33 Un bagno

A Rand i giorni che seguirono la partenza di Perrin sembrarono infiniti. E le notti anche più lunghe. Si era ritirato nelle proprie stanze, dicendo alle Fanciulle di non permettere a nessuno di entrare. Il permesso di oltrepassare le porte con i soli dorati era stato concesso solo a Nandera, per portargli i pasti. La Fanciulla longilinea depositava il vassoio su un tavolo e gli riferiva la lista di tutti quelli che avevano chiesto udienza, quindi lo guardava con aria di rimprovero quando rispondeva di non voler vedere nessuno. Rand sentiva spesso commenti di disapprovazione dalle Fanciulle che facevano la guardia alle porte, prima che Nandera le richiudesse alle sue spalle. Naturalmente le Far Dareis Mai volevano che lui sentisse, in caso contrario avrebbero usato il linguaggio delle mani, ma se intendevano incitarlo a uscire accusandolo di fare i capricci... Le Fanciulle non capivano e forse non avrebbero capito nemmeno se avesse spiegato loro il motivo. Se fosse riuscito a farlo.

Spizzicava i pasti senza appetito e cercava di leggere, ma i suoi libri preferiti potevano distrarlo solo per poche pagine. Almeno una volta al giorno, anche se si era ripromesso di non farlo, sollevava il pesante guardaroba di ebano lucidato e avorio nella sua camera da letto, lo faceva fluttuare su flussi d’Aria, rimuoveva con cura le trappole che aveva intessuto e la Maschera degli Specchi che aveva fatto sembrare la parete uniforme; tutti flussi invertiti in modo che solo lui potesse vederli. In una nicchia scavata con il Potere erano riposte due statuette di pietra bianca, alte circa trenta centimetri, che rappresentavano un uomo e una donna, vestiti con abiti fluttuanti e con una sfera di cristallo sollevata sopra la testa. La notte che aveva fatto partire l’esercito alla volta di Illian si era anche recato da solo nel Rhuidean per recuperare i due ter’angreal; il giorno in cui gli sarebbero serviti poteva non aver molto tempo per andarli a prendere. Era quanto si era detto. Allungò la mano verso l’uomo con la barba, che poteva essere usato da un uomo, poi si fermò tremante. Se l’avesse toccato con un solo dito sarebbe stato pervaso da una quantità inimmaginabile dell’Unico Potere. Con quella nessuno avrebbe potuto sconfiggerlo, nessuno avrebbe potuto opporsi a lui. Con quell’oggetto, gli aveva spiegato una volta Lanfear, avrebbe potuto sfidare il Creatore.

«È mio di diritto» mormorava ogni volta, con la mano che tremava a pochissima distanza dalla statua. «Mio! Io sono il Drago Rinato!»

Ogni volta si costringeva a farsi indietro, intessendo nuovamente la Maschera degli Specchi e le trappole invisibili che avrebbero ridotto in cenere chiunque avesse tentato di superarle senza chiave. L’enorme guardaroba fluttuò di nuovo a posto, leggero come una piuma. Lui era il Drago Rinato. Ma era abbastanza? Doveva esserlo per forza.

«Io sono il Drago Rinato» sussurrava, talvolta rivolgendosi alle pareti. Altre volte invece lo gridava. In silenzio o ad alta voce, si adirava contro i suoi oppositori, gli sciocchi ciechi che non riuscivano a vedére e quelli che si rifiutavano di farlo, per ambizione, avarizia o paura. Lui era il Drago Rinato, la sola speranza di salvezza del mondo contro il Tenebroso, che la Luce aiutasse il mondo.

Ma la sua ira e i pensieri di usare il ter’angreal erano solo tentativi di evitare un altro argomento, e lo sapeva bene. Mangiava da solo, sempre meno di giorno in giorno, e cercava di leggere, anche se di rado, o tentava di dormire. Questo lo faceva sempre più spesso col passar dei giorni, senza curarsi se il sole fosse sorto o meno. Il sonno giungeva a brevi intervalli, e ciò che tormentava i suoi pensieri da sveglio entrava anche nei sogni e lo svegliava a forza, troppo presto perché il sonno fosse ristoratore. Nessun tipo di schermo poteva tenere fuori qualcosa che era già dentro di lui. Doveva affrontare i Reietti e, prima o poi, il Tenebroso in persona. Era circondato da sciocchi che lo combattevano o fuggivano quando la loro sola speranza era di schierarsi dalla sua parte. Perché i suoi sogni non lo lasciavano in pace? Da un sogno in particolare si svegliava sempre di soprassalto non appena iniziava, restando pieno di avversione nei propri confronti, perdendo del tutto il sonno, ma gli altri... Li meritava tutti e lo sapeva.

In sogno affrontava Colavaere, con il volto nero e la sciarpa che aveva usato per impiccarsi ancora affondata nella carne gonfia del collo. Colavaere, una silenziosa accusa, con tutte le Fanciulle che erano morte per lui disposte dietro di lei in ranghi muti, tutte le donne che erano morte a causa sua. Conosceva ogni volto bene come il proprio e ogni nome, eccetto uno. Da questi sogni si svegliava piangendo.

Scagliò Perrin nella Grande Sala del Sole per centinaia di volte e, per centinaia di volte, venne sopraffatto dalla rabbia furiosa e la paura. Nei suoi sogni uccise Perrin centinaia di volte, svegliandosi al suono delle proprie grida. Perché quello stupido aveva scelto proprio le Aes Sedai prigioniere per innescare la lite? Rand cercava di non pensare a loro; aveva fatto del suo meglio per ignorarne l’esistenza fin dall’inizio. Erano troppo pericolose per essere tenute prigioniere troppo a lungo, e non aveva alcuna idea di cosa farsene. Lo spaventavano. Talvolta sognava di essere di nuovo rinchiuso nella cassa, sognava Galina o Erian e Katerine con le altre che lo facevano uscire per picchiarlo, sognava e si svegliava in lacrime, anche dopo essersi convinto che aveva gli occhi aperti ed era libero. Lo spaventavano perché temeva di lasciarsi andare alla rabbia e la paura e poi... Cercava di non pensare a cosa avrebbe potuto fare, ma talvolta sognava e si svegliava tremante, in un bagno di sudore freddo. Non l’avrebbe fatto. Non sarebbe giunto a tanto, in un modo o nell’altro l’avrebbe evitato.

Nei suoi sogni riuniva gli Asha’man per attaccare la Torre Bianca e punire Elaida. Saltava fuori da un passaggio, pervaso da una rabbia legittima e da saidin, scoprendo che... la lettera di Alviarin era solo una menzogna, e la donna stava fianco a fianco con Elaida, e dietro di lei c’erano anche Egwene, Nynaeve ed Elayne, tutte con i volti da Aes Sedai, perché lui era troppo pericoloso per essere lasciato libero. Rimaneva a guardare gli Asha’man distrutti da donne che avevano trascorso anni a studiare l’Unico Potere, non solo alcuni mesi come loro e da quei sogni non riusciva mai a svegliarsi fino a quando ogni uomo con la giubba nera era morto, lasciandolo da solo ad affrontare il potere delle Aes Sedai. Da solo.

Cadsuane continuava a ripetergli quelle parole sugli uomini impazziti che sentivano le voci, fino a quando sussultava come se stesse ricevendo dei colpi o delle frustate, e sobbalzava nel sonno ogni volta che quella donna appariva. Nei sogni e anche da sveglio chiamava Lews Therin, gridava contro di lui, l’andava a cercare e riceveva in riposta solo il silenzio. Era solo. Quel groviglio di sensazioni ed emozioni in fondo alla mente, la presenza di Alanna che pareva quasi lo toccasse, lentamente divenne una sorta di conforto. Per molti versi questa era la cosa più spaventosa.

Giunto alla quarta mattina si svegliò traballante da un sogno sulla Torre Bianca, e sollevò una mano per proteggere gli occhi impastati da quello che pensava fosse il bagliore della fiamma creata da saidar. Il pulviscolo ballava nella luce del sole che penetrava dalla finestra fino al letto con le colonne del baldacchino in ebano intarsiato d’avorio. Ogni pezzo di arredamento era di ebano lucidato e intarsiato d’avorio, squadrato e rigoroso, abbastanza pesante da soddisfare il suo umore. Rimase disteso per un momento, ma se anche il sonno fosse ritornato, non avrebbe fatto altro che portargli nuovi incubi.

Ci sei, Lews Therin?, pensò senza alcuna speranza di sentire una risposta, alzandosi con molta fatica e cercando di lisciare la giacca sgualcita. Non si era più cambiato da quando si era chiuso dentro la sua stanza.

Quando entrò barcollante nell’anticamera, all’inizio pensò di stare ancora sognando, di star facendo il sogno che lo svegliava sempre subito, pieno di vergogna, sensi di colpa e disgusto verso sé stesso, ma Min lo guardò da una delle sedie dorate, con un libro rilegato in pelle appoggiato sulle gambe e lui non si svegliò. Il volto della ragazza era circondato da riccioli neri, i grandi occhi scuri erano così intensi che Rand poteva quasi sentirne il tocco. Le brache di broccato di seta verde le stavano addosso come una seconda pelle e la giubba dello stesso colore e materiale era aperta, mostrando una camicetta color crema che si muoveva con il respiro. Rand pregò di svegliarsi. Non era stata la paura, né la rabbia né i sensi di colpa nei confronti di Colavaere a spingerlo a chiudersi in camera sua, e nemmeno la scomparsa di Lews Therin.

«Fra quattro giorni ci sarà una specie di festa» disse allegra Min. «Quando nel cielo salirà la mezza luna. La chiamano il ‘Giorno del Pentimento’ per non so quale motivo, ma la sera verrà organizzato un ballo. Un ballo tranquillo, così ho sentito dire, ma è meglio di niente.» Mise un segnalibro tra le pagine e appoggiò il libro sul pavimento. «Giusto il tempo che mi serve per farmi fare un vestito, se riesco a trovare una sarta oggi. Naturalmente se hai intenzione di venire al ballo con me.»

Rand distolse lo sguardo, che si posò su un vassoio coperto da un panno che si trovava sul tavolo. Solo pensare al cibo gli dava la nausea. Nandera non avrebbe dovuto lasciar entrare nessuno, che fosse folgorata! E Min meno che mai. Non lo aveva detto apertamente, ma aveva detto nessuno! «Min, io... non so cosa dire. Io...»

«Pastore, sembri un pezzo di carne che i cani si sono contesi. Adesso capisco perché Alanna era tanto agitata, anche se non so come facesse a esserne al correte. Mi ha praticamente implorato di venire a parlare con te, dopo che le Fanciulle l’hanno mandata via per la quinta volta. Nandera non avrebbe fatto entrare nemmeno me se non fosse stata in agitazione per il fatto che non stai mangiando e, in ogni caso, ho dovuto pregarla un po’. Mi sei debitore, campagnolo.»

Rand si fece indietro. Gli tornarono in mente immagini di sé stesso. Lui che le strappava i vestiti di dosso, che la prendeva come un animale. Le doveva molto più di quanto avrebbe mai potuto ripagare. Si passò una mano fra i capelli e si costrinse a guardarla. Adesso si era seduta a gambe incrociate sulla sedia, con le mani sulle ginocchia. Come faceva a guardarlo e rimanere così calma? «Min, non ci sono scuse per ciò che ho fatto. Se esistesse giustizia, dovrei finire al patibolo. Se potessi mi passerei la corda intorno al collo io stesso. Giuro che lo farei.» Quelle parole avevano un sapore amaro. Lui era il Drago Rinato e lei avrebbe dovuto attendere che giustizia venisse fatta dopo l’Ultima Battaglia. Quanto era stato sciocco il suo desiderio di sopravvivere a Tarmon Gai’don! Non lo meritava affatto.

«Di cosa stai parlando, pastore?» chiese lentamente Min.

«Di quello che ti ho fatto» grugnì lui. Come aveva potuto? E soprattutto a lei? «Min, so quanto dev’essere duro per te trovarti nella stessa stanza con me.» Come osava ricordare la morbidezza della pelle di Min, la dolcezza della sensazione del suo corpo? Dopo che le aveva strappato via i vestiti... «Non avrei mai pensato di essere un tale mostro, un animale.» Ma lo era. Si odiava per ciò che le aveva fatto e si odiava ancor di più perché voleva farlo ancora. «La sola scusa che ho è la follia. Cadsuane aveva ragione. Sento delle voci. Credevo fosse Lews Therin. Puoi... No. No, non ho il diritto di chiederti di perdonarmi, ma tu devi comunque capire che sono dispiaciuto, Min.» Lo era davvero. E le mani fremevano dal desiderio di carezzarle la schiena, le natiche, i fianchi. Era davvero un mostro. «Sono estremamente dispiaciuto. Almeno adesso lo sai..»

Min era rimasta immobile e lo fissava come se non l’avesse mai visto prima. Adesso poteva anche smettere di fingere di essere calma. Poteva dirgli quello che davvero pensava di lui, e per quanto sarebbe stato brutto, non lo sarebbe mai stato abbastanza.

«Allora è per questo che mi hai tenuta alla larga» disse alla fine Min. «Adesso ascoltami bene, testa di rapa, zuccone. Ero pronta a piangere fino a ridurmi in polvere perché avevo visto un morto di troppo e tu stavi per fare lo stesso, per lo stesso motivo. Quello che abbiamo fatto, mio agnellino innocente, è stato confortarci a vicenda. Gli amici si confortano in momenti del genere. Chiudi la bocca, contadino dei Fiumi Gemelli.»

Rand lo fece, ma solo per deglutire. Temeva che gli occhi gli sarebbero caduti sul pavimento. Quasi si strozzò mentre ripeteva quelle parole. «Conforto? Min, se la Cerchia delle Donne a casa ci sentisse definire conforto quello che è successo, si metterebbero in fila per spellarci, anche se fossimo cinquanta persone!»

«Almeno adesso parli al plurale» rispose cupa Min, poi si alzò e si diresse verso di lui agitando un dito minaccioso. «Pensi che io sia una bambola, contadino? Pensi che io sia troppo stupida per farti capire se non volessi essere toccata? Pensi che non avrei potuto fartelo capire senza mezzi termini?» Con la mano libera estrasse un pugnale da sotto la giubba, lo fece volteggiare e lo ripose senza mai rallentare. «Mi sembra di ricordare di averti strappato di dosso la camicia perché non te la stavi sfilando abbastanza in fretta per i miei gusti. Giusto per dimostrarti quanto poco volessi le tue braccia intorno a me! Ho fatto con te ciò che non avevo mai fatto con un altro uomo — e non pensare che non mi fossi mai sentita tentata! — e tu credi di essere il solo responsabile di tutto! Come se io non fossi stata presente!»

Rand colpì una sedia con i talloni e si accorse solo in quel momento che aveva indietreggiato per allontanarsi da lei. Min lo fissò torva e mormorò: «Non credo che mi piaccia il modo in cui mi stai guardando in questo momento.» A un tratto gli diede un calcio negli stinchi, gli piantò entrambe le mani sul petto e lo spinse. Rand cadde sulla sedia con tale forza che la fece quasi capovolgere. I riccioli di Min ondeggiarono quando la ragazza scosse il capo e si aggiustò la giubba di broccato.

«Forse è come dici tu, Min, ma...»

«Niente forse. È come dico io, pastore» lo interrupe lei decisa. «E se ti azzardi di nuovo a dire qualcosa di diverso, farai meglio a chiamare le Fanciulle o a incanalare, per quanto ti servirà, perché ti prenderò a pugni per tutta la stanza fino a quando non implorerai pietà. Hai bisogno di raderti. E di fare un bagno.»

Rand sospirò. Perrin aveva un matrimonio così sereno, con una moglie sorridente e gentile. Perché sembrava che lui attirasse solo donne che lo facevano girare come una trottola? Se solo avesse conosciuto le donne bene quanto le conosceva Mat avrebbe saputo cosa rispondere, ma invece era capace solo di goffaggini. «In ogni caso,» disse con cautela «c’è una sola cosa che posso fare.»

«E quale sarebbe?» Min incrociò le braccia sotto al seno e incominciò a battere il piede a terra in maniera molto minacciosa, ma Rand sapeva che era la cosa giusta da fare.

«Mandarti via.» Proprio come aveva fatto con Elayne e Aviendha. «Se avessi un minimo di controllo non avrei mai...» Il piede incominciò a battere più velocemente. Forse era meglio stare zitto. Confortare? Luce!

«Min, chiunque mi sia vicino è in pericolo. I Reietti non sono i soli che farebbero del male a qualcuno che mi è caro per nuocere a me. E ora sono anche io un problema. Non riesco più a controllare i miei nervi. Min, ho quasi ucciso Perrin! Cadsuane aveva ragione. Sto diventando pazzo, se non lo sono già. Devo mandarti via di modo che tu possa essere in salvo.»

«Chi è questa Cadsuane?» chiese Min, con una tale calma che Rand si stupì quando vide che stava ancora battendo il piede a terra. «Alanna ne parla come se fosse la Creatrice delle Sorelle. No. Non rispondere, non m’interessa.» Non gli aveva comunque lasciato il tempo per parlare. «Non m’importa nemmeno di Perrin. Faresti del male a me come lo faresti a lui. Io credo che quella vostra gran lite in pubblico fosse solo una messa in scena, ecco. Non m’importa dei tuoi nervi e non m’importa se sei pazzo. Non puoi esserlo del tutto, altrimenti non ti preoccuperesti tanto. Quello che invece m’importa...»

Min si piegò fino a quando quei grossi occhi scuri raggiunsero i suoi, non una gran distanza, e Rand vide di colpo una luce talmente furibonda in quello sguardo che abbracciò saidin, pronto a difendersi. «Mandarmi via per essere al sicuro?» gridò la ragazza. «Come osi? Che diritto hai di mandarmi via? Hai bisogno di me, Rand al’Thor! Se ti dicessi solo parte delle visioni che ho avuto su di te, la metà dei tuoi capelli si arriccerebbe e l’altra cadrebbe a terra! E tu osi mandarmi via! Lasci che le Fanciulle corrano tutti i rischi che vogliono e vuoi mandarmi via come una bambina?»

«Non amo le Fanciulle.» Mentre fluttuava nel vuoto privo di emozioni, Rand sentì le proprie parole lasciargli la bocca e lo stupore fece crollare il vuoto e scomparire saidin.

«Bene» rispose Min tirandosi su. Un lieve sorriso le fece incurvare le labbra. «Allora la discussione è chiusa.» Detto questo si sedette in grembo a Rand.

Aveva detto che lui non avrebbe mai fatto del male a Perrin come non l’avrebbe fatto a lei, ma adesso Rand doveva farle del male. Doveva, per il suo stesso bene. «Amo anche Elayne» disse senza mezzi termini. «E Aviendha. Vedi che cosa sono?» Stranamente, quelle dichiarazioni non sembrarono sconcertarla affatto.

«Rhuarc ama più di una donna» rispose Min. Il suo sorriso eguagliava la serenità delle Aes Sedai. «Come anche Bael, e su di loro non ho mai notato corna da Trolloc. No, Rand, mi ami e non puoi tirarti indietro. Dovrei appenderti a un uncino per tutto quello che mi hai fatto passare, ma... solo perché tu lo sappia, anche io ti amo.» Il sorriso si trasformò in un’espressione preoccupata, lo specchio di un conflitto interiore, e alla fine Min sospirò. «A volte credo che la vita sarebbe molto più facile, se le mie zie non mi avessero insegnato a essere onesta» mormorò. «E per essere onesta, Rand, devo dirti che anche Elayne ti ama. E anche Aviendha. Se le due mogli di Mandelain possono amarlo entrambe, suppongo che tre donne possano riuscire ad amare te, ma io sono già qui, e se provi a mandarmi via, mi aggrappo a una tua gamba.» Min arricciò il naso. «Prima però dovrai lavarti. Ma non me ne andrò, qualsiasi cosa dici.»

Rand sentiva la testa che gli girava proprio come una trottola. «Tu mi... ami?» ripeté incredulo. «Come fai a sapere cosa prova Elayne? Come fai a sapere qualcosa riguardo Aviendha? Luce! Mandelain può fare come gli pare, Min, io non sono un Aiel.» Aggrottò le sopracciglia. «E cos’erano quei discorsi sul rivelarmi la metà di ciò che hai visto? Credevo che mi avessi detto tutto. E ti ripeto: ti manderò da qualche parte, al sicuro. E smetti di fare quella smorfia con il naso! Non puzzo!» Tolse di scatto la mano con la quale si stava grattando sotto la giubba.

Le sopracciglia inarcate di Min erano assai espressive, ma naturalmente anche la lingua della ragazza doveva avere la sua parte: «Osi assumere quel tono di voce? Come se non mi credessi?» A un tratto la voce iniziò ad alzarsi di parola in parola, e Min gli puntò un dito sul petto come se intendesse trapassarlo. «Pensi che andrei a letto con un uomo che non amo? Lo pensi davvero? O forse credi che non valga la pena amarti? È questo il punto?» La voce era il miagolio di un gatto al quale avevano schiacciato la coda. «Per cui secondo te io sono un batuffolino senza cervello che si innamora di un mutile zoticone? Te ne stai lì seduto a bocca aperta come un bue deficiente e insulti i miei sentimenti, i miei gusti, i miei...»

«Se non ti calmi e ricominci a ragionare» gridò Rand «giuro che ti prendo a sculacciate!» Anche questa frase saltò fuori dal nulla, una conseguenza delle notti insonni, della confusione, ma prima che lui potesse scusarsi, Min sorrise. Sorrise!

«Almeno adesso non sei più scontroso» disse poi. «Non provare a lamentarti, Rand, non ti riesce bene. Quindi vuoi che dica cose sensate? Ti amo e non me ne andrò. Se proverai a mandarmi via, dirò alle Fanciulle che mi hai rovinata e poi scacciata. Lo racconterò a tutti quelli che vorranno ascoltare. Io...»

Rand sollevò la mano destra osservandone il palmo, dove spiccava l’airone impresso a fuoco, quindi guardò Min. La ragazza guardò la sua mano sospettosa e cambiò posizione sulle sue ginocchia, quindi ignorò ogni cosa tranne il suo volto.

«Come fai?» sospirò Rand, accasciandosi sulla sedia. «Anche quando sembra che mi metti a testa in giù, fai rimpicciolire tutti i miei problemi.»

Min tirò su con il naso. «Dovresti ritrovarti a testa in giù più spesso. Dimmi: questa Aviendha,... suppongo non vi sia alcuna possibilità che sia ossuta e coperta di cicatrici come Nandera.»

Rand rise pur non volendo. Luce, quanto tempo era passato dall’ultima volta in cui aveva riso con piacere? «Min, io direi che è carina quanto te, ma come posso paragonare due albe?»

Per un momento lei lo fissò con un sorrisetto, come se non riuscisse a decidere se essere sorpresa o deliziata. «Sei un uomo molto pericoloso, Rand al’Thor» mormorò, piegandosi lentamente verso di lui. Rand sentì che avrebbe potuto perdersi in quegli occhi. Tutte le altre volte, quando Min si era seduta in braccio a lui baciandolo, tutte le volte che aveva pensato che stesse solamente prendendo in giro un ragazzo di campagna, Rand aveva sempre avuto la tentazione di baciarla per l’eternità. Adesso, se lei lo avesse baciato di nuovo proprio in quel momento...

La prese con fermezza per le braccia, si alzò e la mise in piedi da un lato. La amava e lei lo ricambiava, ma doveva tenere a mente che voleva anche baciare Elayne e Aviendha. Qualsiasi cosa dicesse Min su Rhuarc o qualsiasi altro Aiel, doveva aver fatto un gramo affare il giorno che si era innamorata di lui. «Tornando a quella metà, Min,» disse con calma «quali sono le visioni di cui non mi hai parlato?»

Lei lo guardò con un espressione che avrebbe quasi potuto essere frustrata, e forse lo era davvero. «Ti sei innamorata del Drago Rinato, Min Farshaw,» borbottò poi «e farai meglio a ricordartelo sempre. Meglio che lo tenga a mente anche tu, Rand» aggiunse facendo un passo indietro. Lui la lasciò andare controvoglia, ma anche con impazienza: non sapeva quale dei due sentimenti prevalesse.

«Sei ritornato a Cairhien da quasi una settimana e non hai ancora fatto nulla riguardo il Popolo del Mare. Berelain pensava che prima o poi saresti uscito di qui, per cui mi ha lasciato una lettera, chiedendomi di continuare a ricordartelo, ma tu non mi hai permesso di... be’, non importa. Berelain crede che gli Atha’an Miere siano in qualche modo importanti per te. Dice che tu sei il compimento di una delle loro profezie.»

«So tutto, Min. Io...» Aveva pensato di lasciare il Popolo del Mare fuori dalle sue vicende; non erano menzionati nelle Profezie del Drago, da quel che ne sapeva lui, ma se doveva lasciare che Min gli rimanesse vicino, che corresse tutti i rischi... Si accorse che la ragazza aveva vinto la sua battaglia. Aveva visto Elayne allontanarsi con il cuore a pezzi, e Aviendha l’aveva guardata andare via con dei tremendi nodi allo stomaco. Non poteva farlo ancora una volta. Min era rimasta in piedi e aspettava. «Andrò sulla loro imbarcazione. Oggi. Il Popolo del Mare potrà inchinarsi al cospetto del Drago Rinato in tutto il suo splendore. Suppongo che non ci sia alcuna speranza per una soluzione alternativa. O diventano miei alleati o miei nemici. Sembra che vada sempre a finire in questo modo. Adesso vuoi parlarmi di quelle visoni?»

«Rand, dovresti studiare i loro modi prima di...»

«Le visioni?»

Min incrociò le braccia e lo guardò. Si morse il labbro osservando la porta. Scosse il capo e mormorò qualcosa di incomprensibile. Alla fine disse: «In realtà ce n’è solamente una. Stavo esagerando. Ti ho visto con un altro uomo. Non sono riuscita a distinguere i volti, ma sapevo che uno dei due eri tu. A un certo punto vi siete toccati ed è sembrato che vi fondeste uno nell’altro e...» Tese le labbra preoccupata, e proseguì a voce bassissima: «Non capisco cosa significhi, Rand, so solo che uno di voi due morirà e l’altro no. Io... perché sorridi? Non è uno scherzo, Rand. Non so chi di voi due morirà.»

«Sorrido perché mi hai appena dato un’ottima notizia» rispose lui toccandole una guancia. L’altro uomo doveva essere Lews Therin. Non sono un pazzo che sente le voci, pensò felice. Uno moriva e l’altro viveva, ma lui sapeva da molto tempo che sarebbe morto. Almeno non era pazzo. O almeno non quanto aveva temuto. C’era ancora il problema dei nervi che non riusciva a controllare bene. «Vedi, io...» Rand si accorse di colpo che era passato dallo sfiorarle le guance a tenerle il viso fra le mani, e la lasciò andare come se bruciasse. Min si inumidì le labbra e gli lanciò un’occhiata di rimprovero, ma stavolta non avrebbe approfittato di lei. Non era giusto. Per fortuna, lo stomaco del Drago brontolò.

«Ho bisogno di mangiare qualcosa se devo andare a trovare il Popolo del Mare. Ho visto un vassoio...»

Min sbuffò quando Rand si voltò, ma poi si diresse subito verso le porte. «Hai bisogno di farti un bagno, se noi dobbiamo andare dal Popolo del Mare.»

Nandera era deliziata, annuì con entusiasmo e mandò di corsa le Fanciulle a svolgere diversi compiti, poi si piegò verso Min e disse: «Avrei dovuto lasciarti entrare il primo giorno. Avrei voluto prenderlo a calci, ma non sta bene. prendere a calci il Car’a’carn.» Il tono di voce confermava che avrebbe dovuto farlo. Parlò a bassa voce, ma non abbastanza da non farsi sentire da Rand. Lui era certo che lo avesse fatto di proposito; lo sguardo che gli rivolse la donna era troppo severo per pensare altrimenti.

Furono le Fanciulle stesse a trascinare la grande vasca di rame nella stanza, scambiandosi informazioni con il linguaggio delle mani una volta che la ebbero depositata sul pavimento, ridendo, troppo emozionate per lasciare che i servitori del palazzo del Sole svolgessero il loro lavoro o per consentire loro di portare i secchi d’acqua calda nella stanza. Per Rand fu difficile spogliarsi. In realtà fu difficile anche lavarsi, e non poté evitare che Nandera gli insaponasse i capelli. La bionda Somara e la rossa Enaila insistettero per radergli la barba mentre ancora era immerso nella vasca, così concentrate che sembrava avessero paura di tagliargli la gola. Ormai si era abituato a quel servizio, non era la prima volta che quelle donne rifiutavano di lasciargli usare rasoio e spazzola. Era abituato a essere circondato e osservato dalle Fanciulle, che volevano lavargli la schiena o i piedi, che chiacchieravano in silenzio usando il linguaggio delle mani, ancora in parte scandalizzate alla vista di qualcuno seduto nell’acqua. Riuscì almeno a liberarsi di alcune di loro, mandandole in giro a eseguire i suoi ordini.

Non era invece abituato alla presenza di Min, seduta a gambe incrociate sul letto con il mento sulle mani, che osservava tutta la scena affascinata. Con quella folla di Fanciulle, Rand non si era accorto della sua presenza fino a quando non si fu spogliato, e la sola cosa che aveva potuto fare allora era stata sedersi in acqua più velocemente possibile, facendola uscire quasi tutta dalla vasca. Quella ragazza sarebbe stata un’ottima Fanciulla. Parlava apertamente di lui con le Aiel senza mai arrossire! Era lui quello che arrossiva.

«Sì, è molto timido» disse Min, d’accordo con Malindare, una donna senza dubbio più rotonda della maggior parte delle Fanciulle, con i capelli più scuri che Rand avesse mai visto in un Aiel. «La timidezza è la corona di gloria di un uomo.» Malindare annuì, ma Min aveva un sorriso che quasi le separava in due il volto.

Poi la ragazza disse: «Oh, no, Domeille, sarebbe un peccato rovinare un viso tanto grazioso con una cicatrice.» Domeille, con il mento sporgente e più capelli grigi di Nandera, della quale era anche più magra, sosteneva che Rand non era abbastanza carino per poter andare in giro senza una cicatrice che esaltasse la sua bellezza. Erano state le sue parole. Il resto era peggio. Gli era sempre sembrato che le Fanciulle si divertissero a farlo arrossire. Min di sicuro si stava divertendo tantissimo.

«Prima o poi dovrai asciugarti, Rand» gli disse, passandogli un asciugamano bianco. Si era fermata a tre passi dalla vasca e le Fanciulle si erano tutte fatte indietro per osservare quell’incontro. Il sorriso di Min era talmente innocente che un magistrato l’avrebbe accusata di colpevolezza solo per quello. «Vieni e asciugati, dai.»

Rand non si era mai sentito tanto sollevato in vita sua nell’indossare degli abiti asciutti. A quel punto ormai tutti i suoi ordini erano stati consegnati e tutto era pronto. Rand al’Thor poteva anche essere infilato a forza in una vasca da bagno, ma il Drago Rinato sarebbe andato dal Popolo del Mare con uno stile che avrebbe fatto prostrare tutti, in preda all’ammirazione.

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