29 La festa degli uccelli

Visto che si era svegliato con i dadi che gli rotolavano in testa, Mat pensò di rimettersi a dormire fino a quando non si fossero fermati, ma alla fine si alzò, di malumore. Come se già non avesse abbastanza carne al fuoco. Cacciò via Nerim per vestirsi da solo, mangiò quel che era rimasto del pane e formaggio della notte precedente e andò a cercare Olver. Il ragazzo si stava vestendo in tutta fretta per poter uscire e si fermò con gli stivali e la camicia in mano per fare una dozzina di domande a Mat, che rispose soprappensiero. No, oggi non sarebbero andati alle corse dei cavalli, non doveva pensare alle corse de Il circuito del paradiso a nord della città. Forse potevano andare a vedere il serraglio. Sì, Mat gli avrebbe comperato una maschera con le piume per la festa. Ma prima Olver doveva finire di vestirsi. E così il ragazzo si rimise in azione.

La mente di Mat era piena di quei maledetti dadi. Perché avevano cominciato a rotolare di nuovo? Ancora non aveva capito per quale motivo avessero rotolato la volta precedente!

Quando finalmente Olver ebbe finito di vestirsi, seguì Mat nel soggiorno con un’altra domanda e... gli andò a finire contro quando lui si fermò d’improvviso. Tylin stava posando sul tavolo il libro che Olver stava leggendo la sera prima.

«Maestà!» gli occhi di Mat saettarono verso la porta che aveva chiuso a chiave e che adesso era spalancata. «Quale sorpresa.» Frappose Olver tra sé e il sorriso derisorio della donna. Be’, forse non era davvero derisorio, ma lo sembrava. Tylin era di sicuro soddisfatta di sé stessa. «Stavo per portare fuori Olver. A vedere la festa, e magari dei serragli ambulanti. Vuole una maschera di piume.» Mat chiuse la bocca di scatto per smettere di cianciare e cominciò a dirigersi verso la porta usando il ragazzo come scudo.

«Sì» mormorò Tylin, guardandolo attraverso le ciglia. Non fece alcuna mossa per intervenire, ma il sorriso divenne più profondo, come se stesse solo aspettando che Mat infilasse il piede nella trappola. «È molto meglio se non va da solo, altrimenti finirà a scorrazzare in giro con gli altri monelli, come ho saputo che fa. Si sentono molte cose su di te, ragazzo. Riselle?»

Sulla soglia apparve una donna e Mat sobbalzò. Vide una maschera fantasiosa fatta di piume blu e oro che nascondeva la maggior parte del viso di Riselle, ma il resto del costume celava ben poco. Quella donna aveva il seno più generoso che Mat avesse mai visto:

«Olver,» disse inginocchiandosi «ti piacerebbe venire a vedere la festa con me?» Gli porse una maschera verde e rossa simile a un falco, della misura giusta per un ragazzino.

Prima che Mat riuscisse ad aprire bocca, Olver si liberò e corse da lei. «Oh, sì, ti prego. Grazie.» Quel piccolo ingrato rise mentre la donna gli legava la maschera sul volto e se lo stringeva al petto. Se ne andarono mano nella mano, lasciando Mat a bocca aperta.

Si riprese velocemente quando sentì Tylin che diceva: «È un bene per te che io non sia gelosa, dolcezza.» La regina gli fece vedere la lunga chiave di ferro della sua porta che aveva riposo dietro la cintura d’oro e d’argento e poi una identica, sventolandogliele entrambe sotto al naso. «La gente tiene sempre la chiave in una scatola vicino alla porta.» Esattamente dove Mat aveva lasciato la sua. «E nessuno pensa mai che possa essercene una seconda.» Una chiave fece ritorno dietro la cintura di Tylin, l’altra nella serratura, che si chiuse con un forte scatto, quindi anche questa finì dietro la cintura. «Bene, agnellino.» Tylin sorrise.

Era troppo. Quella donna lo stava perseguitando, stava cercando di affamarlo. Adesso si era chiusa dentro con lui come... come non sapeva cosa. Agnellino! Quei maledetti dadi rotolavano all’impazzata nel suo cranio e comunque aveva cose importanti da fare. I dadi non avevano mai avuto nulla a che vedere con il trovare qualcosa, ma... Mat la raggiunse con due lunghi passi, l’afferrò per un braccio e iniziò a infilare la mano dietro la cintura alla ricerca della chiave. «Non ho il maledetto tempo per...» Rimase senza fiato quando sentì la punta acuminata del pugnale sotto il proprio mento, chiuse la bocca e si ritrovò in punta di piedi.

«Leva la mano» disse Tylin con freddezza. Mat ebbe il fegato di guardarla. Adesso la donna non sorrideva. Mat lasciò andare il braccio con cautela. Tylin non allentò la pressione della lama, e scosse il capo. «Male. Io cerco di farti delle concessioni perché sei forestiero, anatroccolo, ma visto che desideri il gioco duro... Mani sui fianchi, avanti.» La punta del pugnale si mosse. Mat fece dei passetti indietro in punta di piedi.

«Che cosa vuoi fare?» mormorò a denti stretti. Il collo tirato gli rendeva anche la voce tesa. Fra le altre cose. «Be’?» Avrebbe potuto provare ad afferrarla per un polso, era veloce di mano. «Che cos’hai intenzione di fare?» Sarebbe stato abbastanza veloce con un pugnale già puntato contro la gola? Era una grande domanda. Se la regina intendeva ucciderlo, un semplice movimento del polso avrebbe fatto penetrare la lama nella gola dritta verso il cervello. «Mi vuoi rispondere?» Non c’era panico nella voce di Mat. «Maestà? Tylin?» Be’, forse era leggermente in preda al panico, per chiamarla per nome. A Ebou Dar ci si poteva rivolgere a qualsiasi donna chiamandola dolcezza e quella avrebbe sorriso, ma usare il suo nome prima che lei desse l’autorizzazione era quasi come molestarla. Alcuni baci non erano abbastanza per avere quel permesso.

Tylin non rispose, ma lo fece arretrare ulteriormente fino a quando all’improvviso le spalle di Mat batterono contro qualcosa che lo fermò. Poiché la donna non aveva intenzione di spostare quella maledetta lama, lui non era in grado di girare la testa, ma fece scattare gli occhi, che fino a quel momento erano rimasti su di lei. Si trovavano nella camera da letto, la testiera con le incisioni floreali si era piantata in mezzo alle spalle di Mat. Perché lo aveva portato... Mat divenne rosso cremisi, quasi quanto il letto. No. Non poteva volere... Era indecente! Non era possibile!

«Non puoi farmi questo» mormorò. La voce era bassa e stridula, ma aveva i suoi buoni motivi.

«Guarda e impara, gattino» rispose Tylin, poi lanciò il pugnale nuziale.

Trascorso parecchio tempo, Mat tirò su le lenzuola, irritato. Lenzuola di seta. Nalesean aveva ragione. La regina di Altara canticchiava contenta vicina al letto, con le braccia dietro la schiena per abbottonarsi il vestito. Lui indossava solo il medaglione appeso al cordoncino — non gli era servito a molto — e il fazzoletto nero legato intorno alla gola. ‘Un nastro sul suo regalo’ così lo aveva definito quella maledetta donna. Mat si voltò e prese dal tavolino di fianco al letto la pipa montata in argento con il sacchetto del tabacco. Usò delle pinze dorate e un tizzone ardente in una scodellina piena di sabbia per accenderla. Incrociò le braccia e fumò con energia mentre guardava torvo la regina.

«Non dovresti agitarti, anatroccolo, né tenermi il broncio.» Tylin riprese il pugnale da dove l’aveva conficcato, nella spalliera del letto, ed esaminò la punta prima di riporlo nella "custodia. «Che cosa c’è? Ti sei divertito quanto me e io...» Scoppiò a ridere, una risata profonda, e ripose il pugnale nella custodia. «Se questo fa parte dell’essere ta’veren, devi essere molto popolare.» Mat divenne rosso fuoco.

«Non è naturale» esplose poi, strappandosi letteralmente la pipa di bocca. «In teoria dovrei essere io il cacciatore!» Gli occhi di Tylin erano lo specchio dei suoi. Se fosse stata una cameriera di una taverna che sorrideva nel modo giusto, forse Mat avrebbe tentato la sua fortuna — be’, se la cameriera non avesse avuto un figlio che se ne andava in giro a bucare la gente — ma era stato lui a essere cacciato. Prima di quel momento non ci aveva mai pensato in quel modo. Non ne aveva mai avuto bisogno.

Tylin incominciò a ridere scuotendo il capo e asciugandosi gli occhi con la punta delle dita. «Oh, piccioncino, continuo a dimenticare. Adesso ti trovi a Ebou Dar. Ti ho lasciato un regalino nel soggiorno.» La donna gli diede dei colpetti su un piede. «Oggi mangia bene. Avrai bisogno di tutte le tue forze.»

Mat si mise una mano davanti agli occhi e cercò di non piangere. Quando tolse la mano, Tylin era scomparsa.

Mat scese dal letto e si avvolse il lenzuolo intorno al corpo; per qualche motivo l’idea di andare in giro nudo lo metteva a disagio. Quella maledetta donna avrebbe potuto saltare fuori dal guardaroba. I suoi indumenti erano sul pavimento. Perché perdere tempo con i lacci, pensò amareggiato, quando si possono semplicemente tagliare i vestiti di qualcuno! Quella donna non aveva diritto di tagliare a quel modo la sua giubba rossa. Si era divertita a sbucciarlo come una cipolla.

Quasi trattenendo il respiro, spalancò le ante del guardaroba rosso e oro. Un gesto inutile. Non aveva grande possibilità di scelta. Nerim aveva preso la maggior parte delle sue giubbe per farle pulire o rammendare. Si vestì velocemente, scelse una giubba semplice di seta color bronzo scuro, nascose i vestiti ridotti a brandelli sotto al letto con l’idea di liberarsene senza che lo vedesse Nerim. O chiunque altro. Erano già in troppi a sapere cosa c’era fra lui e Tylin, e non sarebbe riuscito ad affrontare qualcuno che avesse scoperto la storia di quegli indumenti.

Una volta nel soggiorno sollevò il coperchio della scatola laccata vicino alla porta, quindi lo lasciò ricadere con un sospiro; non si era aspettato che Tylin gli lasciasse la chiave. Mat si appoggiò contro la porta. Aperta? Luce, cosa doveva fare? Ritornare alla locanda? Maledetti i dadi che si erano fermati la prima volta, ma in fondo non poteva escludere che Tylin pagasse comare Anan e Enid o la locandiera di qualsiasi altro posto. Non poteva escludere che Nynaeve o Elayne avrebbero sostenuto che aveva spezzato la sua promessa, rimangiandosi così le loro. Che tutte le donne fossero folgorate!

La sua attenzione fu attratta da un grosso pacco avvolto in carta verde appoggiato su uno dei tavoli. Conteneva una maschera da aquila nera e oro e una giubba coperta di piume. C’era anche un sacchetto di seta rossa con venti corone d’oro e un messaggio che profumava di fiori.

Ti avrei comprato un orecchino, porcellino mio, ma ho notato che non hai il buco all’orecchio. Fattelo fare e comprati qualcosa di carino.

Mat era sul punto di piangere. Era lui a lasciare regali alle donne. Il mondo si era capovolto! Porcellino? Oh, Luce! Dopo un minuto prese la maschera; l’avrebbe considerata un risarcimento da parte della regina, non fosse altro che per la giubba che aveva tagliato.

Quando alla fine raggiunse il cortiletto ombreggiato dove si erano incontrati ogni mattina, vicino a una vasca rotonda con delle ninfee e dei pesci bianchi a pallini colorati, scoprì che anche Nalesean e Birgitte erano pronti per la festa degli uccelli. Il Tarenese si era accontentato di una maschera verde, ma quella di Birgitte era giallo brillante e rosso con una cresta di piume, i capelli color oro erano sciolti, tutti ricoperti di piume colorate, e indossava un abito con un’ampia cintura gialla, trasparente, coperto di piume rosse e gialle. Non era sconcio come quello di Riselle, ma lo ricordava molto, soprattutto quando Birgitte si muoveva. Non aveva mai pensato che Birgitte potesse indossare un abito da donna.

«Talvolta è divertente essere guardate» spiegò lei colpendolo fra le costole quando Mat commentò. Il suo sorriso fu molto simile a quello di Nalesean quando diceva che era divertente pizzicare il posteriore delle cameriere. «Ho più piume di quante ne indossano le danzatrici, ma non abbastanza da costringermi a rallentare, in ogni caso non posso vedere molto bene e devo muovermi velocemente da questo lato del fiume.» I dadi rotolavano nella testa di Mat. «Che cosa ti ha trattenuto?» chiese Birgitte. «Spero che tu non ci abbia fatto aspettare per giocare con una bella ragazza.» Mat si augurò di non essere arrossito troppo.

«Io...» Non gli veniva in mente nessuna risposta, ma proprio in quel momento alcuni uomini con le giubbe piumate entrarono in cortile, tutti con spade sottili lungo il fianco e tutti, tranne uno, con maschere elaborate, creste colorate e becchi che non rappresentavano nessun uccello visto da essere umano. L’eccezione era Beslan, che stava facendo roteare la maschera appesa a un nastro. «Oh, sangue e maledette ceneri, che cosa ci fa lui qui?»

«Beslan?» Nalesean appoggiò le mani sull’elsa della spada e scosse il capo incredulo. «Be’, che la mia anima sia folgorata, ha detto che vuole passare la festa con te. Dice che si tratta di un vostro accordo. Gli ho detto che sarebbe stato incredibilmente noioso, ma non mi ha creduto.»

«Non credo che possa essere noioso stare con Mat» rispose il figlio di Tylin; l’inchino che fece fu rivolto a tutti e tre, ma gli occhi scuri si soffermarono a lungo su Birgitte. «Non mi sono mai divertito tanto come quando ho bevuto con lui e la Custode di lady Elayne durante la notte di Swovan, anche se, per la verità, non ricordo molto.» Non sembrava che avesse riconosciuto Birgitte. Stranamente, considerando i gusti che lei aveva mostrato in fatto di uomini — Beslan era un bel ragazzo, forse troppo grazioso, non il suo tipo d’uomo —, la donna sorrise timidamente e si pavoneggiò davanti ai suoi occhi.

In quel momento a Mat non importava come si comportasse Birgitte. Ovviamente Beslan non sospettava nulla, o altrimenti avrebbe quasi di sicuro snudato la spada, ma l’ultima cosa che Mat voleva, per la Luce, era una giornata in compagnia di quel ragazzo. Sarebbe stato un tormento. In fondo lui aveva un minimo di decenza, anche se la madre non ne aveva mostrata affatto.

Il solo problema era Beslan, che aveva preso sul serio quella maledetta promessa di andare insieme alla festa. Più Mat ripeteva che avevano programmato una giornata incredibilmente noiosa, più Beslan diventava determinato. Dopo un po’ il ragazzo cominciò a incupirsi e Mat pensò che alla fine avrebbe davvero snudato la spada. Be’, una promessa era una promessa. Quando lui, Nalesean e Birgitte se ne andarono, furono seguiti da una mezza dozzina di idioti coperti di piume. Mat era sicuro che non sarebbe accaduto se Birgitte avesse indossato i soliti indumenti. L’intero gruppo continuava a guardarla e sorridere.

«Che cos’era tutto quel dimenarsi quando ti stava guardando?» chiese Mat a Birgitte mentre attraversavano Mol Hara. Strinse meglio la maschera d’aquila.

«Non mi sono dimenata, mi sono solo mossa.» La compostezza di Birgitte era talmente fasulla che stavolta Mat si mise a ridere. «Leggermente.» Il sorriso malizioso riapparve e la donna abbassò la voce per farsi sentire solo da Mat. «Ti ho detto che talvolta è divertente essere guardata; solo perché sono tutti troppo carini non significa che non mi piaccia essere guardata da loro. Oh, tu invece dovresti guardare lei» aggiunse, indicando una donna snella che se ne andava in giro correndo con una maschera blu da gufo e ancora meno piume di quelle sul costume di Riselle.

Era una delle peculiarità di Birgitte. Di tanto in tanto lo colpiva fra le costole indicando una bella ragazza come avrebbe fatto qualsiasi uomo, e si aspettava che lui le indicasse gli uomini che piacevano a lei, ovvero i più brutti. Che avesse o meno scelto di andare in giro mezza nuda quel giorno, era... be’, un’amica. Il mondo stava diventando strano. Stava cominciando a vedere una donna come compagna di taverna e un’altra gli dava la caccia come una volta aveva fatto lui con tutte le ragazze graziose, stando ai suoi vecchi ricordi. Ma la regina lo faceva con più insistenza. Mat non aveva mai dato la caccia a una donna che non voleva essere cacciata. Un mondo molto strano.

Il sole non era ancora molto alto, ma la festa già riempiva le strade, le piazze e i ponti. Acrobati, giocolieri e musicisti con le piume cucite sugli indumenti davano spettacolo a ogni angolo, la musica era spesso soffocata da risate roboanti e grida. Per i più poveri erano sufficienti alcune piume legate intorno al capo, piume di piccione raccolte da terra dai bambini di strada che zigzagavano fra i mendicanti, ma le maschere e i costumi diventavano sempre più elaborati a seconda di quanto erano gonfie le tasche dei proprietari, più elaborati e, spesso, più indecenti. Uomini e donne erano coperti da piume che rivelavano più carne di Riselle o di quella donna a Mol Hara. Oggi non si commerciava nelle strade o lungo i canali, anche se alcuni negozi parevano essere aperti, ma di tanto in tanto un carro si faceva largo fra la folla o una chiatta procedeva con delle piattaforme dove uomini e donne erano in posa con indosso delle coloratissime maschere da uccello che coprivano tutto il capo, con le creste sporgenti che talvolta erano lunghe un passo, e agitavano le lunghe ali colorate in modo tale da esporre completamente il resto del corpo. Uno spettacolo tutto sommato bello da vedere.

Secondo Beslan quelle ‘scenografie’, così le chiamavano, di solito venivano rappresentate nei saloni delle gilde, dei palazzi privati o delle case dei nobili. La festa aveva luogo all’interno delle abitazioni. A Ebou Dar non nevicava mai, nemmeno quando avrebbe dovuto — Beslan aveva detto che gli sarebbe piaciuto vedere la neve, almeno una volta — ma era evidente che generalmente l’inverno era abbastanza freddo da non permettere alle persone di uscire di casa mezzo svestite. Con quel caldo innaturale, invece, tutti si erano riversati in strada. Beslan gli aveva detto di aspettare che facesse notte, a quel punto avrebbe davvero visto qualcosa di notevole. Con il calare del sole cadevano anche le inibizioni.

Mat fissò la donna alta e magra che scivolava fra la folla con la maschera e il mantello piumato e si chiese quali inibizioni fossero rimaste a quella gente. Stava quasi per gridarle appresso di coprirsi con i mantelli. Era carina, ma in strada, davanti alla Luce e a tutti?

I carri con le scenografie erano seguiti da altri, stipati di uomini e donne che gridavano, ridevano e lanciavano monete sui carri, talvolta delle banconote ripiegate, spintonando tutti gli altri che si trovavano in strada. Mat si era abituato a corre avanti prima che potessero infilarsi in una strada laterale, o aspettare fino a quando la scenografia non svoltava a un incrocio o un ponte. Mentre aspettavano, Birgitte e Nalesean lanciavano monete ai monelli sporchi o ai mendicanti più sudici. Be’, Nalesean le lanciava, Birgitte era concentrata sui bambini e infilava le monete nei loro palmi lordi come fossero dei regali.

In uno di quei momenti d’attesa, Beslan appoggiò d’un tratto la mano sul braccio di Nalesean, alzando la voce per superare il rumore della folla e il frastuono della musica che proveniva da sei posti diversi. «Perdonami, Tarenese, ma non lui.» Un mendicante ritornò fra la folla con circospezione, aveva le guance infossate ed era scheletrico. Sembrava avesse perso la piuma pietosa che teneva fra i capelli.

«Perché no?»

«Non porta l’anello d’ottone al mignolo» rispose Beslan. «Non fa parte della gilda.»

«Luce,» rispose Mat «un uomo non può nemmeno chiedere l’elemosina in questa città senza appartenere a una gilda?» Forse fu il suo tono di voce, ma il mendicante scattò verso la gola di Mat mentre fra le mani gli appariva un pugnale sudicio.

Lui gli afferrò il braccio senza pensare e roteò scagliandolo fra la folla; alcuni imprecarono contro Mat, altri contro il mendicante steso a terra. Altri ancora gli lanciarono una moneta.

Mat vide con la coda dell’occhio un secondo uomo scheletrico vestito di stracci che stava cercando di spingere via Birgitte per raggiungerlo con un lungo pugnale. Fu un errore stupido sottovalutare quella donna per via del costume che indossava. Da qualche parte fra le piume Birgitte estrasse un pugnale e lo trafisse sotto il braccio.

«Attenta!» Le gridò Mat, ma non c’era tempo per gli allarmi: mentre gridava estrasse un pugnale dalla manica e lo scagliò. La lama sfiorò il volto di Birgitte e affondò nella gola di un terzo mendicante armato, prima che lui riuscisse a colpire la donna fra le costole.

A un tratto apparvero ovunque mendicanti con pugnali, manganelli e picche; la gente in maschera incominciò a gridare e a tentare di abbandonare quel posto. Nalesean colpì uno degli straccioni proprio sul viso, facendolo brancolare, e Beslan ne trafisse un altro allo stomaco mentre i suoi compagni mascherati combattevano contro gli altri.

Mat non ebbe tempo di vedere altro. Si ritrovò schiena a schiena con Birgitte contro diversi nemici. Sentiva il corpo della donna muoversi contro il suo, sentì le sue imprecazioni sommesse, ma ne era appena consapevole. Birgitte sapeva prendersi cura di sé stessa e, osservando i due uomini davanti a lui, non fu sicuro che loro potessero fare altrettanto. Il tipo goffo dal sorriso sdentato aveva un solo braccio e un’orbita cicatrizzata al posto dell’occhio sinistro, ma impugnava una mazza lunga sessanta centimetri, circondata da fasce di ferro coperte di spuntoni che parevano spine d’acciaio. Il suo piccolo compagno con la faccia da topo aveva entrambi gli occhi e alcuni denti e, nonostante le guance infossate e le braccia scheletriche, si muoveva come un serpente, inumidendosi le labbra e passandosi un pugnale arrugginito da una mano all’altra. Mat puntò il corto pugnale che teneva in mano prima contro uno, poi contro l’altro. Erano ancora troppo lontani perché potesse colpirli a organi vitali, inoltre si muovevano e si agitavano, ognuno in attesa che l’altro attaccasse per primo.

«Al vecchio Cully tutto questo non piacerà, Spar» gridò il grassone, e quello con la faccia da topo scattò in avanti, sempre passandosi la lama arrugginita da una mano all’altra.

Non aveva tenuto conto del pugnale che apparve di colpo nella mano sinistra di Mat e che gli tagliò il polso. L’arma del mendicante cadde sul lastricato, ma il tizio si scagliò comunque contro Mat. Mentre un altro pugnale gli penetrava nel petto, gridò sgranando gli occhi, stringendo convulsamente le braccia attorno a Mat. Il grassone sorrise, sollevò la mazza e si fece avanti.

Mentre lo fissava incredulo, Mat scagliò lontano il corpo del mendicante con la faccia da topo. La strada era libera per almeno cinquanta passi a parte i combattenti, e ovunque c’erano mendicanti che si contorcevano per terra o attaccavano qualcuno, due, tre talvolta anche quattro contro una persona sola, colpivano con le mazze o con delle pietre.

Beslan afferrò Mat per un braccio. Aveva il volto insanguinato, ma sorrideva. «Andiamo via di qui e lasciamo che la Compagnia della Carità se la veda con loro. Non c’è onore nel combattere contro i mendicanti, inoltre la gilda non lascerà vivo nessuno di questi imbroglioni. Seguitemi.» Nalesean era torvo, anche lui senza dubbio non vedeva onore nel combattere contro i mendicanti; e lo stesso valeva per gli amici di Beslan, alcuni con i costumi malconci e un altro addirittura senza maschera, per consentire a uno dei compagni di medicargli un taglio sulla fronte. Ma anche l’uomo con il taglio sorrideva. Birgitte non aveva nessuna ferita visibile e il costume sembrava perfetto come quando era uscita da palazzo. La donna fece scomparire il pugnale. Non era possibile nascondere una lama fra quelle piume, eppure lei ci era riuscita.

Mat si lasciò trascinare via, ma gridò: «Ma i mendicanti vanno sempre in giro ad attaccare la gente in questa... questa città?» Beslan forse non avrebbe apprezzato sentirla definire ‘maledetta’, ma rise.

«Tu sei ta’veren, Mat. C’è sempre agitazione attorno a un ta’veren.»

Mat sorrise a denti stretti. Maledetto cretino, maledetta città e maledetto ta’veren. Be’, se un mendicante gli avesse tagliato la gola almeno non sarebbe tornato a palazzo per essere sbucciato come una pera matura da Tylin. A pensarci bene, lo aveva chiamato davvero la sua ‘piccola pera’. Maledetta!

La strada fra la bottega del tintore e La rosa dell’Elbar era anch’essa piena di gente in festa, ma erano poche le persone mezze nude. Gli acrobati davanti alla casa del mercante facevano eccezione, gli uomini scalzi e a torso nudo con indosso solo delle calzamaglie o dei pantaloni sgargianti, le dorme con brache anche più attillate e giubbe sottili. Avevano tutti delle piume fra i capelli, come anche i musicisti che suonavano davanti al piccolo palazzetto all’angolo opposto, una donna con il flauto, un’altra che soffiava dentro un alto tubo ritorto e nero coperto di levette e un uomo che suonava il tamburo, per quanto servisse. La casa che erano andati a controllare sembrava chiusa ermeticamente.

Il tè de La rosa era cattivo come sempre, ma comunque molto meglio del vino. Nalesean continuava a bere l’amara birra locale. Birgitte ringraziò senza dire per cosa e Mat sollevò le spalle in silenzio; si scambiarono un sorriso e brindarono. Il sole sorse e Beslan si mise a sedere con le gambe accavallate, cambiando sempre l’incrocio, ma i suoi compagni stavano cominciando a diventare irrequieti, anche se lui continuava a ripetere che Mat era ta’veren. Una baruffa con dei mendicanti non era certo un grande evento, la strada era troppo stretta per i carri con le scenografie, le donne non erano carine come in altri posti e anche guardare Birgitte sembrò diventare stucchevole quando ebbero capito che lei non aveva alcuna intenzione di baciare nessuno di loro. Lamentandosi poiché Beslan non voleva seguirli, se ne andarono alla ricerca di qualcosa di più divertente. Nalesean fece una passeggiata nel vicolo vicino al negozio del tintore e Birgitte svanì ne La rosa a cercare, come aveva detto, qualcuno con cui valesse la pena di bere in un angolo nascosto e dimenticato.

«Non mi sarei mai aspettato di vedere un Custode vestito a quel modo» osservò Beslan, invertendo di nuovo l’incrocio dei piedi.

Mat batté le palpebre. Il ragazzo aveva la vista acuta. Birgitte non si era mai tolta la maschera. Be’, finché non sapeva di...

«Credo che tu andrai bene per mia madre, Mat.»

Mat sputò il tè sui passanti, quasi strozzandosi. Alcuni lo guardarono male e una donna snella con un seno grazioso lo guardò timidamente da sotto una maschera blu che secondo Mat rappresentava uno scricciolo. La donna batté i piedi a terra e si allontanò a grandi passi quando lui non ricambiò il sorriso. Per fortuna nessuno era abbastanza arrabbiato da andare oltre gli sguardi cupi. O forse purtroppo. Non gli sarebbe dispiaciuto se sei o sette uomini si fossero buttati addosso a lui proprio, in quel momento.

«Di che stai parlando?» chiese rauco.

Beslan si girò, con gli occhi sgranati per la sorpresa. «Del fatto che ti ha scelto come suo bello, ovviamente. Perché sei tanto rosso? Sei arrabbiato? Perché...» Il ragazzo si batté di colpo la mano sulla fronte e rise. «Pensavi che io mi sarei arrabbiato! Perdonami, dimentico sempre che sei un forestiero. Mat, lei è mia madre, non mia moglie. Papà è morto dieci anni fa e lei ha sempre sostenuto di essere troppo impegnata. Sono contento che abbia scelto qualcuno che mi piace. Dove stai andando?»

Mat non si accorse di essere in piedi fino a quando non sentì la domanda di Beslan. «Ho solo bisogno di... schiarirmi le idee.»

«Ma stai bevendo del tè.»

Mat schivò una portantina verde, vide la porta della casa che si apriva e una donna con un mantello blu coperto di piume uscirne quasi furtiva. Senza pensare — la testa gli girava troppo per pensare con chiarezza — cominciò a seguirla. Beslan sapeva! Approvava! Sua madre e...

«Mat?» gridò Nalesean alle sue spalle. «Dove stai andando?»

«Se non sono di ritorno domani,» rispose lui gridando a sua volta «di’ a quelle due che dovranno trovarsela da sole!» Seguì la donna in uno stato di torpore, senza sapere se Nalesean o Beslan gli avevano risposto o meno. Il ragazzo sapeva! Si ricordò che una volta aveva pensato che Beslan e sua madre fossero pazzi. Erano molto peggio! Tutta Ebou Dar era folle! Mat era appena consapevole dei dadi che rotolavano ancora nella sua testa.

Da una finestra della stanza delle riunioni, Reanne osservò Solain scomparire lungo la strada verso il fiume. Un uomo con una giubba color bronzo la stava seguendo, ma se avesse provato a molestarla avrebbe scoperto abbastanza presto che Solain non aveva tempo per gli uomini e nessuna pazienza con loro.

Reanne non era certa di sapere perché quella necessità fosse diventata tanto urgente proprio in quel momento. Per giorni si era affacciata la mattina ed era scomparsa con il tramonto e lei l’aveva combattuta per giorni. Secondo le loro regole severe, che non osavano chiamare leggi, quell’ordine veniva dato alla mezza luna e mancavano ancora sei notti, ma oggi... Aveva dato l’ordine prima di pensare e non era riuscita a revocarlo in tempo utile. Sarebbe stato un bene. Nessuno aveva visto in città alcun segno di quelle due giovani sciocche che si facevano chiamare Elayne e Nynaeve; grazie Luce, non c’era stato bisogno di correre rischi inutili.

Sospirò e tornò dalle altre, che aspettarono che lei si accomodasse nel suo scranno prima di sedersi a loro volta. Sarebbe stato un bene, come lo era sempre stato. I segreti sarebbero stati mantenuti, come sempre, ma... Lei non aveva il talento della premonizione, eppure quell’urgenza doveva pur significare qualcosa. Dodici donne la guardavano impazienti. «Credo che dovremmo prendere in considerazione l’idea di spostare tutte quelle che non hanno la cintura alla fattoria, almeno per un po’ di tempo.» Non vi furono molte discussioni; le altre erano Anziane, ma lei era ‘l’Anziana’. Almeno in questo non c’era alcun male nel comportarsi come le Aes Sedai.

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