Se muove anche solo un dito, colpiteli entrambi.»
Si voltò ancora, sconcertato. Il mago era sembrato sincero. Era vero che si diceva che i maghi potevano vedere cose che non c’erano…
«Non importerà nemmeno se mi ucciderai» aggiunse Bentagliato «perché tanto domani mattina mi alzerò nel mio letto e questo non sarà mai successo comunque. Sta arrivando attraverso la parete!»
La notte rotolava in avanti percorrendo il Disco. Era sempre lì, ovviamente, nascosta nelle ombre, nelle tane e nelle cantine, ma quando la lenta luce del giorno veniva trascinata via dal sole, le pozze ed i laghi di notte si diffondevano, si incontravano e si amalgamavano.
La luce del Mondo Disco si muove lentamente a causa dell’imponente campo magico. La luce del Mondo Disco non è come la luce degli altri posti. È un po’ invecchiata, è stata in giro per tanto tempo, non sente il bisogno di correre sempre da ogni parte. Sa che per quanto velocemente si sposti, l’oscurità arriva sempre prima e così se la prende comoda.
La mezzanotte scivolava sopra il paesaggio come un pipistrello di velluto. E anche più velocemente della mezzanotte, come una piccola scintilla che si stagliava contro il buio mondo del Disco, Binky le correva dietro. Gli uscivano fiamme dagli zoccoli. I muscoli gli si muovevano sotto la pelle luccicante come serpenti nell’olio.
Avanzavano in silenzio: Ysabell tolse un braccio dalla vita di Morty e osservò delle scintille luccicare attorno alle sue dita in tutti e otto i colori dell’arcobaleno. Piccoli e scricchiolanti serpentelli di luce le fluirono lungo il braccio e provocarono minuti lampi sulle punte dei suoi capelli.
Morty fece abbassare il cavallo, lasciando una bollente scia di nuvole che si estendeva per miglia dietro di loro.
«Adesso so che sto impazzendo» bofonchiò lui.
«Perché?»
«Ho appena visto un elefante qui sotto. Caspita, ragazzi! Guarda, si può vedere Sto Lat lì davanti.»
Ysabell sbirciò da sopra le sue spalle al distante bagliore di luce.
«Quanto tempo abbiamo ancora?» disse lei con un certo nervosismo.
«Non lo so. Forse pochi minuti.»
«Morty, io non te l’ho chiesto, prima…»
«Ebbene?»
«Che cosa intendi fare quando saremo arrivati?»
«Non lo so» rispose lui. «Stavo come sperando che mi sarebbe venuto in mente qualcosa quando fosse stato il momento.»
«E ti è venuto?»
«No. Ma adesso non è ancora il momento giusto. L’incantesimo di Albert potrebbe tornare utile. E io…»
La cupola di realtà era ammassata sopra il palazzo come una medusa che sta per collassare. La voce di Morty scomparve in un silenzio di terrore. Quindi Ysabell disse. «Be’, io penso che sia quasi il momento. Adesso che cosa faremo?»
«Tieniti forte!»
Binky si infilò attraverso i cancelli distrutti del cortile esterno del palazzo, scivolò lungo i ciottoli in una scia di scintille e balzò in mezzo all’arco della porta divelta della sala. La parete perlacea dell’interfaccia si evidenziò e loro vi passarono attraverso sentendo una specie di schiocco simile a quello di uno schizzo freddo.
Morty ebbe una confusa visione di Keli, Bentagliato e un gruppo di uomini che minacciava le loro vite. Riconobbe i tratti del duca ed estrasse la spada, schizzando via dalla sella appena il cavallo si fermò in mezzo alla nuvola di vapore che esalava.
«Non osate metterle addosso nemmeno un dito!» gridò lui. «O vi staccherò le teste!»
«Questa è certamente una cosa estremamente impressionante» disse il duca, brandendo la propria spada. «E anche decisamente pazzesca. Io…»
Si fermò. I suoi occhi guardarono verso l’alto. Si ribaltò in avanti. Bentagliato appoggiò a terra l’enorme candelabro d’argento che teneva in mano e lanciò a Morty un’occhiata di scusa.
Morty si voltò verso le guardie, con la spada azzurrognola della Morte che roteava nell’aria.
«Qualcuno desidera assaggiarla?» ringhiò. Essi indietreggiarono, quindi si voltarono e scapparono. Quando passarono attraverso l’interfaccia, svanirono. Non esistevano nemmeno ospiti, lì fuori. Nella realtà reale la sala era buia e vuota.
Vennero lasciati tutti e quattro in un emisfero che si stava facendo rapidamente sempre più piccolo. Morty si diresse verso Bantagliato.
«Qualche idea?» disse. «Io ho un incantesimo qui da qualche parte…»
«Scordatelo. Se provassi qualche magia qui dentro adesso, essa ci farebbe scoppiare via le teste. Questa limitata realtà è troppo piccola per contenerla.»
Morty si lasciò andare contro i resti dell’altare. Si sentiva vuoto, prosciugato. Per un istante guardò la parete sfrigolante dell’interfaccia scivolare sempre più vicina. Lui sarebbe sopravvissuto, sperava, e così pure Ysabell. Bentagliato no, ma un Bentagliato sì. Soltanto Keli…
«Insomma, sarò incoronata o no?» domandò lei con tono di ghiaccio. «Voglio morire da regina! Sarebbe terribile essere morta e comune!»
Morty le gettò un’occhiata senza riuscire a metterla bene a fuoco, cercando di ricordare di che diavolo lei stesse parlando. Ysabell stava pescando attorno alle rovine dietro all’altare e venne fuori con un cerchio d’oro alquanto ammaccato, incastonato di piccoli diamanti.
«È questa?» chiese Ysabell.
«Quella è la corona» rispose Keli, scoppiando quasi in lacrime. «Ma non c’è più né un sacerdote né niente.»
Morty sospirò profondamente.
«Bentagliato, se questa è la nostra realtà, la possiamo riaggiustare nel modo in cui vogliamo, no?»
«Che cosa hai in mente?»
«Adesso tu sei un sacerdote. Nomina il tuo dio.»
Bentagliato fece un inchino e prese la corona dalle mani di Ysabell.
«Vi state prendendo tutti quanti gioco di me!» esclamò seccamente Keli.
«Mi spiace» disse Morty con voce stanca. «È stata una giornata piuttosto lunga!»
«Spero di riuscire a farlo bene» disse Bentagliato in tono solenne. «Non ho mai incoronato nessuno prima d’ora.»
«Anche io non sono mai stata incoronata prima!»
«Bene» osservò allora Bentagliato cercando di tranquillizzarla. «Possiamo imparare insieme. Cominciò a bofonchiare qualche parola impressionante in una strana lingua. In realtà si trattava di un semplice incantesimo per liberare i vestiti dalle cimici, ma lui pensò: "Al diavolo!" E poi pensò anche: "Caspita, in questa realtà io sono il mago più potente che sia mai esistito, sarebbe una cosa da raccontare ai miei nipoti…" Digrignò i denti. Si sarebbero dovute cambiare parecchie regole in quella realtà, questo era certo.»
Ysabell si sedette vicino a Morty e fece scivolare la sua mano in quella di lui.
«Ebbene?» domandò lei tranquillamente. «Questo è il momento giusto. Ti è forse venuto in mente qualche cosa?»
«No.»
L’interfaccia era ormai a metà sala, rallentava leggermente mentre macinava senza sosta la pressione della realtà intrusa.
Qualcosa di umido e caldo soffiò nell’orecchio di Morty. Lui allungò la mano e toccò il muso di Binky.
«Caro, vecchio cavallo» disse. «Ho anche appena terminato le zollette di zucchero. Dovrai trovare la strada per tornare a casa da solo…»
La sua mano si fermò a metà carezza.
«Possiamo andare tutti a casa» disse.
«Non penso che a mia madre piacerebbe troppo» osservò Ysabell, ma Morty la ignorò.
«Bentagliato!»
«Sì?»