5 Una corona spezzata

I corridoi ampi e i soffitti alti sembravano soffocanti e bui nonostante le grandi lampade dorate disposte a ogni angolo, con degli specchi per rifletterne la luce, illuminassero tutti i punti dove non arrivava la luce del giorno. I pochi arazzi alle pareti rappresentavano scene di caccia o battaglie, con persone e animali disposti con innaturale precisione. Nelle sporadiche nicchie erano esposti ciotole, vasi e, qua e là, una statuina, d’oro, argento o alabastro, ma persino le statue parevano enfatizzare la rigidità di pietra e metallo, come se gli scultori avessero cercato di bandire ogni curva.

Il silenzio della città lì era persino amplificato. Il rumore dei passi echeggiava in una cupa marcia premonitrice, e Perrin non pensava che fosse così solo per le sue orecchie. Quelle di Loial tremavano di continuo, e l’Ogier scrutava i corridoi che incrociavano come se si chiedesse cosa poteva saltarne fuori. Min camminava impettita e con passo energico, facendo delle smorfie meste ogni volta che guardava Rand; sembrava che si sforzasse di non stargli accanto e non ne era particolarmente contenta. I giovani Cairhienesi s’incamminarono tronfi come pavoni, ma la loro arroganza scomparve quando sentirono risuonare i propri passi. Anche le Fanciulle percepivano la stessa sensazione. Sulin era la sola a non portare di tanto in tanto le mani verso il velo che le pendeva sul petto.

Naturalmente c’erano servitori ovunque, uomini e donne pallidi e dai volti scarni, con addosso giubbe scure col sole nascente dorato ricamato sul petto e i colori di Colavaere sulle maniche. Alcuni rimasero a bocca aperta quando riconobbero Rand e un gruppetto s’inginocchiò a capo chino. Ma i più proseguirono nelle loro faccende dopo una breve pausa per un inchino o una riverenza. Era proprio come nel cortile. Mostravano il dovuto rispetto ai loro superiori, chiunque fossero. Obbedendo agli ordini e ignorando tutto il resto forse non sarebbero rimasti invischiati nei loro imbrogli. Era un modo di pensare che rendeva Perrin molto nervoso. Nessuno doveva vivere in quella maniera.

Due uomini con la divisa di Colavaere, in piedi davanti alle porte dorate della Grande Sala del sole, aggrottarono le sopracciglia alla vista delle Fanciulle e, forse, anche dei giovani cairhienesi. Le persone più anziane di solito guardavano male i giovani che imitavano, anche minimamente, gli Aiel. Più di un genitore aveva già provato a porvi fine, ordinando ai figli e alle figlie di smetterla, o dicendo a guardie e inservienti di cacciare via i figli di altri che si comportassero a quel modo, di trattarli come se fossero dei comuni vagabondi. Perrin non sarebbe rimasto sorpreso se gli uscieri avessero abbassato le staffe dorate per bloccare Selande e i suoi amici, che fossero o meno nobili, e le Fanciulle.

Erano pochi i Cairhienesi che ancora osavano chiamare ‘selvaggi’ gli Aiel, almeno apertamente, ma quasi tutti li ritenevano ancora tali. I due uomini sulla porta si ripresero, sospirarono e... videro Rand spuntare dal gruppo delle Fanciulle. I loro occhi saltarono quasi fuori dalle Orbite. Si guardarono senza voltarsi, quindi si inginocchiarono. Uno fissava il pavimento, l’altro chiuse gli occhi e Perrin lo sentì pregare sommessamente.

«A quanto pare mi adorano» disse Rand sottovoce. Non sembrava affatto lui. Min, con espressione afflitta, gli toccò un braccio. Rand le diede un colpetto sulla mano senza guardarla e, per qualche motivo, questo sembrò intristirla ancora di più.

La Grande Sala del sole era immensa, con un soffitto a volta alto almeno cinquanta passi e delle grandi lampade dorate appese a catene dello stesso materiale, abbastanza spesse da poterle usare per un ponte levatoio. Era immensa e piena, la gente era ammucchiata attorno alle massicce colonne squadrate di marmo blu venato di nero disposte in due file ai lati del corridoio centrale. Furono quelli in fondo a notare per primi i nuovi arrivati. Alcuni indossavano delle giubbe lunghe, altri corte, alcune ricamate con colori sgargianti e altre consumate dal viaggio. Tutti fissarono il gruppo di Rand con attenzione, molto incuriositi. Le poche donne in fondo alla sala portavano vestiti da cavallerizza e avevano espressioni dure come quelle degli uomini, con lo stesso sguardo diretto.

Perrin pensò fossero Cacciatici del Corno. Dobraine lo aveva avvisato che ogni nobile in grado di spostarsi sarebbe stato presente, e molti Cacciatori erano di nobili origini, o sostenevano di esserlo. Che avessero o meno riconosciuto Rand, avevano percepito qualcosa, e le mani scattarono verso spade e pugnali che però in quella circostanza non avevano indosso. I Cacciatori volevano soprattutto avventure e un posto nelle storie, oltre al Corno di Valere. Anche se non conoscevano il Drago Rinato, quando lo videro seppero riconoscere il pericolo da lui rappresentato.

Gli altri spettatori erano meno propensi a correre rischi, o meglio, erano più abituati agli intrighi e ai complotti. Perrin arrivò a metà del grande corridoio centrale, subito dietro Rand, prima che le esclamazioni si diffondessero nella sala come vento. I Cairhienesi erano pallidi, indossavano giubbe scure di seta con strisce colorate sul torace, e alcuni avevano il cranio rasato e incipriato; anche le dame avevano strisce colorate sui lunghi abiti a collo alto, con cascate di merletto che coprivano le mani, e portavano i capelli acconciati in torri intricate che spesso aggiungevano trenta centimetri alla loro altezza. I sommi signori e i signori della terra tarenesi avevano barbe imbrillantinate tagliate a punta, cappelli di velluto, giubbe rosse, blu e di ogni altro colore, con le maniche a sbuffo a strisce colorate; le loro dame indossavano abiti anche più variopinti, con ampi colletti di merletto e cuffie tempestate di perle e pietre di luna, granati e rubini. Conoscevano sia Perrin che Dobraine, Havien e Min, ma, cosa più importante, conoscevano Rand. Un’ondata di stupore lo seguì lungo tutta la sala. Occhi sgranati, bocche aperte, si irrigidirono così tanto che Perrin pensò quasi che gli Asha’man li avessero legati come avevano fatto con le guardie all’esterno. La sala era un mare di profumi dolci, con un sottofondo di sudore; attraverso quel misto filtrava la paura, un odore che si poteva definire fremente.

L’attenzione di Rand era rivolta tutta verso il fondo del corridoio, al palco di marmo blu scuro sul quale spiccava il trono del sole, risplendente di dorature come a rendere. onore al suo nome e con l’astro raggiato che spuntava dietro lo schienale. Colavaere si alzò lentamente, scrutando nel corridoio oltre la testa di Rand. Il suo abito quasi nero non aveva nessuna traccia di colore, ma la grande massa di ricci era stata acconciata con cura sopra la corona con il sole nascente d’oro e diamanti gialli. Accanto al trono c’erano sette ragazze che indossavano vestiti dal corpetto nero, con il merletto che spuntava sotto il mento e la gonna con strisce verticali dei colori di Colavaere, giallo, rosso e argento. Sembrava che la moda cairhienese fosse diversa per la regina e le sue dame.

Un leggero movimento dietro al trono mise in evidenza un’ottava donna, nascosta, ma a Perrin non importava né di Colavaere né di nessun’altra se non della ragazza direttamente alla sua destra. Faile. Gli occhi a mandorla erano fissi su di lui, grandi lune scure e liquide, ma la sua espressione decorosa e fredda non era minimamente alterata. Forse divenne ancor più tesa. Perrin cercò di fiutare l’odore della moglie, ma i profumi e il sentore della paura erano troppo intensi. Faile aveva di sicuro i suoi motivi per essere presente sul palco. Buoni motivi. Doveva.

Rand toccò la manica di Sulin: «Aspetta qui» le disse. Sulin aggrottò le sopracciglia, la cicatrice sul volto rugoso era bianca come i capelli, lo osservò, quindi annuì con ovvia riluttanza. Fece dei cenni con la mano libera e nella stanza si levarono altre esclamazioni quando le Fanciulle si velarono. Era una situazione quasi comica; gli otto uomini in giubba nera che cercavano di guardare simultaneamente in tutte le direzioni avrebbero potuto uccidere ogni persona presente nella sala prima che le Fanciulle riuscissero a scagliare una lancia, ma nessuno sapeva chi fossero. Nessuno li guardò due volte; erano solo una manciata di uomini con le spade rinfoderate. Erano tutti concentrati sulle Fanciulle e su Rand, e non avevano notato che nemmeno uno di quegli uomini sudava, proprio come Rand. Perrin invece era zuppo.

Dopo aver oltrepassato le Fanciulle, con Min ancora al suo fianco, Rand si fermò. Perrin, Dobraine e Havien si unirono a lui. Naturalmente anche Aram, che seguiva Perrin come un’ombra. Rand li studiò tutti uno alla volta annuendo lentamente: Si soffermò di più su Perrin, e impiegò più tempo per annuire. Il Cairhienese con i capelli grigi e il giovane di Mayene avevano un’espressione letale. Perrin non sapeva che espressione avesse lui, ma sentiva di aver serrato forte i denti. Nessuno avrebbe fatto del male a Faile, non importava cosa lei aveva fatto, o perché. Non gli interessava nemmeno pensare a cosa avrebbe dovuto fare per fermarli.

I passi rimbombarono sonori nel silenzio della vasta sala quando Rand e gli altri attraversavano il pavimento di mattonelle azzurre con l’immenso mosaico d’oro che rappresentava il sole nascente. Colavaere stringeva forte la gonna e si inumidiva le labbra mentre gli occhi guizzavano costantemente fra Rand e le porte alle sue spalle.

«Cerchi le Aes Sedai?» risuonò la voce di Rand, che fece uno sgradevole sorriso. «Le ho mandate all’accampamento aiel. Se non ci riescono gli Aiel a insegnar loro un po’ di buone maniere, nessun altro potrà farlo.» Nella sala si sollevò un mormorio di stupore, che scemò lentamente. Adesso l’odore della paura era molto più forte dei vari profumi.

Colavaere sobbalzò. «Perché dovrei...» Dopo aver sospirato profondamente, cercò di racimolare un minimo di dignità. Matura, più che attraente, senza nemmeno un tocco di grigio fra i capelli scuri, possedeva una regalità che non aveva nulla a che vedere con la corona che portava in capo. Era nata per comandare, per regnare, e sembrava esserne convinta. Gli occhi della donna soppesarono e valutarono, tradendo la sua intelligenza. «Mio lord Drago,» disse poi, con una riverenza talmente profonda da sembrare quasi canzonatoria «ti porgo il mio benvenuto. Cairhien ti porge il suo benvenuto.» Da come aveva parlato, le due frasi dovevano avere lo stesso significato.

Rand salì lentamente i gradini verso il trono. Min fece per seguirlo, ma poi si fermò a braccia conserte. Perrin invece continuò ad avanzare, per essere più vicino a Faile, ma fece solo pochi passi. Fu lo sguardo di sua moglie a bloccarlo. Uno sguardo che sembrava sempre più simile a quello di Colavaere. Guardava sia lui sia Rand. Perrin avrebbe voluto poter fiutare il suo odore, ma la mistura di profumi e paura era troppo forte. Perché Faile non parlava? Perché non andava da lui? Perché non sorrideva?

Colavaere si irrigidì appena, in maniera quasi impercettibile. Arrivava appena al petto di Rand, anche se l’acconciatura a torre finiva all’altezza degli occhi di lui. Occhi che si distolsero dal viso della nuova regina per concentrarsi sulle donne allineate ai lati del trono. Forse si soffermò un po’ più a lungo su Faile, ma Perrin non ne era sicuro.

Infine Rand appoggiò una mano su un bracciolo del trono del Sole. «Tu sai che intendo destinare il regno a Elayne Trakand.» Dalla sua voce non traspariva alcuna emozione.

«Mio lord Drago,» rispose con calma Colavaere «Cairhien è stata senza un regnante per troppo tempo. Un regnante cairhienese. Tu stesso hai detto di non aver alcun interesse per il trono del Sole. Elayne Trakand forse potrebbe avere qualche diritto,» con un gesto lezioso spazzò via quella eventualità «se fosse ancora viva, ma in giro si dice che sia morta, proprio come la madre.» Un’affermazione pericolosa. Molte voci sostenevano che Rand avesse ucciso sia la madre che la figlia. Quella donna di sicuro non era codarda.

«Elayne è viva.» Quelle parole suonarono piatte come un asse di legno, ma gli occhi di Rand erano ferventi. Perrin non riusciva a sentire l’odore dell’amico, non come Faile, ma non aveva bisogno del fiuto per vedere la rabbia che ribolliva davanti ai suoi occhi. «Elayne avrà sia la corona di Andor che quella di Cairhien.»

«Mio lord Drago, ciò che è stato fatto non può essere disfatto. Se c’è qualcosa che ti ha offeso...»

Nonostante tutta la sua dignità e il coraggio, Colavaere fece fatica a non indietreggiare quando Rand allungò una mano verso la corona del Sole. Si sentì un forte rumore di metallo spezzato e la corona si aprì di scatto, quasi senza scomporre l’acconciatura elaborata mentre veniva tirata lentamente via. Alcune delle splendenti pietre gialle caddero dall’incastonatura. Rand prese in mano quel pezzo di metallo allungato che cominciò a piegarsi lentamente per tornare alla forma originaria, le estremità si fusero insieme e...

Forse gli Asha’man avevano visto quanto era accaduto e forse lo comprendevano, ma agli occhi di Perrin la corona spezzata tornò in un istante integra. Fra i nobili nessuno fiatò, nessuno si mosse; Perrin pensò che forse avevano troppa paura per fare qualsiasi cosa. L’odore del terrore puro era più forte che mai. Non fremeva, era selvaggiamente spasmodico.

«Tutto quello che può essere fatto» spiegò Rand con voce sommessa «si può disfare.» Il volto di Colavaere era pallidissimo. Le poche ciocche di capelli che erano sfuggite dall’acconciatura la facevano sembrare selvatica, come un cavallo baio. Prima di riuscire a parlare, aprì la bocca e deglutì per ben due volte. «Mio lord Drago...» era appena un sussurro, ma quando la donna proseguì la sua voce tornò forte, anche se al limite della disperazione. Sembrava avesse dimenticato tutti i presenti. «Ho mantenuto le tue leggi e osservato le tue linee direttive. Anche quelle che vanno contro le antiche regole e le usanze di Cairhien.» Con ogni probabilità si riferiva alle leggi che prima permettevano a un nobile di uccidere un contadino o un artigiano senza incorrere in nessuna punizione. «Mio lord Drago, puoi dare a chi desideri il trono del Sole. Io... lo so bene. Io... io ho sbagliato a prenderlo senza il tuo permesso, ma ne ho diritto, per nascita e discendenza. Se è dalle tue mani che devo riceverlo, allora concedimelo. Ne ho diritto!» Rand si limitò a guardarla senza dire nulla. Sembrava stesse ascoltando qualcuno, ma non lei.

Perrin si schiarì la voce. Perché Rand la stava tirando tanto per le lunghe? Che facesse ciò che andava fatto. Così lui avrebbe portato via Faile, in un posto dove avrebbero potuto parlare. «Avevi anche il diritto di uccidere lord Maringil e il sommo signore Meilan?» domandò Perrin a Colavaere. Non aveva dubbi che fosse lei la colpevole. Erano stati i suoi maggiori rivali nell’ascesa al trono. Come lei, vantavano molti diritti di successione. Perché Rand se ne stava Il immobile? Era al corrente di tutto. «Dov’è Berelain?»

Prima che quel nome avesse lasciato la sua bocca, Perrin si pentì di averlo pronunciato. Faile gli lanciò un’occhiata torva; mantenne quella sua maschera inespressiva, ma gli occhi avrebbero potuto incendiare l’acqua. ‘Una moglie gelosa è come un nido di calabroni nel letto’, così diceva un proverbio. Non importava quanto ci si spostasse, prima o poi si veniva punti.

«Osi accusarmi di un crimine tanto vile?» chiese Colavaere. «Non hai alcuna prova. Non ce n’è nessuna! Perché sono innocente.» Parve improvvisamente consapevole di dove si trovava, dei nobili assiepati spalla a spalla fra le colonne che osservavano e ascoltavano. Qualsiasi cosa si potesse dire di lei, quella donna aveva coraggio. Restando dritta, fece del suo meglio per guardare Rand negli occhi senza dover chinare troppo indietro la testa. «Mio lord Drago, all’alba di nove giorni fa sono stata incoronata regina di Cairhien, secondo le leggi e le usanze di questo regno. Manterrò il mio giuramento di fedeltà nei tuoi confronti, ma io ‘sono’ la regina di Cairhien.» Rand continuava a fissarla in silenzio. A Perrin sembrava che fosse anche preoccupato. «Mio lord Drago, sono regina, a meno che tu non voglia spogliarci di tutte le nostre leggi.» Rand etra rimasto in silenzio, e teneva lo sguardo fisso sulla donna.

Perché non mette fine a tutto ciò?, si chiese Perrin.

«Queste accuse nei miei confronti sono false. Sono follie!» esclamò Colavaere, ottenendo in risposta sempre e solo quello sguardo fisso e muto. Mosse il capo a disagio. «Annoura, consigliami. Avanti, Annoura! Consigliami!»

Perrin suppose che Colavaere si fosse rivolta a una delle donne vicino a Faile, ma quella donna che uscì da dietro al trono non indossava la gonna con le strisce come quella delle dame. Aveva il volto ampio, la bocca larga e il naso adunco, e guardò Rand da dietro una dozzina di treccine scure. Aveva un volto dall’età indefinibile. Con sorpresa di Perrin, Havien emise un verso strozzato e fece uno strano sorriso. Perrin aveva i capelli dritti sulla nuca.

«Non posso farlo, Colavaere» rispose l’Aes Sedai con l’accento di Tarabon, sistemandosi lo scialle con le frange grigie. «Temo di averti permesso di interpretare nel modo sbagliato la mia relazione con te.» Dopo aver sospirato, aggiunse: «Non c’è... non c’è bisogno di tutto questo, giovane al’Thor.» La voce dell’Aes Sedai vacillò per un momento. «O mio lord Drago, se preferisci. Ti assicuro che non ho cattive intenzioni nei tuoi confronti. Se così fosse stato, avrei colpito prima che tu potessi accorgerti che fossi qui.»

«Se ci avessi provato, saresti morta.» La voce di Rand era fredda e dura come metallo, ma sembrava dolce rispetto all’espressione del suo volto. «Non sono io quello che ti ha schermata, Aes Sedai. Chi sei? Perché sei qui? Rispondimi! Non ho molta pazienza con... quelle come te. Forse preferisci essere trascinata all’accampamento degli Aiel? Scommetto che le Sapienti sapranno come farti parlare.»

Di sicuro questa Annoura non era poco intelligente. I suoi occhi scattarono su Aram, quindi sul corridoio dove erano disposti gli Asha’man. E capì. Dovevano essere stati loro a schermarla, quegli uomini con le giubbe nere e i volti cupi asciutti mentre quelli di tutti gli altri, tranne il suo e quello di Rand, brillavano di sudore. Il giovane Jahar la stava guardando come un falco che osserva un coniglio. Loial stonava non poco in mezzo a quel gruppo, con l’ascia in spalla. Con una delle grosse mani riusciva a reggere una boccetta d’inchiostro e il libro che teneva premuto contro il petto, mentre con l’altra scriveva il più velocemente possibile, con una penna larga quanto il pollice di Perrin. Stava prendendo appunti...

Come Annoura, i nobili avevano capito bene il messaggio di Rand. Se prima avevano osservato a disagio le Fanciulle velate, ora si ritraevano dagli Asha’man, schiacciandosi uno contro l’altro come pesci in un barile. Alcuni erano addirittura svenuti, ancora in piedi solo perché sostenuti dalla folla.

Annoura si aggiustò lo scialle rabbrividendo e recuperò la proverbiale compostezza delle Aes Sedai. «Io sono Annoura Larisen, mio lord Drago, dell’Ajah Grigia.» Niente in lei lasciava capire che era schermata e in presenza di uomini che potevano incanalare. Sembrava che rispondendo concedesse loro un favore. «Sono la consigliera di Berelain, la Prima di Mayene.» Ecco il motivo del sorriso folle di Havien: aveva riconosciuto la donna. Perrin invece non era affatto dell’umore giusto per sorridere. «Devi capire che abbiamo dovuto agire in segreto» proseguì l’Aes Sedai «per via dell’atteggiamento di Tear nei confronti sia di Mayene che delle Aes Sedai, ma ritengo che il momento dei segreti sia superato, giusto?» Annoura si girò verso Colavaere, e la sua bocca si fece più dura. «Ho lasciato che pensassi quello che volevi, ma le Aes Sedai non diventano consigliere di qualcuno solo perché questi dice che è così. Soprattutto se ricoprono già quel ruolo per un’altra persona.»

«Se Berelain conferma la tua storia,» disse Rand «ti lascerò in sua custodia.» Quando posò lo sguardo sulla corona, sembrò accorgersi per la prima volta che quel pezzo d’oro e gemme era ancora fra le sue mani, ma la depose molto gentilmente sul cuscino di seta del trono del Sole. «Non penso che tutte le Aes Sedai siano mie nemiche, non del tutto, ma non accetterò più i vostri complotti, e non mi lascerò manipolare, mai più. La scelta spetta a te, Annoura, ma se farai quella sbagliata andrai dalle Sapienti. Se vivrai abbastanza a lungo. Non tratterò con gli Asha’man, e un errore potrebbe costarti caro.»

«Gli Asha’man» ripeté Annoura. «Capisco.» Ma si inumidì le labbra.

«Mio lord Drago, Colavaere aveva in mente di infrangere il suo giuramento di fedeltà.» Perrin aveva desiderato con tale fervore che Faile parlasse che sobbalzò quando lei uscì dalla fila delle dame per farlo. Scegliendo le parole con cura, sua moglie affrontò la presunta regina come un’aquila in picchiata. Luce, quanto era bella! «Colavaere aveva giurato di obbedirti e di conservare le tue leggi, ma tramava per liberare Cairhien dagli Aiel, inviandoli a sud, e per riportare tutto a com’era prima del tuo arrivo. Ha anche detto che se tu avessi mai fatto ritorno non avresti osato cambiare ciò che lei aveva fatto. La donna alla quale ha confessato queste cose, Maire, era una delle sue dame. È scomparsa poco dopo avermi rivelato tutto ciò. Non ne ho le prove, ma credo che sia morta. Suppongo che Colavaere si sia pentita di aver rivelato troppo e troppo presto ciò che aveva in mente.»

Dobraine salì gli scalini del palco tenendo l’elmetto sotto un braccio. Il suo volto avrebbe potuto essere di ferro per quanto era freddo e duro. «Colavaere Saighan,» annunciò con una voce formale che raggiunse ogni angolo della Grande Sala «per la mia anima immortale, davanti alla Luce, io, Dobraine, sommo signore della casata Taborwin, ti cito in tribunale e ti accuso di tradimento, reato la cui punizione è la condanna a morte.»

Rand si voltò, a occhi chiusi. Mosse leggermente le labbra, ma Perrin sapeva che solo lui e Rand stesso potevano sentire ciò che stava dicendo: «No, non posso. Non lo farò.» Adesso Perrin capiva perché il suo amico aveva perso tempo. Stava cercando una via d’uscita da quella situazione, e Perrin sperò che riuscisse a trovarne una.

Colavaere di sicuro non aveva sentito, ma anche lei cercava disperatamente una scappatoia. Si guardò attorno con occhi sgranati, guardò il trono del Sole, le sue dame, i nobili, come se potessero farsi avanti e difenderla. Sembrava che avessero tutti i piedi immersi nel cemento. Un mare di volti inespressivi e sudati che la guardavano, evitando i suoi occhi. Alcuni scrutavano gli Asha’man, ma non apertamente. Lo spazio già considerevole fra i nobili e gli uomini con le giubbe nere aumentò ancora di più.

«Menzogne!» sibilò Colavaere, con le mani strette sulla gonna. «Sono tutte menzogne! Tu, piccola serpe, piccola...» Fece un passo verso Faile. Rand distese un braccio fra loro. La donna infuriata parve non vederlo neppure, mentre Faile avrebbe evidentemente preferito che Rand non si fosse frapposto. Chiunque l’avesse attaccata avrebbe trovato una sorpresa.

«Faile non mente!» gridò Perrin. Be’, almeno non riguardo una faccenda del genere, aggiunse tra sé.

Colavaere recuperò ancora una volta il controllo. Cercò di ergersi in tutta la sua altezza, benché non fosse molto considerevole. Perrin avrebbe quasi potuto ammirarla. Se non fosse stato per Meilan, Maringil, quella Maire e solo la Luce sapeva quanti altri aveva ucciso. «Chiedo che venga fatta giustizia, mio lord Drago.» La voce di Colavaere era calma, maestosa. Regale. «Non vi è prova alcuna di questa... spazzatura. Non puoi affidarti alle dichiarazioni di una ragazza che non è più a Cairhien, una ragazza che mi ha accusato di aver detto parole che non sono mai uscite dalla mia bocca. Chiedo giustizia al lord Drago. Secondo le tue leggi, devono esserci le prove.»

«Come fai a sapere che questa ragazza non è più a Cairhien?» chiese Dobraine. «Dov’è allora?»

«Suppongo sia andata via.» Colavaere rivolse a Rand la risposta. «Maire ha lasciato il mio servizio e io l’ho sostituita con Reale, quella giovane laggiù.» Fece un cenno verso la terza dama sulla sinistra. «Non ho la più pallida idea di dove si trovi. Portala al mio cospetto se è ancora in città, e lascia che ripeta queste accuse ridicole guardandomi in faccia. Le farò rimpiangere le sue bugie.» Faile la guardava con espressione omicida. Perrin si augurò che non estraesse uno dei pugnali che teneva nascosti addosso. Aveva l’abitudine di farlo quando si arrabbiava troppo.

Annoura si schiarì la gola. Aveva studiato Rand con fin troppa attenzione, secondo Perrin. A un tratto gli ricordò Verin, con quello sguardo da uccello che esamina un verme. «Posso parlare giovane... ehm... mio lord Drago?» Quando Rand fece un rapido cenno col capo, la donna proseguì aggiustandosi lo scialle: «Della giovane Maire non so nulla, se non che la mattina era qui e prima che scendesse la notte era scomparsa e nessuno sapeva dove fosse andata. Ma lord Maringil e il sommo signore Meilan sono un’altra storia. La Prima di Mayene ha portato con sé due eccellenti cacciatori di ladri, esperti nell’indagare i crimini. Questi hanno condotto al mio cospetto due degli uomini che hanno teso l’agguato in strada al sommo signore Meilan, anche se entrambi insistono nel dire che loro gli hanno solo tenute ferme le braccia mentre qualcun altro lo pugnalava. Mi hanno anche portato la cameriera che ha messo il veleno nel vino speziato che lord Maringil amava bere ogni sera prima di andare a letto. Anche questa giovane ha dichiarato di essere innocente. La madre invalida sarebbe morta insieme a lei se non si fosse occupata di lord Maringil. Io credo che abbia detto la verità. Il sollievo provato durante la confessione non era falso. Sia questa cameriera che quei due uomini sono d’accordo su un punto: gli ordini per le loro azioni sono usciti direttamente dalla bocca di Colavaere.»

Di parola in parola, Colavaere aveva iniziato a trasudare disprezzo. Stava ancora in piedi, cosa alquanto stupefacente poiché sembrava floscia come una bambola di pezza. «Avevano promesso» mormorò a Rand. «Avevano promesso che non avresti mai fatto ritorno.» Quando ormai era troppo tardi, si schiacciò entrambe le mani sulla bocca. Sgranò gli occhi. Perrin avrebbe voluto non ascoltare i versi gutturali che stava emettendo la donna. Nessuno avrebbe dovuto fare rumori simili.

«Tradimento e omicidio» Dobraine sembrava soddisfatto. Quei piagnucolii non parevano avere alcun effetto su di lui. «La punizione è la stessa, mio lord Drago. Morte. La sola differenza è che secondo la tua legge adesso l’omicidio è punito con l’impiccagione.» Per motivi ignoti, Rand guardò Min. La ragazza ricambiò lo sguardo con profonda tristezza. Non per Colavaere. Per Rand. Perrin si chiese se la cosa avesse a che fare con una delle sue visioni.

«Io chiedo di... essere decapitata» riuscì a dire Colavaere con voce strozzata. Era avvizzita in viso. Era invecchiata di colpo, e gli occhi riflettevano terrore puro. Anche se non le era rimasto più nulla, combatteva con le unghie per i rimasugli. «È... un mio diritto. Non sarò... impiccata come la gente comune!»

Rand sembrava in lotta con sé stesso, scuoteva il capo in maniera inquietante. Quando alla fine parlò, le sue parole furono fredde come l’inverno e dure come il ferro di un’incudine. «Colavaere Saighan, ti spoglio di tutti i tuoi titoli.» Le parole erano come chiodi su una tomba. «Ti deprivo delle tue terre, di possedimenti e beni, di tutto tranne il vestito che hai indosso. Hai una... avevi una fattoria? Una piccola fattoria?»

Ognuna di quelle frasi per la donna era stata una pugnalata. Barcollò quasi fosse ubriaca, formulando con la bocca la parola ‘fattoria’ come se non l’avesse mai sentita prima. Annoura, Faile e gli altri, incluso Perrin, fissavano Rand con stupore o curiosità, o forse entrambi. Una fattoria? Se prima la Grande Sala era stata immersa nel silenzio, adesso sembrava che i presenti avessero anche smesso di respirare.

«Dobraine, questa donna possedeva una piccola fattoria?»

«Lei possiede... possedeva molte fattorie, mio lord Drago» rispose lentamente il Cairhienese. Ovviamente ci capiva poco anche lui. «Sono quasi tutte di grandi dimensioni, ma le terre vicino al Muro del Drago sono da sempre suddivise in piccole tenute, meno di cento metri quadri. Tutti i locatari le hanno abbandonate durante la Guerra aiel.»

Rand annuì. «È giunto il momento di cambiare questa situazione. Troppa terra è rimasta incolta per troppo tempo. Voglio che ci torni qualcuno, per iniziare di nuovo a coltivare. Dobraine, scoprirai per me quale di queste fattorie che Colavaere possedeva vicino al Muro del Drago è la più piccola. Colavaere, ti condanno all’esilio in quella fattoria. Dobraine, farà in modo che tu abbia tutto il necessario per gestirla e sarai accompagnata da qualcuno che ti insegnerà come arare il terreno. Naturalmente ci saranno soldati per accertarsi che tu non ti spinga mai a più di un giorno di cammino, per tutta la vita. Occupatene tu, Dobraine. La voglio via da qui entro una settimana.» Dobraine, perplesso, esitò prima di annuire. Adesso Perrin sentiva dei mormorii provenire dalla folla alle sue spalle. Era una punizione di cui non si era mai sentito parlare. Nessuno aveva capito perché non fosse stata condannata a morte. E c’era dell’altro. Le proprietà erano già state confiscate in passato, ma mai tutte, mai alla vera nobiltà. I nobili erano stati mandati in esilio, anche per tutta la vita, ma mai in una fattoria.

La reazione di Colavaere fu immediata. Gli occhi ruotarono verso l’alto mostrando solo il bianco e la donna svenne, cadendo verso gli scalini.

Perrin scattò per afferrarla ma qualcuno lo precedette. Prima che lui potesse muovere anche un solo passo, la caduta della donna s’interruppe. Colavaere rimase sospesa mollemente a mezz’aria, inclinata verso le scale con là testa penzoloni. Il corpo privo di sensi si sollevò lentamente, ruotò e fu deposto con gentilezza davanti al trono del Sole. Perrin era sicuro che gli Asha’man l’avrebbero lasciata cadere.

Annoura emise un verso di disappunto. Non sembrava sorpresa né turbata, anche se muoveva le dita con fare nervoso. «Sospetto che avrebbe preferito essere decapitata. Mi occuperò di lei se permetterai ai tuoi uomini, i tuoi... Asha’man...»

«Lei non ti riguarda» rispose duro Rand. «È viva e... È viva.» Rand sospirò a lungo e con fatica. Min andò da lui. Gli si fermò accanto, anche se era evidente che avrebbe voluto fare qualcosa di più. Il volto di Rand tornò lentamente alla durezza di prima. «Annoura, tu mi condurrai da Berelain. Rilasciala, Jahar, non ci darà noie, visto che è sola contro nove di noi. Voglio scoprire cos’è successo mentre ero via, Annoura, e come è venuto in mente a Berelain di portarti qui a mia insaputa. No, non parlare. Lo voglio sentire da lei. Perrin, so che vuoi stare da solo con Faile e...»

Rand si girò verso la sala, facendo vagare lo sguardo su tutti i nobili che attendevano in silenzio. Sotto i suoi occhi nessuno osò muovere un muscolo. L’odore della paura copriva di gran lunga tutti gli altri. A parte i Cacciatori, tutti i presenti avevano prestato a Rand lo stesso giuramento di Colavaere. Forse la loro semplice presenza a quella riunione poteva essere considerata un tradimento. Perrin non lo sapeva.

«L’udienza è finita» annunciò Rand. «Dimenticherò tutti i volti che lasceranno la sala in questo momento.»

Quelli in prima fila, i nobili di rango più alto, i più potenti, iniziarono ad avviarsi verso le porte senza affrettarsi troppo, evitando le Fanciulle e gli Asha’man nel corridoio, mentre gli altri aspettavano il loro turno. In tutte le teste con ogni probabilità riecheggiavano ancora le parole di Rand. Cosa intendeva di preciso con ‘questo momento’? I passi si fecero più veloci e le gonne vennero sollevate leggermente. I Cacciatori vicino alle porte iniziarono a uscire, dapprima uno per volta poi a gruppi e, vedendoli, la piccola nobiltà di Cairhien e Tear scattò subito, superando anche i più potenti. In pochi momenti si ammassarono tutti davanti alle porte, uomini e donne che spingevano e si prendevano a gomitate per uscire. Nessuno si voltò indietro a guardare la donna distesa davanti al trono che aveva detenuto per un così breve periodo.

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