1 Chasaline Alta

La Ruota del tempo gira e le Epoche si susseguono, lasciando ricordi che divengono leggenda; la leggenda sbiadisce nel mito, ma anche il mito è ormai dimenticato, quando ritorna l’Epoca che lo vide nascere. In un’Epoca chiamata da alcuni Epoca Terza, un’Epoca ancora a venire, un’Epoca da gran tempo trascorsa’, il vento si alzò nella grande foresta chiamata Braem Wood. Il vento non era l’inizio. Non c’è inizio né fine, al girare della Ruota del Tempo. Ma fu comunque un inizio.

Il vento soffiava a nord e a est, mentre il sole rovente saliva alto nel cielo terso, fra gli alberi secchi con le foglie marroni e i rami spogli, negli sparsi villaggi dove l’aria era tremula per il calore. Il vento non procurava alcun sollievo, non vi era alcuna traccia di pioggia, e tanto meno di neve. Soffiava a nord e a est, attraverso un arco antico di pietra finemente lavorata. Alcuni sostenevano fosse stato un passaggio che dava accesso a una grande città, e altri un monumento di qualche battaglia da lungo tempo dimenticata. Su quelle pietre massicce erano rimasti solo degli intagli consumati dal tempo e ormai illeggibili, che rammentavano muti le glorie perdute della mitica Coremanda. Lungo la via di Tar Valon, vicino a quell’arco, passavano alcuni carri, e la gente a piedi si proteggeva gli occhi dalla polvere trasportata dal vento, sollevata dagli zoccoli dei cavalli e dalle ruote dei carri. Molti non avevano neppure una meta, sapevano solo che il mondo era in subbuglio: l’ordine stava scomparendo dappertutto, e in certi luoghi già non esisteva più. Alcuni erano spinti dalla paura, altri da qualcosa che non potevano vedere o capire bene, e quasi tutti erano spaventati.

Il vento soffiava sopra l’Erinin grigio e verde, facendo oscillare le imbarcazioni che ancora facevano rotta fra nord e sud, poiché il commercio doveva continuare anche in quei giorni difficili, benché nessuno sapesse con certezza se era sicuro. A est del fiume, la foresta incominciava a diradarsi, lasciando spazio alle colline coperte di erba secca ormai marrone e punteggiate da rade macchie d’alberi. In cima a una di queste alture vi erano dei carri disposti in circolo, molti dei quali avevano i teloni bruciati e altri ne erano del tutto privi. Su un’asta di fortuna, ricavata da un giovane albero ormai seccato dalla siccità e legata a un sostegno dei teloni del carro, sventolava una bandiera cremisi con al centro un disco nero e bianco. Alcuni la chiamavano la bandiera della Luce, o la bandiera di al’Thor. Altri usavano nomi più oscuri e rabbrividivano nel sussurrarli. Il vento fece garrire la bandiera, ma passò subito oltre, quasi fosse contento di allontanarsi.

Perrin Aybara era seduto a terra, con la schiena muscolosa appoggiata a un carro, maledicendo il vento che era andato via. Per un momento era stato fresco, e aveva spazzato via l’odore di morte dalle sue narici, un odore che gli rammentava il posto dove avrebbe dovuto trovarsi, l’ultimo posto dove voleva essere. Stava molto meglio lì, all’interno della cerchia di carri e con la schiena rivolta a nord, dove in un certo modo poteva dimenticare. I carri sopravvissuti alla tragedia erano stati portati in cima alla collina il giorno precedente, nel pomeriggio, quando avevano ripreso le forze gli uomini che prima riuscivano appena a ringraziare la Luce perché ancora respiravano. Adesso il sole stava sorgendo di nuovo e con esso arrivava il calore.

Perrin si grattò la corta barba riccia, irritato; più sudava, più gli prudeva. Il sudore imperlava i volti di tutti gli uomini tranne gli Aiel, e l’acqua si trovava a circa un chilometro e mezzo a nord. Ma laggiù c’erano gli orrori dai quali si erano allontanati, e la fonte degli odori che sentiva. Molti lo avrebbero considerato un prezzo ragionevole da pagare per l’acqua. Avrebbe dovuto fare il suo dovere, eppure il senso di colpa gli impediva di muoversi. Oggi era Chasaline Alta e a casa, nei Fiumi Gemelli, avrebbero festeggiato tutto il giorno e danzato tutta la notte. Il giorno della Riflessione, quando in teoria bisognava ricordare tutte le cose buone della propria vita, e chiunque desse voce a una lamentela si ritrovava con una secchiata d’acqua sulla testa per lavare via la malasorte. Non molto piacevole se faceva freddo come avrebbe dovuto in quella stagione; adesso una secchiata d’acqua sarebbe stata piacevole. Pur avendo la fortuna di essere ancora vivo, Perrin trovava assai difficile fare dei pensieri positivi. Nel giorno appena passato aveva imparato molte cose su sé stesso. O forse era successo quella mattina, quando tutto era finito.

Poteva ancora percepire la presenza di un branco di lupi, quelli che erano sopravvissuti e che non erano in cammino per altre destinazioni, lontano da lì, lontano dagli uomini. I lupi erano ancora argomento di conversazione nell’accampamento, si facevano congetture sgradevoli per capire da dove fossero apparsi e perché. Alcuni credevano che li avesse chiamati Rand. Molti pensavano che fossero state le Aes Sedai, che però non manifestavano i propri pensieri. I lupi non lo accusavano di nulla — ciò che era accaduto era accaduto — ma lui non riusciva a essere fatalista come loro. Erano venuti perché l’aveva chiesto lui. Le spalle di Perrin, talmente ampie da farlo sembrare tarchiato, erano incurvate dal peso delle responsabilità. Di tanto in tanto sentiva altri lupi che non erano venuti, e questi parlavano con disprezzo di quelli che lo avevano fatto. Ecco cosa succedeva a invischiarsi con i due-gambe. Non potevano aspettarsi nulla di diverso.

Era molto faticoso tenere i propri pensieri per sé. Perrin aveva voglia di ululare che i lupi sdegnosi avevano ragione. Voleva andare a casa, nei Fiumi Gemelli. Non aveva grandi possibilità di farlo, forse non ci sarebbe tornato mai più. Voleva stare con sua moglie, in qualsiasi luogo, e voleva che tutto fosse come prima. In questo caso le possibilità erano persino minori, se non nulle. La preoccupazione per Faile lo dilaniava molto più che la nostalgia di casa, più del pensiero per i lupi, era come un furetto che cercasse di uscirgli dallo stomaco. Faile gli era sembrata contenta di vederlo lasciare Cairhien. Cosa doveva fare con lei? Non era capace di trovare le parole per descrivere quanto amava sua moglie e quanto aveva bisogno di lei, ma Faile era gelosa quando non ne aveva motivo, si mostrava ferita quando lui non aveva fatto nulla e si innervosiva per motivi che lui non comprendeva. Doveva fare qualcosa, ma cosa? La risposta gli sfuggiva. I suoi pensieri erano tutti lenti e accorti, mentre Faile era argento vivo.

«Gli Aiel dovrebbero coprirsi» mormorò Aram con un certo sussiego, fissando sul terreno il suo sguardo torvo. Tenendo in mano le redini di un castrone grigio, si accovacciò accanto a Perrin, dal quale si allontanava di rado. La spada che portava legata dietro le spalle strideva con la giubba a, righe verdi da Calderaio, sbottonata per il caldo. Un fazzoletto arrotolato e legato attorno alla testa evitava che il sudore gli colasse negli occhi. Una volta Perrin aveva pensato che fosse troppo bello per essere un uomo. Adesso, però, in Aram era cresciuta una gelida malvagità, e il giovane era quasi sempre corrucciato. «È indecente, lord Perrin.»

Perrin mise con riluttanza da parte i pensieri su Faile. Prima o poi, con il tempo, sarebbe riuscito a risolvere il problema. Doveva. In qualche modo. «È la loro usanza, Aram.»

Aram fece una smorfia, come se stesse per sputare. «Be’, è indecente. Immagino che sia un sistema efficace per tenerli sotto controllo. Nessuno scapperebbe o creerebbe problemi in quelle condizioni, ma è indecente.»

C’erano Aiel dappertutto, ovviamente. Uomini alti e riservati che indossavano i tipici panni grigi, marroni e verdi, il solo tocco di colore era la fascia scarlatta attorno alle tempie con il disco bianco e nero sulla fronte. Si erano nominati siswai’aman. Talvolta quella parola sfiorava i confini della memoria di Perrin, come se dovesse conoscerla. Se si chiedeva agli Aiel, questi guardavano l’interlocutore come se avesse detto una tremenda idiozia. Ma in fondo ignoravano anche la fascia colorata. Nessuna Fanciulla della Lancia la portava. Che avessero i capelli bianchi o un volto talmente giovane da sembrare appena dell’età giusta per allontanarsi dalle madri, tutte le Fanciulle se ne andavano in giro lanciando occhiate di sfida ai siswai’aman, che le ricambiavano restando inespressivi, anche se avevano un odore che ricordava quasi la fame, e tutti lo emanavano, anche se Perrin non capiva affatto per quale motivo. Qualsiasi cosa fosse non era nuova, e non sembrava che sarebbe esplosa in un conflitto. Alcune delle Sapienti erano nei carri e, sprezzanti del caldo, indossavano gonne ingombranti, bluse bianche e scialli, più i braccialetti brillanti e le collane d’oro e d’avorio che compensavano la semplicità del loro abbigliamento. Alcune parevano divertite dalle Fanciulle e dai siswai’aman, altre esasperate. Tutti loro — Fanciulle, Sapienti e siswai’aman — ignoravano gli Shaido come avrebbe fatto Perrin con uno sgabello o un tappeto.

Il giorno prima gli Aiel avevano preso prigionieri circa duecento Shaido, uomini e Fanciulle — non molti, considerando il numero delle persone coinvolte nello scontro — e questi ora se ne andavano in giro liberamente, per certi versi. Perrin si sarebbe sentito molto più a suo agio se fossero stati controllati da qualcuno. E vestiti. Al contrario, svolgevano le loro commissioni e andavano a prendere l’acqua nudi come il giorno in cui erano venuti al mondo. Con gli Aiel erano docili come topolini. Chiunque altro riceveva occhiate di sfida. Perrin non era il solo che cercava di non notarli e Aram non era l’unico a lamentarsi. Molti degli uomini dei Fiumi Gemelli presenti nell’accampamento facevano entrambe le cose. A quasi tutti i Cairhienesi sembrava stesse per venire un colpo quando vedevano uno Shaido. Quelli di Mayene si limitavano a scuotere il capo, come se fosse tutto uno scherzo. E lanciavano sguardi languidi alle donne. Avevano poco senso del pudore, come gli Aiel.

«Gaul me l’ha spiegato, Aram. Sai cos’è un gai’shain, vero? La faccenda sul ji’e’toh e il servire un anno e un giorno e tutto il resto?» L’altro uomo annuì, e fu un bene. Perrin non ne sapeva molto. Le spiegazioni di Gaul sulle usanze Aiel lo lasciavano spesso ancor più confuso. Gaul pensava sempre che tutto fosse chiarissimo. «Be’, ai gai’shain non è permesso indossare nulla che potrebbe usare un algai’d’siswai. Significa ‘combattente della lancia’» aggiunse vedendo l’espressione interrogativa di Aram. Si accorse d’improvviso che stava fissando una Shaido che correva verso di lui, una donna alta e giovane, con i capelli biondo oro e il volto grazioso nonostante una lunga cicatrice sottile su una guancia e altre un po’ ovunque. Molto graziosa e molto nuda. Perrin distolse lo sguardo schiarendosi la voce. Sentiva di avere il volto in fiamme. «Comunque, questo è il motivo per cui sono... come sono. I Gai’shain indossano abiti bianchi, e qui non ne hanno nessuno. Sono le loro usanze.» Che Gaul sia folgorato, lui e le sue spiegazioni, pensò. Potrebbero coprirli con qualcosa!

«Perrin Occhidoro,» disse una voce femminile «Carahuin vuole sapere se desideri dell’acqua.» Aram divenne viola in volto e si girò di scatto dando le spalle alla donna.

«No, grazie.» Perrin non ebbe bisogno di alzare lo sguardo per capire che si trattava della giovane Shaido bionda. Rimase girato, gli occhi persi nel vuoto. Gli Aiel avevano uno strano senso dell’umorismo, e quello delle Fanciulle della Lancia — Carahuin era una Fanciulla — era ancora più strano. Si erano accorte subito di come reagivano gli abitanti delle terre bagnate davanti agli Shaido — avrebbero dovuto essere cieche per non notarlo — e da allora in poi avevano cominciato a mandare i gai’shain a destra e a sinistra, mentre gli Aiel si rotolavano a terra dalle risate alla vista degli uomini che arrossivano e balbettavano o talvolta gridavano persino. Perrin era sicuro che in quel momento Carahuin e le sue amiche lo stavano osservando. Questa era almeno la decima volta che una donna veniva inviata da lui per chiedergli se voleva dell’acqua, se aveva una pietra da cote o per qualche altro motivo parimenti futile.

A un tratto fu colpito da un pensiero. Era raro che gli uomini di Mayene venissero infastiditi a quel modo. Ad alcuni’ Cairhienesi quel tipo di spettacolo piaceva e se lo godevano apertamente, anche se non come gli abitanti di Mayene, e lo stesso si poteva dire di alcuni tra gli uomini più anziani dei Fiumi Gemelli, che pure avrebbero dovuto comportarsi meglio. Il punto era che nessuno di loro aveva ricevuto un secondo messaggio fasullo. Quelli che reagivano con maggior imbarazzo invece... I Cairhienesi che si erano lamentati per l’indecenza e due o tre ragazzi dei Fiumi Gemelli, che balbettavano e arrossivano tanto da sembrare pronti a liquefarsi, erano stati tormentati fino a quando avevano abbandonato i carri...

Perrin fece uno sforzo e guardò la gai’shain dritto in faccia. Concentrati sugli occhi, si disse agitato. Erano verdi e grandi, per niente remissivi. Il suo odore era quello della furia più totale. «Ringrazia Carahuin da parte mia, e dille che potresti oliare la mia sella di riserva, se non le dispiace. Ah, non ho nemmeno una camicia pulita. Forse potrebbe farti fare anche un po’ di bucato, sempre che non le dispiaccia.»

«Non le dispiacerà» rispose la donna con voce tesa, poi si voltò e corse via.

Perrin distolse subito lo sguardo, ma l’immagine gli rimase impressa nella mente. Luce, Aram aveva ragione! Ma con un po’ di fortuna forse era riuscito a porre fine a quelle visite. Avrebbe dovuto farlo presente ad Aram e agli uomini dei Fiumi Gemelli. Forse anche i Cairhienesi gli avrebbero dato ascolto.

«Che cosa ne faremo di loro, lord Perrin?» Aram, ancora girato, non si stava riferendo più ai gai’shain.

«Questa decisione spetta a Rand» rispose Perrin pensieroso, con la soddisfazione che gli svaniva dal volto. Forse era strano pensare che della gente che se ne andava in giro nuda fosse un problema irrilevante, eppure ce n’era uno molto più importante. Uno che Perrin si sforzava di evitare con la stessa energia con cui evitava ciò che giaceva a nord.

Dal lato opposto della cerchia di carri c’erano circa venti donne sedute in terra. Erano tutte ben vestite, molte indossavano abiti di seta e quasi tutte avevano un leggero mantello di lino per proteggersi dalla polvere, ma non era visibile una sola goccia di sudore sui loro volti. Tre parevano talmente giovani che avrebbe potuto invitarle per un ballo, se non fosse stato sposato con Faile.

E se non fossero Aes Sedai, pensò sarcastico. Una volta aveva ballato con un’Aes Sedai e si era quasi ingoiato la lingua quando aveva capito chi aveva fatto vorticare fra le sue braccia. Si era trattato di un’amica, se si poteva usare quella parola con un’Aes Sedai. Quelle tre dovevano essere state innalzate da poco al rango di Sorelle, se si riusciva a capire che erano giovani. Le altre erano di età indefinibile. Forse avevano vent’anni, forse quaranta, sembravano diverse a ogni sguardo. Almeno per quanto riguardava i lineamenti, poiché molte avevano i capelli grigi. Non era possibile capire l’età di un’Aes Sedai. E non solo l’età.

«Almeno quelle non sono più pericolose» osservò Aram, voltandosi di scatto verso tre Sorelle un po’ discoste dalle altre.

Una piangeva con il volto appoggiato alle ginocchia, le altre due fissavano stanche nel vuoto, una lisciandosi automaticamente il vestito. Erano in quella condizione dal giorno prima, ma almeno avevano smesso di gridare. Se Perrin aveva capito bene la situazione, cosa di cui non era affatto sicuro, dovevano essere state quietate quando Rand si era liberato. Non avrebbero mai più incanalato l’Unico Potere. Con ogni probabilità, per un’Aes Sedai era meglio la morte.

Si era aspettato che le altre Aes Sedai le consolassero, invece per lo più le ignoravano del tutto, anche se era un po’ troppo evidente il loro sforzo di guardare qualsiasi altra cosa, da qualsiasi altra parte. D’altronde, anche le Aes Sedai quietate sembrava si rifiutassero di riconoscere la presenza delle altre. All’inizio, almeno, alcune delle altre Sorelle si erano avvicinate a loro, sempre una alla volta, calme in apparenza ma pervase da una forte avversione e riluttanza. Tuttavia, non potevano far nulla per alleviare il dolore delle tre, né a parole né con lo sguardo. Oggi nessuna si era accostata.

Perrin scosse il capo. Le Aes Sedai erano molto brave a ignorare ciò che si rifiutavano di accettare. Come per esempio gli uomini con le giubbe nere in piedi accanto a loro. C’era un Asha’man per ogni Sorella, anche per le tre che erano state quietate e sembrava che non battessero mai le palpebre. Le Aes Sedai guardavano oltre gli Asha’man o attraverso di loro; era come se quegli uomini non esistessero.

Era un bel trucco. Lui non riusciva a ignorarli, e non era nemmeno in loro custodia. Quegli uomini di ogni età, dai più giovani con le guance coperte di peluria a quelli calvi o con i capelli grigi, incutevano molto timore, e non per le loro cupe giubbe nere a collo alto o le spade che avevano al fianco. Ogni Asha’man poteva incanalare e, in qualche modo, impedivano alle Aes Sedai di farlo. Uomini che potevano usare l’Unico Potere: qualcosa che dava gli incubi. Anche Rand naturalmente poteva farlo, ma era Rand, era il Drago Rinato. A Perrin gli altri facevano rizzare i peli sulla nuca.

I Custodi sopravvissuti sedevano poco lontano, anche loro sorvegliati, da circa trenta uomini d’arme di lord Dobraine con i loro elmetti cairhienesi a forma di campana e altrettante Guardie Alate di Mayene con i pettorali rossi, tutti con gli occhi attenti, come se stessero controllando dei leopardi. Un ottimo atteggiamento, date le circostanze. C’erano più Custodi che Aes Sedai. Alcune prigioniere appartenevano all’Ajah Verde. I soldati erano più numerosi dei Custodi, molti di più, ma forse erano appena sufficienti per quel compito.

«La Luce voglia che da quel gruppo non provenga altro dolore» mormorò Perrin. Per due volte durante la notte i Custodi avevano cercato di liberarsi. In verità quei tentativi erano stati resi vani più dagli Asha’man che dai Cairhienesi o dagli uomini di Mayene, e con ben poca gentilezza. Nessuno dei Custodi era stato ucciso, ma più di dieci avevano ossa rotte che a nessuna delle Sorelle era stato ancora concesso di curare.

«Se il lord Drago non riesce a prendere una decisione,» rispose Aram con calma «forse dovrebbe farlo qualcun altro. Per proteggerlo.»

Perrin lo guardò di traverso. «Quale decisone? Le Sorelle hanno ordinato ai Custodi di non riprovarci, e loro obbediranno alle Aes Sedai.» Ossa rotte o meno, disarmati e con le mani legate dietro la schiena, i Custodi assomigliavano ancora a lupi in attesa che il capo branco comandasse l’attacco. Nessuno di loro sarebbe rimasto tranquillo fino a quando non sarebbe stata libera la sua Aes Sedai, o forse tutte le Aes Sedai. Aes Sedai e Custodi: una fascina di quercia ben stagionata pronta a prendere fuoco. Ma neppure loro si erano dimostrati all’altezza degli Asha’man.

«Non mi riferivo ai Custodi» esitò Aram, quindi si avvicinò a Perrin e abbassò ancor più la voce, riducendola a un rauco sussurro. «Le Aes Sedai hanno rapito il lord Drago. Non può fidarsi di loro, mai più, eppure non vuole fare ciò che è necessario. Se morissero prima che lui venisse a saperlo...»

«Che cosa stai dicendo?» Perrin soffocò quasi mentre si tirava su. Si chiese, non per la prima volta, se in quell’uomo era rimasto qualcosa del Calderaio che era un tempo. «Sono merini, Aram! Donne inermi!»

«Sono Aes Sedai.» Gli occhi scuri sostennero quelli dorati di Perrin. «Non possiamo fidarci di loro, né liberarle. Per quanto tempo si può trattenere un’Aes Sedai contro la sua volontà? Continuano a fare ciò che fanno da molto prima degli Asha’man. Di sicuro ne sanno di più. Sono un pericolo per il lord Drago e per te, lord Perrin. Ho visto come ti guardano.»

All’altra estremità del campo, le Sorelle parlavano sottovoce fra loro, tanto che nemmeno Perrin riusciva a origliare. Di tanto in tanto qualcuna guardava lui e Aram. Perrin era riuscito a sentire alcuni dei loro nomi. Nesune Bihara. Erian Boroleos e Katerine Alruddin. Coiren Saeldain, Sarene Nemdahl ed Elza Penfell. Janine Pavlara, Beldeine Nyram, Marith Riven. Le ultime due erano le Sorelle giovani, ma a prescindere dalla loro età, tutte lo guardavano con una serenità tale che sembrava fossero loro al comando, nonostante gli Asha’man. Non era facile sconfiggere le Aes Sedai, ma far loro ammettere la sconfitta era proprio impossibile.

Perrin si costrinse a rilassare le mani e appoggiarle sulle ginocchia, dando l’impressione di essere calmo, anche se interiormente non lo era affatto. Quelle donne sapevano che lui era un ta’veren, uno di quei pochi individui intorno ai quali il Disegno era disposto a riadattarsi. Peggio ancora, sapevano che era legato a Rand in un modo che nessuno capiva, men che mai lui o Rand. O Mat; anche lui era invischiato in quel groviglio. Un altro ta’veren, anche se nessuno di loro due era forte come Rand. Se ne avessero avuta la minima possibilità, quelle donne avrebbero preso lui e Mat e li avrebbero portati nella Torre Bianca, come volevano fare anche con Rand, impastoiati come capretti fino all’arrivo del leone. E poi era vero che avevano rapito Rand e lo avevano maltrattato. Aram aveva ragione su una cosa: non ci si poteva fidare di loro. Ma Perrin non era disposto a tollerare quello che aveva proposto. Non ne era capace! Il pensiero gli provocò la nausea.

«Non ne voglio più sentir parlare» ringhiò. «Nemmeno una parola, Aram, mi hai capito? Nemmeno una parola!»

«Come comanda il mio lord Perrin» mormorò Aram chinando il capo, sempre girato.

Perrin avrebbe voluto guardarlo in viso. Non c’era traccia di rabbia, e nemmeno rancore. Quella era la parte peggiore. Nemmeno quando aveva suggerito l’assassinio aveva percepito in lui rabbia.

Una coppia di uomini dei Fiumi Gemelli si arrampicò sulle ruote di un carro vicino per scrutare a fondovalle, verso nord. Avevano entrambi una faretra piena di frecce allacciata sul fianco destro e un grosso pugnale dalla lama lunga, quasi una piccola spada, dal lato sinistro. Più di trecento uomini avevano seguito Perrin dai Fiumi Gemelli. Lui ancora malediceva il primo che lo aveva chiamato ‘lord Perrin’, come malediceva il giorno in cui aveva smesso di provare a farli smettere. Anche con i mormorii e i rumori tipici degli accampaménti così grandi, non ebbe problemi a sentire ciò che i due si dicevano.

Tod al’Caar, più giovane di Perrin di un anno, trasse un lungo sospiro, come se stesse vedendo per la prima volta lo spettacolo più in basso. Perrin poteva quasi vedere la mandibola dell’uomo dinoccolato che si muoveva. La madre di Tod lo aveva lasciato andare solo per l’onore di seguire Perrin Occhidoro. «Una vittoria memorabile» disse alla fine il ragazzo. «Ecco cosa abbiamo ottenuto. Non è forse vero, Jondyn?»

Jondyn Barran, dai capelli brizzolati, nodoso come una vecchia radice, era uno dei pochi uomini anziani fra quei trecento. Il tiratore d’arco più bravo di tutti i Fiumi Gemelli a parte mastro al’Thor, e il miglior cacciatore, era stato uno degli abitanti dei Fiumi Gemelli meno apprezzati. Non aveva lavorato un solo giorno più del dovuto sin da quando aveva lasciato la fattoria del padre. A Jondyn interessavano la foresta e la caccia... e bere tanto nei giorni di festa. Ad alta voce, rispose: «Se lo dici tu, ragazzo. Comunque hanno vinto quei maledetti Asha’man e, dico io, meglio così. Peccato che adesso non se ne vadano da qualche altra parte a celebrare.»

«Non sono tanto male» protestò Tod. «Mi piacerebbe essere uno di loro.» Quest’ultima frase sembrava più una millanteria e una farsa che la verità. E ne aveva anche l’odore. Senza nemmeno guardare, Perrin era certo che il ragazzo si stesse leccando le labbra. Con ogni probabilità, la madre di Tod aveva usato le storie sugli uomini che incanalavano per spaventarlo fino a poco tempo addietro. «Voglio dire, pensare che Rand è il lord Drago sembra ancora strano, non ti pare? Rand al’Thor che è il Drago Rinato e tutto il resto...» Tod rise. Fu un suono breve e imbarazzato. «Be’, lui può incanalare e non sembra... lui non è... voglio dire...» Deglutì sonoramente. «E poi cosa avremmo potuto fare con tutti quegli Aiel senza di loro?» Questa frase fu pronunciata in un sussurro. Adesso il giovane odorava di paura. «Jondyn, cosa faremo adesso? Voglio dire, con le Aes Sedai prigioniere?» L’uomo più anziano rispose a voce ancora più alta, senza nemmeno preoccuparsi di abbassarla. Jondyn diceva sempre ciò che pensava, senza curarsi di chi potesse sentire, un altro motivo della sua cattiva reputazione. «Sarebbe stato meglio per noi se fossero tutte morte ieri, ragazzo. La pagheremo cara prima che sia finita. Ricordati le mie parole: la pagheremo molto cara.»

Perrin evitò di ascoltare il resto, un’impresa non facile con il suo udito. Prima Aram e adesso Jondyn e Tod, anche se non così apertamente. Che Jondyn fosse folgorato! No, magari quell’uomo faceva sembrare Mat volenteroso, ma se lui diceva certe cose, altri le pensavano. Nessun uomo dei Fiumi Gemelli avrebbe fatto del male a una donna di sua spontanea volontà, ma chi altro desiderava che le Aes Sedai prigioniere morissero? E chi avrebbe potuto tentare di realizzare quel desiderio?

Perrin osservò il circolo di carri, a disagio. Il pensiero che forse avrebbe dovuto difendere le prigioniere Aes Sedai non era piacevole, ma lui non si sottraeva al dovere. Non aveva una gran passione per le Aes Sedai, men che mai per quelle che tenevano prigioniere, ma era cresciuto nella tacita certezza che un uomo doveva essere pronto a rischiare la vita per difendere una donna, se lei glielo concedeva, e doveva farlo anche se la donna non gli piaceva e persino se sapeva che si trattava di un caso senza speranza. Certo, un’Aes Sedai poteva legare a suo piacimento qualsiasi uomo prima che questi se ne rendesse conto, ma tagliate fuori dal potere diventavano come ogni altra donna. Era questo che Perrin pensava quando le guardava: una ventina di Aes Sedai, una ventina di donne che forse non sapevano come difendersi senza l’uso del Potere.

Per un po’ osservò gli Asha’man di guardia, tutti con un’espressione cupa come la morte. A parte i tre che controllavano le donne quietate. Cercavano di mostrarsi torvi come gli altri, ma sotto quel tentativo si nascondeva qualcos’altro. Se solo si fosse trovato abbastanza vicino per fiutare il loro odore... Per gli Asha’man, le Aes Sedai erano una minaccia. Forse era vero anche il contrario. Forse le avrebbero solo quietate. Da quel poco che Perrin aveva capito, quietare un’Aes Sedai equivaleva a ucciderla, anche se la vittima ci metteva più tempo a morire.

In ogni caso, decise con riluttanza, doveva lasciare gli Asha’man a Rand. Parlavano solo fra di loro o con le prigioniere, e Perrin dubitava che avrebbero dato ascolto a qualcuno che non fosse Rand. La domanda era: cosa avrebbe detto Rand? E cosa avrebbe potuto fare Perrin se il suo amico avesse detto la cosa sbagliata?

Accantonò il problema e si grattò la barba con un dito. I Cairhienesi erano troppo impauriti dalle Aes Sedai per prendere in considerazione l’idea di far loro del male, e gli abitanti di Mayene le rispettavano troppo, ma li avrebbe tenuti comunque d’occhio. Chi avrebbe mai pensato che Jondyn potesse spingersi a tanto? Perrin aveva un certo ascendente sui Cairhienesi e la gente di Mayene, che però sarebbe sicuramente svanito se questi avessero preso in considerazione certe idee. In fondo lui era solamente un fabbro. E poi c’erano gli Aiel. Perrin sospirò. Non era sicuro neppure che Rand avesse una grande influenza su di loro.

Era difficile distinguere i singoli odori con così tante persone in giro, ma lui si era abituato a usare il fiuto quasi come fosse una seconda vista. I siswai’aman che passavano abbastanza vicino odoravano di calma ma anche di prontezza, un odore armonioso e forte. Non parevano notare molto le Aes Sedai. Gli odori delle Fanciulle erano pungenti e pieni di furia repressa, e quando guardavano le prigioniere diventavano ancora più forti. E le Sapienti...

Tutte quelle giunte da Cairhien erano capaci di incanalare, ma nessuna aveva il volto privo dei segni dell’età. Perrin suppose che fosse perché non usavano abbastanza l’Unico Potere. In ogni caso sia quelle con le guance lisce come Edarra sia quelle dal volto rugoso e i capelli bianchi come Sorilea andavano in giro con una padronanza di sé che eguagliava quella delle Aes Sedai. Erano quasi tutte graziose, quasi tutte alte, com’era tipico degli Aiel, e sembrava che ignorassero le Sorelle.

Sorilea guardò le prigioniere senza fermarsi, quindi andò a parlare con Edarra e un’altra Sapiente, una donna snella e bionda di cui Perrin non conosceva il nome. Se solo avesse potuto sentire cosa si stavano dicendo. Gli passarono vicino, tutte con l’espressione immutata su quei volti imperturbati, ma i loro odori erano tutta un’altra faccenda. Quando lo sguardo di Sorilea passò sulle Aes Sedai, il suo odore divenne freddo e distante, feroce e risoluto, e dopo che la donna ebbe parlato con le altre due anche i loro odori divennero simili.

«Un bel maledetto pasticcio!» ringhiò lui.

«Problemi?» chiese Aram raddrizzando la schiena ma restando accovacciato, con la mano destra pronta a scattare verso il pomo della spada a foggia di testa di lupo che gli spuntava da dietro le spalle. Era diventato molto bravo con quell’arma e in pochissimo tempo, e non disdegnava mai di usarla.

«Nessun problema, Aram.» Non era proprio una bugia. Scosso dal suo malinconico rimuginare, Perrin guardò davvero gli altri come se fosse la prima volta. Tutti insieme. Non gli piacque ciò che vide, e gli Aiel erano solo una parte del problema.

I Cairhienesi e gli uomini di Mayene guardavano gli Aiel con sospetto, e in cambio ricevevano lo stesso sospetto, in particolare i Cairhienesi. Non era una gran sorpresa. In fondo era risaputo che gli Aiel erano ostili a chiunque fosse nato al di là della Dorsale del Mondo, ai Cairhienesi più che agli altri. La semplice verità era che quei due popoli si odiavano a morte. Non avevano messo da parte la reciproca animosità — la cosa migliore che si potesse dire era che la tenevano al guinzaglio — eppure fino a quel momento Perrin era stato convinto che si sarebbero trattenuti. Magari solo per il bene di Rand. Tuttavia, nell’accampamento c’era uno strano umore, una tensione che stava serrando tutti nella propria morsa. Adesso Rand era libero e le alleanze temporanee erano... temporanee, appunto. Gli Aiel stringevano le lance quando guardavano i Cairhienesi, e questi sfioravano cupi l’elsa delle spade. La stessa cosa facevano gli uomini di Mayene. Loro non avevano nessun odio particolare per gli Aiel, non li avevano mai combattuti se non durante la guerra Aiel, ma era facile capire da quale lato si sarebbero schierati se si fosse giunti allo scontro. E questo, forse, valeva anche per gli abitanti dei Fiumi Gemelli.

Quel malumore, però, si era annidato ancor più a fondo negli animi di Asha’man e Sapienti. Gli uomini in giubba nera ignoravano allo stesso modo le Fanciulle, i siswai’aman e la gente di Cairhien, Mayene e Fiumi Gemelli, ma osservavano le Sapienti con espressioni tetre quasi quanto quelle riservate alle Aes Sedai. Con ogni probabilità non facevano una gran distinzione fra una donna che poteva usare l’Unico Potere e l’altra. Erano tutte potenziali nemiche. Tredici insieme potevano essere mortalmente pericolose, e c’erano più di novanta Sapienti nell’accampamento e nei suoi dintorni. Meno della metà rispetto agli Asha’man, ma comunque sufficienti a provocare dei guai se lo avessero deciso. Donne che potevano incanalare, eppure sembrava che seguissero Rand.

Le Sapienti guardavano gli Asha’man con una freddezza di poco inferiore a quella delle Aes Sedai. Gli Asha’man erano uomini che potevano incanalare, ma seguivano Rand; seguivano Rand, ma...

Rand era un caso a sé. Secondo Gaul, la sua capacità di incanalare non era menzionata nelle profezie che riguardavano il Car’a’carn, e gli Aiel parevano fare finta che quell’inconveniente non esistesse. Gli Asha’man, però, non comparivano affatto in quelle profezie. Doveva essere stato come scoprire di avere un branco di leoni rabbiosi che combatteva al tuo fianco. Per quanto tempo sarebbero rimasti leali? Era meglio eliminarli subito?

Perrin chiuse gli occhi e poggiò il capo contro la ruota del carro, poi il suo petto si sollevò in una risata silenziosa e priva di divertimento. Pensa alle cose buone di Chasaline Alta, si disse; che io sia folgorato, sarei dovuto andare con Rand. No, era meglio sapere, e meglio prima che poi. Ma cosa doveva fare lui, per la Luce? Se gli Aiel, i Cairhienesi e gli uomini di Mayene si rivoltavano uno contro l’altro, o peggio, se gli Asha’man si scagliavano contro le Sapienti... Un barile pieno di serpenti, e il solo modo per sapere quali fossero le vipere era infilarci dentro una mano. Luce, quanto vorrei essere a casa con Faile e una forgia dove lavorare, senza nessuno che mi chiama lord Perrin!, pensò.

«Il tuo cavallo, lord Perrin. Non hai detto se volevi Stepper o Resistenza, per cui ho sellato...» A uno sguardo degli occhi color oro di Perrin, Kenly Maerin si nascose dietro lo stallone marrone che teneva per la briglia.

Perrin fece un gesto per rassicurare il giovane. Non era colpa di Kenly. Ciò che non poteva essere risolto andava sopportato. «Tranquillo, ragazzo. Hai fatto bene. Stepper va benissimo. Ottima scelta.» Perrin odiava parlargli a quel modo. Basso e tarchiato, Kenly aveva appena l’età sufficiente per sposarsi o andare via di casa — di certo non era grande abbastanza per la barba a chiazze che stava cercando di farsi crescere per imitarlo —, eppure aveva combattuto contro i Trolloc a Emond’s Field e il giorno prima si era comportato bene. Il ragazzo sorrise felice per aver ricevuto un complimento dal maledetto lord Occhidoro.

Dopo essersi alzato, Perrin prese l’ascia che aveva poggiato sotto il carro, fuori dalla visuale e, per un po’, lontano dalla mente, quindi la infilò nell’anello della cintura. Aveva la lama pesante a forma di mezza luna, bilanciata da un puntale acuminato; un oggetto creato per il solo scopo di uccidere. Il manico dell’ascia era troppo familiare al suo tocco. Perrin si chiese se ancora ricordava quale sensazione desse un buon martello da forgia. Forse c’erano altri problemi, a parte ‘Lord Perrin’, che ormai era impossibile risolvere. Un amico una volta gli aveva detto di tenere quell’ascia fino a quando non avesse cominciato a provare piacere nell’usarla. Quel pensiero gli provocò i brividi nonostante il caldo.

Perrin balzò in sella a Stepper, subito seguito da Aram con il suo cavallo grigio, poi i due rimasero seduti in groppa rivolti a sud, verso l’interno del circolo dei carri. Proprio in quel momento Loial, alto quasi il doppio degli Aiel, stava scavalcando con cautela gli assi per attaccare i cavalli di due carri incrociati. Data la sua stazza, sembrava che avrebbe potuto spezzarne facilmente uno se avesse inciampato. Come sempre, l’Ogier aveva un libro fra le mani e teneva il segno con una delle grosse dita. Riposti nelle grandi tasche della sua giubba lunga ce n’erano altri. Aveva trascorso la mattinata in una piccola macchia d’alberi che aveva definito riposante e ombreggiata, ma ciò nonostante il caldo stava intaccando anche la sua resistenza. Loial sembrava assai stanco e aveva la giubba in disordine, la camicia sbottonata e gli stivali calati sotto il ginocchio. Forse non era solo il caldo. Si fermò al centro del circolo e si mise a fissare gli Asha’man e le Aes Sedai; le orecchie pelose vibravano irrequiete.

Gli occhi grandi come piattini si posarono poi sulle Sapienti e le orecchie tremarono di nuovo. Gli Ogier erano sensibili agli stati d’animo altrui.

Quando vide Perrin, s’incamminò verso di lui. Anche se il ragazzo era seduto in sella, Loial era di due o tre palmi più alto. «Perrin,» disse in un sussurro «è tutto sbagliato. Non va bene, ed è pure pericoloso.» Per un Ogier era un sussurro, ma sembrava il ronzio di un calabrone grande quanto un mastino. Alcune delle Aes Sedai si girarono.

«Potresti alzare un po’ la voce?» chiese Perrin mormorando. «Credo che qualcuno ad Andor non abbia sentito bene. Nella zona occidentale.»

Loial sembrò sorpreso, quindi fece una smorfia e le lunghe sopracciglia gli sfiorarono il viso. «So come sussurrare, sai?» Stavolta la sua voce non si sarebbe sentita a più di tre passi di distanza. «Cosa faremo, Perrin? È sbagliato trattenere le Aes Sedai contro la loro volontà, sbagliato e ingiusto. L’ho già detto in passato e lo ripeterò ancora. E non è nemmeno il peggio. La sensazione qui... Una sola scintilla e questo posto esploderà come un carro pieno di fuochi d’artificio. Rand ne è al corrente?»

«Non lo so» rispose Perrin a entrambe le domande, e dopo un momento l’Ogier annuì con riluttanza.

«Qualcuno deve saperlo, Perrin. Qualcuno deve fare qualcosa.» Loial guardò verso nord, oltre i carri, e Perrin capì che non poteva continuare a rimandare la soluzione di quel problema.

Pur malvolentieri, fece girare Stepper. Avrebbe preferito chiedersi cosa fare con Aes Sedai, Asha’man e Sapienti fino a perdere tutti i capelli, ma era giunto il momento di agire. Pensa alle cose belle di Chasaline Alta, si disse.

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