«Andiamo via da qui immediatamente, dannazione» ripeté Mat più tardi, scatenando un’accesa discussione. Avevano polemizzato durante l’ultima mezz’ora. Il sole aveva superato il picco e i venti del commercio alleviavano la calura. Le tende gialle piazzate davanti alle finestre si gonfiavano e sventolavano per le potenti raffiche di vento. Tre ore dopo aver fatto ritorno al palazzo di Tarasin, i dadi rotolavano ancora nella testa di Mat, che aveva voglia di prendere a calci qualcosa. Sentiva ancora intorno al collo la corda che gli aveva provocato la cicatrice, che nascondeva sotto un fazzoletto nero, e gli sembrava che si stava lentamente stringendo. «Per amore della Luce, siete cieche o solamente sorde?»
La stanza che Tylin aveva messo loro a disposizione era spaziosa, con le pareti dipinte di verde e il soffitto azzurro, era arredata sobriamente con sedie dorate e tavolinetti intarsiati di madreperla; sembrava ingombra di mobili, o così appariva ai suoi occhi. Tylin in persona, a gambe accavallate, era seduta davanti a uno dei tre camini di marmo e lo guardava con quegli occhi scuri da aquila e un sorriso vago, mentre toccava oziosamente le sottovesti blu e gialle e giocherellava con l’elsa incastonata di pietre preziose del pugnale ricurvo. Sospettava che Elayne e Nynaeve le avessero parlato. Anche loro erano presenti, sedute accanto alla regina, ed erano riuscite a cambiarsi d’abito e anche a lavarsi, sebbene fossero state fuori dal suo controllo solo per pochi minuti da quando avevano fatto ritorno a palazzo. Quasi eguagliavano Tylin per dignità regale, con quei vestiti di seta dai colori brillanti. Non era chiaro chi volessero impressionare, con tutti quei merletti e quei ricami. Sembravano pronte per un ballo di corte, non certo per un viaggio. Lui indossava ancora i vestiti sporchi, la giubba verde impolverata era sbottonata e il medaglione con la testa di volpe pendeva dalla camicia sgualcita. Il nodo si era allentato, ma lui voleva che quel medaglione fosse a contatto con la pelle. In fondo era circondato da donne che potevano incanalare.
Probabilmente quelle tre donne avrebbero affollato quella camera. Tylin da sola avrebbe ottenuto quel risultato, per quanto ne sapeva lui. Se Nynaeve o Elayne le avevano effettivamente parlato, era un bene che se ne andasse via subito. Le tre donne avrebbero affollato la stanza, ma...
«Questo è ridicolo» esclamò Merilille. «Non ho mai sentito parlare di nessuna progenie dell’Ombra chiamata gholam. E voi?» La domanda era diretta a Vandene, Adeleas, Sareitha e Carene. Sedute davanti a Tylin, tutte con lo sguardo freddo e l’espressione serena delle Aes Sedai, da farle sembrare assise su cinque troni. Lui non riusciva a capire perché Nynaeve ed Elayne se ne stessero sedute mollemente, anche loro fredde e serene, ma in silenzio assoluto. Sapevano, capivano e, per qualche motivo, Merilille e le altre adesso avevano sempre delle parole gentili per loro. Mat Cauthon invece era un bue peloso villano e zotico che doveva essere preso a calci e tutte, inclusa Merilille, erano pronte a farlo.
«Io l’ho visto» scattò Mat. «Elayne l’ha visto. Reanne e le Donne Sapienti lo hanno visto. Chiedi a una qualsiasi di loro!»
Riunite in fondo alla sala, Reanne e le cinque Donne Sapienti sopravvissute si fecero indietro come un nugolo di galline spaventate. Avevano paura di eventuali domande. Tutte tranne Sumeko; con le dita infilate dietro la cintura rossa, la donna formosa continuava a lanciare occhiate torve alle Aes Sedai, quindi scuoteva il capo, guardava e scuoteva di nuovo il capo. Nynaeve aveva parlato a lungo con lei nella cabina dell’imbarcazione durante il viaggio di ritorno, e Mat supponeva che avesse qualcosa a che fare con la sua nuova attitudine. Gli era capitato di sentir dire qualcosa sulle Aes Sedai, ma non perché avesse origliato. Le altre sembravano in procinto di proporsi per andare a prendere qualche bevanda. Solo Sumeko aveva preso in considerazione l’offerta di una sedia. Sibella, agitando le braccia ossute, era quasi svenuta.
«Nessuna nega la parola di Elayne Sedai, mastro Cauthon» rispose Renaile din Calon Stella Azzurra con voce fredda e profonda. Anche se quella dignitosa donna, che indossava vestiti di seta con colori più belli delle mattonelle rosse e gialle del pavimento, non gli fosse stata menzionata in precedenza, i vecchi ricordi frammisti ai suoi l’avrebbero identificata come la Cercavento della Maestra della Nave: lo testimoniavano i dieci anelli d’oro appesi alle orecchie, ognuno collegato con una catenina d’oro, in parte nascosti dai capelli bianchi delle tempie che si confondevano con quelli neri e lunghi. Le medagliette raggruppate al centro della catenella, che andava dall’orecchio al naso, gli avrebbero rivelato il clan di appartenenza, così come i tatuaggi sulle mani sottili e scure. «Quello che noi mettiamo in dubbio è il pericolo» proseguì. «Non ci piace lasciare le acque senza avere un buon motivo per farlo.»
Dietro di lei erano riunite circa venti donne del Popolo del Mare, una massa di seta colorata, orecchini, medagliette e catenelle. La prima cosa insolita notata era l’attitudine che avevano nei confronti delle Aes Sedai. Erano assolutamente rispettose, almeno apparentemente, ma Mat non aveva mai visto nessuna guardare le Aes Sedai con quell’aria soddisfatta. La seconda stranezza riguardava i ricordi degli altri uomini. Non sapeva molto del Popolo del Mare, ma abbastanza per averne un quadro sommario. Ogni Atha’an Miere, uomo o donna, iniziava dal grado più basso di mozzo di sentina, anche se erano destinati a diventare Maestri della Lama o Maestre della Nave. Per avanzamento di grado, il Popolo del Mare era attentissimo a rispettare i propri ranghi, da far sembrare qualsiasi re o Aes Sedai dei mediocri. Le donne dietro Renaile rappresentavano un gruppo insolito sotto ogni punto di vista. Cercavento o Maestre delle Onde spalla a spalla con delle Cercavento dei Libranti, a giudicare dai medaglioni appesi alle catene. Due di loro indossavano bluse di lana dai colori sgargianti sopra i pantaloni scuri e unti dei mozzi, ognuna con soltanto un anello d’oro all’orecchio sinistro. Un secondo e terzo anello in quello destro indicavano che erano state addestrate come Cercavento; ne dovevano guadagnare ancora altri due, per non parlare poi dell’anello da porre sul naso. Per quello avrebbero dovuto ancora aspettare a lungo, prima che una delle due venisse chiamata a issare le vele ogni volta che un mastro di ponte avesse avuto bisogno di loro, rischiando di essere prese a frustate sulla schiena del mastro se non si fossero mosse abbastanza in fretta. Gli sembrava di ricordare che le due donne non appartenevano a questo gruppo: di solito una Cercavento o una Maestra della Nave non avrebbe rivolto loro parola.
«Esattamente quello che ho detto io, Renaile» rispose Merilille, fredda e accondiscendente. Di sicuro aveva notato quegli sguardi soddisfatti. Il tono di voce rimase invariato quando spostò l’attenzione su di lui. «Non diventare insolente, Mastro Cauthon. Siamo disposte ad ascoltare le tue motivazioni, se ne hai.»
Mat si impose di restare calmo. Sperava di riuscirci, doveva far appello a tutta la sua pazienza. «I gholam sono stati creati a metà della Guerra del Potere, durante l’Epoca Leggendaria.» Decise di iniziare proprio dal principio. Quasi dall’inizio del racconto di Birgitte. Mentre parlava, osservava tutti i gruppi di donne. Che fosse maledetto se avesse lasciato pensare a un gruppo di essere più importante dell’altro. O che stesse implorando, anche se era proprio quello che stava facendo. «Furono creati per assassinare le Aes Sedai. Nessun altro motivo. Per uccidere le persone che potevano incanalare. L’Unico Potere non vi aiuterà. Il Potere non sfiora i gholam. Loro possono avvertire la capacità di incanalare se si trovano, diciamo, a cinquanta passi di distanza dal soggetto. Possono anche percepire la quantità di potere. Voi invece riconoscereste un gholam quando è ormai troppo tardi. Non hanno un particolare aspetto che li contraddistingua. Interiormente... i gholam non hanno ossa e possono infilarsi anche sotto una porta. Sono abbastanza forti da divellerla dai cardini d’acciaio con una sola mano.» O squarciare una gola. Luce, avrebbe dovuto lasciare Nalesean a letto.
Dopo aver soffocato un brivido, Mat proseguì. Tutte le donne lo guardavano, quasi senza battere ciglio. Non avrebbe permesso che lo vedessero tremare. «Ne furono creati solamente sei, tre maschi e tre femmine, almeno nell’aspetto esteriore. Era evidente che anche i Reietti erano a disagio con loro, o forse avevano pensato di essere in buon numero. In ogni caso, sappiamo che uno si trova a Ebou Dar, con ogni probabilità mantenuto in vita sin dalla Frattura in una scatola della stasi. Non sappiamo se anche gli altri sono stati messi in quelle scatole, ma uno è più che sufficiente. Chiunque l’avesse inviato qui da noi — e deve trattarsi di uno dei Reietti — sapeva di doverci seguire oltre il fiume. Probabilmente era stato inviato alla ricerca della Scodella dei Venti e, da quanto mi ha detto, per uccidere Nynaeve o Elayne, forse entrambe.» Rivolse loro un’occhiata veloce, calma e indulgente. Nessuno poteva sentirsi a proprio agio sapendo che una creatura simile stava dando loro la caccia. Ottenne uno sguardo perplesso da Elayne — un leggero corrugarsi della fronte — e da Nynaeve un cenno della mano, impaziente, per esortarlo a proseguire.
Lanciò un’occhiataccia alle due. Era difficilissimo non sospirare quando si aveva a che fare con le donne. «Chiunque abbia mandato il Gholam, deve sapere che adesso la Scodella si trova qui, nel palazzo di Tarasin. Se lui, o lei, lo inviasse qui, qualcuna di voi morirebbe. Forse tutte voi. Non posso proteggervi tutte in una sola volta. Forse riuscirà anche a prendere la Scodella. Tutto questo oltre Falion Bhoda. Dubito che sia da sola, anche con Ispan prigioniera, per cui dobbiamo preoccuparci anche dell’Ajah Nera. Nel caso che il Gholam e i Reietti non fossero già abbastanza.» Reanne e le Donne Sapienti s’indignarono anche più di Merilille, e le sue amiche, nel sentir nominare l’Ajah Nera e le Aes Sedai, dopo essersi irrigidite e aver raccolto le gonne, parevano pronte a lasciare la stanza risentite. Proseguire, era la sola cosa che poteva fare. «Adesso comprendete perché siete costrette tutte a lasciare il palazzo, e portare la Scodella in un luogo di cui il gholam non sia a conoscenza? Un posto sconosciuto anche all’Ajah Nera? Capite perché va fatto adesso?»
Renaile tirò su con il naso talmente forte da spaventare un branco d’oche che si fosse trovato nella stanza accanto. «Hai solo ripetuto quanto ci avevi già detto, mastro Cauthon. Merilille Sedai non ha mai sentito parlare di questo Gholam. Elayne Sedai ha visto uno strano uomo, una creatura, ma niente di più. Che cos’è questa... scatola della stasi? Ancora non l’hai spiegato. E come fai a essere sicuro che quel che dici corrisponda al vero? Perché dovremmo allontanarci ancora dall’acqua seguendo un uomo che non fa che inventare storie?» Mat guardò Nynaeve ed Elayne, anche se non aveva molte speranze. Se avessero soltanto aperto bocca, tutta questa cantilena si sarebbe conclusa da molto tempo; invece lo guardavano, esercitandosi a essere inespressive come Aes Sedai ma risultando innaturali. Mat non capiva quel loro silenzio. Avevano fornito un racconto essenziale dei fatti accaduti nel Rahad, e lui avrebbe scommesso che non avrebbero mai parlato dell’Ajah Nera se avessero trovato un altro modo per spiegare la presenza a palazzo di un’Aes Sedai legata e schermata. Ispan era prigioniera in un’altra ala del palazzo e la sua presenza era nota solo a pochi. Nynaeve l’aveva costretta a bere una pozione, una mistura di erbe maleodorante e nauseabonda, l’aveva fatta ridere e poi cadere, e il resto del Circolo della Maglia occupava le stanze con lei, per farle la guardia. Non lo facevano volentieri, ma erano diligenti. Nynaeve aveva chiarito che se Ispan fosse riuscita a scappare, per loro sarebbe stato meglio sparire prima che lui riuscisse ad acchiapparle.
Mat fece attenzione a non guardare in direzione di Birgitte, in piedi vicino alla porta insieme ad Aviendha. La donna Aiel indossava un abito alla moda di Ebou Dar, non quello di semplice lana con cui aveva fatto ritorno a casa, ma un abito grigio-argento per cavalcare, che stonava con il pugnale da cintura con la semplice elsa di corno. Anche Birgitte era stata veloce a cambiarsi, togliendosi il vestito per indossare i soliti abiti: la giubba corta e i pantaloni a sbuffo, rispettivamente blu e verde scuro. Aveva anche la faretra intorno alla vita. Era lei la fonte di tutte le sue conoscenze riguardo al Gholam e alle scatole della stasi, oltre a quanto visto con i propri occhi nel Rahad. Naturalmente non l’avrebbe rivelato nemmeno sotto tortura.
«L’ho letto da qualche parte, in un libro che parlava di...» iniziò a rispondere, ma Renaile lo interruppe.
«Un libro» lo derise. «Non abbandonerò il sale per un libro che nemmeno le Aes Sedai conoscono.»
Mat si accorse di essere il solo uomo presente in quella stanza. Lan era andato da qualche parte secondo gli ordini di Nynaeve, docilmente, come aveva fatto Beslan con sua madre. Thom e Juilin stavano preparando il bagaglio per andare via. Con ogni probabilità ormai avevano finito. Se fosse stato di qualche utilità. Se fossero mai riusciti ad allontanarsi. Il solo uomo, circondato da un muro di donne intenzionate a fargli sbattere con la testa contro quel muro fino a quando il cervello non si fosse ridotto in poltiglia. Non aveva alcun senso. Nessuno. Le donne lo guardavano e aspettavano qualcosa.
Nynaeve indossava un abito blu screziato di giallo e bordato con il merletto, e la treccia le pendeva fra i seni, ma quell’anello pesante — aveva scoperto che si trattava dell’anello di Lan — era sistemato in modo tale che fosse ben visibile. Il volto di Nynaeve era sereno e le mani composte sul grembo, seppure ogni tanto si vedesse un dito tremare. Elayne, che portava un abito di seta verde nello stile di Ebou Dar da far sembrare Nynaeve coperta nonostante il merletto trasparente che le arrivava fino al collo, lo guardò con occhi simili a due stagni gelati. Anche lei teneva le mani in grembo, ma di tanto in tanto seguiva il disegno del ricamo dorato che copriva la gonna. Perché non intervenivano? Stavano cercando di vendicarsi di lui? Si trattava di uno di quei casi tipo Mat insiste tanto nel voler essere al comando, vediamo come se la cava senza di noi’? Da Nynaeve se lo sarebbe aspettato, in un momento qualsiasi a parte questo, ma non da Elayne, non più. Perché accadeva questo?
Reanne e le Donne Sapienti non si tenevano alla larga da lui come facevano dalle Aes Sedai, ma i loro modi erano cambiati. Tamarla gli aveva rivolto un rispettoso cenno del capo. Famelle, dai capelli color miele, gli rivolse addirittura un sorriso amichevole. Stranamente Reanne arrossì, ma loro non rappresentavano un elemento ostile. Le sei donne non si erano scambiate parola da quando erano entrate in quella stanza. Ognuna di loro avrebbe fatto qualsiasi cosa se Elayne o Nynaeve avessero schioccato le dita e avrebbero continuato a farlo fino a quando non avessero impartito un altro ordine.
Mat si rivolse alle altre Aes Sedai. Avevano i volti calmi e pazienti, ma... per un istante lo sguardo di Merilille colpì come un fulmine Nynaeve ed Elayne. Sareitha cominciò a sistemarsi il vestito sotto agli occhi di Mat, sebbene inconsapevole dei propri gesti. Mat fu assalito da un dubbio terribile. Le mani che scivolavano sui vestiti. Reanne che arrossiva. Birgitte con la faretra pronta. Un sospetto fosco, anche se non riusciva a concretizzarlo. Aveva solo la sensazione di aver imboccato la via sbagliata. Rivolse un’occhiata a Nynaeve, e una più severa a Elayne. Nemmeno il burro si sarebbe squagliato sulle loro maledette lingue.
Mat si avviò lentamente verso le donne del Popolo del Mare. Camminò solamente, ma sentì una del gruppo di Merilille sbuffare, e Sareitha mormorò: «Che insolenza!» Be’, stava per dar loro una grandiosa dimostrazione d’insolenza. Se a Nynaeve ed Elayne non piaceva, avrebbero dovuto confidarsi con lui. Luce, quanto odiava essere usato. Soprattutto quando non sapeva come o perché.
Si fermò davanti alla sedia di Renaile e, prima di guardarla, studiò i volti scuri delle donne Atha’an Miere. La donna aggrottò le sopracciglia mentre carezzava un pugnale intarsiato di pietre di luna, infilato dietro la fusciacca. Era una bella donna, di mezza età e, in circostanze diverse, gli sarebbe piaciuto guardarla negli occhi. I suoi occhi sembravano grandi pozze scure, e un uomo avrebbe potuto trascorrere un’intera serata a rimirarli. In circostanze diverse. In qualche modo queste donne del Popolo del Mare erano la mosca che galleggia nella caraffa della crema e lui non aveva idea di come toglierla, ma riuscì a tenere sotto controllo la propria irritazione. A malapena. Che cosa doveva fare, dannazione?
«Mi sembra di capire che potete tutte incanalare, giusto?» chiese con calma. «Ma per me non significa molto.» Meglio essere chiari fin dall’inizio. «Potete chiedere a Vandene o Adeleas quanto mi interessa se una donna possa o meno incanalare.» Renaile guardò Tylin, ma non si rivolse alla regina. «Nynaeve Sedai,» disse irritata «mi sembra di ricordare che non facesse parte del nostro accordo dover ascoltare questo giovane raccogli stoppa. Io...»
«Maledizione, non me ne importa nulla dei tuoi accordi con chicchessia, figlia delle sabbie» rispose brusco Mat. Non riusciva a dominare la propria irritazione. Anche un uomo ha dei limiti.
Le donne dietro Renaile sussultarono. Circa mille anni prima una donna del Popolo del Mare aveva chiamato un soldato Esseniano figlio delle sabbie, proprio prima di cercare di trafiggerlo con una lama. Quel ricordo era riposto in fondo al cranio di Mat Cauthon. Non era il peggior insulto fra gli Atha’an Miere, ma vi andava vicino. Il volto di Renaile divenne rosso dalla rabbia, sibilando con gli occhi infuriati e sgranati; la donna balzò in piedi e quel pugnale con l’elsa ricoperta di pietre di luna lampeggiò fra le sue mani.
Mat glielo strappò di mano prima che la lama lo raggiungesse al petto e la spinse di nuovo a sedere sulla sedia. Era veramente veloce. Poteva ancora tenere i nervi a bada. Non gli importava quante fossero le donne che pensavano di poterlo manovrare come un pupazzo, lui poteva... «Stammi a sentire, sasso di sentina.» Va bene, non riusciva a controllarsi. «Nynaeve ed Elayne hanno bisogno di voi, altrimenti vi avrei lasciate tutte nelle mani del Gholam a farvi spezzare le ossa, per poi lasciare i resti all’Ajah Nera. Be’, per quello che vi riguarda, io sono il Maestro delle Lame e le mie lame sono sguainate.» Non sapeva bene cosa significasse quanto aveva appena detto, ma una volta aveva sentito dire proprio questo. «Quando le lame sono sguainate, anche la Maestra della Nave si inchina davanti al Maestro delle Lame. Questo è un accordo fra te e me. Tu andrai dove vogliono Nynaeve ed Elayne, e in cambio non vi legherò in groppa ai cavalli come sacchi per costringervi a partire!»
Sapeva che non doveva proseguire in quel modo, non con la Cercavento della Maestra della Nave. Nemmeno con un mozzo di sentina di una perca. Renaile tremava per lo sforzo di non attaccarlo a mani nude e non sembrava curarsi che avesse un pugnale. «L’accordo è raggiunto, testimone la Luce!» gridò la donna. Gli occhi stavano per schizzarle fuori dalle orbite. Mosse le labbra, confusa e incredula: Le esclamazioni alle sue spalle ricordavano il rumore del vento che strappa le tende.
«Accordo raggiunto» rispose in fretta Mat, appoggiando prima le dita sulle proprie labbra e poi premendole su quelle della donna.
Dopo un momento la donna fece la stessa cosa, con dita tremanti. Mat restituì il pugnale e lei lo fissò intontita prima di riprenderlo. La lama fu rinfoderata nella preziosa custodia. Non era possibile uccidere qualcuno con cui si era appena concluso un accordo. Non fino a quando i termini fossero stati rispettati. Fra le donne si alzò un brusio e Renaile batté le mani una sola volta. Quel gesto fu sufficiente a far tacere le Cercavento e le Maestre delle Onde, e anche le due marinaie in fase di addestramento.
«Credo di avere appena concluso un accordo con un ta’veren» affermò con la sua caratterista voce profonda e fredda. Quella donna avrebbe potuto insegnare alle Aes Sedai come riprendersi velocemente. «Ma un giorno, mastro Cauthon, se lo vuole la Luce, ti farò camminare su una corda.»
Mat non sapeva cosa significasse quella promessa, ma il tono di voce della donna la fece suonare sgradevole. Mat le rivolse il suo miglior inchino. «Tutto è possibile, se lo vuole la Luce» mormorò. In fondo essere gentile serviva a qualcosa, ma il sorriso di quella donna era inquietante.
Quando Mat si rivolse di nuovo al resto della stanza, avrebbe potuto pensare che gli fossero spuntate corna e ali per come lo fissavano. «Qualcun’altra ha delle obiezioni da fare?» chiese Mat sarcastico, senza attendere risposta. «Bene, non ne aspettavo. In questo caso, suggerisco che svegliate un punto molto lontano da qui, in modo da potercene andare non appena avremo fatto il bagaglio.»
Le donne iniziarono una discussione inutile. Elayne propose Caemlyn, sembrando quasi seria, e Careane suggerì diversi villaggi dimenticati fra le colline nere, tutti facilmente raggiungibili usando un passaggio. Luce, qualsiasi posto era facilmente raggiungibile usando un passaggio. Vandene propose Arafel, Aviendha in Rhuidean, nel deserto aiel, con le donne del Popolo del Mare che diventavano sempre più cupe man mano che la destinazione finale si allontanava dal mare. Tutto fasullo. Almeno per Mat era chiaro, visto come Nynaeve giocava con fare impaziente con la treccia, anche se i suggerimenti sembravano sensati.
«Posso parlare, Aes Sedai?» chiese timidamente Reanne. Aveva addirittura alzato la mano. «La Famiglia ha una fattoria sull’altra riva del fiume, alcuni chilometri a nord da qui. È un luogo di ritiro per donne in cerca di contemplazione e quiete, ma nessuno l’ha mai collegato a noi. Gli edifici sono grandi, tranquilli e comodi, se vi fosse la necessità di trattenersi a lungo, e...»
«Perfetto» la interruppe Nynaeve. «Credo proprio sia il posto giusto. Che cosa ne pensi, Elayne?»
«Penso sia un’idea meravigliosa, Nynaeve. Renaile gradirà rimanere vicino al mare.» Le altre cinque Sorelle, parlando quasi contemporaneamente, confermarono quanto fosse splendida quell’idea, superiore a qualsiasi altro suggerimento.
Mat alzò gli occhi al cielo. Tylin era concentrata per non vedere cosa stesse succedendo proprio sotto al suo naso, ma Renaile abboccò come una trota, che era poi quello che volevano. Per qualche motivo, la donna non doveva sapere che Nynaeve ed Elayne avevano già organizzato tutto in anticipo. Guidò le altre del gruppo a prendere il bagaglio, prima che Nynaeve ed Elayne potessero cambiare idea.
Le due avrebbero voluto seguire Merilille e le altre Aes Sedai, ma Mat le minacciò con un dito. Le ragazze si scambiarono un’occhiata — lui avrebbe dovuto parlare un’ora per esprimere gli stessi concetti che si erano scambiati con quel solo sguardo — quindi ebbe un’illuminazione. Aviendha e Birgitte osservavano dalla porta, Tylin dalla sua sedia.
«Mi spiace molto averti usato» disse Elayne prima che lui riuscisse a pronunciare una sola parola. Quando sorrideva, sul viso di Elayne apparivano due fossette. «Devi credermi, Mat, avevamo dei buoni motivi.»
«Che tu non hai bisogno di condividere» aggiunse Nynaeve con fermezza, spostando la treccia dietro la schiena con un sapiente movimento del capo e facendo rimbalzare l’anello d’oro in mezzo al petto. Lan ‘doveva’ essere pazzo. «Devo ammetterlo, non mi aspettavo che avresti fatto quello che hai fatto. Ma come ti è venuto in mente di minacciarle? Avresti potuto rovinare tutto.»
«Che cos’è la vita se di tanto in tanto non si corre qualche rischio?» le rispose allegro. Tanto meglio per lui se credevano che fosse stato un piano intenzionale invece di un semplice moto d’ira, ma restava il fatto che lo avevano usato di nuovo, e per questo voleva prendersi una rivincita. «La prossima volta che dovete raggiungere un accordo con il Popolo del Mare, lasciate che sia io a condurre le trattative. Forse i risultati non saranno pessimi come l’ultima volta.» Le guance di Nynaeve divennero rosse e Mat capì al volo di aver messo il dito nella piaga. Non era male colpire nel mucchio.
Invece Elayne mormorò, con un tono di voce mesto e divertito: «Un suddito molto sveglio.» Ma essere tra i suoi favoriti poteva dare più svantaggi che privilegi.
Si incamminarono verso la porta senza dargli modo di aggiungere altro. Mat non pensava davvero che gli avrebbero spiegato qualcosa. Erano Aes Sedai fino al midollo. Un uomo impara a cavarsela con quanto ha a portata di mano.
Nel frattempo si era dimenticato di Tylin, ma lei non l’aveva dimenticato e lo raggiunse prima che riuscisse a fare un paio di passi. Nynaeve ed Elayne si fermarono a osservare davanti alla porta insieme a Birgitte e Aviendha. Videro Tylin pizzicargli il fondoschiena. Alcune cose non si riusciva proprio a sopportarle. Elayne assunse un’espressione di commiserazione, Nynaeve di totale disapprovazione. Aviendha faticava, senza molto successo, per non ridere, mentre Birgitte sorrideva apertamente. Lo sapevano tutte, maledizione.
«Nynaeve pensa che tu sia un ragazzino bisognoso di protezione» sussurrò Tylin. «Io invece lo so, sei un uomo maturo.» Quella risata gutturale rese la battuta la più volgare che Mat avesse mai sentito. Le quattro donne davanti alla porta stavano osservando il suo volto diventare rosso peperone. «Mi mancherai, piccioncino. Ciò che hai fatto con Renaile è stato magnifico. Ammiro gli uomini autoritari.»
«Anche tu mi mancherai» rispose Mat sottovoce. Con sorpresa si accorse che era la semplice verità. Stava lasciando Ebou Dar al momento giusto. «Ma se dovessimo incontraci ancora, sarò io il cacciatore.»
La donna rise e quegli occhi scuri da aquila furono sul punto di avvampare. «Ammiro gli uomini autoritari, dolcezza, ma non quando iniziano a esserlo con me.» Lo prese per le orecchie e lo tirò verso il basso per poterlo baciare.
Mat non notò Nynaeve e le altre andare via, e uscì caracollando, mentre si infilava la camicia nelle brache. Doveva tornare a riprendersi la lancia e il cappello. Quella donna non aveva alcun pudore, nessuno.
Mat vide Thom e Juilin uscire dall’appartamento di Tylin, seguiti da Nerim e Lopin, il maggiordomo di Nalesean. I due trascinavano una grande cesta di vimini adatta per il cavallo. Juilin portava l’arco di Mat senza la corda e aveva la faretra in spalla. Tylin aveva detto che l’avrebbe fatto traslocare.
«Ho trovato questo sul tuo cuscino» disse Thom, tirandogli l’anello comprato non molto tempo prima. «Un regalo d’addio a quanto pare; c’erano dei nodi d’amore e qualche fiore sparsi su entrambi i cuscini.»
Mat s’infilò l’anello al dito. «È mio, che tu sia folgorato. L’ho pagato con i miei soldi.»
Il vecchio menestrello sì tirò un baffo e tossì, nell’inutile tentativo di nascondere un sorriso. Juilin si tolse quel ridicolo cappello tarabonese e si concentrò a studiarne l’interno.
«Sangue e maledette...» Mat sospiro. «Spero che voi due abbiate avuto un momento per riordinare anche le vostre cose» disse. «Perché non appena trovo Olver ce ne andiamo, anche se ci lasceremo alle spalle un’arpa ammuffita o un rompispade arrugginito.» Juilin si stropicciò un occhio, qualsiasi cosa significasse, ma Thom aggrottò le sopracciglia. Gli insulti verso il flauto o l’arpa di Thom li considerava insulti contro la sua persona.
«Mio signore» fece Lopin penosamente. Era un uomo di carnagione scura, stempiato, più grasso di Sumeko, con una giubba nera nello stile di Tairen, stretta in vita, simile a quella di Juilin. Di solito appariva solenne quasi quanto Nerim, ma adesso aveva gli occhi rossi, come se avesse pianto. «Mio signore, c’è qualche possibilità che io possa rimanere per occuparmi della sepoltura di lord Nalesean? Era un buon padrone.»
Mat odiava dire di no. «Chiunque venga lasciato indietro potrebbe restare via molto a lungo, Lopin» rispose gentilmente. «Ascolta, ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a vegliare su Olver. Nerim è troppo impegnato, e probabilmente, come tu sai, tornerà al servizio di Talmanes. Se ti va, ti prenderei con me.» Mat si era abituato ad avere un maggiordomo, e questi erano tempi duri per un uomo in cerca di lavoro.
«Mi piacerebbe molto, mio signore» rispose con un tono di voce lugubre. «Il giovane Olver mi ricorda tanto il figlio di mia sorella più giovane.»
Quando però rientrarono nelle stanze di Mat, lady Riselle era presente, molto più coperta dell’ultima volta che l’aveva vista, ma sola.
«Perché avrei dovuto tenerlo con me?» rispose, con quel seno assolutamente meraviglioso che si sollevava quando respirava, mentre poneva le mani sui fianchi. Era evidente che il giocattolo della regina non poteva permettersi di assumere un tono di voce severo con le sue dame di compagnia. «Se tagli troppo corte le ali di un ragazzo, non diventerà mai un vero uomo. Ha letto ad alta voce, seduto vicino a me, se glielo avessi permesso avrebbe letto tutto il giorno; e ha fatto rutti i compiti, per cui l’ho lasciato andare. Perché sei tanto annoiato? Ha promesso di ritornare al tramonto e sembra voler mantenere le promesse.»
Dopo aver appoggiato l’ashandarei in un angolo, Mat disse agli uomini di lasciare il proprio bagaglio e di andare alla ricerca di Vanin e delle rimanenti Braccia Rosse. Smise di osservare, con rammarico, lo spettacolare seno di Riselle e corse alle camere di Nynaeve e delle altre donne. Erano tutte presenti, riunite nel soggiorno, compresa Lan, con il mantello da Custode sulle spalle e le bisacce da sella pronte, anche quelle di Nynaeve. Sul pavimento erano disposti altri fagotti di vestiti e ceste di dimensioni notevoli. Mat si chiese se sarebbero riusciti a trasportarli a Lan.
«Ovvio che devi andare a cercarlo, Mat Cauthon» disse Nynaeve. «Pensi che saremmo capaci di abbandonare un bambino?» Sembrava indicargli quanto Mat aveva intenzione di fare.
Mat fu subissato di colpo da offerte d’aiuto, non solo da Nynaeve ed Elayne che avevano proposto di rinviare la partenza per la fattoria, ma anche da Lan, Birgitte e Aviendha che si erano offerti di unirsi alle sue ricerche. Lan era freddo come la pietra e torvo come sempre, ma Birgitte e Aviendha...
«Mi si spezzerebbe il cuore se succedesse qualcosa a quel ragazzo» rispose Birgitte, e Aviendha aggiunse, con lo stesso calore: «Ho sempre sostenuto che non ti occupi di lui come si deve.»
Mat serrò i denti. Nelle strade delle città Olver avrebbe facilmente eluso otto uomini fino a quando non si fosse fatto vivo a palazzo al tramonto. Manteneva le sue promesse, ma la possibilità che rinunciasse a un momento di libertà, se proprio non fosse stato costretto, era minima. Più persone significavano una ricerca più rapida, soprattutto se avesse coinvolto tutte le Donne Sapienti. Mat esitò. Anche lui aveva delle promesse da mantenere, benché non fosse molto saggio farlo presente.
«La Scodella è troppo importante» rispose alla fine. «Quel Gholam si trova ancora là fuori e forse anche Moghedien, per non parlare dell’Ajah Nera.» I dadi rotolavano nella mente di Mat. Ad Aviendha non sarebbe piaciuto essere lasciata con Nynaeve ed Elayne, ma in quel momento a lui davvero non importava. Quindi si rivolse a Lan e Birgitte. «Tenetele al sicuro fino a quando non sarò in grado di raggiungervi. Tenetele tutte al sicuro.»
Con sua sorpresa, Aviendha rispose: «Lo faremo, lo prometto.» Toccò l’elsa del pugnale. Era evidente, non aveva capito che anche lei faceva parte di quel gruppo.
Nynaeve ed Elayne invece capirono. Nynaeve cercò di fulminarlo con uno sguardo torvo; Mat si aspettava di vederla tirare la treccia, ma stranamente fece solo il gesto di afferrarla, prima di riportare la mano lungo i fianchi. Elayne sollevò il mento, lo sguardo gelido. Niente fossette, stavolta.
Anche Lan e Birgitte avevano capito.
«Nynaeve è la mia vita» rispose semplicemente Lan, mettendole una mano sulla spalla. Stranamente, Nynaeve sembrò rattristarsi, poi serrò di colpo la mandibola, furiosa.
Birgitte rivolse a Elayne uno sguardo affettuoso, ma poi si rivolse a Mat. «Lo farò» rispose. «Verità d’onore.»
Mat, a disagio, si toccò la giubba. Non era ancora sicuro di quanto le avesse confidato da ubriaco. Luce, quella donna assorbiva il vino come la sabbia asciutta. Anche così, rispose in maniera consona per un lord del Barashandan, enfatizzando la sua promessa. «L’onore del sangue, la verità del sangue.» Birgitte annuì. E, a giudicare dagli sguardi stupiti di Nynaeve ed Elayne, Birgitte manteneva ancora il suo segreto. Luce, se una qualsiasi delle Aes Sedai fosse venuta a conoscenza di quei fatti, allora avrebbe saputo che aveva anche suonato il Corno di Valere; medaglione o meno, l’avrebbero spremuto fino a quando non avesse confessato tutto.
Mentre Mat si girò per allontanarsi, ma Nynaeve lo prese per una manica. «Ricordati l’uragano, Mat. Presto esploderà, lo so. Prenditi cura di te stesso, Mat Cauthon. Mi hai sentita? Tylin sa come raggiungere la fattoria, chiedi a lei quando trovi Olver.»
Mat annuì e se ne andò, con i dadi che facevano eco ai suoi passi. Avrebbe dovuto prestare attenzione durante questa ricerca o mentre prendeva indicazioni da Tylin? Nynaeve e il suo ascoltare il vento. Credeva che un po’ di pioggia l’avrebbero fatto ammalare? A pensarci bene, una volta usata la Scodella dei Venti, avrebbe ripreso a piovere. Sembrava fossero trascorsi anni dall’ultima pioggia. Qualcosa gli sfiorò i pensieri, qualcosa riguardo al tempo ed Elayne, senza che avesse molto senso, ma poi si liberò di quel pensiero. Una cosa alla volta. Adesso doveva occuparsi di Olver.
Gli uomini aspettavano nella lunga sala delle Braccia Rosse vicino alle stalle, tutti in piedi tranne Vanin, sdraiato con le mani incrociate. Vanin sosteneva che un uomo doveva riposarsi ogni volta che poteva. Quando vide Mat, si mise a sedere. Anche lui voleva molto bene a Olver. Mat aveva solo paura che l’uomo gli avrebbe insegnato a rubare i cavalli e cacciare i fagiani di frodo. Sette paia di occhi si concentrarono attentamente su Mat.
«Riselle ha detto che Olver indossa la giubba rossa» disse. «Talvolta le regala, ma se doveste vedere un monellaccio con una nuova giubba rossa, con ogni probabilità avrete trovato Olver. Ognuno di voi cercherà in una direzione diversa. Iniziate a perlustrare partendo da Mol Hara e cercate di fare ritorno entro un’ora. Aspettate che siano tornati tutti prima di partire di nuovo. In questo modo, se qualcuno dovesse trovarlo, il resto di noi non continuerà le ricerche fino a domani. Tutto chiaro?» Gli uomini annuirono.
Talvolta Mat rimaneva stupito.
Il dinoccolato Thom, capelli bianchi e baffi lunghi, era stato l’amante di una regina, di sicuro molto più per volere di lei, per non dire che alla fine era stato più di un amante. Se si poteva credere alla metà delle cose che raccontava. Harnan, dalla mascella squadrata, con vari tatuaggi, compreso uno sulla guancia, era sempre stato un soldato. Juilin, con il suo bastone di bambù e lo spezzaspade al fianco, si riteneva allo stesso livello di un qualsiasi lord, anche se la sola idea di avere una spada lo metteva a disagio. Il grasso Vanin, al cui confronto Juilin sembrava un leccapiedi. Il magro Fergin e Gorderan, con le spalle larghe quasi quanto quelle di Perrin. Metwyn, con il volto pallido dei Cairhienesi che ricordava ancora quello di un ragazzo, anche se era molto più anziano di Mat. Alcuni lo seguivano perché pensavano fosse fortunato, perché forse la sua fortuna li avrebbe mantenuti in vita quando non sarebbe bastata la spada, e per altri motivi a lui sconosciuti, ma tutti lo seguivano fedelmente. Nemmeno Thom aveva mai protestato contro uno dei suoi ordini. Forse con Renaile si era trattato di qualcosa di più della fortuna. Forse essere ta’veren significava trovarsi sempre nel bel mezzo di qualche guaio. A un tratto Mat si sentì... responsabile... per questi uomini. Era una sensazione che lo metteva a disagio. Mat Cauthon e le responsabilità non viaggiavano di pari passo. Era innaturale.
«Siate cauti e guardate con attenzione» disse loro. «Sapete cosa si nasconde là fuori. C’è un uragano in arrivo.» Perché l’aveva detto? «Avanti. Stiamo sprecando le ore di luce.»
Il vento era ancora forte e faceva volare la polvere sulla piazza di Mol Hara, con le statue di regine morte da molti anni disposte intorno alla fontana, ma ancora non vi erano segni di uragano in arrivo. Nariene era stata famosa per la sua onestà, ma non abbastanza per non essere ritratta a seno nudo. Il sole pomeridiano era alto in un cielo senza nuvole, ma la gente correva nella piazza come aveva fatto durante il fresco mattino. Vento o no, il lastricato sotto ai piedi bruciava come fosse una graticola. Mat lanciò un’occhiata verso la Donna Errante, quindi si diresse verso il fiume. Olver non era mai uscito con i monelli di strada tanto spesso come quando stavano alla locanda. Gli piaceva troppo fare lo stupido con le cameriere di Setalle Anan e le sue figlie. Grazie ai dadi, aveva capito che era meglio stare a palazzo. Qualsiasi cosa avesse fatto da quando se n’era andato — qualsiasi cosa voleva fare, si corresse pensando a Tylin e i suoi occhi e alle sue mani — poteva essere fatta altrettanto bene anche da qui. Adesso i dadi vorticavano e lui desiderò che scomparissero.
Cercava di muoversi in fretta, schivando impazientemente i carri traballanti e i calessi, imprecando contro le portantine laccate e le carrozze che quasi lo travolgevano, lo sguardo attento alla ricerca di una giubba rossa, ma la confusione per strada lo costringeva a rallentare. Tutto sommato era un bene. Non aveva senso correre rischiando di non vedere il ragazzino. Pensò che forse sarebbe stato meglio portare Pips con sé facendolo uscire dalle stalle del palazzo, e poi guardò torvo la gente che gli passava a fianco. Un uomo a cavallo non sarebbe riuscito a muoversi più velocemente, ma dalla sella si riusciva a vedere in lontananza. Sarebbe stato difficile fare domande: erano in pochi a cavalcare in città e alcuni evitavano chiunque si trovasse in groppa a un cavallo.
Sempre la stessa domanda. La prima volta che l’aveva formulata era stato davanti a un ponte proprio sotto Mol Hara, rivolgendosi a un tizio che vendeva mele cotte nel miele da un vassoio appeso al collo. «Hai visto un ragazzino, alto circa così, con una giubba rossa?» A Olver piacevano i dolci.
«Un ragazzo, mio signore?» chiese il tizio, succhiando aria dai pochi denti rimasti. «Ne vedo a migliaia. Non mi ricordo nessuna giubba. Il mio signore gradirebbe una mela o due?» Ne prese due con le dita ossute è le porse a Mat: da come si schiacciarono, capì che erano più morbide di quanto si potesse ottenere da qualsiasi cottura. «Il mio signore ha sentito parlare del tumulto?»
«No» rispose Mat amareggiato e proseguì. Alla fine del ponte fermò una donna robusta che vendeva nastri. Olver era affascinato dai nastri, le sottovesti rosse spuntavano da sotto al vestito, cucite alte quasi fino al fianco sinistro, e la profondità della scollatura rivelava un seno simile a quello di Riselle. «Hai visto un ragazzino...»
Sentì parlare del tumulto anche da lei, nonché dalla metà della gente interpellata. Sospettava che quella voce fosse iniziata con gli eventi accaduti in una certa casa nel Rahad proprio quella mattina. La conducente di un carro con una lunga frusta intorno al collo gli aveva detto addirittura che il tumulto era iniziato sull’altra riva del fiume, dopo avergli spiegato che non notava mai i ragazzi a meno che non le corressero sotto ai muli. Un uomo con il volto squadrato che vendeva favi di ape — dall’aspetto incredibilmente secco — aveva detto che il tumulto era scoppiato vicino al faro, in fondo alla via della baia, dalla parte orientale dell’imbocco. Una delle donne più carine che avesse mai visto, in piedi davanti a una taverna — Maylin era una cameriera de La vecchia pecora, ma aveva il solo incarico di stare in piedi sulla soglia per attirare clienti, cosa che otteneva con successo — gli raccontò che c’era stata una battaglia quella mattina, sulle colline di Cordese a occidente della città, almeno così le sembrava. O forse sulle colline di Rhannoh, oltre la baia. O forse... Molto carina, Maylin, ma non molto sveglia. Olver l’avrebbe guardata per ore, fintanto che non avesse aperto bocca, ma lei non ricordava di aver visto un ragazzo con una... Qual era il colore della giubba? Mat aveva sentito parlare di rivolte e battaglie, sentì parlare di cose strane che volavano in cielo o che correvano sulle colline, tante da popolare la Macchia. Sentì dire che il Drago Rinato stava per scendere sulla città con mille uomini che potevano incanalare, che stavano arrivando gli Aiel, un esercito di Aes Sedai — no, era un esercito di Manti Bianchi; Pedron Niall era morto e i Figli intendevano vendicarlo, anche se non era ben chiaro perché proprio a Ebou Dar. Sembrava che la città fosse in preda al panico per tutte queste storie, ma anche coloro che raccontavano gli eventi vi credevano solo in parte. Per cui Mat sentì ogni sorta di storia incredibile, ma non una parola su un ragazzo con la giubba rossa.
Giunto a poche strade di distanza dal fiume, iniziò a sentire dei tuoni, rombi sordi che parevano arrivare dal mare. La gente guardava incuriosita il cielo terso, poi perplessa proseguiva con le normali occupazioni. Lui fece lo stesso, cercava di avere notizie dai venditori di dolci o frutta o dalle donne piacenti. Inutilmente. Raggiunto il lungo molo di pietra che costeggiava la riva del fiume, si fermò, osservando gli approdi grigi che si snodavano in acqua e le imbarcazioni ormeggiate. Il forte vento faceva urtare le imbarcazioni contro gli approdi di pietra, nonostante i sacchi di lana appesi sulle fiancate. A differenza dei cavalli, le imbarcazioni non interessavano Olver, tranne che come mezzo di trasporto e a Ebou Dar rappresentavano un affare maschile, anche se il carico poteva non esserlo. Le donne sui moli erano commercianti che tenevano d’occhio le loro merci o appartenevano alle diverse gilde degli scaricatori di porto, di sicuro non avrebbe trovato nessun venditore di dolci.
Quando stava per girarsi, si accorse che quasi nessuno si muoveva. Di solito i moli erano sempre in febbrile attività, eppure su ogni imbarcazione l’equipaggio era allineato sui parapetti o era arrampicato sugli alberi per scrutare la baia. Barili e ceste giacevano abbandonati, mentre uomini a torso nudo e donne magrissime con indosso grembiuli di pelle verde affollavano i moli per guardare verso sud, fra un imbarcazione e l’altra, da dove provenivano i tuoni. Da quella direzione si vedevano salire colonne di denso fumo nero che erano spinte verso nord per via del vento.
Mat esitò un attimo, quindi si diresse di corsa verso l’approdo più vicino. All’inizio le imbarcazioni ormeggiate a sud gli bloccarono la visuale, permettendogli di vedere solo del fumo. Per fortuna, data la conformazione della riva, ogni approdo si estendeva più del successivo e, una volta che fu riuscito ad aprirsi un varco fra la folla mormorante, l’ampio fiume gli offrì una discreta visuale sulle acque verdi e agitate della baia.
Vide una ventina d’imbarcazioni in fiamme proprio in mezzo alla baia, completamente divorate dalle fiamme. Alcuni incendi erano già stati spenti, lasciando solamente il ponte o la poppa sopra la superficie dell’acqua, mentre il resto affondava. Proprio mentre guardava, il ponte di un grosso due alberi su cui sventolava la grande bandiera rossa, blu e oro di Altara, si spezzò di colpo con un frastuono e un boato simile al tuono, e colonne di fumo si innalzarono a causa del vento mentre il veliero cominciava ad affondare. Tutte le navi presenti nella baia erano in movimento: i perlustratoli a tre alberi del Popolo del Mare e i rasentatori o i libranti a due alberi, imbarcazioni costiere con le vele triangolari, battelli fluviali che stavano issando le vele o che già veleggiavano, alcuni risalivano il fiume, ma la maggior parte cercava di conquistare il mare aperto. Altri tipi di imbarcazioni raggiunsero il porto prima che si sollevasse il forte vento, velieri con l’imponente ponte alto quanto uno dei perlustratori, in difficoltà contro le spumeggianti ondate. Mat rimase senza fiato nel riconoscere di colpo le vele squadrate a coste.
«Sangue e maledette ceneri» mormorò sconvolto. «Sono i maledetti Seanchan!»
«Chi?» chiese una donna dal volto severo che gli stava vicinissima. L’abito di fine lana blu, la cartella per i conti del carico di pelle che aveva sottobraccio, la spilla della gilda appuntata sul petto e una penna d’oca d’argento la identificava come mercante. «Si tratta di Aes Sedai» rispose convinta. «Riconosco qualcuno che incanala quando lo vedo. I Figli della Luce si occuperanno di loro non appena arriveranno. Vedrai.»
Una donna dinoccolata con i capelli grigi, che indossava un sudicio grembiule di pelle verde, si voltò per guardarla in faccia, con una mano sull’elsa di legno del proprio pugnale. «Non osare parlar male delle Aes Sedai, tu, dannata truffatrice, o ti spello viva e dopo ti infilo un Manto Bianco giù per l’esofago sanguinante!»
Mat le lasciò che agitavano le braccia e s’insultavano, facendo allontanare di corsa la folla. Vedeva già tre, no, quattro grosse creature che volavano sopra la città in direzione sud, con ali enormi simili a quelle di un pipistrello. In groppa a quelle creature erano distinguibili delle sagome umane, sedute su delle selle. Apparve un’altra creatura volante, poi altre ancora. Sotto di loro le fiamme sui tetti esplodevano d’improvviso e con gran fragore.
Adesso le persone fuggivano, spintonando Mat da tutte le parti. «Olver!» gridava, sperando di essere sentito nonostante tutto quel fracasso. «Olver!»
Ebbe l’impressione che tutti si dirigessero dalla parte opposta alla sua, strattonandolo, ma Mat, con grande ostinazione, continuava a farsi avanti, e finalmente imboccò una strada, dove vide con chiarezza da cosa stesse fuggendo tutta quella gente.
Una colonna di soldati Seanchan, oltre cento uomini con elmetti simili a teste di insetto e armature metalliche di lamine sovrapposte. Cavalcavano compatti, animali simili a gatti ma grossi come cavalli, coperti di squame color bronzo invece che pelliccia. Mentre si sporgevano in avanti sulle selle con le lance a righe blu protese, galoppavano decisi verso Mol Hara. Galoppare non era la parola adatta per come si muovevano quelle creature. Erano sì veloci, ma in realtà... fluivano. Era giunto il momento di andarsene. Non appena avesse trovato...
Mentre la coda della colonna di soldati lo oltrepassava, Mat fu colpito da un lampo di luce rossa proprio all’altezza della vita, fra la folla dietro l’incrocio. «Olver!» Mat scattò passando quasi sulla zampa dell’ultima creatura coperta di squame, spingendosi fra la folla giusto in tempo per vedere una donna prendere in braccio una ragazzina con un vestito rosso e correre via con la piccola stretta al seno. Mat continuò a correre a perdifiato, spintonando la gente. «Olver! Olver!»
Vide due colonne di fuoco salire dai tetti e volute di fumo in una dozzina di posti. Sentì diverse volte quei boati. Era certo che fossero in città e il terreno gli tremò sotto i piedi più di una volta.
Poi la strada fu di nuovo sgombra, la gente scappava in tutte le direzioni, nei vicoli, nelle case e nei negozi alla vista dei cavalieri Seanchan che si avvicinavano. Non tutti erano armati. Vicino alla testa del gruppo di lancieri a cavallo c’era una donna scura che indossava un abito blu. Mat aveva riconosciuto i larghi pannelli rossi applicati sulla gonna e sul corpetto, con i fulmini ricamati sopra. Un guinzaglio d’argento che risplendeva al sole andava dal polso sinistro di quella donna al collo di un’altra con un abito grigio una damane che trottava di fianco alla sua sul’dam, come un cagnolino. A Falme, Mat aveva visto più Seanchan di quanti avrebbe voluto, ma si fermò d’istinto all’imboccatura del vicolo per osservare. Il fragore e i fuochi dimostravano che qualcuno stava cercando comunque di combattere, e adesso avrebbe assistito di persona a un altro di quei tentativi.
I Seanchan non erano il solo motivo per cui la gente scappava. Dall’altro lato della strada era visibile un centinaio di uomini a cavallo con lunghe lance appuntite fra le mani. Indossavano brache bianche a sbuffo e giubbe verdi, i cordoni dorati sull’elmetto dell’ufficiale risplendevano al sole. Gridando all’unisono, quel centinaio di soldati di Tylin si scaraventò contro gli invasori della città. Superavano i Seanchan almeno del doppio.
«Maledetti stupidi» mormorò Mat. «Non in quel modo. La sul’dam vi...»
Il solo movimento fra i Seanchan fu quello della donna in abito blu con i riquadri dei fulmini, che sollevò una mano a indicare qualcosa, come se stesse rilasciando un falco da caccia o un segugio. La donna bionda dall’altro lato del guinzaglio fece un passo avanti. Il medaglione d’argento con la testa di volpe divenne gelido contro il petto di Mat.
La strada ribollì davanti alla carica degli Ebou Daresi, cavalli e uomini volarono in aria con un boato assordante. Il rimbombo fece cadere Mat in terra, o forse era il terreno dissestato. Si rialzò in tempo per vedere la parte anteriore di una locanda dall’altro lato della strada collassare in una nuvola di polvere, lasciando intravedere la struttura interna.
Ovunque vi erano corpi o parti di uomini e cavalli, quelli vivi erano in preda alle convulsioni vicino a una voragine apertasi nella strada. Le grida dei feriti riempivano l’aria. Meno della metà degli Ebou Daresi era ancora in piedi, barcollante, stupita e confusa. Alcuni avevano afferrato le redini di cavalli imbizzarriti cercando di rimontare in sella, spronando gli animali in qualcosa di simile al galoppo. Altri correvano. Tutti nella direzione opposta ai Seanchan. L’acciaio avrebbero potuto affrontarlo, questa situazione no.
Mat si rese conto che in quel momento correre era davvero un’ottima idea. Lanciò un’occhiata verso il fondo del vicolo e vide polvere e macerie accatastati quasi fino a raggiungere il primo piano delle abitazioni. Si lanciò nella strada dove correvano gli Ebou Daresi, mantenendosi il più vicino possibile alle mura, sperando che nessuno dei soldati Seanchan lo scambiasse per un membro dell’esercito di Tylin. Non avrebbe mai dovuto indossare una giubba verde.
Era evidente che la sul’dam non fosse soddisfatta. Il medaglione con la testa di volpe divenne di nuovo freddo e alle sue spalle sentì un nuovo boato che lo fece cadere a terra, con il pavimento che saltava in aria proprio dietro di lui. Sebbene udisse delle campanelle risuonargli nelle orecchie, ebbe la percezione delle mura pericolanti e vide che l’intonaco bianco e i mattoni cominciavano a cedere verso di lui.
«Che cosa è successo alla mia maledetta fortuna?» gridò. Ebbe il tempo di porsi quella domanda e anche di accorgersi, proprio mentre l’intonaco e i mattoni crollavano verso di lui, che i dadi avevano smesso di rotolare.