Mentre la nave si allontanava dall’imbarcadero, Nynaeve lasciò cadere la propria maschera sulla panca imbottita e si accasciò a braccia conserte stringendo con forza la treccia, lo sguardo torvo fisso nel nulla e rivolto a tutto e tutti. Ascoltò il vento, e sentì di nuovo che era in arrivo un potente uragano, che avrebbe sventrato i tetti e distrutto i fienili; Nynaeve desiderò quasi che il fiume s’infuriasse proprio in quell’istante.
«Se non si tratta del tempo, Nynaeve» ripeté in falsetto «allora dovresti essere tu ad andare. La Maestra della Nave potrebbe ritenersi insultata se non inviamo la più forte fra di noi. Sanno che le Aes Sedai danno molta importanza a queste cose. Bah!» In realtà, Elayne aveva semplicemente preferito affrontare le sciocchezze di Merilille piuttosto che Nesta. Quando si partiva con il piede sbagliato con qualcuno era difficile recuperare — Mat Cauthon ne era la prova! — e se avessero continuato peggio di come avevano iniziato con Nesta din Reas Due Lune, quella donna avrebbe di sicuro mandato via tutte loro.
«Donna orribile!» borbottò Nynaeve, cambiando posizione sul sedile imbottito. La reazione di Aviendha non era stata migliore quando Nynaeve le aveva proposto di andare dal Popolo del Mare dicendole che le erano sembrati tutti affascinati da lei. Nynaeve impostò la voce in un tono stridulo e schizzinoso, per niente simile a quello di Aviendha, ma l’umore era quello giusto: «Ci occuperemo di questo quando sarà momento, Nynaeve al’Meara. Forse oggi scoprirò qualcosa osservando Jaichim Carridin.» Se non fosse stato per il fatto che nulla spaventava la donna aiel, Nynaeve avrebbe pensato che Aviendha aveva paura, vista l’impazienza di andare a spiare Carridin. Un giorno trascorso in piedi in una strada rovente tra mille spintoni non era certo divertente, e quel giorno sarebbe stato peggio a causa della festa. Nynaeve era convinta che ad Aviendha sarebbe piaciuta una gita in barca.
L’imbarcazione rollò. Una gita in barca, si ripeté. Piacevole brezza fresca nella baia. Brezza umida, non secca. L’imbarcazione rollò. «Oh, sangue e ceneri!» si lamentò Nynaeve. Ormai atterrita, batté i talloni contro il sedile davanti. Se avesse dovuto sopportare ancora a lungo questo Popolo del Mare, avrebbe parlato come Mat. Non voleva pensare a lui. Un altro giorno a trattenere le mani per quel... quell’uomo e... si sarebbe strappata fino all’ultimo capello! Per la verità Mat non aveva chiesto nulla di irragionevole, ma lei si aspettava che lo facesse da un momento all’altro e con quelle sue maniere...
«No!» disse con fermezza. «Ho bisogno di calmarmi, non di peggiorare la situazione.» La barca aveva incominciato a ondeggiare lievemente e Nynaeve cercò di concentrarsi sui propri vestiti. Per lei non erano una mania come per Elayne, ma pensare alla seta e ai merletti la aiutava a placarsi.
Aveva scelto tutto per fare buona impressione alla Maestra della Nave, nel tentativo di recuperare un po’ del terreno perduto, per quanto poteva servire. Seta verde con delle striature gialle sulla gonna, ricami color oro lungo le maniche e sul corpetto, con del merletto dorato lungo l’orlo e ai polsi e, di meno, intorno al colletto. Se avesse indossato un abito dalla scollatura meno generosa sarebbe stata più credibile, ma non possedeva nulla di simile. Nesta avrebbe dovuto accettarla com’era; Nynaeve al’Meara non cambiava per nessuno.
I fermagli con gli opali gialli risaltavano sulla treccia ed erano suoi — un regalo della Panarca di Tarabon — ma Tylin le aveva fornito la collana d’oro con smeraldi e perle che scendevano sul petto. Un pezzo molto più pregiato di qualsiasi cosa lei si fosse mai sognata di possedere. Un regalo per averle portato Mat, così aveva detto Tylin, cosa che non aveva alcun senso, ma forse la regina pensava di aver bisogno di una scusa per farle un regalo di gran valore. Entrambi i braccialetti di oro e avorio erano di Aviendha, che aveva un sorprendente cofanetto di gioielli per una donna che raramente portava più di una collana d’argento. Nynaeve le aveva chiesto in prestito quel bel bracciale con le rose e le spine che la Aiel non indossava mai. Con sua sorpresa, Aviendha se l’era stretto al petto come se fosse l’oggetto più prezioso che possedeva, ed Elayne aveva cominciato a confortarla. Nynaeve non si sarebbe sorpresa se avesse visto le due scoppiare a piangere una sulle spalle dell’altra.
Stava succedendo qualcosa di strano, e se non avesse conosciuto bene quelle due, avrebbe sospettato che fosse coinvolto un uomo. Be’, Aviendha era troppo sensata per una simile idiozia; Elayne ancora desiderava Rand, anche se Nynaeve non poteva incolparla di...
A un tratto percepì un flusso di saidar quasi sopra di lei, una quantità spaventosa e...
...si ritrovò a dimenarsi nell’acqua salata, nuotando verso l’alto alla ricerca d’aria, con la gonna aggrovigliata intorno alle gambe, agitando le braccia. Emerse in superficie e respirò affannosamente, fissando stupita i cuscini che le galleggiavano intorno. Dopo un momento riconobbe la sagoma inclinata sopra di lei: era uno dei sedili della cabina, con un pezzo di parete. Era intrappolata in una sacca d’aria. Non larga, avrebbe potuto toccare entrambe le pareti senza allungare del tutto le braccia. Ma come... Un tonfo annunciò che aveva raggiunto il fondo del fiume. La cabina capovolta rollò e si inclinò. Nynaeve ebbe l’impressione che la sacca d’aria si restringesse.
Il suo problema principale, prima ancora di chiedersi cosa fosse successo e perché, era uscire prima che finisse l’aria. Sapeva nuotare — aveva fatto il bagno negli stagni del Bosco del Fiume abbastanza spesso quand’era a casa — si preoccupava solo quando l’acqua cominciava ad agitarsi. Riempì i polmoni d’aria, si piegò su sé stessa e nuotò in direzione della porta, goffamente per via della gonna. Forse sarebbe stato meglio togliersi il vestito, ma si rifiutava di uscire in superficie solo con la sottoveste, le calze e i gioielli. E poi non voleva rinunciare a quell’abito. In ogni caso, non avrebbe potuto toglierlo senza perdere anche il sacchetto appeso alla cintura, e avrebbe preferito affogare piuttosto che abbandonarne il prezioso contenuto.
L’acqua era nera, non c’era luce. Con le dita tese toccò il legno e continuò a tastare le incisioni fino a quando non trovò la porta, ne seguì i bordi e... trovò i cardini. Imprecò tra sé e controllò il lato opposto. Sì! La maniglia! La sollevò e spinse verso l’esterno. La porta si mosse forse di cinque centimetri, quindi si fermò.
Ormai allo stremo, Nynaeve tornò alla sacca d’aria, ma solo il tempo necessario per fare un nuovo rifornimento di ossigeno. Stavolta trovò la porta più velocemente. Infilò le dita nell’apertura per scovare l’ostacolo, e trovò fango. Forse avrebbe potuto scavare un po’ o... controllò più in alto. Altro fango. Ormai sempre più in preda al panico, fece scorrere le dita dal fondo dell’apertura fino in cima e poi, rifiutando di credere, dall’alto verso il basso. Fango. Una parete di fango melmoso per tutta la lunghezza della porta.
Stavolta, quando fece ritorno alla sacca d’aria si aggrappò al sedile sopra di lei rimanendovi appesa, in preda al panico, ansimando, con il cuore che batteva selvaggiamente. Aveva la sensazione che l’aria fosse più... densa.
«Non morirò qui» mormorò. «Non morirò qui!»
Prese a pugni il sedile fino a quando la mano non le fece male, combattendo per trovare la rabbia che le avrebbe permesso di incanalare. Non sarebbe morta. Non lì. Da sola. Senza che nessuno sapesse dov’era finita. Non avrebbe avuto una tomba, solo un corpo marcito sul fondo del fiume. Le braccia ricaddero fra gli spruzzi. Respirava a fatica. Davanti agli occhi vedeva dei puntini neri e argento, sembrava che stesse guardando dentro un tubo. Non era arrabbiata. Fu una sensazione indefinibile. Continuava a cercare di raggiungere saldar, ma senza credere che ci sarebbe riuscita. Sarebbe morta proprio in quel posto. Nessuna speranza. Niente Lan. E con la speranza svanita, ai limiti della consapevolezza, come la fiammella tremante di una candela, fece qualcosa che non aveva mia fatto in vita sua. Si arrese completamente, e Saidar fluì dentro di lei.
Era solo in parte consapevole del legno sopra la sua testa che esplose di colpo verso l’esterno. Risalì a galla in un mare di bolle, attraverso una falla dello scafo, attraverso l’oscurità. Era consapevole di dover fare qualcosa. Poteva quasi ricordare cosa. Sì. Mosse i piedi debolmente, cercò di muovere anche le braccia per nuotare, ma le sembrava solo di galleggiare come un peso morto.
Si sentì afferrare per il vestito e fu colta dal panico pensando agli squali. Pesci leone e solo la Luce sapeva cos’altro potesse vivere in quelle profondità oscure. Una vaga coscienza le fece ricordare il Potere, ma mentre si agitava disperatamente con braccia e gambe sentì nocche battere contro qualcosa. Purtroppo gridava anche; o meglio, ci provava. Una grande quantità d’acqua che stava ingoiando soffocava tutte le grida, spegnendo saidar e anche gli ultimi sprazzi di lucidità.
Qualcosa la tirò per la treccia, ancora una volta, e si accorse di essere trainata... da qualche parte. Adesso non era più abbastanza cosciente da lottare o da aver paura di essere mangiata da qualche pesce.
A un tratto la testa di Nynaeve emerse in superficie. Delle mani l’avevano cinta da dietro, spingevano forte sulle costole in un modo quasi familiare, e lei tossì. Le uscì dell’acqua dal naso e tossì ancora una volta, molto dolorosamente. Alla fine riuscì a prendere una boccata d’aria. Non aveva mai assaggiato nulla di così dolce in vita sua.
Una mano la prese da sotto al mento e Nynaeve si accorse di essere nuovamente trainata. Si sentiva debolissima. Riusciva solo a galleggiare e respirare, guardando fisso il cielo. Così azzurro. Così bello. Il bruciore che provava agli occhi non era dovuto solo all’acqua salata.
Alla fine venne issata lungo il fianco di una barca, una mano rozza la spinse dal basso fino a quando due uomini ossuti con degli anelli d’ottone alle orecchie riuscirono ad afferrarla è tirarla a bordo. L’aiutarono a fare un passo o due, ma non appena la lasciarono per andare a curare il suo soccorritore, le gambe di Nynaeve cedettero come fossero ridotte in poltiglia.
Instabile, carponi, lei guardò con fare assente una spada, degli stivali e una giubba verde che qualcuno aveva lanciato sul ponte.. Aprì la bocca e... vomitò l’acqua del fiume Elbar. L’intero fiume, più il pranzo e la colazione. Non si sarebbe sorpresa di vedere anche un paio di pesci, o le sue scarpe. Si stava pulendo la bocca con il dorso della mano quando si accorse di sentire delle voci.
«Il mio signore sta bene? Il mio signore è rimasto sott’acqua molto a lungo.»
«Non badare a me» rispose una voce profonda. «Prendi qualcosa da avvolgere intorno alla lady.» La voce di Lan, quella che aveva sognato di sentire ogni notte.
Nynaeve, a occhi sgranati, riuscì appena a reprimere un gemito; l’orrore che aveva provato quando pensava che sarebbe morta era nulla a confronto con ciò che la percorreva in quel momento! Nulla! Era un incubo! Non adesso! Non in questo modo! Non quando somigliava a un topo affogato, in ginocchio in mezzo a una chiazza di vomito!
Abbracciò saidar e incanalò senza pensare. L’acqua ricadde dai vestiti e dai capelli in una piccola cascata, lavando via tutte le prove del suo piccolo ‘incidente’ e facendole scorrere in uno sbocco di scarico dell’acqua. Nynaeve si alzò in piedi e si sistemò la collana, facendo anche del suo meglio per riordinare il vestito e i capelli, ma l’acqua salata e l’asciugatura rapida avevano lasciato sulla seta diverse macchie e delle grinze che per essere spianate avrebbero richiesto una mano sapiente con il ferro caldo. Alcune ciocche di capelli volevano volarle via dalla testa e gli opali nella treccia facevano venire in mente la coda agitata di un gatto arrabbiato.
Non importava. Lei era la calma in persona, fredda come la prima brezza di primavera, controllata e... si voltò prima che lui potesse raggiungerla alle spalle e farla sobbalzare umiliandola definitivamente.
Solo allora si accorse con quale velocità aveva operato: Lan aveva fatto solo due passi dalla ringhiera. Era l’uomo più bello che avesse mai visto. Bagnato fradicio, in camicia, brache e calzini, era meraviglioso, con i capelli grondanti incollati al volto spigoloso e... un bozzo livido che stava spuntandogli sul viso, come fosse stato colpito da qualcuno. Nynaeve si mise una mano sulla bocca ricordandosi che il suo pugno aveva colpito qualcosa di solido.
«Oh, no! Lan, mi dispiace tanto! Non intendevo farlo!» Nynaeve non si accorse di aver camminato verso di lui, si ritrovò semplicemente davanti a lui, in punta di piedi per appoggiare gentilmente le dita sulla ferita. Una rapida ondata dei Cinque Poteri e le guance abbronzate dell’uomo divennero immacolate. Ma forse aveva ferite altrove. Nynaeve lavorò i flussi per tastargli il corpo; le nuove cicatrici la fecero star male, e c’era anche qualcosa di strano, ma sembrava sano come un toro. Era anche fradicio per averla salvata. Nynaeve lo asciugò come aveva fatto con sé stessa, e l’acqua ricadde intorno ai piedi di Lan. Non riusciva a smettere di toccarlo. Seguiva il profilo delle guance con entrambe le mani, guardava i meravigliosi occhi azzurri, il naso prominente, le labbra ben delineate, le orecchie. Pettinò quei capelli neri di seta con le dita, sistemò il laccio di cuoio intrecciato che li teneva fermi. Anche la lingua di Nynaeve sembrava avere una vita indipendente dalla sua volontà. «Sei davvero qui.» Qualcuno ridacchiò — non lei, Nynaeve al’Meara non ridacchiava — ma qualcuno l’aveva fatto. «Non sei un sogno. Oh, Luce, sei qui. Come?»
«Un inserviente del palazzo di Tarasin mi ha detto che eri andata al fiume e un tizio all’imbarcadero mi ha indicato su quale imbarcazione ti trovavi. Se Mandarb non avesse perso un ferro, sarei arrivato ieri.».
«Non importa. Adesso sei qui. Sei qui.» Lei non ridacchiava.
«Forse è un’Aes Sedai» disse uno dei barcaioli, non a bassa voce. «Ma sembra ancora un anatroccolo che ha intenzione di infilarsi dritto nelle fauci di quel lupo.»
Nynaeve arrossì e fece scattare le mani portandosele ai fianchi, battendo i talloni sul ponte. In un altro momento avrebbe impartito a quel tizio una bella lezione, senza dubbio. In un altro momento. Se fosse riuscita a ragionare. Lan le aveva svuotato la testa da tutti gli altri pensieri, e Nynaeve lo afferrò per le braccia. «Possiamo avere maggior riservatezza in una cabina.» Uno dei barcaioli aveva riso?
«La mia spada e...»
«Li prendo io» rispose Nynaeve, afferrando le sue cose dal ponte con un flusso d’Aria. Uno di quei ceffi aveva riso davvero. Con un altro flusso, Nynaeve aprì la porta della cabina e spinse Lan all’interno, con la spada e tutto il resto, sbattendosi la porta alle spalle.
Luce, dubitava che persino Calle Coplin, giù a casa, fosse mai stata tanto sfacciata, e molte guardie di mercanti conoscevano bene i nei di Calle come il suo viso, ma non era affatto la stessa cosa. Per niente! In ogni caso non le avrebbe fatto male comportarsi con un po’ meno di... impazienza. Le dita di Nynaeve erano di nuovo sul suo volto — solo per sistemare di nuovo i capelli, solo quello — e Lan la prese gentilmente per i polsi con le sue mani forti.
«Adesso è Myrelle ad avere il mio legame» le spiegò con calma. «Sarò il tuo Custode solo fino a quando non ne troverai uno tutto tuo.»
Nynaeve liberò la mano destra con calma e lo schiaffeggiò con tutta la forza che aveva in corpo. La testa di Lan si mosse appena, per cui Nynaeve liberò l’altra mano e lo colpì anche con quella. «Come hai potuto?» Per buona misura, Nynaeve sottolineò la domanda con un altro schiaffo. «Sapevi che stavo aspettando!» Sembrava ci fosse bisogno di un altro schiaffo, solo per evidenziare bene quel punto. «Come hai potuto fare una cosa simile? Come hai potuto permetterle di fare una cosa simile?» Un altro schiaffo. «Che tu sia folgorato, Lan Mandragoran! Che tu sia folgorato! Che tu possa finire nel Pozzo del Destino! Che tu sia folgorato!»
L’uomo — il maledetto uomo! — non disse una parola. Naturalmente non poteva; come faceva a difendersi? Se ne stava lì in piedi mentre lei continuava a colpirlo, non faceva una mossa, gli occhi fissi parevano strani... ed era il minimo, visto come gli stava riducendo le guance a furia di schiaffi. I colpi di Nynaeve non avevano turbato affatto Lan, ma i palmi delle mani cominciavano a bruciarle immensamente.
Torva in viso, chiuse le dita in un pugno e lo colpì allo stomaco con tutta la sua forza. Lan sbuffò. Leggermente.
«Ne parleremo con calma e ragionevolezza» disse Nynaeve alla fine allontanandosi da lui. «Da adulti.» Lan annuì e si mise a sedere, prendendosi gli stivali! Con la mano sinistra Nynaeve si tolse delle ciocche di capelli dagli occhi e portò la destra dietro la schiena, per poter piegare le dita indolenzite senza essere vista da lui. Non aveva diritto di essere tanto duro, non quando lei voleva colpirlo. Sperava di avergli incrinato una costola, ma sapeva che non era possibile.
«Dovresti ringraziarla, Nynaeve.» Come faceva a essere tanto calmo? Dopo aver infilato il piede nello stivale, si piegò per prendere l’altro senza guardarla. «Non mi vorresti legato a te.»
Con un flusso d’Aria, Nynaeve lo tirò per i capelli costringendolo a piegare dolorosamente indietro la testa. «Se osi solamente... se oserai mai... dirmi di nuovo quell’idiozia di non volermi rendere vedova, Lan Mandragoran, io... io...» Non riusciva a pensare a nulla di abbastanza forte per minacciarlo. Prenderlo a calci non era abbastanza. Myrelle. Myrelle e i suoi Custodi. Che fosse folgorato! Scuoiarlo vivo non sarebbe stato abbastanza!
Sembrava che Lan non fosse costretto a stare in quella posizione. Teneva le braccia appoggiate sulle gambe e la guardava con quegli occhi strani. Le disse: «Avevo pensato di non dirtelo, ma hai il diritto di sapere.» Eppure, il suo tono era esitante. Lan non esitava mai. «Quando Moiraine è morta... Quando il legame fra un Custode e un’Aes Sedai viene spezzato... si verificano dei cambiamenti...»
Lui continuò con la sua spiegazione, e le braccia di Nynaeve tremavano per quanto le stringeva forte attorno al proprio corpo. La mascella le faceva male perché stava serrando i denti. Rilasciò il flusso che lo tratteneva, ritraendolo come un elastico troppo teso, rilasciò saidar, ma Lan si limitò a raddrizzarsi e proseguì a raccontarle quell’orrore senza nemmeno battere ciglio, osservandola. Nynaeve capì di colpo quello sguardo strano, più freddo del cuore dell’inverno. Erano gli occhi di un uomo che sapeva di essere morto e non gli importava. Un uomo che aspettava, quasi con impazienza, il sonno perpetuo. Gli occhi di Nynaeve bruciavano anche se non c’erano lacrime.
«Per cui, vedi,» concluse Lan con un sorriso che gli sfiorò solo la bocca, un sorriso di accettazione, «una volta finito lei avrà un altro anno di dolore e io sarò comunque morto. A te questo è stato risparmiato. Il mio ultimo regalo per te, Mashiara.» Mashiara. Il suo amore.
«Sarai il mio Custode fino a quando non ne trovo un altro?» Nynaeve rimase stupita da quanto fosse calma la sua voce. Adesso non poteva scoppiare in lacrime. Non lo avrebbe fatto. Ora più che mai doveva raccogliere tutte le forze che aveva.
«Sì» le rispose con cautela Lan, infilandosi l’altro stivale. Le era sempre sembrato un lupo mezzo addomesticato, ma adesso quegli occhi non avevano niente di mansueto.
«Bene.» Nynaeve si sistemò la gonna e oppose resistenza al bisogno di attraversare la cabina per andare da lui. Non poteva lasciare che vedesse la sua paura. «Perché l’ho trovato. Sei tu. Ho atteso e sperato con Moiraine. Non farò lo stesso con Myrelle. Lei mi passerà il tuo legame.» Myrelle lo avrebbe fatto, anche se avesse dovuto trascinare la donna per i capelli a Tar Valon e di nuovo indietro. Per dirla tutta, avrebbe potuto trascinarla solo per principio. «Non dire una parola» aggiunse duramente quando lui aprì bocca. Nynaeve sfiorò il sacchetto appeso alla cintura, dove custodiva l’anello d’oro di Lan avvolto in un fazzoletto di seta e si sforzò di moderare il tono di voce; Lan era malato e le parole dure non aiutavano mai una guarigione. Era comunque uno sforzo; aveva voglia di rimproverarlo in tutti i modi possibili, aveva voglia di tirarsi la treccia fino a sradicarla ogni volta che pensava a lui e a quella donna.
Lottando con tutte le sue forze per mantenere il tono di voce calmo, Nynaeve proseguì. «Nei Fiumi Gemelli, Lan, quando qualcuno dona a un altro un anello, vuol dire che sono promessi sposi.» Era una bugia e lei si aspettava di vederlo sobbalzare offeso, invece si limitò a battere le palpebre, circospetto. In ogni caso lei l’aveva letto in un libro. «Siamo stati fidanzati abbastanza a lungo. Oggi ci sposeremo.»
«Una volta avevo pregato che succedesse» le rispose Lan sottovoce, ma poi scosse il capo. «Sai che non è possibile, Nynaeve. E in ogni caso, Myrelle...»
Nonostante si fosse ripromessa di mantenere il controllo, di essere gentile, Nynaeve abbracciò saidar e infilò un bavaglio d’Aria in bocca a Lan prima che l’uomo potesse dire ciò che lei non voleva sentire. Fino a quando lui non avesse confessato, lei poteva fare finta che non fosse successo niente. Quando avrebbe messo le mani su Myrelle... Gli opali le premevano nel palmo, e Nynaeve lasciò andare la treccia come se fosse in fiamme. Tenne le mani occupate sistemando di nuovo i capelli di Lan mentre lui la guardava torvo e indignato, a bocca aperta. «Una piccola lezione per te sulla differenza fra le mogli e le altre donne» disse Nynaeve spensierata. Era una fatica vera e propria. «Gradirei molto se non parlassi di Myrelle in mia presenza. Hai capito?»
Lan annuì e Nynaeve rilasciò il flusso, ma lui, non appena ebbe recuperato la mobilità della mandibola, disse: «Senza fare nomi, Nynaeve, sai che lei è consapevole di tutto ciò che provo, tramite il legame. Se io e te ci sposassimo...»
Nynaeve si sforzò di non arrossire. Non ci aveva mai pensato! Maledetta Myrelle! «C’è modo di essere certi che sappia si tratti di me?» chiese alla fine, e a quel punto le guance stavano davvero per prendere fuoco. Soprattutto quando Lan scoppiò a ridere sorpreso.
«Luce, Nynaeve, sei un falco! Luce! Non ridevo così da...» Il divertimento svanì, e il suo sguardo tornò a farsi distante. «Mi piacerebbe che ci fosse, Nynaeve, ma...»
«C’è, e io lo troverò» lo interruppe. Gli uomini se ne approfittavano sempre se davi loro modo di parlare troppo a lungo. Nynaeve si accomodò sulle sue ginocchia. Non erano ancora sposati, certo, ma lui era più morbido delle panche di legno della barca. Nynaeve si spostò un po’ per mettersi comoda. Be’, almeno non era più duro delle panche. «Tanto vale che fai pace con te stesso, Lan Mandragoran. Il mio cuore ti appartiene e tu hai ammesso che il tuo appartiene a me. Sei mio, e non ti lascerò andare. Sarai il mio Custode e mio marito, per molto, molto tempo. Non ti lascerò morire. Mi hai sentita? Posso essere testarda quanto serve.»
«Non me n’ero accorto» rispose lui e Nynaeve socchiuse gli occhi. Il tono di voce di Lan sembrava orrendamente... freddo.
«Sei avvisato» disse Nynaeve. Si voltò per guardare attraverso il battente intagliato nello scafo alle spalle di Lan, poi si girò dall’altro lato per osservare quelli sull’altra parete. Lunghi moli di pietra che si diramavano nel fiume; davanti riusciva a vedere solo altri approdi, e la città che risplendeva bianca sotto il sole pomeridiano. «Dove stiamo andando?» mormorò.
«Ho chiesto che ci portassero a riva non appena ti avessi tirata fuori dall’acqua» le rispose Lan. «Lasciare il fiume il più velocemente possibile mi sembrava la cosa migliore.»
«Tu...» Nynaeve chiuse la bocca di scatto. Lan non sapeva dove lei fosse diretta, o perché; aveva fatto del suo meglio con quello che sapeva. E le aveva salvato la vita. «Non posso ancora ritornare in città, Lan.» Nynaeve si schiarì la voce e cambiò tono. Per quanto sapeva di dover essere gentile con lui, tutte quelle buone maniere l’avrebbero fatta sentire male: «Devo andare sul veliero del Popolo del Mare, il Corridore dei venti.»Molto meglio, spensierata ma non troppo, e ferma.
«Nynaeve, io ero proprio dietro la tua imbarcazione. Ho visto cos’è accaduto. Ti trovavi cinquanta passi davanti a me, poi cinquanta passi indietro, e stavi affondando. Deve essersi trattato di fuoco malefico.»
Lan non ebbe bisogno di aggiungere altro, fu Nynaeve a farlo per lui e con maggiore cognizione di causa. «Moghedien» sussurrò. Oh, poteva essere stato un altro dei Reietti, o forse qualcuna dell’Ajah Nera. Ma lei ne era sicura. Be’, aveva già battuto Moghedien, e non una volta ma due. Poteva farlo una terza, se necessario. La sua espressione però non doveva sembrare sicura come i suoi pensieri.
«Non avere paura» le disse infatti Lan toccandole una guancia. «Non finché io sono con te. Se devi affrontare Moghedien, mi assicurerò che tu sia abbastanza arrabbiata da incanalare. A quanto pare ho un discreto talento in questo.»
«Non mi farai arrabbiare di nuovo» iniziò a rispondere Nynaeve, quindi si fermò, fissandolo a occhi sgranati. «Non sono arrabbiata» disse lentamente.
«No, non ora, ma quando ne avrai bisogno...»
«Non sono arrabbiata» rise Nynaeve. Scalciò deliziata e batté i pugni sul petto di Lan, ridendo. Saidar la colmava, non solo di vita e gioia, ma stavolta anche di riverenza. Lo carezzò sulle guance con dei sottilissimi flussi d’Aria. «Non sono arrabbiata, Lan» sussurrò Nynaeve.
«Il blocco è svanito.» Lan sorrise condividendo la sua gioia, ma quel sorriso non gli raggiunse gli occhi.
Mi prenderò cura di te, Lan Mandragoran, si promise Nynaeve in silenzio. Non ti lascerò morire. Si appoggiò sul suo petto e pensò di baciarlo e anche... Non sei Calle Coplin, si disse con fermezza.
Fu colpita da un improvviso, orribile pensiero. Orribile perché non le era venuto in mente prima. «I barcaioli?» domandò sottovoce. «E le mie guardie del corpo?»
Lan scosse il capo senza parlare, e Nynaeve sospirò.
Guardie del corpo. Quegli uomini avrebbero avuto bisogno della sua protezione, e non il contrario. Altre quattro morti da imputare a Moghedien. Quattro, oltre le migliaia che le avevano precedute. Ma questo era un fatto personale, per Nynaeve. Be’, non avrebbe risolto le sue questioni con Moghedien in quel momento.
Si alzò e cercò di capire cosa poteva fare riguardo al proprio vestito. «Lan, potresti chiedere ai marinai di riportarmi indietro? Che remino con tutta la forza possibile.» Anche così, non sarebbe ritornata a palazzo prima dell’imbrunire. «Cerca anche di scoprire se uno di loro ha un pettine.» Non poteva affrontare Nesta in quelle condizioni.
Lan raccolse spada e giubba e le fece l’inchino. «Ai tuoi ordini, Aes Sedai.»
Nynaeve si inumidì le labbra e guardò la porta chiudersi alle spalle di Lan. Rideva di lei, eh? Di sicuro qualcuno sul Corridore dei venti poteva celebrare un matrimonio, e da quello che aveva visto del Popolo del Mare, avrebbe scommesso che Lan Mandragoran si sarebbe ritrovato a promettere di fare tutto ciò che gli veniva chiesto. Allora chi avrebbe riso?
L’imbarcazione iniziò a sobbalzare e rollare, quindi lentamente virò e lo stomaco di Nynaeve sussultò con essa.
«Oh, Luce» si lamentò la donna, accasciandosi sulla panca. Perché non aveva perso anche questo insieme al suo blocco? Mantenere la presa su saidar, che la rendeva maggiormente consapevole di tutte le proprie sensazioni, rendeva solo la situazione peggiore, ma quando lo rilasciò non si sentì meglio. Non avrebbe dato di stomaco ancora una volta. Lan sarebbe stato suo una volta per tutte. E quello si sarebbe trasformato in un giorno meraviglioso. Se solo avesse smesso di sentire quell’uragano in arrivo.
Il sole era alto sopra i tetti quando Elayne bussò alla porta. In strada tutti danzavano e piroettavano, colmando l’aria di risate, canti e profumi. Lei pensò oziosamente che le sarebbe piaciuto avere la possibilità di godersi i festeggiamenti. Un costume come quello di Birgitte sarebbe stato divertente. O anche uno come quello che quella mattina aveva visto indossare a lady Riselle, una delle dame di compagnia di Tylin. Purché avesse potuto tenere sempre la maschera. Elayne bussò ancora, con maggior forza stavolta.
La cameriera con i capelli grigi e la mascella squadrata che aprì la porta assunse un’espressione furiosa non appena Elayne abbassò la maschera verde.
«Tu! Che cosa ci fai di nuovo...» La furia si trasformò in pallore spettrale quando anche Merilille si tolse la maschera e Adeleas e le altre fecero lo stesso. La dorma sobbalzò alla vista di quei volti dall’età indefinibile, e anche alla vista di quello di Sareitha. Forse a quel punto capì.
Urlò, cercando di chiudere la porta, ma Birgitte superò velocemente Elayne, riaprendo la porta con una spallata. La cameriera arretrò di alcuni passi, quindi si riprese. Forse voleva correre o forse urlare, ma Birgitte la precedette, afferrandola per un braccio, proprio sotto la spalla.
«Calma» le disse con fermezza. «Non abbiamo bisogno di disordini o strilli, vero?» Sembrava che la stesse solo trattenendo per un braccio, quasi sostenendola, ma la cameriera era dritta, rigida e immobile. Fissava a occhi sgranati la maschera piumata della sua catturatrice e scosse lentamente il capo.
«Come ti chiami?» le chiese Elayne, mentre tutte le altre si accalcavano sulla soglia dietro di lei. Una volta chiusa la porta, il rumore della strada si spense. Gli occhi della cameriera andavano da un volto all’altro, ma non si fissavano su nessuno.
«C... C... Cedora.»
«Adesso ci porterai da Reanne, Cedora.» Stavolta la donna annuì; sembrava sul punto di scoppiare in lacrime.
Le condusse irrigidita al piano superiore, con Birgitte che ancora la teneva per un braccio. Elayne aveva pensato di ordinarle di lasciarla andare, ma l’ultima cosa di cui avevano bisogno era un grido di allarme, e le donne della casa che fuggivano in ogni direzione. Per questo stavano usando i muscoli di Birgitte e non il Potere di Elayne. Supponeva che Cedora fosse più spaventata che indolenzita, e lei voleva proprio che quella sera tutte fossero leggermente spaventate.
«Qui de... dentro» disse Cedora bussando a una porta rossa. La porta della stanza dove Elayne e Nynaeve avevano subito quello sfortunato interrogatorio. Elayne la aprì ed entrò.
Vide Reanne seduta davanti al camino con gli intagli dei tredici peccati, e un’altra dozzina di donne che non aveva mai visto prima. Occupavano tutte le sedie contro le pareti verde chiaro. Sudavano, poiché le finestre erano chiuse, e anche le tende. Erano quasi tutte vestite secondo la moda locale, anche se solo una di loro aveva la carnagione olivastra; la maggior parte di quelle donne aveva delle rughe sul volto e almeno un tocco di grigio fra i capelli. Ognuna di loro poteva incanalare, con più o meno forza. Sette avevano la cintura rossa. Elayne sospirò, pur non volendo. Quando Nynaeve aveva ragione faceva in modo di ribadirlo fino alla nausea.
Reatine balzò in piedi con in volto il medesimo rossore infuriato di Cedora, e anche le sue prime parole furono quasi identiche. «Tu! Come osi mostrare la tua faccia...» Parole e furia svanirono per lo stesso motivo, quando Merilille e le altre entrarono al seguito di Elayne. Una donna bionda con la cintura rossa e la scollatura profonda emise un verso soffocato, ruotò gli occhi verso l’alto e cadde a terra come un sacco vuoto. Nessuna si mosse per aiutarla. Nessuna rivolse nemmeno una sola occhiata a Birgitte, che scortò Cedora in un angolo della stanza. Sembrava che nessuna di quelle donne respirasse. Elayne sentì il forte desiderio di gridare «Buuu!» solo per vedere cosa sarebbe accaduto.
Reanne oscillò, pallida in viso, e si sforzò visibilmente e con scarso successo di riprendere il controllo di sé. Le ci volle un istante per esaminare i cinque volti freddi delle Aes Sedai allineate davanti alla porta e decidere chi era a capo del gruppo. Camminò barcollante verso Merilille e cadde in ginocchio, con il capo chino. «Perdonaci, Aes Sedai.» La voce di Reanne era riverente e di poco più ferma delle sue ginocchia. In effetti, stava quasi balbettando. «Siamo solo un gruppo di amiche. Non abbiamo fatto nulla, di sicuro nulla che getti discredito sulle Aes Sedai. Lo giuro, qualsiasi cosa ti abbia detto questa ragazza. Vi volevamo dire di lei, ma avevamo paura. Ci incontriamo solo per parlare. Lei ha un’amica, Aes Sedai. Avete preso anche l’altra? Te la posso descrivere se vuoi, Aes Sedai. Qualsiasi cosa desideri, noi la faremo. Io giuro che...».
Merilille si schiarì forte la gola. «Suppongo che tu sia Reanne Corly, giusto?» Reanne si fece indietro e rispose di sì a bassa voce, sempre fissando il pavimento davanti ai piedi della Sorella Grigia. «Temo che tu debba rivolgerti a Elayne Sedai, Reanne.»
La testa di Reanne scattò verso l’alto in maniera quasi soddisfacente. La donna fissò Merilille, quindi molto lentamente si girò con gli occhi sgranati e un’espressione esterrefatta verso Elayne. Si inumidì le labbra ed emise un profondo respiro. Cambiò posizione, restando in ginocchio, per sistemarsi davanti a Elayne e piegò di nuovo il capo. «Ti prego di perdonarmi, Aes Sedai» disse assai contrita. «Non sapevo. Non potevo...» Un altro sospiro disperato. «Qualsiasi punizione deciderai l’accetteremo umilmente, ma ti prego, ti prego di credere che...»
«Oh, alzati» rispose Elayne, impaziente. Aveva desiderato che quella donna riconoscesse la sua posizione come Merilille e le altre, ma vederla strisciare ai suoi piedi la faceva star male. «Ecco. Rimani in piedi.» Attese fino a quando Reanne fu del tutto dritta, poi si andò a sedere sulla sedia della donna. Non c’era bisogno di umiliarsi, ma non voleva che ci fossero dubbi su chi era al comando. «Neghi ancora di conoscere l’esistenza della Scodella dei Venti, Reanne?»
Reanne allargò le braccia. «Aes Sedai,» rispose francamente «nessuna di noi userebbe mai un ter’angreal, tanto meno un angreal o un sa’angreal.» Sincera, e sospettosa come una volpe in città. «Ti assicuro, non pretendiamo di paragonarci alle Aes Sedai, in alcun modo. Siamo solo poche amiche in una stanza, come vedi, legate dal fatto di essere state alla Torre Bianca. Ecco tutto.»
«Solo poche amiche» rispose Elayne asciutta a mani giunte. «E naturalmente vanno contate anche Garenia, Berowin, Derys e Alise.»
«Sì» rispose riluttante Reanne. «Anche loro.»
Elayne scosse lentamente il capo. «Reanne, la Torre Bianca sa della Famiglia. Ha sempre saputo.» Una donna scura che sembrava tarenese, anche se indossava un abito di seta blu e bianco con il sigillo della gilda degli orafi, emise un verso gutturale e si portò entrambe le mani davanti alla bocca. Un’altra, della Saldea, magra, con i capelli grigi e la cintura rossa, si accasciò con un sospiro, finendo sul pavimento insieme alla donna bionda. Altre due barcollarono come se fossero sul punto di svenire.
Reanne guardò le Sorelle davanti alla porta per avere conferma. E la ebbe, come immaginava. Il volto di Merilille era più freddo che sereno, e Sareitha fece una smorfia prima di riuscire a trattenersi. Vandene e Careane almeno avevano entrambe le labbra serrate, forse anche Adeleas, che si guardava intorno per studiare quelle donne lungo la parete come se fossero insetti misteriosi. Ovviamente ciò che vide Reanne era un po’ diverso da come stavano davvero le cose. Tutte le Sorelle avevano accettato la decisione di Elayne, ma nonostante tutti i «Sì, Elayne...» non l’avevano fatto volentieri. Sarebbero arrivate in quella casa due ore prima se non fosse stato per tutti i «Ma, Elayne...» A volte essere il capo significava anche dover condurre con la forza.
Reanne non svenne, ma aveva paura, e sollevò le mani giunte in preghiera. «Intendete distruggere la Famiglia? Perché adesso, dopo tanto tempo? Che cos’abbiamo fatto per scatenare la vostra ira?»
«Nessuno vi distruggerà» le rispose Elayne. «Careane, visto che nessun’altra ha intenzione di aiutare queste due, potresti farlo tu, per favore?» Arrossirono tutte, e scattarono prima che Careane potesse muoversi, due donne chine sopra ognuna delle svenute, per sollevarle e sventolare i sali sotto il naso. «L’Amyrlin Seat desidera che tutte le donne capaci di incanalare siano connesse alla Torre,» proseguì Elayne «e l’offerta è valida per chiunque della Famiglia abbia il desiderio di accettarla.»
Non avrebbe potuto paralizzare meglio quelle donne neanche se avesse intessuto dei flussi d’Aria intorno loro. E neanche stringendo quei flussi avrebbe fatto sgranare di più i loro occhi. Una di quelle che erano svenute ansimò e tossì, spingendo via la fialetta dei sali che le avevano tenuto sotto il naso troppo a lungo. Fu una specie di segnale, e tutte cominciarono a parlare.
«Alla fine possiamo diventare Aes Sedai?» chiese eccitata la Tarenese con la divisa degli orafi, mentre una donna con il viso rotondo e la cintura rossa lunga il doppio di quella delle altre disse: «Ci lasceranno imparare? Ci insegneranno di nuovo?» Un’ondata di altre voci impazienti proseguì con: «Possiamo davvero...» e «Ci lasceranno davvero...»
Reanne si voltò verso le altre e parlò con vigore: «Ivara, Sumeko, tutte quante, vi state dimenticando le buone maniere! State parlando a delle Aes Sedai!» Si passò una mano tremante sul volto, e nella stanza scese un silenzio imbarazzato. Gli occhi si abbassarono e le guance arrossirono. Nonostante tutti quei visi rugosi quei capelli grigi o bianchi, a Elayne sembravano tutte novizie convocate dalla maestra per via di un combattimento a colpi di cuscino dopo il rintocco dell’ora ultima.
Reanne guardò Elayne con esitazione. «Possiamo davvero ritornare alla Torre?» mormorò fra le mani giunte.
Elayne annuì. «Quelle che possono imparare a diventare Aes Sedai ne avranno l’opportunità, ma ci sarà comunque un posto per tutte. Per ogni donna capace d’incanalare.»
Gli occhi di Reanne brillavano colmi di lacrime. Elayne non ne era sicura, ma le sembrò di sentirla sussurrare: «Posso essere Verde.» Fu molto difficile non correre ad abbracciarla.
Nessuna delle altre Aes Sedai mostrava alcun segno di emotività, e Merilille era di certo la più severa. «Posso fare una domanda, Elayne? Reanne, quante... di voi accetteranno?» Di sicuro la pausa era servita per sottintendere una frase del tipo: «Quante selvatiche e donne che fallirono la prima volta accetteranno?»
Se Reanne lo aveva notato o capito fece finta di ignorarlo, oppure non le importava. «Non credo che qualcuna rifiuterà l’offerta» rispose senza fiato. «Potrebbe volerci un po’ ad avvisare tutte. Rimaniamo sempre sparpagliate, vedi, in modo che...» rise, leggermente nervosa e sempre prossima alle lacrime «...in modo che le Aes Sedai non ci notino. Al momento siamo circa millesettecentottantatré.»
Le Aes Sedai avevano imparato a nascondere lo stupore dietro una maschera di calma, e solo Sareitha sgranò gli occhi. Mimò anche delle parole con le labbra, parole che Elayne riuscì a leggere: ‘Duemila selvatiche! Luce, aiutaci!’ Elayne prese tempo a sistemarsi il vestito fino a quando fu sicura di poter controllare l’espressione del proprio viso. Che la Luce le aiutasse, davvero.
Reanne fraintese quel silenzio. «Vi aspettavate che fossimo di più? Alcune subiscono degli incidenti ogni anno, altre se ne vanno di morte naturale, come tutti, e temo che la Famiglia in questi ultimi mille anni si sia ridotta di numero. Forse siamo state troppo caute nell’avvicinare le donne che lasciavano la Torre Bianca, ma abbiamo sempre avuto timore che una di loro potesse riferire di essere stata interrogata e... e...»
«Non siamo affatto scontente» la rassicurò Elayne, facendo dei gesti per farla calmare. Scontente? Stava quasi per ridere dalla gioia. Le componenti della Famiglia erano il doppio delle Aes Sedai! Egwene non avrebbe mai potuto accusarla di non aver fatto la sua parte nel portare alla Torre tutte le donne capaci di incanalare. Ma se la Famiglia rifiutava l’accesso alle selvatiche... Doveva rimanere concentrata. Arruolare la Famiglia era stato solo un evento casuale. «Reatine,» disse gentilmente «pensi di riuscire a ricordare dove si trova la Scodella dei Venti?»
La donna arrossì come un tramonto. «Non li abbiamo mai toccati, Elayne Sedai. Non so perché siano stati messi tutti insieme. Non ho mai sentito parlare di questa Scodella dei Venti, ma c’è un magazzino come quello che tu hai descritto nel...»
Al piano di sotto una donna incanalò brevemente. Qualcuno gridò in preda al terrore più puro.
Elayne balzò in piedi in un lampo, come tutte le altre. Da sotto quel costume di piume, Birgitte estrasse un pugnale.
«Dev’essere stata Derys» disse Reatine. «È la sola a trovarsi qui, oltre a noi.» Poi la donna si incamminò verso la porta.
Elayne scattò in avanti e la afferrò per un braccio. «Ancora non sei una Verde» mormorò, e fu ricompensata con un grazioso sorriso, sorpreso, compiaciuto e diffidente. «Ce ne occuperemo noi, Reatine.»
Merilille e le altre si disposero ai lati, pronte a seguire Elayne fuori dalla stanza, ma Birgitte le anticipò, sorridendo mentre poggiava una mano sulla maniglia. Elayne deglutì senza dire nulla. Era un onore riservato al Custode, i Gaidin lo dicevano sempre; i primi a entrare, gli ultimi a uscire. Ma lei si colmò comunque di saidar, pronta a schiacciare qualsiasi cosa avesse minacciato la sua Custode.
La porta si aprì prima che Birgitte potesse abbassare la maniglia.
Mat entrò nella stanza, spingendo la snella cameriera che Elayne ricordava dalla visita precedente. «Supponevo che fossi qui» sorrise con fare insolente, ignorando le occhiate torve di Derys. Poi prosegui: «L’ho capito quando ho trovato un maledetto gruppo di Custodi che bevevano nella mia taverna preferita. Sono appena tornato dopo aver seguito una donna nel Rahad. All’ultimo piano di una casa dove non abita nessuno, per essere preciso. Quando è andata via, il pavimento era talmente impolverato che ho potuto vedere subito in quale stanza si era diretta. C’è un enorme lucchetto arrugginito sulla porta, ma scommetto mille corone contro un calcio nel didietro che la vostra Scodella si trova lì dentro.» Derys accennò a prenderlo davvero a calci e Mat la spinse via, estraendo un pugnaletto da dietro la cintura per giocarci davanti a lei. «Una di voi vuole dire a questa gatta selvatica con chi sto? Le donne con i pugnali in questi giorni mi rendono nervoso.»
«Sappiamo già tutto, Mat» rispose Elayne. Be’, stavano quasi per scoprirlo, e poi lo sguardo stupito sul suo volto fu impagabile. Elayne colse qualcosa in Birgitte. L’altra donna la stava guardando senza una particolare espressione, ma quel piccolo nodo di emozioni in fondo al cervello di Elayne adesso esprimeva disapprovazione. Anche Aviendha sarebbe stata dello stesso parere. Aprire di nuovo bocca fu una delle cose più difficili che Elayne avesse fatto mai. «Devo comunque ringraziarti, Mat. È solamente grazie a te che abbiamo trovato ciò che stavamo cercando.» La bocca di lui spalancata per lo stupore valse quasi quell’agonia.
Mat la richiuse velocemente, solo per aprirla di nuovo e dire: «Allora noleggiamo un’imbarcazione e andiamo a prendere questa maledetta Scodella. Se siamo fortunati riusciamo ad andare via da Ebou Dar entro stanotte.»
«È ridicolo, Mat, e non dirmi che ti sto umiliando. Non ce ne andremo nel Rahad di la notte e non andremo via da Ebou Dar fino a quando non avremo usato la Scodella.»
Naturalmente lui cercò di obiettare, ma Derys colse l’occasione per spostarsi e cercare di nuovo di prenderlo a calci. Mat girò intorno a Birgitte, chiedendo che qualcuno lo aiutasse mentre la donna snella continuava a corrergli dietro.
«È il tuo Custode, Elayne Sedai?» chiese Reanne dubbiosa.
«Luce, no! Birgitte è la mia Custode.» Reanne rimase a bocca aperta. Dopo aver risposto a una domanda, Elayne ne rivolse una a sua volta, una domanda che non avrebbe potuto fare a un’altra Sorella. «Reanne, se non ti secca che te lo chieda, quanti anni hai?»
La donna esitò, guardò Mat che ancora cercava di sfuggire a Derys nascondendosi dietro una Birgitte divertita. «Il giorno del mio prossimo compleanno» rispose poi come se fosse la cosa più normale del mondo «compirò quattrocentododici anni.»
Merilille svenne.