Morty schioccò le dita con atteggiamento imperioso. Ysabell piegò nuovamente la testa sul libro.

«"Albert guardò nel bagliore azzurrino di quegli occhi e l’ultimo briciolo di sfida si dissolse in lui"» lesse la ragazza «"in quanto non vi vide soltanto la Morte, ma la Morte con tutto il contorno umano di vendetta, crudeltà e disgusto e, con tremenda certezza, si rese conto che quella fosse per lui l’ultima opportunità e che Morty lo avrebbe rispedito indietro nel Tempo, lo avrebbe cacciato giù, preso e portato fisicamente nelle Dimensioni Sotterranee in cui creature orrende puntini, puntini, puntini"» terminò lei. «Ci sono soltanto puntini per una mezza pagina.»

«Perché il libro non osa nemmeno menzionarle» sussurrò Albert. Cercò di chiudere gli occhi ma le immagini nell’oscurità dietro le sue palpebre erano talmente vivide che li riaprì subito. Perfino Morty era migliore di quelle.

«D’accordo» disse. «Esiste un incantesimo. Rallenta il tempo in una piccola zona. Lo scriverò, ma dovrai trovare un mago che lo pronunci.»

«Posso farlo.»

Albert fece scorrere la lingua, come una vecchia luffa, sulle labbra aride.

«Tuttavia voglio un compenso» aggiunse. «Devi prima svolgere il tuo Servizio.»

«Ysabell?» disse Morty. Lei guardò la pagina che aveva di fronte.

«Dice sul serio» confermò lei. «Se non lo farai andrà comunque tutto storto e lui ripiomberà necessariamente nel Tempo.»

Si voltarono tutti e tre per guardare la grande pendola che dominava il corridoio. Il suo pendolo segava lentamente l’aria, tagliando il tempo in piccoli pezzi.

Morty gemette.

«Non c’è tempo sufficiente!» gemette ancora. «Non posso fare entrambe le cose in tempo!»

«La Padrona lo avrebbe trovato» osservò Albert.

Morty estrasse la lama dallo stipite e la agitò furiosamente ma inefficacemente verso Albert, che indietreggiò.

«Scrivi l’incantesimo, allora» gridò. «E fallo in fretta!»

Si girò sui tacchi e incedette impettito nello studio della Morte. C’era un grande disco del mondo in un angolo, completo anche dei solidi elefanti d’argento appoggiati sulla schiena della Grande A’Tuin fusa in bronzo, lunga più di un metro. I grandi fiumi erano rappresentati da vene di giada, i deserti da polvere di diamante e le città più importanti erano poste in rilievo con pietre preziose: Ankh-Morpork, per esempio, era un rubino rosso acceso.

Appoggiò le due clessidre sulle approssimative abitazioni dei loro proprietari e crollò nella poltrona della Morte, fissandole, desiderando ardentemente che fossero più vicine. La poltrona cigolò debolmente mentre lui spostava il proprio peso, guardando con ira il piccolo disco.

Dopo qualche minuto entrò Ysabell, camminando con passo felpato.

«Albert ha scritto tutto» disse con voce tranquilla «ho controllato sul libro. Non si tratta di un trucco. Lui è sparito e si è chiuso a chiave nella sua stanza, adesso, e…»

«Guarda queste due! Insomma, vuoi guardare?»

«Penso che ti dovresti calmare un momentino, Morty.»

«Come posso calmarmi? Guarda: questa si trova quasi nel Grande Nef, quest’altra è proprio a Bes Pelargic e poi dovrei anche riuscire a tornare a Sto Lat. Si tratta di un giretto di circa diecimila miglia, in qualsiasi modo lo si consideri. Non si può fare.»

«Sono certa che troverai un sistema. E io ti aiuterò.»

Lui la guardò per la prima volta e vide che la ragazza stava indossando il cappotto da viaggio, quello assolutamente inopportuno con un gran collo di pelliccia.

«Tu? Che potresti fare tu?»

«Binky non fa alcuna fatica a portare due persone» rispose Ysabell in tono mite. Agitò un pacchetto in maniera vaga. «Ho preparato qualcosa da mangiare. Potrei… tenere le porte aperte o roba del genere.»

Morty emise una risata priva di umorismo. «NON SARÀ NECESSARIO.»

«Vorrei che la smettessi di parlare in quel modo.»

«Non posso portarmi dietro altri passeggeri. Mi rallenteresti.»

Ysabell sospirò. «Ascolta, che ne dici di questo? Facciamo finta che abbiamo già litigato e che io ho vinto. Capito? Ci risparmia un sacco di sforzi. Penso che potresti trovare Binky piuttosto riluttante a partire se non ci sono io. Gli ho allungato un sacco di zollette di zucchero nel corso degli anni. Allora… andiamo?»

Albert stava seduto sullo stretto letto e fissava con aria minacciosa la parete. Udì il rumore di zoccoli di cavallo che cessò improvvisamente quando Binky decollò, e bofonchiò qualcosa fra sé e sé.

Passarono venti minuti. Le espressioni scivolavano sul volto del vecchio mago come ombre di nuvole sul fianco di una collina. Di tanto in tanto sussurrava qualcosa a se stesso come "glielo avevo detto" oppure "non me lo sarei mai aspettato" oppure "bisognerebbe dirlo subito alla Padrona".

Alla fine sembrò aver raggiunto un accordo con se stesso, si inginocchiò con circospezione e tirò fuori un tubo ammaccato da sotto il letto. Lo aprì con una certa difficoltà e srotolò una tunica grigia e impolverata dalla quale caddero al suolo palline di naftalina e lustrini ossidati. La indossò, spazzolò via con le mani il grosso della polvere e strisciò nuovamente sotto il letto. Si sentì una sequela di improperi attutiti, l’occasionale tintinnio di porcellane e, alla fine, Albert emerse tenendo in mano un bastone più alto di lui.

Era più spesso di qualsiasi altro bastone normale, principalmente a causa delle incisioni che lo ricoprivano da cima a piedi. Esse erano, a dire il vero, alquanto indistinte, ma davano l’impressione che, chi avesse potuto vederle meglio, se ne sarebbe certamente pentito.

Si diede un’altra spazzolatina e si esaminò con espressione critica nello specchio del lavabo.

A quel punto disse: «Cappello. Niente cappello. Devo avere un cappello per realizzare magie. Maledizione.»

Camminò con passo deciso fuori dalla stanza e tornò dopo un quarto d’ora di strenuo lavoro che incluse un grosso buco circolare lasciato sul tappeto della camera di Morty, l’asportazione della carta argentata dalla parte posteriore dello specchio della stanza di Ysabell, il recupero di ago e filo dalla cassetta che si trovava sotto il lavandino della cucina e la sottrazione di qualche lustrino dal fondo della cassapanca dei vestiti. Il risultato finale non era precisamente quanto gli sarebbe piaciuto e tendeva a cascargli sopra un occhio, sulle ventitré, tuttavia era nero e aveva sopra stelle e lune che dichiaravano che il suo proprietario era, senza la minima ombra di dubbio, un mago, anche se, magari, un mago alquanto disperato.

Si sentì vestito in maniera adeguata per la prima volta da duemila anni. Era una sensazione sconcertante e lo obbligò a riflettere per qualche secondo prima di scalciare da una parte il tappetino che aveva accanto al letto e di usare il bastone per tracciare un cerchio sul pavimento.

Dove la punta del bastone passava, lasciava una linea di brillante ottarino, l’ottavo colore dello spettro, il colore della magia, il pigmento dell’immaginazione.

Egli segnò otto punti sulla sua circonferenza e li unì per formare un ottogramma. Un cupo pulsare cominciò a riempire la stanza.

Alberto Malich si pose al centro del cerchio e brandì il bastone sopra la testa, sentì il solletichìo del potere dormiente che si risvegliava lentamente ed in maniera determinata, come una tigre che cammina con passo felpato. Esso innescò vecchi ricordi di potenza e di magia che si misero a ronzare attraverso gli attici carichi di ragnatele della sua mente. Si sentì vivo per la prima volta da secoli.

Si passò la lingua sulle labbra. Il rumore pulsante si era dissolto, lasciando uno strano tipo di silenzio di attesa.

Malich sollevò la testa e gridò una singola sillaba.

Una fiamma blu e verdastra si sprigionò dalle due estremità del bastone. Vampate di fiamme color ottarino si sollevarono dagli otto punti fissati sull’ottogramma e avvilupparono il mago. Tutto ciò non era assolutamente necessario per la realizzazione dell’incantesimo, ma i maghi ritenevano che le apparenze avessero sempre una certa importanza…

E così valeva anche per le sparizioni. Egli scomparve.


Venti stratoemisferici frustavano il mantello di Morty.

«Dove dobbiamo andare prima?» gli strillò Ysabell in un orecchio.

«Bes Pelargic!» gridò Morty, mentre la burrasca faceva turbinare via le sue parole.

«Dove sta?»

«Impero Agateo! Continente Contrappeso!»

Indicò verso il basso.

Non stava ancora forzando Binky, al momento, sapendo quante miglia avessero ancora da percorrere, e il grosso e bianco cavallo stava attualmente correndo ad un galoppo leggero al di sopra dell’oceano. Ysabell guardò giù sulle onde verdi e roboanti con le creste imbiancate di spuma e si strinse più forte a Morty.

Morty cercò di scrutare oltre il banco di nuvole che contraddistingueva il distante continente e resistette all’urgenza di spronare Binky col piatto della spada. Non aveva mai colpito il cavallo e non era completamente sicuro di che cosa sarebbe successo qualora ci avesse provato. Tutto ciò che poteva fare era attendere.

Gli apparve una mano, da sotto un braccio, che teneva un tramezzino.

«Ce ne sono col prosciutto oppure con formaggio e mostarda» disse lei. «Potresti anche mangiare, tanto non si può fare niente altro.»

Morty gettò un’occhiata al triangolo di pane ripieno e cercò di pensare quando fosse stata l’ultima volta che aveva mangiato. Sicuramente doveva avere superato il periodo di tempo a portata di un orologio… non aveva bisogno di un registro per calcolarlo. Prese il tramezzino.

«Grazie» disse, nel modo più gentile che riuscì ad esprimere.

Il piccolo sole rotolava giù verso l’orizzonte, trascinandosi dietro la pigra luce del giorno. Le nuvole davanti a loro si infittivano e risultavano profilate di rosa e arancione. Dopo qualche tempo, Morty riuscì a distinguere la foschia più scura della terra sotto di loro che presentava, qui e lì, le luci di una città.

Mezz’ora dopo era certo di riuscire a vedere i singoli edifici. L’architettura Agatea era incline ad usare tozze piramidi.

Binky scese un po’ di quota finché i suoi zoccoli si trovarono pochi metri al di sopra del mare. Morty esaminò nuovamente la clessidra e, con delicatezza, tirò le redini per dirigere il cavallo verso il porto che si trovava leggermente più in direzione del Rim rispetto alla loro attuale rotta.

C’erano poche navi all’ancora, nella maggior parte dei casi si trattava di mercantili da costa dotati di una singola vela. L’Impero non aveva incoraggiato i suoi sudditi ad allontanarsi troppo, per paura che essi potessero vedere cose che avrebbero potuto turbarli. Per lo stesso motivo era stata costruita una grande muraglia che circondava l’intero paese, costantemente pattugliata dalla Guardia Celeste, la cui principale funzione era quella di pestare pesantemente i piedi di qualsiasi abitante riteneva potesse avere desiderio di uscire qualche minuto per prendersi una boccata d’aria fresca.

La cosa non succedeva frequentemente perché la maggior parte dei sudditi dell’Imperatore del Sole erano abbastanza contenti di vivere all’interno della Muraglia. È un dato di fatto che ognuno si viene a trovare necessariamente o da una parte o dall’altra di un muro e così l’unica cosa da fare è dimenticarsene oppure cercare di sviluppare dei piedi molto forti.

«Chi governa questo posto?» chiese Ysabell, mentre passavano sopra al porto.

«C’è una specie di Imperatore Bambino» disse Morty. «Ma l’uomo che conta in realtà è il Gran Visir, immagino.»

«Non bisogna mai fidarsi di un Gran Visir» esclamò Ysabell con tono saggio.

E, a dire il vero, l’Imperatore del Sole non lo faceva. Il Visir, il cui nome era Nove Specchi Girevoli, aveva delle idee molto chiare rispetto a chi dovesse governare il paese, e cioè che sarebbe dovuto essere lui, e adesso il bambino era diventato grande a sufficienza da porre domande del tipo: "Non pensi che la muraglia sembrerebbe più bella se avesse dei grossi portali?" e "Già, ma che cosa c’è dall’altra parte?" e aveva deciso che, nell’interesse dello stesso Imperatore, quello sarebbe dovuto essere dolorosamente avvelenato e seppellito nella calce viva.

Binky atterrò sul ghiaietto ben rastrellato che si trovava all’esterno del palazzo basso e dalle molte stanze, che rispecchiava severamente l’armonia dell’universo.[8] Morty scivolò giù dalla sella ed aiutò a scendere anche Ysabell.

«Cerca di non starmi fra i piedi, eh?» disse lui precipitosamente. «E non farmi nemmeno delle domande.»

Corse lungo qualche gradino laccato e si affrettò attraverso le stanze silenziose, fermandosi di tanto in tanto per ottenere qualche riferimento dalla clessidra. Alla fine passò lungo un corridoio e sbirciò attraverso una grata a volute in una lunga e bassa stanza in cui la corte era riunita per il pasto serale.

Il giovane Imperatore del Sole era seduto a gambe incrociate al capo della stuoia e indossava un mantello pieno di fronzoli e penne che si estendeva alle sue spalle. Esso sembrava decisamente troppo grosso per la sua età. Il resto della corte stava seduto attorno alla stuoia secondo un ordine di precedenza complesso e rigido, tuttavia non era assolutamente possibile non notare immediatamente chi fosse il Visir, che stava ingozzando lo squishi e le alghe bollite che aveva nella ciotola con atteggiametno decisamente sospetto. Sembrava che nessuno stesse per morire.

Morty avanzò lungo il passaggio, svoltò all’angolo e andò quasi a sbattere contro parecchi imponenti membri della Guardia Celeste, che erano ammassati attorno ad uno spioncino che si trovava nella parete di carta e si stavano passando l’un l’altro una sigaretta nel tipico modo che usano i soldati in servizio: con il palmo della mano a coppa.

Morty tornò in punta di piedi alla grata e si mise ad origliare la conversazione:

«Io sono il più sfortunato dei mortali, oh, Presenza Immanente, per trovare una cosa come questa nel mio per altro soddisfacentissimo squishi» disse il Visir, portando in avanti i bastoncini.

Tutta la Corte allungò il collo per vedere meglio. Anche Morty lo fece. Tuttavia non poté esimersi dall’essere d’accordo con quella affermazione… quell’affare era una specie di ammasso blu-verdognolo con dei filamenti gommosi che pendevano giù da esso.

«Il preparatore del cibo verrà punito, Nobile Rappresentante di Erudizione» disse l’Imperatore. «Chi ha fatto questa cosa?»

«No, o Percettivo Padre della Tua gente, mi stavo riferendo al fatto che questo boccone è, io credo, la vescica e la milza di un’anguilla di mare profondo: a quanto si tramanda è il cibo più prelibato che esista, tanto da potere essere mangiato soltanto dagli eletti degli stessi dei, così viene scritto, nel numero dei quali io non oserei mai includere il mio miserabile essere.»

Con un agile guizzo trasferì il pezzetto di cibo alla ciotola dell’Imperatore in cui esso ballonzolò fino a fermarsi. Il ragazzo lo guardò per un istante e poi lo arrotolò sui bastoncini.

«Già» disse «ma non è anche stato scritto, nientemeno che dal grande filosofo Ly Tin Wheedle che un erudito può essere inquadrato anche al di sopra di un principe? Mi sembra di ricordare che tu stesso mi abbia dato da leggere quel brano, una volta, o Fedele e Assiduo Ricercatore della Conoscenza.»

Il pezzo di cibo percorse un altro breve arco nell’aria e ricadde con atteggiamento contrito nella ciotola del Visir. Lui lo raccolse con un movimento rapido e lo tenne in equilibrio per un secondo spostamento. Gli occhi gli si restrinsero fino a diventare due fessure.

«Questo potrebbe essere vero parlando in generale, o Fiume di Giada di Saggezza, ma, nel caso specifico, non posso venire valutato più dell’Imperatore che amo come fosse il mio stesso figlio e che ho servito dal giorno della disgraziata morte del suo defunto padre e, di conseguenza, depongo questa umile offerta ai tuoi piedi.»

Gli occhi della corte seguirono l’organo a brandelli al suo terzo volo al di sopra della stuoia: tuttavia l’Imperatore aprì il proprio ventaglio ed eseguì una magnifica volé che mandò a finire il boccone di nuovo nella ciotola del Visir con una forza tale da sollevare uno spruzzo di alghe

«Che qualcuno lo mangi, per l’amor del cielo!» gridò Morty restando completamente inudito. «Ho fretta!»

«Tu sei davvero il più premuroso dei servitori, o Devoto e Reale Unico Compagno del mio Defunto Padre e Nonno Quando Essi Trapassarono e, di conseguenza, io pretendo che il tuo premio sia il cibo fra i più rari e squisiti.»

Il Visir cincischiò la cosa con incertezza e fissò lo sguardo dell’Imperatore. Esso era luminoso e terribile. L’uomo cercò disperatamente di accampare una scusa.

«Ahimè, sembra che io abbia mangiato già troppo…» cominciò a dire, ma l’Imperatore fece un gesto perché rimanesse in silenzio.

«Indiscutibilmente esso necessita di un adeguato condimento» aggiunse e sbatté le mani. La parete che aveva alle spalle si strappò da capo a piedi ed entrarono quattro Guardie Celesti: tre di esse brandivano spade cando mentre la quarta cercava disperatamente di ingoiare un mozzicone acceso.

Al Visir cadde la ciotola dalle mani.

«Il mio più fedele servitore crede di non avere più nemmeno uno spazio libero per questo boccone finale» disse l’Imperatore. «Senza dubbio voi potete investigare nel suo stomaco per controllare se è vero. Perché mai quest’uomo ha del fumo che gli esce dalle orecchie?»

«È ansioso di entrare in azione, o Eminenza del Cielo» disse velocemente il sergente. «Temo che non ci sia modo di fermarlo.»

«Allora fa che sia lui a prendere il coltello, e… oh, il Visir sembra avere ancora un briciolo di fame, dopo tutto. Ben fatto.»

Ci fu un silenzio assoluto mentre le guance del Visir si gonfiavano ritmicamente. A quel punto egli deglutì.

«Delizioso» disse. «Superbo. Davvero cibo degno degli dei, e adesso, se vorrete scusarmi…» Allungò le gambe e fece per alzarsi. Cominciarono ad apparirgli delle perle di sudore sulla fronte.

«Desideri dipartire?» domandò l’Imperatore sollevando le sopracciglia.

«Urgenti questioni di Stato, o Perspicace Rappresentante di…»

«Siediti. Alzarsi così presto dopo i pasti può essere dannoso per la digestione» riprese l’Imperatore, e le guardie annuirono in segno d’assenso. «Inoltre non ci sono urgenti questioni di Stato a meno che tu non ti riferisca a quelle che si trovano nella boccettina rossa con scritto "Antidoto" che è riposta nella credenzina laccata di nero sulla stuoia di bambù nei tuoi quartieri, o Lampada dell’Olio di Mezzanotte.»

Il Visir cominciò a sentire le orecchie che gli ronzavano. Il suo volto si fece cianotico.

«Vedi?» disse l’Imperatore. «L’attività svolta in momenti poco tempestivi a stomaco pieno conduce a brutti malanni. Che questo messaggio raggiunga velocemente ogni angolo del mio Paese, che tutti gli uomini sappiano della tua sfortunata condizione e ne traggano insegnamento.»

«Io… devo… congratularmi… con Vostra… Personalità di… una tale… considerazione» disse il Visir e cadde a faccia in giù su un piatto di granchi bolliti dal guscio molle.

«Ho avuto un insegnante eccellente» esclamò l’Imperatore.

«ED ERA ANCHE ORA» osservò Morty, facendo vibrare la spada.

Un istante dopo l’anima del Visir si alzò dalla stuoia e guardò Morty da capo a piedi.

«Chi sei, barbaro?» disse seccamente.

«LA MORTE.»

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