«Hai chiesto di essere svegliata prima che sorgesse il sole, Madre.»
Egwene aprì gli occhi — tra sé aveva stabilito che si sarebbe destata un pochino più tardi — e, pur non volendo, si girò di nuovo verso il cuscino distogliendo lo sguardo dal volto che l’osservava. Severo e coperto da un velo di sudore, non era una visione piacevole di prima mattina. Meri era più che rispettosa, ma il suo naso piccolo, la bocca sempre piegata verso il basso e gli occhi scuri torvissimi dicevano che quella donna era sempre impietosa nel giudicare chiunque, e il tono piatto della sua voce capovolgeva il significato di ogni sua parola.
«Spero che tu abbia dormito bene, Madre» disse, mentre con l’espressione riusciva ad accusarla di indolenza. I capelli scuri, acconciati in crocchie sopra le orecchie, parevano tirarle dolorosamente il viso. L’abito grigio e monacale che indossava sempre, anche se la faceva sudare, serviva solo ad aggiungere cupezza al suo aspetto.
Purtroppo, Egwene non era riuscita a riposare nemmeno un po’. Sbadigliò e si alzò dalla brandina, si spazzolò i denti con il sale, si lavò mani e viso mentre Meri le preparava gli indumenti, indossò le calze e una sottoveste pulita, e infine si sottopose al rituale della vestizione. ‘Sottoporsi’ era proprio la parola giusta.
«Temo che ti strapperò qualche nodo nei capelli, Madre» mormorò quella donna triste mentre passava la spazzola sulla testa di Egwene, che quasi le rispose che non li aveva certo aggrovigliati di proposito mentre dormiva.
«Mi pare di aver capito che oggi rimarremo qui, Madre.» L’immagine riflessa di Meri nello specchio diceva: ‘pigrizia assoluta’.
«Questa tonalità di azzurro si adeguerà perfettamente alla tua carnagione, Madre» disse Meri abbottonando il vestito di Egwene, mentre con il volto l’accusava di vanità.
Egwene,. sollevata dal fatto che quella notte ci sarebbe stata Chesa a servirla, indossò la stola e se ne andò non appena la donna ebbe finito di prepararla.
A est il sole non era ancora sorto. Il paesaggio era un continuo alternarsi di promontori e terrapieni, con pendii alti fino a dieci metri e zone in cui il terreno sembrava scavato da dita giganti. Le ombre ammantavano ancora l’accampamento, allestito in una delle ampie valli, ma erano tutti svegli in quella calura che non sembrava mai diminuire. L’aria era satura di odori di cucina e la gente era affaccendata, anche se non c’era la tipica fretta che precede i giorni di marcia. Solo le novizie vestite di bianco andavano quasi di corsa: una novizia intelligente svolge sempre i propri compiti quanto più alacremente possibile. I Custodi invece non avevano mai fretta, ma anche i servitori che portavano la colazione alle Aes Sedai sembrava che quel giorno se la prendessero comoda. Almeno a confronto con le novizie. Tutto l’accampamento stava approfittando del giorno di sosta. Egwene sentì un rumore metallico seguito da imprecazioni, un martinetto doveva essere caduto, questo significava che i carrettieri stavano facendo delle riparazioni. Un martellio distante diceva che i maniscalchi stavano ferrando i cavalli. Alcuni fabbricanti di candele avevano già allineato gli stampi, e i bricchi con i rimasugli di cera, raccolti con cura da ogni candela accesa, erano stati messi a scaldare. Grandi bacinelle nere erano sui fuochi a far bollire l’acqua per chi voleva fare il bagno o per il bucato, e uomini e donne ammucchiavano indumenti nelle vicinanze. Egwene prestò poca attenzione a tutte queste attività.
Era sicura che Meri non lo faceva di proposito, ma bastava il suo viso a renderle sgradita quella presenza, quasi avesse Romanda per cameriera. Quel pensiero la fece ridere di cuore. Romanda avrebbe messo in riga la propria padrona in un attimo, chiarendo senza dubbio chi delle due doveva correre e servire. Un cuoco con i capelli grigi si fermò mentre stava togliendo i carboni da sopra un forno di ferro e le sorrise come a voler condividere il suo divertimento. Ma solo per un istante. Poi si accorse che stava sorridendo all’Amyrlin Seat, non a una semplice donna di passaggio, e l’allegria svanì dal suo volto mentre lui si inchinava per poi tornare al lavoro.
Se Egwene avesse mandato via Meri, Romanda avrebbe trovato una nuova spia e Meri sarebbe finita di nuovo a morire di fame vagando di villaggio in villaggio. Si sistemò il vestito — era uscita davvero troppo in fretta dalla sua tenda — e portò la mano al sacchetto di lino che teneva legato alla cintura. Non ebbe bisogno di accostarlo al naso per sentire il profumo di petali di rose ed erbe rinfrescanti. Sospirò. Meri aveva il volto di un boia, e di sicuro la spiava per conto di Romanda e cercava di fare il suo dovere meglio che poteva. Perché queste cose non erano mai facili?
Mentre si avvicinava alla tenda che usava come studio — in molti la chiamavano comunque ‘lo studio dell’Amyrlin’, come se fossero le stanze della Torre —, una sensazione di solennità rimpiazzò la preoccupazione per Meri. Ogni volta che si fermavano per un giorno, Sheriam andava nel suo studio con una risma di petizioni. Una lavandaia che implorava clemenza per un’accusa di furto, nonostante fosse stata presa con dei gioielli cuciti nell’orlo dell’abito; un fabbro che chiedeva referenze per il proprio lavoro, che non gli sarebbero servite a nulla a meno che non intendesse allontanarsi; un fabbricante di bardature per cavalli che chiedeva all’Amyrlin di pregare per lui affinché avesse una figlia; uno dei soldati di lord Bryne che desiderava avere la benedizione personale dell’Amyrlin per il suo matrimonio con una sarta. C’erano sempre richieste di novizie anziane per ulteriori visite da Tiana e addirittura per avere degli incarichi extra. Tutti avevano il diritto di inviare una petizione all’Amyrlin, ma le persone al servizio della Torre lo facevano di rado, e le novizie mai. Egwene sospettava che Sheriam lavorasse sodo alla ricerca di persone che compilassero petizioni, qualcosa per distrarla, per tenerla lontana dai suoi affari mentre la Custode si occupava di ciò che considerava importante. Quella mattina, Egwene avrebbe potuto farle mangiare le petizioni per colazione.
Quando entrò nella tenda, però, Sheriam non c’era, cosa che forse non avrebbe dovuto sorprenderla visto quanto era accaduto la notte precedente. La tenda però non era vuota.
«Che la Luce ti illumini stamattina, Madre» disse Theodrin, con un inchino profondo che fece ondeggiare le frange marroni del suo scialle. La ragazza era dotata di tutta la famosa grazia domanese, anche se il vestito a collo alto che indossava era molto modesto. Le Domanesi non erano note per la loro modestia. «Abbiamo fatto ciò che ci hai ordinato, ma la scorsa notte nessuno ha visto un uomo avvicinarsi alla tenda di Marigan.»
«Alcuni ricordano di aver visto Halima» aggiunse Faolain acida, con un inchino molto meno profondo. «Ma a parte questo, non sanno nemmeno se sono o meno andati a dormire.» Molte donne disapprovavano la segretaria di Delana, ma fu la rivelazione successiva a rendere il volto rotondo di Faolain più tetro del solito. «Abbiamo incontrato Tiana mentre indagavamo. Ci ha ordinato di andare a letto, e di corsa.» Carezzò istintivamente le frange azzurre dello scialle. Le Aes Sedai promosse da poco lo indossavano più spesso del dovuto, le aveva spiegato Siuan.
Egwene rivolse alle due un sorriso che sperava fosse gradevole, quindi si sedette al suo posto dietro il tavolino, muovendosi con molta cautela. La sedia traballò per un momento, fino a quando lei non si abbassò per sistemarne la zampa. Da sotto il porta inchiostro di pietra sporgeva l’angolo di una pergamena ripiegata. Le mani le prudevano per la voglia di leggerla, ma si costrinse a non prenderla. Già troppe Sorelle avevano dimenticato le buone maniere. Non voleva farlo anche lei. Inoltre, quelle due ragazze rappresentavano un suo interesse.
«Mi dispiace che abbiate incontrato delle difficoltà, figlie.» Erano state promosse Aes Sedai grazie a un suo decreto quando era stata eletta Amyrlin e stavano vivendo la sua stessa imbarazzante situazione, non avendo neppure la protezione della stola dell’Amyrlin, per quanto questa si fosse rivelata un debole scudo. Quasi tutte le Sorelle si comportavano come se Faolain e Theodrin fossero ancora solo delle Ammesse. Ciò che accadeva nell’ambito di un’Ajah non veniva divulgato spesso all’esterno, ma si diceva che le due avessero davvero dovuto implorare per essere accettate e che erano state elette delle guardiane per controllare il loro comportamento. Nessuno aveva mai sentito parlare di una cosa simile, ma tutte lo davano per scontato. Egwene non aveva certo fatto un favore a quelle due ragazze. Era però stata un’altra di quelle azioni necessarie. «Parlerò con liana.» Forse sarebbe servito a qualcosa. Per un giorno, o magari un’ora.
«Grazie, Madre,» rispose Theodrin «ma non è necessario che tu ti prenda il disturbo.» Eppure anche lei si toccò lo scialle, indugiando. «Tiana voleva sapere perché eravamo in piedi a quell’ora,» aggiunse dopo un momento «ma non glielo abbiamo detto.»
«Non c’era bisogno di mantenere il segreto, figlie.» Era un peccato che non avessero trovato un testimone. Il salvatore di Moghedien sarebbe rimasto un’ombra appena intravista. Il tipo di nemico più spaventoso. Egwene lanciò un’occhiata all’angolo della pergamena. Voleva davvero leggerla. Forse Siuan aveva scoperto qualcosa. «Grazie a tutte e due.» Theodrin comprese che era un modo per congedarsi e fece l’inchino prima di andare via, ma si fermò quando vide che Faolain era rimasta lì.
«Mi spiace non aver ancora impugnato il Bastone dei Giuramenti,» disse Faolain a Egwene in tono frustrato «così sapresti che quanto sto per dirti è la verità.»
«Non è il momento di infastidire l’Amyrlin» iniziò a dirle Theodrin, ma poi incrociò le braccia al petto e spostò l’attenzione su Egwene. Sul viso aveva un misto di pazienza e qualcos’altro. Era chiaramente la più forte delle due nell’uso del Potere e riusciva sempre a imporsi sull’altra, eppure questa volta era pronta a farsi indietro. Egwene si chiese per cosa.
«Non è il Bastone dei Giuramenti a fare di una donna un’Aes Sedai, figlia.» Qualsiasi cosa pensassero le altre. «Dimmi la verità, e io ti crederò.»
«Non mi piaci.» I ricci scuri di Faolain ondeggiarono quando mosse il capo per enfatizzare il concetto. «Devi saperlo. Con ogni probabilità credi che io sia stata malvagia ai tempi in cui eri una novizia, quando tornasti alla Torre dopo essere fuggita, ma io sono ancora convinta che tu non abbia ricevuto nemmeno la metà della punizione che meritavi. Forse questa mia ammissione ti aiuterà a capire che sto dicendo la verità. La nostra situazione non è disperata. Romanda si è offerta di prenderci sotto la sua protezione, e anche Lelaine. Hanno detto che si occuperanno di farci esaminare e promuovere correttamente non appena faremo ritorno alla Torre.» Il volto di Faolain diventava sempre più tetro.
Theodrin sollevò gli occhi al cielo e intervenne. «Madre, ciò che Faolain sta cercando di dire senza giungere al punto è che non ci siamo legate a te perché non avevamo scelta e nemmeno in segno di gratitudine per lo scialle.» Si inumidì le labbra, come se pensasse che la promozione ad Aes Sedai decisa da Egwene non era stato un regalo da ispirare tanta gratitudine.
«Allora perché?» chiese Egwene appoggiandosi allo schienale. La sedia vacillò, ma resse.
Faolain riprese a parlare prima che Theodrin potesse aprire bocca. «Perché sei l’Amyrlin Seat.» Il tono di voce era ancora adirato. «E ci rendiamo conto di quello che sta accadendo. Alcune delle Sorelle pensano che tu sia un pupazzo nelle mani di Sheriam, ma la maggior parte crede che Romanda o Lelaine ti dicano quando e dove camminare. Non è giusto.» Il volto era deformato dalla rabbia. «Ho lasciato la Torre perché ciò che ha fatto Elaida non era corretto. Adesso tu sei stata eletta Amyrlin, per cui io sono al tuo servizio. Se lo desideri. Puoi fidarti di me anche senza il Bastone dei Giuramenti. Devi credermi.»
«E tu, Theodrin?» chiese subito Egwene, mantenendosi inespressiva. Sapere cosa provavano le Sorelle era già terribile, ma sentirselo dire era... doloroso.
«Anche io sono con te,» sospirò Theodrin «se lo desideri.» Allargò le mani, sprezzante. «So che non siamo un gran guadagno, ma, a quanto pare tu non hai altro. Devo ammettere di aver esitato, Madre. È stata Faolain a insistere che facessimo questo passo. Francamente...» Sistemò di nuovo lo scialle anche se non era necessario, e la sua voce divenne più ferma. «Francamente non vedo come tu possa vincere contro Romanda e Lelaine, ma stiamo cercando di comportarci da Aes Sedai, anche se non lo siamo ancora. E non lo saremo, Madre, qualsiasi cosa tu dica, fino a quando le altre Aes Sedai non ci vedranno come tali, e questo non accadrà finché non verremo esaminate e presteremo i Tre Giuramenti.»
Egwene estrasse il foglio di pergamena che stava sotto il flacone d’inchiostro e se lo fece girare fra le mani mentre rifletteva. Dietro tutto questo c’era Faolain? Sembrava improbabile come un lupo che diventava amico di un pastore. Egwene sospettava che questo ‘non mi piaci’ fosse un modo delicato per definire i sentimenti di Faolain nei suoi confronti, e di sicuro anche Faolain doveva sapere che lei non la vedeva come una potenziale amica. Se avevano accettato le proposte di una o l’altra Adunante, parlare di quell’offerta poteva essere un buon sistema per evitare i sospetti di Egwene.
«Madre» disse Faolain, quindi si fermò, con un’espressione di sorpresa in volto. Era la prima volta che si rivolgeva a Egwene in quel modo. Dopo aver sospirato profondamente, proseguì: «Madre, so che per te è difficile crederci, visto che non abbiamo mai impugnato il Bastone dei Giuramenti, ma...»
«Vorrei che smettessi di ripeterlo» osservò Egwene. Faceva bene a essere prudente, ma non poteva permettersi di rifiutare ogni proposta di aiuto per paura di complotti segreti. «Pensi che la gente creda alle Aes Sedai perché queste hanno prestato i Tre Giuramenti? Chi ci conosce davvero sa che una Sorella può dire la verità e rigirarla come meglio crede. Io personalmente ritengo che i Tre Giuramenti possono essere anche nocivi. Anzi, soprattutto nocivi. Vi crederò finché non scoprirò che mi avete mentito, e smetterò di fidarmi di voi solo se mi dimostrerete che non ve lo meritate. Come si fa con ogni altra persona.» Adesso che ci pensava bene, i Tre Giuramenti non cambiavano davvero la situazione. Il più delle volte non si poteva fare altro che fidarsi di una Sorella. I Giuramenti contribuivano solo ad accrescere i sospetti, spingevano la gente a chiedersi se e come era manipolata. «Un’altra cosa: voi due siete Aes Sedai. Non voglio più sentirvi parlare di esami, Bastone dei Giuramenti o cose simili. Già non è bene che dobbiate sentire queste sciocchezze, non c’è bisogno che le ripetiate meccanicamente. Sono stata chiara?»
Le due donne in piedi dall’altro lato del tavolo mormorarono che avevano capito, quindi si scambiarono delle occhiate. Stavolta era Faolain a sembrare indecisa. Alla fine Theodrin girò intorno al tavolo e s’inginocchiò accanto a Egwene per baciarle l’anello. «Per la Luce e la mia speranza di salvezza e rinascita, io, Theodrin Dabei, ti giuro fedeltà, Egwene al’Vere. Giuro di servirti fedelmente e di obbedirti, a costo della mia vita e del mio onore.» Guardò Egwene con espressione interrogativa.
Egwene poté solo annuire. Questo non faceva parte del rituale delle Aes Sedai; era il modo in cui i nobili prestavano fedeltà a un governante. Nemmeno alcuni re ricevevano un giuramento tanto impegnativo, ma non appena Theodrin si alzò con un sorriso di sollievo sul volto, Faolain prese il suo posto.
«Per la Luce e la mia speranza di salvezza e rinascita, io, Faolain Orande...»
Tutto ciò che aveva desiderato e anche di più. Anche se quelle due Sorelle godevano di scarsissima considerazione da parte delle altre Aes Sedai.
Quando Faolain ebbe finito rimase in ginocchio, ma rigida. «Madre, dobbiamo discutere la mia punizione. Per ciò che ti ho detto, sul fatto che non mi piaci. Se vuoi la decido da sola, ma è un tuo diritto.» La voce era rigida quanto la posizione, ma non per la paura. Quella donna era pronta a guardare negli occhi un leone. Sembrava quasi che lo desiderasse.
Egwene si morse il labbro e scoppiò quasi a ridere. Fu uno sforzo rimanere inespressiva; forse avrebbero pensato che aveva il singhiozzo. Per quanto dicesse di non essere davvero Aes Sedai, Faolain aveva appena dimostrato di esserlo. Talvolta le Sorelle si imponevano da sole delle punizioni, per mantenere l’equilibrio fra orgoglio e umiltà — quell’equilibrio era tenuto in alta considerazione, ed era il solo motivo di penitenza — ma di sicuro nessuna si andava a cercare una punizione. Se a sceglierla doveva essere un’altra Sorella, poteva essere molto dura, e l’Amyrlin in teoria doveva essere più dura delle altre Aes Sedai. In ogni caso, molte Sorelle facevano altezzosamente mostra di sottomettersi alla volontà delle loro pari e sventolavano con arroganza la loro umiltà. Siuan parlava infatti di umiltà orgogliosa. Egwene prese in considerazione l’idea di suggerire a Faolain di mangiare sapone, solo per vedere la sua espressione — quella donna aveva una lingua molto acida...
«Non assegno una punizione perché mi è stata detta la verità, figlia. O perché non piaccio a qualcuna. Disprezzami quanto vuoi, l’importante è che tieni fede al tuo giuramento.» Nessuno, se non un Amico delle Tenebre, avrebbe spezzato quel tipo di voto, ma c’era il modo di aggirare quasi tutto. Avere un bastone debole era meglio che non averne nessuno quando ci si doveva difendere da un orso.
Faolain sgranò gli occhi. Egwene sospirò e le fece cenno di alzarsi. Se si fosse trovata al suo posto, Faolain avrebbe di sicuro escogitato una punizione assai pesante.
«Voglio assegnarvi il vostro primo incarico, figlie» proseguì Egwene. Le due ascoltarono con attenzione. Faolain non batté ciglio. Theodrin, pensierosa, si portò un dito alle labbra e poi, quando Egwene le congedò, risposero all’unisono: «Ai tuoi ordini, Madre.» Quindi le fecero la riverenza.
Il buonumore di Egwene però non durò a lungo. Meri arrivò con la colazione su un vassoio mentre Faolain e Theodrin andavano via, e quando Egwene la ringraziò per il sacchetto profumato con i petali di rosa, rispose: «Avevo del tempo libero, Madre.» A giudicare dall’espressione del suo volto, anche quella poteva essere un’accusa: Egwene la faceva lavorare troppo duramente, o Egwene non lavorava abbastanza. La presenza di Meri non era un condimento gradevole per lo stufato. In realtà, il volto di quella donna avrebbe fatto inacidire il tè alla menta e trasformato il panino croccante e caldo in un pezzo di pietra. Egwene la congedò prima di iniziare a mangiare. Il tè sapeva poco più di una tazza di acqua calda. Le erbe necessarie a prepararlo cominciavano a scarseggiare.
La nota riposta sotto il flacone d’inchiostro si rivelò ancora peggiore come accompagnamento per il pasto. «Nulla di interessante nel sogno» diceva la delicata grafia di Siuan. E così Siuan era nel tel’aran’rhiod la scorsa notte, insieme a lei. Ci andava spesso. Non era importante sapere se l’aveva fatto per trovare tracce di Moghedien, anche se sarebbe stato molto stupido, o per qualche altro motivò. Il risultato era lo stesso: nulla.
Egwene fece una smorfia, e non solo per quel ‘nulla’. Se Siuan era stata nel tel’aran’rhiod la notte precedente, allora oggi lei avrebbe ricevuto una visita da Leane, con delle lamentele. A Siuan non era più permesso usare i ter’angreal per sognare, da quando aveva cercato di dare lezione sul Mondo dei Sogni alle altre Sorelle. E non perché in realtà Siuan ne sapesse ben poco più delle altre, e nemmeno perché quasi tutte le Sorelle fossero convinte di non aver bisogno di nessuno per imparare. Il motivo era che Siuan aveva una lingua tagliente e nessuna pazienza. Di solito riusciva a controllare il suo carattere irascibile, ma in alcune situazioni si era lasciata andare a sfuriate e minacce, e poteva ritenersi fortunata se si erano limitate a vietarle l’accesso ai ter’angreal. A Leane ne veniva dato uno ogni volta che lo chiedeva, e spesso Siuan lo usava di nascosto. Era uno dei pochi veri motivi di discussione fra le due donne; se avessero potuto, entrambe avrebbero visitato il tel’aran’rhiod ogni notte.
Egwene fece un’altra smorfia e incanalò una scintilla di fuoco per incendiare un angolo della pergamena, tenendo poi la lettera in mano fino quasi a bruciarsi la punta delle dita. Se qualcuno avesse frugato tra le sue cose non avrebbe trovato nulla di sospetto.
Aveva quasi finito di fare colazione ed era ancora da sola, e questo non era normale. Forse Sheriam la stava evitando, ma Siuan avrebbe dovuto presentarsi. Mangiò l’ultimo pezzo di panino e bevve l’ultimo sorso di tè, quindi si alzò per andare a cercarla, ma proprio in quel momento lei entrò impettita nella tenda. Se Siuan avesse avuto la coda, l’avrebbe agitata furiosamente nell’aria.
«Dove sei stata?» chiese Egwene, intessendo uno schermo contro ogni tentativo di ascolto dall’esterno.
«Aeldene mi ha tirato giù dal letto» si lamentò Siuan, accasciandosi su uno degli sgabelli. «Crede ancora di potermi estorcere i nomi degli informatori dell’Amyrlin. Nessuna ci riuscirà! Nessuna!»
Quando Siuan era appena arrivata a Salidar era solo una donna quietata in fuga, un’Amyrlin deposta che il mondo credeva morta: le Sorelle non l’avrebbero tenuta con loro se non fosse stata l’unica a conoscere non solo gli agenti segreti dell’Amyrlin Seat, ma anche quelli dell’Ajah Azzurra, che era rimasta sotto il suo comando fin quando non le era stata assegnata la stola. Queste conoscenze le avevano dato una certa influenza, e gli agenti dentro Tar Valon erano lo stesso tipo di risorsa per Leane. L’arrivo di Aeldene Stonebridge, che aveva preso il controllo della rete di informatori delle Azzurre, aveva cambiato la situazione. Aeldene si era infuriata quando i rapporti dei pochi agenti delle Azzurre che Sian era riuscita a raggiungere erano stati mostrati a donne che non appartenevano a quell’Ajah. Quando poi la sua stessa posizione era stata resa pubblica — anche fra le Azzurre, solo due Sorelle avrebbero dovuto sapere che Aeldene era a capo degli agenti — la rabbia l’aveva fatta quasi esplodere. Non solo aveva ripreso il controllo della rete delle Azzurre rimproverando Siuan a voce così alta che avrebbero potuto sentirla a chilometri di distanza, ma l’aveva quasi strangolata. Aeldene era originaria di un villaggio di minatori in Andor, fra le Montagne di Nebbia, e si diceva che il suo naso storto fosse dovuto alle risse che aveva fatto quando era ragazza. Le azioni di Aeldene avevano dato il via alle altre Sorelle, che avevano iniziato ad avanzare altre richieste.
Egwene tornò alla sua sedia instabile e mise via il vassoio della colazione. «Aeldene non ti toglierà nulla, Siuan. Né lei né nessun’altra.» Quando Aeldene aveva reclamato gli informatori delle Azzurre, altre avevano iniziato a pensare che le Azzurre non dovevano avere anche le spie dell’Amyrlin. Nessuna però aveva suggerito di affidarne il controllo a Egwene. Se ne sarebbe occupato il Consiglio. Così volevano Romanda e Lelaine. Ognuna delle due voleva essere al comando, voleva essere la prima a leggere i rapporti, la prima a sfruttarne i vantaggi. Aeldene pensava invece che quegli agenti dovevano rientrare tra quelli delle Azzurre, visto che Siuan aveva fatto parte di quell’Ajah. Sheriam almeno si accontentava di vedere tutti i rapporti che riceveva Siuan. «Non possono costringerti a cedere la tua rete.»
Egwene riempì di nuovo la tazza, poggiandola poi in un angolo del tavolo vicino a Siuan, insieme al vasetto blu. L’altra però si limitò a fissare quegli oggetti. Non era più arrabbiata e aveva incurvato le spalle. «Non pensi mai direttamente alla forza» disse, come parlando a sé stessa. «Ne sei consapevole, ti rendi conto che sei più forte o più debole di un’altra Sorella, ma non ci pensi. Sai solo che l’altra ti deve rispettare, o tu devi rispettare lei. Prima nessuna era più forte di me. Nessuna, sin da...» Fissò le proprie mani e cambiò posizione a disagio. «Talvolta, quando Romanda o Lelaine mi mettono sotto torchio, l’idea mi travolge di colpo come una raffica di vento. Adesso sono molto più forti di me, e io dovrei tenere a freno la lingua fino a quando non mi viene dato il permesso di parlare. Anche Aeldene è più forte di me, e lei è appena mediocre nell’uso del Potere.» Siuan si costrinse ad alzare la testa. Aveva le labbra tese e la voce amareggiata. «Immagino che comincio ad adattarmi a questa nuova realtà. Anche questo è un talento fortemente radicato in noi Aes Sedai, prima ancora che veniamo esaminate e riceviamo lo scialle, ma non mi piace. Non mi piace!»
Egwene prese la penna accanto al flacone dell’inchiostro e il vasetto con la sabbia, giocherellandoci mentre cercava le parole giuste. «Siuan, sai come la penso in merito alla necessità di alcuni cambiamenti. Ci sono troppe cose che facciamo solo perché le Aes Sedai le hanno sempre fatte. Ma la situazione sta cambiando, e non importa se qualcuna pensa che tutto tornerà come prima. Dubito che in passato una donna sia stata eletta Amyrlin senza prima essere Aes Sedai.» Questa frase avrebbe dovuto provocare un commento sui verbali segreti della Torre Bianca — Siuan diceva spesso che non c’era nulla che non fosse già accaduto almeno una volta nella storia della Torre Bianca, per quanto potesse sembrare incredibile — ma l’altra donna rimase seduta in preda allo sconforto, simile a un sacco vuoto. «Siuan, i sistemi delle Aes Sedai non sono l’unico modo per fare una cosa e non sempre rappresentano il migliore. Io ho intenzione di assicurarmi che seguiamo la via migliore, e chiunque non riuscirà a cambiare, o non riesce o non vuole farlo, dovrà sforzarsi di più.» Egwene si sporse sul tavolo e cercò di assumere un’espressione incoraggiante. «Non ho mai capito come fanno le Sapienti a determinare le gerarchie fra di loro, ma non si tratta della forza nel Potere. Le donne che possono incanalare talvolta obbediscono a una che non ne è in grado. Sorilea, una Aiel che non sarebbe mai diventata nemmeno Ammessa, fa saltare a suo piacimento anche le più forti nel Potere.»
«Selvatiche» rispose Siuan con fare assente, ma senza convinzione.
«Allora parliamo di Aes Sedai. Non sono stata eletta Amyrlin perché sono la più forte. Per il Consiglio, o per fare da ambasciatrici o consigliere, vengono scelte le donne più sagge, quelle con le maggiori conoscenze, non le più forti.» Era meglio non specificare quale tipo di conoscenze, anche se Siuan di sicuro le possedeva.
«Il Consiglio? Il Consiglio potrebbe usarmi come cameriera. Potrebbero mandarmi via quando si riuniscono.»
Egwene. si accomodò di nuovo e lasciò cadere la penna. Aveva voglia di scuotere quella donna. Siuan era andata avanti quando non poteva incanalare e adesso cominciavano a cederle le ginocchia? Egwene era sul punto di raccontarle di Theodrin e Faolain — forse l’avrebbe rinfrancata un po’ — quando vide una donna dalla carnagione olivastra passare davanti alla tenda aperta, a prima vista persa nei suoi pensieri sotto il grande cappello grigio che indossava per proteggersi dal sole.
«Siuan, quella è Myrelle.» Egwene rilasciò lo schermo protettivo e si precipitò fuori. «Myrelle» gridò. Siuan aveva bisogno di una vittoria per non sentire più in bocca il sapore di tutte quelle prepotenze subite, e Myrelle faceva proprio al caso loro. Apparteneva al gruppo di Sheriam, ed era evidente che avesse un segreto tutto suo. Myrelle fece fermare la cavalla rosso-castagno e si guardò intorno, trasalendo quando vide Egwene. A giudicare dalla sua espressione, la Sorella Verde non si era accorta di quale parte dell’accampamento stesse attraversando. Dietro le spalle le pendeva un sottile mantello, per proteggere dalla polvere l’abito grigio da cavallo. «Madre» disse con esitazione. «Se vuoi scusarmi...»
«No, non ti scuso» l’interruppe Egwene, facendola arretrare. Non aveva più dubbi: Myrelle era al corrente di quanto era accaduto la notte precedente con Sheriam. «Voglio parlare con te, e adesso.»
Anche Siuan era uscita, ma invece di osservare la Sorella che scendeva goffamente da cavallo, guardò in fondo alla fila di tende verso un uomo tarchiato con i capelli grigi e un pettorale ammaccato sopra la giubba con le maniche a sbuffo che conduceva un alto cavallo baio nella loro direzione. La sua presenza era una sorpresa. Lord Bryne di solito usava un messaggero per comunicare con il Consiglio, e le sue rare visite di solito finivano prima che Egwene scoprisse che era stato lì. Siuan assunse una tale espressione di serenità da Aes Sedai che la giovinezza del suo volto passò quasi in secondo piano.
Bryne le lanciò una rapida occhiata e fece un piccolo inchino, spostando la spada con molta grazia. Un uomo vissuto, non era particolarmente alto, ma il suo portamento lo faceva sembrare più slanciato. Non c’era nulla di vistoso in lui, e il sudore sul viso largo lo faceva sembrare quasi un manovale. «Madre, posso parlarti in privato?»
Myrelle si voltò per andare via ed Egwene la richiamò con asprezza: «Resta esattamente dove sei! Proprio in quel punto!» Myrelle rimase a bocca aperta. Parve sorpresa tanto dalla propria obbedienza quanto dal tono deciso di Egwene, poi la sua espressione divenne rassegnata, per essere subito sostituita da una facciata di fredda compostezza. Tradita solo dal modo in cui stava stringendo le redini.
Bryne non batté ciglio, anche se Egwene era sicura che aveva capito la situazione. Sospettava che fossero poche le cose che stupivano o sconvolgevano quell’uomo. La sua sola presenza aveva messo Siuan sulla difensiva, anche se era sempre lei a dare inizio alle loro liti. Teneva le mani in grembo e lo fissava, uno sguardo litigioso che avrebbe messo chiunque a disagio, anche se non fosse provenuto da un’Aes Sedai. Ma Myrelle rappresentava più che un modo per aiutare Siuan. «Avevo intenzione di chiederti di passare questo pomeriggio, lord Bryne. Te lo chiedo ora.» Aveva delle domande per lui. «Potremo parlare più tardi. Ora, se vuoi scusarmi...»
Invece di accettare il congedo di Egwene, l’uomo disse: «Madre, una delle mie pattuglie ha trovato qualcosa poco prima dell’alba, qualcosa che credo dovresti vedere di persona. Posso far preparare una scorta in...»
«Non ce n’è bisogno» lo interruppe brusca Egwene. «Myrelle, verrai con noi. Siuan, chiedi a qualcuno di portarmi il cavallo. Senza perdere tempo.»
Condurre Myrelle con loro era meglio che affrontarla lì, se gli indizi messi insieme da Siuan significavano qualcosa, e durante la cavalcata lei avrebbe potuto rivolgere le sue domande a Bryne. Ma la sua fretta era motivata da altro. Aveva appena visto Lelaine che le andava incontro fra le tende, con Takima al suo fianco. Con una sola eccezione, tutte le donne che erano state Adunanti prima che Siuan fosse deposta si erano schierate con Lelaine o Romanda. Le nuove Adunanti andavano invece per la propria strada, che per Egwene non era poi tanto meglio.
Anche da quella distanza, la posizione delle spalle di Lelaine rendeva chiaro il suo atteggiamento. Era pronta a camminare su chiunque le si fosse messo davanti. Anche Siuan la vide e scattò senza fermarsi nemmeno per fare una riverenza, ma non c’era modo di uscire da quella situazione a meno di non volersi fiondare sul cavallo di lord Bryne.
Lelaine si piantò davanti a Egwene, ma fissò su Bryne i suoi occhi acuminati come puntine, valutandolo, soppesandolo, cercando di indovinare i motivi della sua presenza. Ma aveva pesci più grossi da mettere al fuoco. «Devo parlare con l’Amyrlin» gli disse in tono perentorio, puntando poi un dito verso Myrelle. «Aspetterai lì; con te parlo più tardi.» Bryne le fece l’inchino, non troppo profondo, e condusse il cavallo nella direzione indicata. Gli uomini con un minimo di cervello imparavano presto che discutere con un’Aes Sedai serviva a poco, e con le Adunanti a nulla.
Prima che Lelaine potesse aprire bocca, apparve Romanda. Emanava una tale aria di comando che all’inizio Egwene non si accorse che con lei c’era Varilin, nonostante la snella Grigia dai capelli rossi fosse più alta di molti uomini. La sola sorpresa era che Romanda non fosse arrivata prima. Lei e Lelaine si tenevano d’occhio a vicenda come due predatori, nessuna delle due permetteva all’altra di avvicinarsi da sola a Egwene. Il bagliore di saidar le circondò entrambe simultaneamente, e tutte e due eressero uno schermo attorno a loro cinque per impedire a chiunque di origliare. Romanda e Lelaine si fissarono, espressioni di sfida anche se fredde e controllate, ma nessuna delle due lasciò cadere il proprio schermo.
Egwene si morse la lingua. In un luogo pubblico era compito della Sorella più forte stabilire se una conversazione doveva essere schermata o meno, e il protocollo diceva che doveva essere l’Amyrlin a decidere, ogni volta che era presente. Egwene però non aveva alcuna voglia di sentire le risposte che le avrebbero dato. Se avesse insistito avrebbero ceduto, comportandosi come se stessero assecondando un bambino petulante. Si morse la lingua, cercando di controllare la propria agitazione. Dov’era Siuan? Non era giusto — far sellare i cavalli richiedeva più di qualche momento —, ma Egwene aveva voglia di cavalcare per sgombrare la mente.
Romanda fu la prima ad abbandonare il duello di sguardi, ma non perché si ritenesse sconfitta. Si voltò verso Egwene così di colpo che Lelaine rimase con lo sguardo fisso davanti a sé, cosa che la fece sembrare sciocca. «Delana sta di nuovo creando problemi.» La voce acuta della donna era quasi dolce, ma nascondeva una durezza che sottolineava come non avesse usato nessuno titolo onorifico nei confronti di Egwene. I capelli di Romanda erano tutti grigi, raccolti in una crocchia dietro la nuca, ma l’età non l’aveva di certo addolcita. Takima, con i capelli neri lunghi e la carnagione color avorio, era stata un’Adunante delle Marroni per quasi nove anni, valida nel Consiglio come in classe quando insegnava, ma rimase in silenzio, un passo indietro, con le mani incrociate in vita. Romanda guidava la sua fazione con la stessa fermezza di Sorilea. Per lei contava solo la forza, e Lelaine non sembrava molto diversa.
«Vuole presentare una proposta al Consiglio» intervenne acida, adesso rifiutandosi anche solo di guardare Romanda. Essere d’accordo con lei di sicuro la irritava almeno quanto il dover parlare per seconda. Consapevole di aver guadagnato un certo vantaggio, Romanda sorrise; una leggera incurvatura delle labbra.
«Su cosa?» chiese Egwene, stando per ora al loro gioco. Era sicura di saperlo, e le risultò molto difficile non sospirare. Ancora più difficile fu non portarsi le mani alle tempie.
«Sull’Ajah Nera naturalmente, Madre» rispose Varilin, sollevando il capo come se sorpresa dalla domanda. Be’, forse lo era; Delana era ossessionata da quell’argomento. «Vuole che il Consiglio accusi apertamente Elaida di farne parte.» Si fermò di colpo quando Lelaine sollevò una mano. Lelaine concedeva alle sue seguaci più spazio rispetto a Romanda, o forse semplicemente non aveva la stessa fermezza, ma la sua presa era comunque salda.
«Devi parlarle, Madre.» Lelaine aveva un sorriso caldo, quando decideva di usarlo. Siuan le aveva raccontato che una volta erano state amiche — Lelaine aveva accolto il suo ritorno con una sorta di benvenuto —, ma Egwene credeva che quel sorriso fosse uno strumento affinato da molto tempo.
«Per dirle cosa?» Egwene aveva davvero voglia di massaggiarsi le tempie. Quelle due donne facevano sempre in modo che il Consiglio accettasse solo ciò che volevano loro, e non certo le idee suggerite da Egwene, con il risultato che non erano molte le proposte approvate. Perché adesso volevano che fosse lei a intercedere con un’Adunante? Certo, Delana sembrava essere dalla sua parte — quando le faceva comodo. Era una banderuola, cambiava direzione a seconda di come soffiava il vento, e anche se di recente si era schierata spesso con Egwene, non voleva dire che l’avrebbe fatto sempre. L’Ajah Nera sembrava il suo unico punto fisso. Come mai Siuan ci stava mettendo tanto?
«Dille che deve farla finita, Madre.» Il sorriso e il tono di Lelaine la facevano sembrare una madre che stesse dando consigli a una figlia. «Questa immensa sciocchezza sta nuocendo a tutte noi. Alcune Sorelle hanno addirittura cominciato a crederci, Madre. Non passerà molto tempo prima che quest’idea raggiunga servitori e soldati.» Lo sguardo che diresse a Bryne era pieno di dubbi. Sembrava che quell’uomo stesse cercando di fare conversazione con Myrelle, che fissava il gruppo dietro lo schermo e giocava nervosamente con le redini.
«Credere in ciò che è ovvio non è così sciocco» rispose Romanda acida. «Madre...» detto da lei suonava come ‘bambina’ «...il motivo per cui Delana deve essere fermata è che non ci sta facendo alcun bene. Anzi, danneggia tutto. Forse Elaida appartiene all’Ajah Nera, anche se io ho seri dubbi, nonostante i pettegolezzi che può aver riferito quella sgualdrina di Halima. Elaida è ingiusta oltre ogni limite, ma non credo sia malvagia. In ogni caso, anche se fosse una Nera, strombazzarlo a questo modo renderebbe la gente sospettosa nei confronti di tutte le Aes Sedai, e spingerebbe le Nere a nascondersi ancora meglio. Ci sono dei sistemi per stanarle, se non le spaventiamo inducendole a fuggire.»
Lelaine tirò su con il naso, ma pareva quasi uno sbuffo. «Anche se quest’idiozia fosse vera, nessuna Sorella rispettabile accetterebbe i tuoi ‘sistemi’, Romanda. Ciò che hai appena suggerito si avvicina terribilmente a un’inquisizione.»
Egwene batté le palpebre, confusa. Né Siuan né Leane le avevano mai parlato di questo problema. Per fortuna le Adunanti non le stavano prestando troppa attenzione. Come sempre.
Romanda poggiò le mani sui fianchi e si girò verso Lelaine. «Momenti disperati richiedono azioni disperate. Qualcuno potrebbe chiedersi che senso ha anteporre la propria dignità al bisogno di smascherare le serve del Tenebroso.»
«Questo suona pericolosamente come un’accusa» rispose Lelaine, socchiudendo gli occhi.
Adesso fu Romanda a sorridere, un sorriso freddo e duro. «Io sarò la prima a sottopormi ai miei ‘sistemi’, Lelaine, se tu sarai la seconda.»
Lelaine ringhiò facendo un passo verso l’altra Sorella, e Romanda le andò incontro a mento alto. Parevano pronte a strapparsi i capelli e rotolarsi a terra, tralasciando del tutto la dignità di Aes Sedai. Varilin e Takima si guardarono in cagnesco, come due cameriere che sostenessero le proprie padrone: un trampoliere che stava avendo un duello di sguardi con uno scricciolo. Tutte sembravano aver dimenticato la presenza di Egwene.
Siuan arrivò di corsa con un cappello di paglia a falde larghe e portando con sé una grassa giumenta marrone con le zampe posteriori bianche, e si fermò di colpo quando vide il gruppo dietro lo schermo protettivo. Uno degli stallieri era venuto con lei, un uomo dinoccolato che indossava una lunga veste logora e una camicia macchiata e conduceva un alto roano. Per lui lo schermo era invisibile, ma saidar non gli impediva di vedere le espressioni di quelle donne. Lo stalliere sgranò gli occhi e cominciò a inumidirsi le labbra. I passanti giravano al largo dal gruppo e facevano finta di non vedere, Aes Sedai, Custodi, servitori. Solo Bryne le guardava corrucciato come se si chiedesse di cosa mai stavano parlando. Myrelle era impegnata a sistemare le bisacce da sella, ovviamente sul punto di andare via.
«Quando avrete deciso cosa dovrei dire,» annunciò Egwene «allora potrò decidere se farlo o meno.» L’avevano davvero dimenticata. La fissarono tutte e quattro stupite mentre Egwene passava fra Romanda e Lelaine, varcando il doppio schermo protettivo. Non sentì nulla quando lo oltrepassò, non era stato eretto per bloccare qualcosa di solido come un corpo umano.
Quando Egwene montò sul roano, Myrelle sospirò e la imitò rassegnata. Gli schermi erano svaniti anche se il bagliore di saidar avviluppava ancora le due Adunanti che la guardavano immobili, perfette immagini della frustrazione. Egwene indossò velocemente il mantello contro la polvere appoggiato sulla sella del suo castrone e i guanti per cavalcare infilati in una tasca del mantello. Dal pomello della sella penzolava il cappello a falde larghe, azzurro scuro abbinato al vestito e con delle piume bianche fissate da una spilla che scendevano sul busto, di sicuro un tocco di Chesa. Il caldo poteva ignorarlo, ma un colpo di sole era un’altra faccenda. Tolse piume e spilla, riponendole nella bisaccia, si mise il cappello e legò il nastro sotto il mento.
«Andiamo, Madre?» chiese Bryne. Era già a cavallo, e indossava l’elmo che prima era appeso alla sella, il volto nascosto dietro le barre d’acciaio. Su di lui sembrava naturale, come se quell’uomo fosse nato per indossare un’armatura.
Egwene annuì. Non ci fu alcun tentativo di fermarli. Lelaine non si sarebbe abbassata a gridare in pubblico, ma Romanda... Egwene provò una sensazione di sollievo mentre si allontanavano a cavallo, ma aveva l’impressione che la sua testa stesse per spaccarsi in due. Cosa doveva fare con Delana? Cosa poteva fare?
La strada principale in quella regione, una fascia di terra battuta talmente dura che non si sollevava nemmeno la polvere, attraversava l’accampamento dell’esercito fino al varco che lo separava da quello delle Aes Sedai. Bryne la imboccò, avviandosi verso le tende dei soldati.
Benché questi fossero trenta volte più numerosi delle Aes Sedai, c’erano meno tende di quelle delle Sorelle e i loro servitori, ed erano tutte sparpagliate fra le colline. La maggior parte dei soldati dormiva all’aperto, ma in fondo era difficile ricordare l’ultima volta che avesse piovuto e non c’era nemmeno una nuvola in vista. Stranamente c’erano più donne che nell’accampamento delle Sorelle, anche se a prima vista non lo si sarebbe detto, fra tanti uomini. Le cuoche erano ai fornelli e le lavandaie stendevano i panni, mentre altre badavano ai cavalli e ai carri. Alcune dovevano essere le mogli di qualche soldato; stavano sedute a lavorare a maglia o rammendare vestiti e camicie, oppure cucinavano in dei pentolini. I fabbri erano ovunque, i martelli facevano risuonare l’acciaio sulle incudini e i costruttori di frecce continuavano ad ammonticchiare le armi ai loro piedi, mentre i maniscalchi controllavano i cavalli. Dappertutto erano visibili carri e calessi di ogni tipo e dimensione, centinaia, forse migliaia; l’esercito sembrava impossessarsi di ogni carro che trovava lungo il suo cammino. La maggior parte dei foraggieri erano già usciti in missione, e alcuni calessi dalle ruote alte si stavano dirigendo verso le fattorie in cerca di provviste. Di tanto in tanto, i soldati acclamavano al loro passaggio: «Lord Bryne!» e «Il Toro! Il Toro!» Era il suo stendardo. Nessun commento sulle Aes Sedai o l’Amyrlin Seat.
Egwene si voltò per accertarsi che Myrelle fosse ancora con loro. C’era, stava lasciando che il cavallo la seguisse al suo passo, e il suo volto pareva distante, con un’espressione di lieve disgusto. Siuan era in fondo al corteo, pastorella della pecora solitaria. O forse aveva solo paura di spronare il cavallo. L’animale era molto grasso, ma con ogni probabilità Siuan avrebbe trattato anche un pony come fosse uno stallone da combattimento.
Egwene provò una fitta di rabbia pensando al proprio animale. Si chiamava Daishar, Gloria nella lingua antica. Avrebbe preferito cavalcare Bela, la piccola giumenta pelosa non molto più magra di quella di Siuan che aveva usato per lasciare i Fiumi Gemelli. Talvolta pensava di somigliare a una bambola, in cima a un castrone che poteva essere scambiato per un cavallo da combattimento, ma l’Amyrlin doveva avere un animale decoroso. Non una pelosa giumenta da traino. Anche se era stata lei stessa a stabilire questa regola, si sentiva limitata come una novizia.
Si voltò e chiese: «Ti aspetti di trovare nemici lungo il nostro cammino, lord Bryne?»
L’uomo la guardò di sottecchi. Gli aveva già rivolto la stessa domanda una volta, prima di lasciare Salidar e due volte mentre attraversavano l’Altara. Non abbastanza da farlo insospettire, pensava.
«Il Murandy è come l’Altara, Madre. Sono troppo impegnati a complottare contro i propri vicini o a combatterli apertamente per unirsi, a meno che non ci sia una guerra e forse nemmeno in quel caso.» Il tono di voce di Bryne era molto asciutto. Era stato capitano generale delle guardie della regina di Andor, e aveva alle spalle anni di dispute di confine contro il Murandy. «Temo che Andor sarà diversa. Non sono impaziente di arrivarci.» Svoltò risalendo un pendio non troppo ripido per evitare tre carri che procedevano nella stessa direzione.
Egwene cercò di non fare una smorfia. Andor. Prima le aveva solo risposto di no. Questi erano gli ultimi due promontori della catena delle colline di Cumbar, a sud di Lugard, la capitale del Murandy. Anche se avessero avuto molta fortuna, i confini di Andor si trovavano ad almeno dieci giorni di marcia.
«E quando raggiungeremo Tar Valon, lord Bryne? Come hai progettato di conquistare la città?»
«Non me l’ha ancora chiesto nessuno, Madre.» Egwene aveva pensato che prima la voce dell’uomo fosse asciutta, ma adesso lo era anche di più. «Quando raggiungeremo Tar Valon, se la Luce ci assiste, avrò un esercito due o tre volte più grande.» Egwene trasalì all’idea di dover pagare un tale numero di soldati, ma Bryne non parve farci caso. «Allora potrò preparare un assedio. La parte più difficile sarà reperire le imbarcazioni da affondare per bloccare il porto nord e quello sud. I porti sono una chiave importante quanto i ponti della città, Madre. Tar Valon è più grande di Cairhien e Caemlyn messe insieme. Quando non riceveranno più cibo...» Bryne si strinse nelle spalle. «Il più delle volte, fare il soldato significa aspettare, quando non si tratta di marciare.»
«E se non riesci a trovare tutti quei soldati?» Egwene non aveva mai pensato a tutte quelle persone affamate, donne e bambini. Non aveva mai pensato al coinvolgimento di qualcuno che non fosse Aes Sedai o soldato. Come aveva potuto essere tanto sciocca? A Cairhien aveva visto i risultati della guerra. Bryne sembrava prenderla molto alla leggera, ma in fondo era un guerriero; le privazioni e la morte dovevano essere il suo pane quotidiano. «Cosa farai se rimani con... diciamo... quelli che hai ora?»
«Assedio?» Finalmente i loro argomenti avevano fatto presa su Myrelle, distogliendola dai suoi pensieri. La donna spronò il cavallo facendo saltare di lato diversi uomini, alcuni dei quali caddero a terra. Qualcuno aprì la bocca per protestare, ma quando videro i lineamenti dall’età indefinibile la richiusero senza dire nulla, torvi in volto. Per quanto riguardava Myrelle, era come se non esistessero. «Artur Hawkwing ha assediato Tar Valon per vent’anni e ha fallito.» Si accorse d’un tratto che altre persone stavano sentendo e abbassò la voce, ma il suo tono rimase acido. «Pensi di aspettare vent’anni?»
Il suo tono di voce parve non toccare neppure Gareth Bryne. «Preferisci un attacco diretto, Myrelle Sedai?» Sembrava le stesse chiedendo se voleva il tè dolce o amaro. «Ci provarono diversi generali di Hawkwing, e i loro uomini furono sterminati. Nessun esercito è mai riuscito ad aprire una breccia nelle mura di Tar Valon.»
Egwene sapeva che non era del tutto vero. Durante le Guerre Trolloc, un esercito di Signori del Terrore a capo di quelle bestie aveva saccheggiato e incendiato una parte della Torre Bianca. Anche alla fine della Guerra del Secondo Drago, l’esercito che stava cercando di liberare Guaire Amalasan prima che venisse domato era riuscito a raggiungere la Torre. Myrelle non poteva saperlo, e tanto meno Bryne. L’accesso a questi segreti, nascosti gelosamente nella biblioteca della Torre, era regolato da una legge a sua volta segreta, e rivelare l’esistenza, di quei registri come della legge stessa, era considerato un atto di tradimento. Siuan le aveva detto inoltre che, leggendo fra le righe, era possibile trovare accenni a eventi che non erano riportati nemmeno in quei testi. Le Aes Sedai erano molto brave nel nascondere la verità anche a sé stesse, quando lo reputavano necessario.
«Con centomila uomini o con quanti ne ho adesso,» continuò Bryne «sarei il primo. Se riesco a bloccare i porti. I generali di Hawkwing non ci sono mai riusciti. Le Aes Sedai hanno sempre issato quelle catene di ferro in tempo per evitare che le imbarcazioni entrassero nel porto e venissero affondate per ostacolare il commercio. Cibo e rifornimenti arrivavano comunque. Alla fine si tratterà comunque di un attacco diretto, ma solo quando la città sarà indebolita, se posso fare a modo mio.» La voce di Bryne era ancora... calma. Sembrava stesse pianificando una scampagnata. Si voltò verso Myrelle e, anche se il tono della sua voce non cambiò, l’intensità dello sguardo era percepibile nonostante la visiera dell’elmo. «Mi avete concesso libertà d’azione, per quanto riguarda l’esercito. Preferirei non sprecare la vita dei miei uomini.»
Myrelle aprì la bocca, quindi la richiuse lentamente. Era chiaro che avrebbe voluto dire qualcosa, ma non sapeva come replicare. Avevano dato la loro parola, lei, Sheriam e le altre che erano al comando quando Bryne era arrivato a Salidar. Anche se l’avevano fatto malvolentieri. E anche se le Adunanti cercavano ogni modo per aggirare quella situazione, poiché loro non si erano impegnate in quella promessa. Bryne però si comportava come se l’avessero fatto, e fino a quel momento aveva sempre avuto la meglio. Fino a quel momento.
Egwene si sentiva male. Aveva visto la guerra. Nella mente, le lampeggiarono immagini di uomini che combattevano, uccidendo e morendo a loro volta mentre avanzavano lungo le strade di Tar Valon. Lo sguardo le cadde su un uomo dalla mascella squadrata che stava affilando la punta della sua lancia. Sarebbe morto anche lui in quelle strade? E l’uomo dai radi capelli grigi, quasi calvo, che passava una mano con cura su ogni freccia prima di infilarla nella faretra? E quel ragazzino sbruffone con gli stivali da cavallo? Sembrava troppo giovane anche per radersi. Luce, erano in tanti a essere troppo giovani. Quanti ne sarebbero morti? Per lei. Per la giustizia, per il bene, per il mondo... ma alla fin fine era comunque per lei. Siuan alzò una mano lasciandola a mezz’aria. Se anche le fosse stata abbastanza vicino, non poteva confortare l’Amyrlin Seat in pubblico dandole una pacca su una spalla.
Egwene raddrizzò la schiena. «Lord Bryne,» disse con voce tesa «cosa volevi mostrarmi?» Ebbe l’impressione che l’uomo lanciasse un ultimo sguardo a Myrelle prima di rispondere.
«Meglio che tu lo veda con i tuoi occhi.»
Adesso Egwene aveva la sensazione che il cranio avrebbe potuto aprirsi in due. Se gli indizi di Siuan significavano qualcosa, avrebbe benissimo potuto spellare viva Myrelle. E se non era così, avrebbe potuto spellare Siuan. E magari avrebbe aggiunto anche Gareth Bryne, per buona misura.