25 Trappola mentale

Moghedien non voleva fare lo stesso sogno ancora una volta, ma il desiderio di svegliarsi e gridare non serviva a nulla. Il sonno la teneva bloccata come una catena. L’iniziò passò in fretta, una specie di visione confusa. Nessuna pietà; avrebbe dovuto assistere al resto.

Riconobbe a malapena la donna che era entrata nella tenda dov’era tenuta prigioniera. Halima, la segretaria di una di quelle sciocche Aes Sedai. Stupide, eppure l’avevano incatenata senza via d’uscita e l’avevano costretta a obbedire. Movimento rapido, anche se lei pregava per la lentezza. La donna incanalò per fare luce e Moghedien vide solo quel bagliore. Doveva trattarsi di saidin — fra tutti i viventi solo i Prescelti sapevano come attingere al Vero Potere — il Potere che veniva direttamente dal Tenebroso — e pochi erano abbastanza stupidi da usarlo se non in caso di estremo bisogno. Ma era impossibile! Un’immagine sfocata si mosse rapida. La donna si presentò come Aran’gar e chiamò Moghedien per nome, le disse di presentarsi al Pozzo del Destino e le tolse l’a’dam, battendo appena le palpebre per un dolore che nessuna donna avrebbe provato. Di nuovo — quante volte l’aveva fatto? — Moghedien aprì un piccolo passaggio nella tenda. Usò il volo aleggiato per concedersi il tempo di pensare in quel buio infinito, ma non appena salì sulla piattaforma, simile a un balconcino di marmo completo di una confortevole sedia, arrivò davanti ai pendii neri di Shayol Ghul, nascosta per sempre alla luce, dove dalle aperture e dalle gallerie uscivano vapore, fumo e altri gas nocivi; e un Myrddraal le andò incontro, con la divisa nera come la morte, la pelle bianca come una larva e il volto privo di occhi, ma più alto, più grosso degli altri Mezzi Uomini. La guardò con molta arroganza e le disse il suo strano nome senza che lei glielo avesse chiesto, ordinandole di farsi avanti; nessun Myrddraal si comportava così con i Prescelti. Moghedien gridò nei recessi della propria mente perché il sogno procedeva ancora più in fretta, una nebbia invisibile, oltre ogni conoscenza, ma poi, mentre seguiva Shaidar Haran nell’entrata del Pozzo del Destino, tutto riprese a scorrere alla velocità normale, apparendo più reale del tel’aran’rhiod o del mondo stesso.

Dagli occhi di Moghedien scendevano lacrime, su guance che erano già umide. La donna si contorse sul pagliericcio duro agitando braccia e gambe in una lotta per svegliarsi disperata quanto inutile. Non era più consapevole di star sognando — tutto sembrava reale — ma i ricordi rimanevano e in quelle profondità l’istinto gridava e graffiava per fuggire.

Il tunnel scosceso le era ben familiare, con la volta coperta di stalattiti di pietra simili a zanne, le pareti che risplendevano di una luce pallida. Moghedien aveva fatto questo viaggio in discesa molte volte da quando, tanto tempo addietro, era andata per la prima volta a inchinarsi davanti al Sommo Signore dedicandogli la propria anima, ma mai come adesso, mai con il suo fallimento noto in tutta la sua grandezza. In passato era sempre riuscita a nascondere i propri insuccessi — anche al Sommo Signore. Molte volte. In quel posto potevano essere fatte cose che altrove erano impossibili. E ne potevano accadere di inimmaginabili.

Moghedien sussultò quando una di quelle zanne di pietra le sfiorò i capelli, poi si sforzò di riprendere il controllo. Le stalattiti non sfioravano nemmeno quello strano Myrddraal, anche se era assai più alto di lei, ma Moghedien era costretta a chinare il capo o aggirare quelle punte. La realtà era come argilla nelle mani del Sommo Signore, che spesso dimostrava il suo scontento in questo modo. Un dente di pietra la colpì a una spalla e Moghedien dovette piegarsi per passare sotto a un altro. Adesso il tunnel era così basso da non permetterle di stare dritta. Doveva inchinasi sempre di più, procedendo accovacciata davanti al Myrddraal, cercando di avvicinarsi. Il passo di quella creatura non cambiava mai, ma per quanto lei si affrettasse, la distanza fra loro due non diminuiva. Il soffitto si abbassava sempre più, le fauci del Sommo Signore che torturavano i traditori e gli stolti, e Moghedien dovette procedere carponi, poi strisciando sui gomiti e le ginocchia. La luce divampò e lampeggiò nel tunnel, a est dell’entrata del Pozzo del Destino, proprio davanti a lei, e Moghedien si stese sul ventre, trascinandosi con le mani e spingendo con i piedi. Le punte di pietra le penetravano la carne, impigliandosi nel vestito. Ormai ansimante, si dimenò per l’ultimo tratto con nelle orecchie il rumore della lana che si lacerava.

Si guardò alle spalle e fu scossa da brividi. Al posto del tunnel vide un solido muro di pietra. Forse il Sommo Signore aveva calcolato tutto al millesimo, e se lei fosse stata più lenta...

La roccia su cui si trovava Moghedien sporgeva sopra un lago rosso di roccia fusa striato di nero, dove fiamme grandi come uomini danzavano, morivano e riapparivano. La caverna saliva verso l’altro senza soffitto, fino a un cielo dove le nuvole, striate di rosso, giallo e nero, correvano folli come se fossero portate dal vento dei tempi. Non era il cielo tempestoso di Shayol Ghul. Nulla di tutto ciò catturò l’attenzione di Moghedien, e non solo perché l’aveva visto molte volte. Il Foro nella prigione del Sommo Signore non era più vicino che in qualsiasi altro posto al mondo, ma lì era percepibile, e lei poteva immergersi nella gloria radiosa del Sommo Signore. Il Vero Potere scorreva tutto intorno a lei, così forte che provare a incanalare l’avrebbe ridotta in cenere. Non che avesse intenzione di pagare quel prezzo.

Iniziò a mettersi in ginocchio e qualcosa la colpì fra le scapole, spingendola di nuovo faccia a terra sulla sporgenza di pietra e facendole uscire tutta l’aria dai polmoni. Stordita, si affannò nel tentativo di respirare, quindi si guardò alle spalle. Il Myrddraal teneva un piede fermamente piantato nella sua schiena. Moghedien fu sul punto di abbracciare saidar, ma incanalare senza permesso in quel luogo era un ottimo modo per morire. L’arroganza mostrata nel tunnel era un conto, ma questo!

«Sai chi sono?» chiese al Myrddraal. «Io sono Moghedien!» Quello sguardo senza occhi la osservava come se fosse un insetto; aveva visto spesso i Myrddraal guardare gli umani a quel modo.

MOGHEDIEN. La voce nella sua testa azzerò tutti i pensieri sul Myrddraal. Azzerò quasi ogni pensiero. Davanti a tutto ciò, qualsiasi abbraccio di amante era una goccia d’acqua paragonata all’oceano. QUANTO È GRANDE IL TUO FALLIMENTO, MOGHEDIEN? I PRESCELTI SONO SEMPRE I PIÙ FORTI, MA TU TI SEI LASCIATA CATTURARE. HAI INSEGNATO NUOVE COSE ALLE MIE NEMICHE, MOGHEDIEN.

Battendo le palpebre, Moghedien si sforzò di trovare qualcosa da dire. «Sommo Signore, ho insegnato loro solo delle sciocchezze, e le ho combattute come ho potuto. Ho mostrato a quelle donne un possibile modo per scoprire un uomo che incanala.» Moghedien riuscì a ridere. «Esercitandosi per impararlo hanno avuto delle emicranie tali che non potevano incanalare per ore.» Silenzio. Forse era un bene. Quelle stolte avevano rinunciato ad apprendere quel trucco molto tempo prima che lei venisse liberata, ma il Sommo Signore non aveva bisogno di saperlo. «Sommo Signore, sai come ti ho servito. Io servo nell’ombra, e i tuoi nemici non sentono mai il mio morso se non quando il veleno è già entrato in azione.» Moghedien non osava dire di essersi lasciata catturare di proposito, ma almeno poteva suggerirlo. «Sommo Signore, sai quanti dei tuoi nemici ho abbattuto durante la Guerra del Potere. E l’ho fatto rimanendo invisibile nell’ombra. E se anche mi vedevano, mi ignoravano poiché non credevano potessi rappresentare una minaccia.» Silenzio. Poi...

I PRESCELTI SONO SEMPRE I PIÙ FORTI. LA MIA MANO SI MUOVE.

La voce che le rimbombava nel cranio le ridusse le ossa in miele fuso e il cervello in fiamme. Il Myrddraal le stringeva il mento con una mano, costringendola a tenere la testa in su prima che la vista le si schiarisse abbastanza da poter vedere il pugnale che aveva nell’altra mano. Tutti i suoi sogni sarebbero finiti lì con la gola tagliata, e il suo corpo sarebbe diventato cibo per i Trolloc. Forse Shaidar Haran avrebbe riservato a sé stesso il pezzo migliore. Forse...

No. Sapeva che sarebbe morta, ma quel Myrddraal non avrebbe mangiato un solo pezzo del suo corpo! Si preparò ad abbracciare saidar e sgranò gli occhi. Non c’era nulla. Nulla! Era come se fosse stata tagliata dalla Fonte! Sapeva che non era vero — si diceva che la lacerazione era il dolore più profondo che si potesse sperimentare, impossibile da attenuare — ma...

In quei momenti di stupore, il Myrddraal la costrinse ad aprire la bocca, le passò la lama sulla lingua e poi le punse un orecchio. Quando la creatura si rialzò con il suo sangue e la sua saliva sulla lama, Moghedien aveva capito, anche prima che si materializzasse quella che sembrava una fragile gabbia con le sbarre d’oro e cristallo. Alcune cose potevano essere fatte solo in quel luogo, e in certi casi solo a chi era in grado di incanalare; lei stessa aveva portato lì uomini e donne a quello scopo.

«No» mormorò. Non riusciva a distogliere gli occhi dal cour’souvra. «No. Non io! NON IO!»

Ignorandola, Shaidar Haran passò i fluidi dal pugnale nel cour’souvra. Il cristallo divenne rosa pallido. Il primo passo. Con uno scatto del polso, il Myrddraal lanciò la trappola mentale sopra il lago di pietra fusa. La gabbia di cristallo e oro disegnò un arco in aria e si bloccò all’improvviso, galleggiando in sospensione proprio nel punto in cui sembrava ci fosse il Foro, il punto in cui il Disegno era più sottile che altrove.

Moghedien dimenticò il Myrddraal e allungò una mano verso il Foro. «Pietà, Sommo Signore!» Sapeva che il Sommo Signore delle Tenebre non possedeva alcuna pietà, ma se fosse stata legata in una cella con dei lupi rabbiosi o con un darath nel periodo della muta, avrebbe implorato lo stesso. In alcuni momenti si implorava pietà anche quando si sapeva che era impossibile riceverne. Il cour’souvra era sospeso a mezz’aria e volteggiava lentamente, brillando alla luce delle fiamme del lago. «Ti ho servito con tutto il cuore, Sommo Signore. Ti imploro pietà. Ti imploro! PIETA!»

POTRAI ANCORA SERVIRMI.

La voce la gettò in un’estasi incontrollabile, ma nello stesso istante la trappola mentale avvampò come il sole e nel pieno della beatitudine Moghedien conobbe il dolore che avrebbe provato immergendosi in quel lago incandescente. Gridò in preda alle convulsioni contorcendosi in un’agonia infinita, un dolore folle che superava tutte le Epoche. Poi non rimase nulla se non il ricordo della sofferenza, e la modesta pietà dell’oscurità la sopraffece.

Moghedien si agitò sul pagliericcio. Non di nuovo. Ti prego.

Riconobbe a malapena la donna che era entrata nella tenda dov’era tenuta prigioniera.

Ti prego, gridò Moghedien nei recessi della sua mente. La donna incanalò per fare luce e Moghedien vide solo quel bagliore.

Immersa in un sonno profondo, tremò dalla testa ai piedi. Ti prego!

La donna si presentò come Aran’gar e chiamò Moghedien per nome, le disse di presentarsi al Pozzo del Destino e...

«Svegliati, donna» ordinò una voce che ricordava lo sgretolarsi di ossa decomposte, e gli occhi di Moghedien si spalancarono. Avrebbe quasi preferito continuare a sognare.

Non c’erano porte né finestre a interrompere il profilo delle pareti di pietra della sua piccola prigione, e non c’erano nemmeno globi luminosi o lampade, ma da qualche parte proveniva una luce. Non ricordava da quanti giorni si trovava in quel posto, sapeva solo che a intervalli irregolari appariva del cibo insapore, che l’unico secchio che usava per i suoi bisogni veniva svuotato con sempre minore regolarità e che di tanto in tanto le venivano lasciati un po’ di sapone e un secchio d’acqua per lavarsi. Non era certa che fosse un atto di pietà; la gioia di vedere l’acqua le ricordava quanto fosse scesa in basso. Shaidar Haran adesso era nella cella con lei.

Moghedien si alzò velocemente dal pagliericcio, si inginocchiò e appoggiò la fronte sul pavimento di pietra. Aveva sempre fatto ciò che era necessario per sopravvivere, e il Myrddraal era stato fin troppo contento di insegnarle ciò che voleva da lei. «Ti riverisco ardentemente, Mia’cova.» Quel titolo le bruciò sulla lingua. Significava ‘colui che mi possiede’ o semplicemente ‘mio padrone’. Non percepiva lo strano schermo che Shaidar Haran usava su di lei — i Myrddraal non ne erano capaci, ma questo l’aveva fatto —, eppure Moghedien non pensò neppure di incanalare. Il Vero Potere le era ovviamente negato, poteva essere usato solo con la benedizione del Sommo Signore, ma la Fonte la tormentava, anche se il bagliore sembrava in qualche modo strano. Eppure lei non prese neppure in considerazione l’idea di attingervi. Ogni volta che il Myrddraal andava da lei, le mostrava la trappola mentale. Incanalare troppo vicino al proprio cour’souvra era estremamente doloroso, e più si era vicini più forte era il dolore. A quella distanza, non pensava che sarebbe sopravvissuta a un semplice tocco della Fonte, e quello era il minore dei pericoli della trappola mentale.

Shaidar Haran rise, il suono della pelle secca che si sgretola. Anche in questo era diverso dai suoi simili. Molto più crudeli dei Trolloc, che erano solo sanguinari, i Myrddraal erano freddi e imparziali. Shaidar Haran mostrava spesso di divertirsi. Moghedien si considerava fortunata per avere solo qualche livido. La maggior parte delle donne sarebbe stata sull’orlo della follia ormai, se non oltre.

«E sei impaziente di obbedire?» chiese quella voce graffiante.

«Sì, sono impaziente di obbedire, Mia’cova.» Avrebbe detto e fatto qualsiasi cosa fosse necessaria per sopravvivere, ma sussultò lo stesso quando quelle dita fredde le si infilarono di colpo fra i capelli. Cercò di allungarsi il più possibile ma quella creatura la tirò comunque più su. Almeno stavolta i piedi rimasero sul pavimento. Il Myrddraal la studiò, privo di espressione. Memore delle visite passate, Moghedien si costrinse a non arretrare, a non gridare, a rinunciare persino al disperato tentativo di attingere a saidar e farla finita.

«Chiudi gli occhi,» le disse il Myrddraal «e tienili chiusi fino a quando non ti sarà ordinato di aprirli.»

Moghedien obbedì immediatamente. Una delle prime lezioni di Shaidar Haran era stata sull’obbedienza, e poi con gli occhi chiusi poteva fingere di trovarsi da qualche altra parte. Qualsiasi cosa fosse necessaria.

A un tratto la mano che le stringeva i capelli la spinse in avanti e lei gridò pur non volendo. Il Myrddraal aveva intenzione di sbatterla contro la parete. Moghedien protese le mani per proteggersi e Shaidar Haran la rilasciò. La donna barcollò per almeno dieci passi, ma la cella non era così grande. Fumo di legna, percepiva un vago odore di fumo di legna. Mantenne comunque gli occhi fermamente chiusi. Aveva intenzione di continuare ad avere solo dei lividi, e il meno possibile.

«Adesso puoi guardare.» La voce proveniva da un giovane alto e con le spalle larghe, stivali e giubba neri e una camicia bianca svolazzante in parte slacciata, che la guardava con incredibili occhi azzurri da una poltrona imbottita sistemata davanti a un camino di marmo, dove le fiamme danzavano sui ceppi di legno. Moghedien era in una stanza con dei pannelli di legno che avrebbe potuto appartenere a un mercante ricco o a un esponente della piccola nobiltà; i mobili avevano dorature e intagli, i tappeti erano rosso e oro con motivi intricati. Non dubitava di trovarsi nelle vicinanze di Shayol Ghul: quel luogo non emanava la sensazione di tel’aran’rhiod, la sola altra possibilità. Si girò velocemente e sospirò. Il Myrddraal non era in vista, da nessuna parte. Le sembrò di essere liberata dalla morsa di forti legacci in cuande.

«Ti sei goduta il tempo che hai trascorso nel vacuolo?»

Moghedien sentì dita gelate affondarle fra i capelli. Lei non era una ricercatrice o una fabbricante, ma conosceva quella parola. Non pensò nemmeno per un istante di chiedere come un uomo tanto giovane potesse saperne il significato. Talvolta nel Disegno si creavano delle bolle, anche se qualcuno, come Mesaana, avrebbe detto che era una spiegazione troppo semplice. Si poteva entrare nei vacuoli, se si sapeva come, e potevano essere manipolati come il resto del mondo — i ricercatori avevano spesso fatto esperimenti enormi nei vacuoli, lo ricordava appena —, ma erano fuori dal Disegno e talvolta si chiudevano o si rompevano e andavano alla deriva. Nemmeno Mesaana era in grado di dire che cosa accadesse — ma qualsiasi cosa contenessero, in quel momento era perduta per sempre.

«Quanto tempo?» Fu sorpresa di sentire che la sua voce era ferma. Girò intorno al giovane che rimase lì seduto a mostrarle i denti bianchi. «Ho detto quanto? O forse non lo sai?»

«Ti ho vista arrivare...» l’uomo fece una pausa, sollevando un boccale d’argento dal tavolo vicino alla poltrona, e la guardò da sopra il bordo con occhi maliziosi «...l’altro ieri sera.»

Moghedien non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo. Il solo motivo per cui qualcuno poteva voler entrare in un vacuolo era che il tempo trascorreva in maniera diversa, talvolta era più lento, talvolta più veloce. Altre volte molto più veloce. Moghedien non sarebbe stata sorpresa di scoprire che il Sommo Signore l’aveva davvero imprigionata per cento anni o mille, "per farla poi riemergere in un mondo che era già suo e costringerla a nutrirsi di carogne mentre gli altri Prescelti erano ai posti di comando. Lei era ancora una dei Prescelti, almeno nella sua mente, fino a quando il Sommo Signore in persona avesse detto che non era più così. Da quel che ne sapeva, nessuno si era mai liberato da una trappola mentale, ma lei avrebbe trovato il sistema. Esisteva sempre per quelli che erano cauti, mentre alcuni fra i caduti chiamavano codardia la cautela. Lei stessa aveva scortato alcuni di quei cosiddetti coraggiosi a Shayol Ghul, per essere associati a un cour’souvra.

A un tratto le venne in mente che l’individuo di fronte a lei sapeva molte cose per essere un semplice Amico delle Tenebre, e oltretutto così giovane. L’uomo mise una gamba sul bracciolo della poltrona, seduto in modo così scomposto da essere indecente. Graendal forse se lo sarebbe preso se avesse capito che ricopriva una posizione di potere; solo il mento un po’ troppo prominente rovinava la sua bellezza. Moghedien non credeva di aver mai visto occhi così azzurri. Con l’insolenza di quest’uomo e tutto quello che aveva dovuto sopportare da Shaidar Haran ancora fresco nella memoria, con la Fonte che la chiamava e il Myrddraal che era andato via, Moghedien prese seriamente in considerazione l’idea di dare una lezione a quel giovane Amico delle Tenebre. Il vestito sudicio che sapeva di indossare peggiorava il tutto; Moghedien emanava un leggero profumo grazie all’acqua che le avevano portato per lavarsi, ma non aveva avuto modo di polire il vestito di lana grezza con il quale era fuggita da Egwene al’Vere, vestito che ora mostrava anche gli strappi subiti nella galleria nel Pozzo del Destino. Alla fine prevalse la prudenza, la stanza doveva essere vicina a Shayol Ghul. Ma trattenersi le costò un grande sforzo.

«Come ti chiami?» chiese Moghedien. «Hai la minima idea di chi sono io?»

«Sì, Moghedien. Puoi chiamarmi Moridin.»

Moghedien rimase a bocca aperta. Non per quel nome, qualsiasi idiota poteva farsi chiamare col termine che nella lingua antica significava morte. Ma una piccolissima macchia nera, a malapena visibile, fluttuò davanti a uno di quegli occhi azzurri e poi davanti all’altro, seguendo la stessa linea. Questo Moridin aveva attinto dal Vero Potere, e più di una volta. Assai più di una volta. Moghedien sapeva che erano sopravvissuti altri uomini capaci di incanalare oltre ad al’Thor — e il giovane nella stanza era grosso quanto lui — ma non si sarebbe mai aspettata che il Sommo Signore concedesse a uno di loro questo particolare onore. Un onore con effetti collaterali, come sapevano bene tutti i Prescelti. Col tempo, il Vero Potere creava molta più dipendenza dell’Unico Potere; una volontà forte poteva tenere a bada il desiderio di attingere più saidar o saidin, ma lei personalmente non credeva che esistesse una mente così salda da resistere al Vero Potere, non quando ormai il saa appariva negli occhi. Il prezzo finale era diverso, ma non meno terribile.

«Ti è stata data una possibilità più grande di quanto credi» gli disse Moghedien. Come se il suo vestito fosse dello streith più bello, si accomodò sulla poltrona di fronte a Moridin. «Dammi un po’ di quel vino e ti spiegherò di che si tratta. Solo altre ventinove persone hanno avuto questo tuo dono...»

Con sua sorpresa, l’uomo si mise a ridere. «Tu hai capito male, Moghedien. Sei ancora al servizio del Sommo Signore, ma non come lo eri una volta. Il tempo dei tuoi giochi è passato. Se non fossi riuscita per caso a combinare qualcosa di buono, ormai saresti morta.»

«Io sono una dei Prescelti, ragazzo» rispose Moghedien, con la furia che cominciava a incendiare la cautela. La donna si alzò, pronta ad affrontare quel giovane con tutta la sapienza delle Epoche trascorse. In molti degli aspetti riguardanti l’uso dell’Unico Potere, era ancora insuperata. Stava quasi per abbracciare la Fonte, incurante di quanto fosse vicina Shayol Ghul. «Con ogni probabilità, tua madre ha usato fino a qualche giorno fa il mio nome per spaventarti, ma sappi che al solo sentirlo hanno sudato anche alcuni uomini adulti che potrebbero schiacciarti come una mosca. Con me dovrai tenere a freno la lingua!»

L’uomo infilò una mano nella scollatura della propria camicia e la lingua di Moghedien rimase attaccata al palato. Fissò gli occhi sulla gabbietta d’oro e cristallo rosso sangue appesa a una cordicella che l’uomo aveva estratto. Per un momento le sembrò che ne avesse immediatamente nascosta una identica, ma aveva occhi solo per la propria. Era davvero la sua. L’uomo la sfiorò con il pollice e lei sentì quella carezza sfiorarle la mente e l’anima. Spezzare una trappola mentale non richiedeva molta più pressione di quella che Moridin stava esercitando in quel momento. Moghedien avrebbe potuto trovarsi dall’altro lato del mondo e la cosa non avrebbe fatto alcuna differenza. Sarebbe stata separata dalla sua stessa essenza. Avrebbe ancora visto con i suoi occhi e sentito con le sue orecchie, assaporato ciò che mangiava e percepito ciò che toccava, ma sarebbe stata inerme come un automa, obbedendo a chiunque avesse il cour’souvra. Che vi fosse o meno un sistema per liberarsene, una trappola mentale era esattamente ciò che il nome implicava. Moghedien sentì il sangue defluirle dal viso.

«Adesso capisci?» disse l’uomo. «Servi ancora il Sommo Signore, ma adesso lo servi facendo quello che dico io.»

«Capisco, Mia’cova» rispose Moghedien senza riflettere.

L’uomo rise di nuovo, un suono profondo e ricco che la derise mentre riponeva la trappola mentale dentro la camicia. «Non c’è bisogno che mi chiami a quel modo, adesso hai avuto la tua lezione. Io ti chiamerò Moghedien e tu mi chiamerai Moridin. Sei ancora una dei Prescelti. Chi potrebbe rimpiazzarti?»

«Certo, naturalmente, Moridin» rispose lei atona. Qualsiasi cosa dicesse quell’uomo, Moghedien sapeva di appartenergli.

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