Merana seguì subito Cadsuane, aveva un centinaio di domande da farle, ma la donna dai capelli grigi non era una alla quale si potesse mettere fretta. Decideva lei chi notare e quando. Anche Annoura era rimasta in silenzio. Le due seguirono la Sorella anziana lungo i corridoi del palazzo, su per rampe di scale, marmo lucidato per i primi piani, poi semplice pietra. Merana scambiò delle occhiate con l’altra Sorella Grigia e per un momento provò una fitta di angoscia. Non conosceva bene Annoura, ma vide che aveva lo sguardo duro di una ragazza che stava andando a visitare la maestra delle novizie, determinata a essere coraggiosa. Loro non erano novizie. Non erano bambine. Merana aprì la bocca e... la chiuse; intimidita dalla crocchia grigia davanti a lei con le lune, le stelle e i pesciolini che ciondolavano. Cadsuane era... Cadsuane.
Merana l’aveva incontrata una sola volta prima di allora, o meglio, l’aveva ascoltata mentre la redarguiva quando era una novizia. Erano venute Sorelle da ogni Ajah per vedere quella donna, piene di una riverenza che non potevano nascondere. Una volta Cadsuane Melaidhrin era stata la pietra di paragone per ogni nuova novizia. Fino all’arrivo di Elayne Trakand, nessuna aveva potuto eguagliare quel modello, tanto meno superarlo. Non c’era stata un’altra Aes Sedai come lei per almeno un millennio. Non si era mai sentito parlare del rifiuto di diventare Adunante, eppure si diceva che Cadsuane l’aveva rifiutato, e per almeno due volte. Si diceva anche che avesse rifiutato di essere eletta capo delle Verdi. E che una volta fosse svanita dalla Torre per dieci anni perché il Consiglio aveva deciso di eleggerla Amyrlin. Non che avesse trascorso a Tar Valon un solo giorno più di quanto fosse strettamente necessario. Alla Torre giungevano notizie su Cadsuane, storie da far rimanere le Sorelle a bocca aperta, avventure che facevano rabbrividire quelle che sognavano lo scialle. Sarebbe diventata una leggenda fra le Aes Sedai, se già non lo era.
Merana indossava lo scialle da più di venticinque anni quando Cadsuane annunciò il suo ritiro dal mondo. Già allora i capelli della donna erano tutti grigi, e le altre supponevano che fosse morta da molto tempo quando scoppiò la Guerra Aiel, venticinque anni dopo, ma a meno di tre mesi dall’inizio dei combattimenti la donna tornò a farsi vedere, accompagnata da due Custodi, uomini vecchi ma comunque duri come il ferro. Si diceva che Cadsuane avesse avuto più Custodi che scarpe in tutti quegli anni. Quando gli Aiel si ritirarono da Tar Valon, lei andò di nuovo in ritiro, ma alcune Sorelle sostenevano, abbastanza seriamente, che non sarebbe mai morta fino a quando nel mondo fosse rimasta anche una sola scintilla d’avventura.
Le tipiche chiacchiere insensate delle novizie, si disse Merana con fermezza. Anche noi prima o poi moriamo. Eppure Cadsuane era Cadsuane, e se non c’era anche lei fra le Sorelle apparse in città dopo che era stato preso al’Thor, allora il sole avrebbe cominciato a sorgere a ovest. Merana mosse le braccia per sistemarsi lo scialle e si accorse di averlo lasciato appeso in camera. Ridicolo. Non aveva bisogno di quell’oggetto per confermare la propria identità. Se solo fosse stata un’altra invece che Cadsuane...
Due Sapienti ferme alla confluenza di due corridoi le guardarono passare, occhi freddi e chiari su volti di pietra, sotto le fasce scure per i capelli. Edarra e Leyn. Entrambe potevano incanalare, ed erano anche abbastanza forti: avrebbero avuto una posizione elevata fra le Aes Sedai, se da ragazze si fossero recate alla Torre. Cadsuane proseguì quasi senza notare la disapprovazione delle selvatiche. Annoura invece se ne accorse, aggrottò le sopracciglia e borbottò, e le treccine dondolarono mentre scuoteva il capo. Merana rimase a testa bassa.
Sarebbe senza dubbio toccato a lei dover spiegare a Cadsuane il... compromesso... che era stato stipulato la sera precedente con le Sapienti, prima che lei e le altre venissero portate a palazzo. Annoura non lo sapeva — non faceva parte del loro gruppo — e Merana aveva poche speranze di trovare Rafela, Verin o qualsiasi altra Sorella che lei potesse in qualche modo indurre a fornire le dovute spiegazioni. Per certi versi, quel compromesso era la soluzione migliore date le circostanze, eppure aveva seri dubbi che Cadsuane l’avrebbe vista a quel modo. Sperava non spettasse a lei doverla convincerla. Avrebbe preferito versare il tè a quei maledetti uomini per un mese. Sarebbe stato meglio se non avesse parlato tanto liberamente con il giovane al’Thor. Sapere perché le aveva fatto servire il tè non rendeva meno cocente l’amarezza per essere stata esclusa da quelle conversazioni. Preferiva pensare di essere rimasta intrappolata in qualche mulinello del Disegno provocato dai ta’veren piuttosto che credere che gli occhi di un giovane, simili a gemme grigio-azzurre, l’avevano fatta balbettare dalla paura, ma in ogni caso aveva offerto a Rand al’Thor tutti i vantaggi su un vassoio d’argento. Desiderava...
I desideri erano per i bambini. Lei aveva portato avanti innumerevoli negoziati, molti dei quali avevano ottenuto i risultati sperati; aveva posto fine a tre guerre e ne aveva impedito almeno una ventina, affrontando re, regine e generali, raggiungendo un accordo. Eppure... Si promise che non si sarebbe lamentata mai più, non importa quante volte quell’uomo le avrebbe fatto fare la cameriera, se solo da dietro un angolo fosse apparsa Seonid, o Masuri, o Faeldrin o chiunque altra. Luce! Se avesse potuto battere le palpebre e scoprire che tutto, da quando avevano lasciato Salidar, era stato solo un brutto sogno.
Con sua sorpresa Cadsuane le portò subito nella stanzetta che Bera e Kiruna condividevano nelle viscere del palazzo. Dove vivevano i servitori. Una finestrella, in alto nella parete ma a livello della pavimentazione del cortile esterno, lasciava entrare qualche raggio di luce, ma la stanza sembrava scura. Mantelli, bisacce da sella e alcuni vestiti erano appesi a dei ganci che sporgevano dal muro crepato coperto di intonaco ingiallito. Le assi del pavimento di legno grezzo erano divise da profonde scanalature, anche se era stato fatto qualche tentativo di levigarle. In un angolo era sistemato un tavolino ammaccato e in quello opposto un lavabo altrettanto ammaccato, con una brocca e un bacile sbeccati. Merana guardò il piccolo letto. Non sembrava molto più stretto di quello che lei era costretta a condividere con Seonid e Masuri, in una stanza poco lontana. La loro era forse un po’ più grande, ma certo non era stata pensata per tre persone. Coiren e le altre ancora resistevano nell’accampamento degli Aiel e con ogni probabilità stavano molto meglio, pur essendo prigioniere.
Non c’erano né Kiruna né Bera, ma c’era Daigian, una donna formosa dalla pelle chiara che portava fra i capelli lunghi e neri una catenella d’argento, con una piccola pietra di luna che pendeva proprio in mezzo alla fronte. Il vestito scuro di taglio cairhienese era decorato da quattro strisce di colore che passavano sul corpetto, e lei aveva fatto aggiungere delle strisce anche alla gonna, bianca come la sua Ajah di appartenenza. Figlia minore di una casata poco importante, somigliava a un piccione gozzuto, secondo Merana. Quando entrò Cadsuane, Daigian si alzò solerte.
Nella stanza c’era una sola sedia, poco più di uno sgabello con una specie di schienale. Cadsuane la prese e sospirò. «Del tè, per favore. Due soli sorsi di quello che mi ha versato quel ragazzo e con la lingua potrei rifate le suole alle scarpe.»
Il bagliore di saidin circondò immediatamente Daigian, anche se non era intenso, e una teiera sbeccata si sollevò dal tavolo. Dei flussi di Fuoco riscaldarono l’acqua mentre prendeva una scatola di tè.
Visto che non aveva altra scelta, Merana si accomodò sul letto sistemandosi la gonna e cambiando posizione sul materasso pieno di bozzi mentre cercava di fare ordine mentale. Questa forse sarebbe stata la negoziazione più importante della sua vita. Dopo un momento Annoura si unì a lei, sedendosi sul bordo.
«Vista la tua presenza, Merana,» disse a un tratto Cadsuane «suppongo che le voci sul ragazzo che si è sottomesso a Elaida siano false. Cos’è quella faccia sorpresa, bambina? Pensi che non sia al corrente delle tue... associazioni?» Cadsuane diede a quell’ultima parola un’inflessione che la fece sembrare oscena come l’imprecazione di un soldato. «E tu, Annoura?»
«Io sono qui solo come consigliera di Berelain, anche se quella donna ha ignorato il mio consiglio di non venire qui.» La Tarabonese teneva alta la tazza, e la sua voce era sicura. Stava sprecando il suo tempo. Non avrebbe mai avuto successo a un tavolo di negoziazione se continuava a essere tanto trasparente. «Per il resto,» aggiunse con cautela «non ho ancora raggiunto alcuna decisione.»
«Una posizione saggia» mormorò Cadsuane, rivolgendo uno sguardo intenso a Merana. «Sembra che negli ultimi anni fin troppe Sorelle abbiano dimenticato di avere un cervello, o di poter essere discrete. Una volta le Aes Sedai raggiungevano le loro decisioni dopo attente riflessioni, pensando sempre prima al bene della Torre. Tieni sempre a mente cos’ha ottenuto quella Sanche immischiandosi con al’Thor, Annoura. Cammina troppo vicino al fuoco di una forgia e potresti ritrovarti con una brutta scottatura.»
Merana sollevò il mento cercando di arrecare di sciogliere la tensione al collo. Quando si accorse di quello che stava facendo, si bloccò. Quella donna non era molto più forte di lei. Non proprio. Era solo a un livello superiore rispetto a ogni altra Sorella. «Posso chiedere...» troppo deferente, ma fermarsi e ricominciare sarebbe stato peggio «...quali sono le tue intenzioni, Cadsuane?» Faceva fatica a mantenere una certa dignità. «Ovviamente ti sei... tenuta in disparte... almeno fino a ora. Perché hai deciso di... avvicinarti al giovane al’Thor in questo particolare momento? Sei stata... abbastanza priva di diplomazia con lui.»
«Tanto valeva che l’avessi schiaffeggiato» intervenne Annoura, e Merana arrossì. Fra loro due avrebbe dovuto essere Annoura a trovarsi in difficoltà con Cadsuane, e invece era lei quella che farfugliava.
Cadsuane scosse il capo come se le due le facessero pena. «Se vuoi vedere di che pasta è fatto un uomo, fai pressione su di lui in modo inaspettato. Quel ragazzo ha carattere, credo, ma sarà difficile da controllare.» Unì le mani quasi in preghiera e guardò il muro attraverso le dita. «Ha una rabbia in corpo che potrebbe incendiare il mondo, e la controlla appena. Se lo facciamo sbilanciare troppo... Al’Thor non è ancora duro come Logain Ablar o Mazrim Taim, ma temo sia cento volte più pericoloso.» Sentire quei tre nomi messi insieme fece incollare la lingua di Merana al palato.
«Hai visto sia Logain che Taim?» chiese Annoura stupita. «Taim è un seguace di al’Thor, almeno così ho sentito dire.» Merana deglutì, sollevata. Le voci sui Pozzi di Dumai ancora non si erano sparse, ma sarebbe accaduto.
«Anche io ho le orécchie, Annoura» rispose acida Cadsuane. «Benché preferirei non averle, visto ciò che ho sentito su quei due. Tutto il mio lavoro buttato al vento, tutto da rifare. Poi ci sono queste giubbe nere, questi Asha’man.» Prese una tazza da Daigian e la ringraziò con un sorriso caloroso. La Bianca dalle guance rotonde sembrava pronta a farle la riverenza, invece si ritirò in un angolo con le mani in grembo. Era stata novizia per molto tempo, anche Ammessa, più di chiunque altra potesse ricordare, e le era stato permesso di rimanere nella Torre e portare lo scialle per un pelo. Daigian era sempre umile con le altre Sorelle.
Cadsuane soffiò via il vapore dalla sua tazza e proseguì, come stessero facendo una gradevole conversazione. «È stato Logain, praticamente sulla mia soglia, che mi ha portata via dalle mie rose. Bah! Anche una baruffa alla fiera delle pecore sarebbe stata sufficiente a portarmi Via da quelle piante maledette dalla Luce. Se usi il Potere non c’è gusto, ma provate senza e vedrete crescere diecimila spine per ogni... Bah! Avevo pensato di prestare il giuramento da Cacciatrice, se il Consiglio dei Nove me l’avesse concesso. Be’, per qualche mese è stato divertente dare la caccia a Logain, ma una volta preso, scortarlo a Tar Valon era divertente come crescere le rose. Me ne sono andata un po’ in giro per vedere cosa potevo trovare, forse un nuovo Custode, anche se è un po’ tardi per questo, se voglio essere giusta nei confronti dell’uomo. Poi ho sentito parlare di Taim e me ne sono andata in Saldea il più in fretta possibile. Non c’è niente di più esaltante di un uomo in grado di incanalare.» La sua voce divenne di colpo dura, come lo sguardo. «Una di voi due è stata coinvolta in quella... bassezza... subito dopo la Guerra Aiel?»
Pur non volendo, Merana sussultò confusa. Gli occhi di Cadsuane sembravano il ceppo del boia. «Quale bassezza? Non so di cosa stai parlando.»
Lo sguardo d’accusa colpì Annoura con tale forza che la donna cadde quasi dal letto. «La Guerra Aiel?» rimase a bocca aperta cercando di riprendersi. «L’anno seguente l’ho trascorso lottando per fare in modo che la cosiddetta Grande Coalizione fosse più di un nome.»
Merana guardò Annoura con rinnovato interesse. Un discreto numero delle appartenenti all’Ajah Grigia erano andate di capitale in capitale nel futile tentativo di mantenere in piedi le alleanze che si erano formate contro gli Aiel, ma non aveva mai saputo che Annoura fosse una di loro. Se era vero, allora forse quella Sorella non era una cattiva negoziatrice. «Anche io» disse Merana. Dignità. Da quando era andata alla ricerca di al’Thor, non gliene era rimasta troppa, e quella che ancora aveva era troppo preziosa perché la sprecasse. Rese la voce calma e ferma. «Di quale bassezza parli, Cadsuane?»
La donna con i capelli grigi fece un gesto per accantonare la questione, come se non ne avesse mai parlato.
Merana si chiese per un momento se Cadsuane stesse dando i numeri. Non aveva mai sentito dire che potesse succedere a una Sorella, ma la maggior parte delle Aes Sedai si ritirava verso la fine del ciclo vitale, lontano dagli stratagemmi e le turbolenze che nessuno, se non una Sorella, conosceva. Molto spesso lontano da tutti. Chi poteva dire cosa le aspettava prima della fine? Un’occhiata a quello sguardo fermo e chiaro che la osservava da sopra la tazza le fece subito cambiare idea su un’eventuale demenza della donna. In ogni caso, una bassezza vecchia di vent’anni, qualsiasi cosa fosse stata, non poteva reggere il confronto con ciò che il mondo stava affrontando in quel momento, e Cadsuane non aveva ancora risposto alla sua domanda. Che cosa voleva fare? E perché adesso?
Prima che potesse rivolgerle di nuovo la domanda, la porta si aprì ed entrarono Bera e Kiruna insieme a Corele Hovian, una Gialla mascolina molto magra, con delle folte sopracciglia nere e una massa di capelli corvini che le conferivano un aspetto abbastanza selvaggio, nonostante vestisse bene e sembrasse sempre pronta per un ballo in campagna, con le maniche del vestito, il corpetto e i lati della gonna coperti di ricami. Non c’era quasi spazio per muoversi con tutte quelle donne in quella piccola stanza. Corele sembrava sempre divertita, qualsiasi cosa accadesse, ma adesso il suo sorriso era molto ampio, fra l’incredulo e il gioioso. Gli occhi di Kiruna saettarono nel suo volto pieno d’arroganza, mentre Bera pareva fumante, labbra tese e fronte increspata. Poi videro Cadsuane. Merana pensò che per loro doveva essere come trovarsi faccia a faccia con Alind Dyfelle, Sevlana Meseau o addirittura Mabriam en Shereed. Strabuzzarono entrambe gli occhi e Kiruna rimase a bocca aperta.
«Pensavo che fossi morta» sussurrò Bera.
Cadsuane tirò su con il naso, irritata. «Comincio a stancarmi di sentire sempre la stessa cosa. La prossima imbecille che ripeterà quella frase, strillerà per una settimana.» Annoura incominciò a guardarsi la punta dei piedi.
«Non indovinerete mai dove ho trovato queste due» disse Corele con il suo accento del Murandy. Si mise un dito sul naso, come sempre quando stava per fare una battuta. Le guance di Bera divennero rosse e quelle di Kiruna anche di più. «Bera sedeva mite come un topolino sotto gli occhi di una mezza dozzina di quelle selvatiche Aiel che mi hanno detto, sfacciate come non mai, che non poteva venire con me fino a quando Sorilea — quella terribile vecchiaccia farebbe venire gli incubi a chiunque — non avesse finito la sua conversazione privata con ‘l’altra’ apprendista. La nostra cara Kiruna.»
Adesso non erano solo le guance: Kiruna e Bera erano rosse fin sulla punta dei capelli, e tenevano il capo chino. Anche Daigian le fissava.
Merana si sentì meravigliosamente sollevata. Non toccava più a lei spiegare come le Sapienti avessero interpretato gli ordini di quello sventurato di al’Thor, secondo il quale le Sorelle dovevano obbedire a quelle donne. Non erano davvero apprendiste, non si trattava di lezioni. Cosa avrebbe potuto insegnare quel gruppo di selvatiche a un’Aes Sedai? Semplicemente alle Sapienti piaceva assegnare a tutte una posizione precisa. Bera e Kiruna avrebbero potuto raccontare quanto aveva riso al’Thor — riso! — dicendo che per lui non faceva alcuna differenza, si aspettava solo che fossero alunne ‘obbedienti’. Nessuna se la stava cavando troppo bene, Kiruna meno di tutte.
Tuttavia, Cadsuane non chiese spiegazioni. «Non mi aspettavo di trovare un granché qui,» disse asciutta «ma certo non questo secchio di immondizie. Fatemi capire se ho afferrato tutto bene: voi bambine che vi siete ribellate contro un’Amyrlin eletta legalmente adesso siete in qualche modo legate al giovane al’Thor, e visto che prendete ordini dalle Aiel, suppongo che li prendiate anche da lui.» Sbuffò disgustata come se avesse mangiato delle prugne marce. Scosse il capo e guardò nella tazza, quindi fissò di nuovo le due donne. «Be’, che importanza ha un tradimento in più o in meno? Il Consiglio può anche farvi camminare in ginocchio da qui fino a Tarmon Gai’don per penitenza, ma potrete essere decapitate una sola volta. E le altre, quelle all’accampamento Aiel? Tutte seguaci di Elaida, immagino. Anche loro sono diventate... apprendiste? A nessuna di noi è stato dato il permesso di avvicinarsi oltre la prima fila di tende. Queste Aiel non sembrano avere alcun amore per le Aes Sedai.»
«Non lo so, Cadsuane» rispose Kiruna, con il volto talmente rosso che sembrava stesse per prendere fuoco. «Ci hanno tenute separate.» Merana sgranò gli occhi. Mai prima di quel momento aveva sentito Kiruna parlare con voce deferente.
Bera sospirò. Stava già ben dritta, ma parve raddrizzarsi ancor di più per affrontare un compito ostile. «Elaida non è...» iniziò a dire con fervore.
«Elaida è troppo ambiziosa, da quanto ho capito» l’interruppe Cadsuane, sporgendosi verso Merana con tale prontezza che sia lei che Annoura balzarono indietro sul letto, anche se Cadsuane non le stava guardando. «Forse a causa sua la catastrofe è imminente, ma è pur sempre l’Amyrlin Seat, eletta dal Consiglio della Torre in accordo con le leggi della Torre.»
«Se Elaida è la legittima Amyrlin, perché non hai obbedito al suo ordine di fare ritorno alla Torre?» Tutto ciò che tradì la compostezza di Bera fu l’immobilità delle mani sul vestito. Solo sforzandosi di non usarle per stringere o lisciare il vestito poteva tenerle così ferme.
«Bene, per cui almeno una di voi ha un po’ di fegato.» Cadsuane rise sommessamente, ma gli occhi non erano affatto divertiti. Si appoggiò allo schienale e sorseggiò il tè. «Adesso sedetevi. Ho molte altre domande da farvi.»
Merana e Annoura si alzarono per offrire i loro posti sul letto, ma Kiruna rimase in piedi guardando Cadsuane con ansia, e Bera lanciò un’occhiata all’amica, quindi scosse il capo. Corele alzò gli occhi al cielo sorridendo, per motivi misteriosi, ma Cadsuane non sembrò notarlo.
«Metà delle voci che ho sentito in giro» continuò «parlano dei Reietti di nuovo liberi. Non sarebbe di certo una sorpresa, sommato a tutto il resto, ma avete prove, a favore o contro?»
Prima che fosse passato troppo tempo, Merana fu contenta di essere seduta. Ormai sapeva come doveva sentirsi il bucato sotto le mani delle lavandaie. Cadsuane fece tutte le domande che voleva, saltando da un argomento all’altro in modo imprevedibile. Corele rimase immobile e in silenzio, a parte sporadiche risatine o movimenti del capo, e Daigian non fece nemmeno quello. Merana ricevette il trattamento peggiore, con Bera e Kiruna, ma neanche Annoura fu risparmiata. Ogni volta che la consigliera di Berelain si rilassava, pensando di essere al sicuro, Cadsuane l’infilzava di nuovo.
Voleva sapere tutto, dall’autorità del ragazzo al’Thor sugli Aiel al perché una Maestra delle Onde del Popolo del Mare fosse in attesa sulla nave ancorata nel fiume, se Moiraine era davvero morta o se il ragazzo aveva davvero riscoperto il Talento di viaggiare, se Berelain era andata a letto con lui o se ne aveva l’intenzione. Cosa ne pensasse Cadsuane delle risposte era impossibile da stabilire, tranne una volta, quando le dissero che Alanna aveva legato al’Thor. La donna dai capelli grigi serrò le labbra e con lo sguardo avrebbe potuto perforare il muro, ma mentre tutte le altre si affrettavano a condividere il suo disgusto, Merana ricordò che Cadsuane aveva detto di volere un nuovo Custode.
Le risposte furono quasi tutte insoddisfacenti, ma dire che non si sapeva qualcosa non serviva a spegnere l’appetito di Cadsuane. La vecchia Aes Sedai voleva conoscere ogni minimo particolare, anche se l’interrogata era convinta di non sapere. Riuscirono a tenerle nascosto ben poco, e vennero allo scoperto alcune cose sorprendenti, molto sorprendenti, anche da Annoura, che aveva ricevuto lettere dettagliate da Berelain quasi dal primo giorno che la ragazza si era diretta a nord. Cadsuane pretendeva delle risposte ma non ne forniva nessuna, e per questo Merana cominciò a preoccuparsi. Vide le altre Sorelle diventare caparbie, mettersi sulla difensiva, a disagio, e si chiese se anche lei dava la stessa impressione.
«Cadsuane.» Doveva fare un ultimo sforzo. «Cadsuane, perché hai deciso di interessarti a lui solo ora?» Uno sguardo fermo incontrò il suo per un momento, poi la donna dai capelli grigi spostò l’attenzione su Bera e Kiruna.
«Per cui sono davvero riuscite a rapirlo proprio nel palazzo» osservò, porgendo la tazza vuota a Daigian perché la riempisse di nuovo. A nessun’altra era stato offerto da bere. L’espressione e il tono di Cadsuane erano così sereni che Merana aveva voglia di strapparsi i capelli. Al’Thor non sarebbe stato contento se avesse scoperto che Kiruna aveva rivelato il suo rapimento, anche se inavvertitamente. Cadsuane usava ogni errore per estorcere alle persone più di quanto volessero dire. Almeno i dettagli di com’era stato trattato non vennero a galla. Rand aveva reso ben chiaro quanto sarebbe stato scontento se ciò fosse accaduto. Merana ringraziò la Luce che la donna non si soffermasse troppo su un solo argomento.
«Sei sicura che fosse Taim? E tu sei sicura che quelle giubbe nere non sono arrivate a cavallo?» Bera rispose malvolentieri e Kiruna indispettita; ne erano certe; nessuna aveva visto gli Asha’man arrivare o andare via e il... buco che li aveva portati nel deserto poteva essere stato fatto da al’Thor. Risposta che non fu affatto soddisfacente.
«Pensate! Non siete più delle ragazzine stupide, o non dovreste esserlo. Bah! Dovete aver notato qualcosa.»
Merana si sentiva male. Lei e le altre avevano trascorso metà della notte discutendo sul loro giuramento prima di decidere che significava esattamente quello che avevano detto, senza vie d’uscita alle quali aggrapparsi. Alla fine anche Kiruna aveva ammesso che dovevano difendere e sostenere al’Thor oltre che obbedirgli, non era possibile non schierarsi. E il fatto che il giuramento le metteva contro Elaida e le altre Sorelle che le erano leali non preoccupava nessuna di loro. Almeno nessuna aveva ammesso di essere preoccupata. Già la scelta che avevano fatto era di per sé clamorosa, ma Merana si chiese se Bera o Kiruna ne comprendevano come lei le conseguenze. Forse avrebbero dovuto opporsi a un’Aes Sedai leggendaria, nonché a tutte le altre Sorelle che, come Corele e Daigian, avrebbero deciso di seguirla. Peggio ancora... Gli occhi di Cadsuane si posarono su di lei per un momento, senza far trapelare nulla e chiedendo tutto. Peggio ancora, Merana era sicura che Cadsuane fosse perfettamente consapevole di quella situazione.
Min stava correndo lungo i corridoi del palazzo, ignorando i saluti di una mezza dozzina di Fanciulle che conosceva, correva senza rispondere a nessuno, senza nemmeno pensare che si stava comportando da maleducata. Correre non era facile con gli stivali con il tacco alto. Quante sciocchezze facevano le donne per gli uomini! Certo non era stato Rand a chiederle di portare gli stivali con il tacco alto, ma la prima volta che li aveva indossati l’aveva fatto pensando a lui e l’aveva visto sorridere. Gli piacevano. Luce, cosa stava facendo, pensare agli stivali! Non avrebbe mai dovuto andare negli appartamenti di Colavaere. Tremò e, battendo le palpebre, cercò di mandare via le lacrime, quindi si mise a correre di nuovo.
Come sempre, alcune Fanciulle erano accovacciate davanti alle grandi porte dorate con il sole nascente. Gli shoufa erano drappeggiati sulle spalle e le lance appoggiate sulle ginocchia, eppure quelle ragazze non sembravano affatto spensierate. Erano leopardi, in attesa di una preda da uccidere. Di solito le Fanciulle la mettevano a disagio, anche se erano abbastanza amichevoli con lei. Quel giorno le avrebbe ignorate anche se fossero state velate.
«È di pessimo umore» l’avvisò Riallin, ma non cercò di fermarla. Min era una delle poche alle quale era permesso entrare nella stanza di Rand senza essere annunciata. Si sistemò la giubba e cercò di calmarsi. Non era sicura di sapere perché era andata da lui. Certo, Rand la faceva sentire al sicuro. Che sia folgorato! Non aveva mai avuto bisogno di nessuno per sentirsi al sicuro.
Non appena entrò nella stanza si fermò, sbalordita. Si chiuse la porta alle spalle con un gesto automatico. La sala era una baraonda. Alcuni pezzi di vetro erano ancora attaccati alle cornici degli specchi, ma la maggior parte era sparsa per terra. Il palco era capovolto, il trono ridotto a un mucchio di schegge dorate nel punto in cui era stato fracassato contro la parete. Una delle lampade di ferro dorato era stata piegata. Rand era su una delle sedie, in maniche di camicia, e fissava il soffitto con le braccia penzoloni e la testa all’indietro. Guardava nel vuoto. Era circondato da immagini e auree colorate che lampeggiavano e brillavano, identico in questo alle Aes Sedai. Min non aveva bisogno degli Illuminatori per vedere spettacoli di luce quando lui o le Aes Sedai erano nei paraggi. Rand non si mosse mentre lei gli si avvicinava. Sembrava che non la vedesse affatto. I pezzi di vetro si sgretolarono sotto i piedi della ragazza. Rand era davvero di pessimo umore.
Ciò nonostante, Min non aveva paura. Non di lui; non poteva nemmeno immaginare che Rand le potesse fare del male. I sentimenti che provava per lui erano sufficienti a cancellare i ricordi di ciò che aveva visto nella stanza di Colavaere. Min si era riconciliata da tempo col suo folle amore per quell’uomo. Non le importava di niente altro. Non le importava che lui fosse un semplice campagnolo, che fosse più giovane di lei, che era destinato a impazzire e morire, se non l’avesse ucciso prima qualcuno. Non mi importa nemmeno di doverlo condividere con altre, pensò, e capì quanto era forte il suo amore se riusciva a mentire persino a sé stessa. Si era costretta ad accettare quella situazione. Elayne aveva una parte di lui, come ce l’aveva anche quell’Aviendha che Min ancora non aveva incontrato. Bisogna convivere con ciò che non può essere cambiato, così le diceva sempre zia Jan. Ed era vero soprattutto nel caso di un uomo che le faceva dimenticare di avere un cervello. Luce, era sempre stata fiera del suo autocontrollo.
Min si fermò dietro una delle sedie, dove lo scettro del Drago era stato conficcato nello schienale di legno con tanta forza che la lama era spuntata dall’altro lato. Innamorata di un uomo che non sapeva di questo suo sentimento, che l’avrebbe mandata via se mai se ne fosse accorto. Un uomo che, Min ne era sicura, era innamorato di lei. E di Elayne. E di quella Aviendha. Si sforzò di non pensarci. Ciò che non poteva essere cambiato... Rand era innamorato di lei, e si rifiutava di ammetterlo. Pensava che solo perché Lews Therin Telamon aveva ucciso la donna che amava lui era destinato a fare lo stesso?
«Sono contento che tu sia venuta» disse a un tratto, sempre fissando il soffitto. «Sono rimasto qui seduto da solo. Da solo.» Rise amareggiato. «Herid Fel è morto.»
«No» sussurrò Min. «Era così dolce...» Le bruciavano gli occhi.
«È stato fatto a pezzi.» La voce di Rand era molto stanca. Molto vuota. «Idrien è svenuta quando lo ha trovato. È rimasta stesa in una specie di torpore per gran parte della notte, e quando alla fine si è alzata aveva quasi perso il senno. Una delle altre donne alla scuola le ha dato qualcosa per farla addormentare. Quando è venuta da me ha iniziato a piangere di nuovo e... Dev’essere stata opera della progenie dell’Ombra. Chi altri avrebbe potuto dilaniare quell’uomo?» Senza muovere la testa diede un pugno sul bracciolo della sedia così forte da rompere il legno. «Ma perché? Perché l’hanno ucciso? Che cosa avrebbe potuto dirmi?»
Min cercò di pensare. Si sforzò. Mastro Fel era un filosofo; lui e Rand parlavano di tutto, dal significato delle Profezie del Drago alla natura del buco nella prigione del Tenebroso. Il vecchio le lasciava prendere dei libri, testi affascinanti, soprattutto quando voleva capire di cosa parlavano. Era stato un filosofo. Adesso non le avrebbe mai più prestato un libro. Un uomo così gentile, immerso in un mondo di pensieri e sempre stupito quando notava qualcosa al di fuori di esso. Conservava un biglietto che aveva scritto a Rand. Aveva detto che lei era carina e che lo distraeva. Adesso era morto. Luce, ne aveva davvero abbastanza di morte.
«Non avrei dovuto dirtelo, non in questo modo.»
Min sobbalzò. Non aveva sentito Rand avvicinarsi. Le sfiorò le guance con la punta delle dita per asciugarle le lacrime. Min stava piangendo.
«Mi dispiace, Min» le disse sottovoce. «Non sono più una bella persona. Un uomo è morto per colpa mia e io non faccio altro che chiedermi perché lo hanno ucciso.»
Min gli gettò le. braccia al collo e gli affondò il viso nel petto. Non riusciva a smettere di piangere e tremare. «Sono andata negli appartamenti di Colavaere.» Le immagini vorticarono nella sua testa. Il soggiorno era vuoto e tutti i servitori spariti. La camera da letto. Non voleva ricordare, ma adesso che aveva cominciato non poteva fermare le parole. «Quando l’hai condannata all’esilio ho pensato che forse ci sarebbero stati dei cambiamenti nelle visioni che avevo avuto su di lei.» Colavaere aveva indossato quello che forse era il suo abito migliore, seta scura e lucente, con cascate di merletto di Sovarra color avorio molto delicato. «Ho pensato che forse per una volta le cose sarebbero andate diversamente. Tu sei ta’veren. Puoi cambiare il Disegno.» Colavaere aveva indossato una collana e un bracciale di smeraldi e granati, anelli con perle e rubini, di sicuro i suoi gioielli più preziosi, diamanti gialli fra i capelli, disposti in una discreta imitazione della corona di Cairhien. Il suo volto... «Lei era in camera da letto. Penzolava dal baldacchino.» Occhi fuori dalle orbite e la lingua penzolante, il volto livido e gonfio. Le dita dei piedi poco distanti dallo sgabello capovolto. Min pianse disperata contro il torace di Rand, che l’abbracciò lentamente e con gentilezza.
«Oh, Min, il tuo dono ti arreca più dolore che altro. Se potessi te lo toglierei, Min. Giuro.»
Rand si accorse di star tremando anche lui. Luce, si sforzava tanto di essere duro come l’acciaio, di diventare come pensava dovesse essere il Drago Rinato, ma soffriva ogni volta che qualcuno moriva a causa sua. Colavaere come Fel. Sanguinava per ognuno di loro, ma cercava di far finta di nulla.
«Baciami» mormorò Min. Quando Rand non si mosse, lo guardò. Lui batté le palpebre incerto, con gli occhi talvolta azzurri e talvolta grigi, come il cielo mattutino. «Non sto scherzando.» Quante volte l’aveva preso in giro, seduta in braccio a lui, baciandolo, chiamandolo pastore perché non osava dire il suo nome per paura che lui capisse quanto lo amava? Rand lo sopportava perché pensava che Min lo prendesse davvero in giro e avrebbe smesso se lui non avesse mostrato alcuna reazione.
Ah! Zia Jan e zia Rana dicevano sempre che non si doveva baciare un uomo a meno che non s’intendesse sposarlo, ma zia Miren sembrava conoscere meglio le cose del mondo. Lei le aveva detto che non avrebbe dovuto baciare un uomo con troppa leggerezza, perché gli uomini si innamoravano facilmente. «Ho freddo dentro, pastore. Colavaere, mastro Fel... Ho bisogno di sentire del calore. Ho bisogno... ti prego...»
La testa di Rand si stava piegando troppo lentamente. All’inizio fu il bacio di un fratello, gentile come acqua fresca, confortante, calmante. Poi si trasformò in qualcos’altro. Non calmante. Rand si ritirò di scatto cercando di allontanarsi da lei. «Min, non posso, non ho il diritto...»
Min lo afferrò per i capelli e attirò la bocca di Rand verso la sua. Dopo un momento lui smise di opporre resistenza. Min non avrebbe saputo dire se aveva iniziato lei a strappargli la camicia o il contrario, ma di una cosa era assolutamente certa: se Rand avesse osato fermarsi, sarebbe andata a prendere una delle lance di Riallin, tutte le lance, e lo avrebbe trafitto.
Mentre lasciava il palazzo del sole, Cadsuane studiò le selvatiche Aiel che incontrò, cercando di farlo senza dare troppo nell’occhio. Corele e Daigian la seguivano in silenzio; la conoscevano a sufficienza ormai da non disturbarla con le loro chiacchiere, cosa che non si poteva dire di quelle che si erano fermate qualche giorno nel piccolo palazzo di Arilyn prima che le mandasse via. Le selvatiche fissavano le Aes Sedai come se fossero cani randagi pieni di pulci e con delle piaghe purulente che lasciavano impronte di fango sul tappeto. Alcune persone guardavano le Aes Sedai con reverenza e adorazione, altre con paura e odio, ma prima d’ora Cadsuane non aveva mai incontrato il disgusto, nemmeno sui volti dei Manti Bianchi. In ogni caso, chiunque fosse in grado di produrre così tante selvatiche stava di certo inviando un fiume di ragazze verso la Torre.
Prima o poi se ne sarebbe occupata, e che le usanze se ne andassero nel Pozzo del Destino se era necessario. Ma non ora. Bisognava che il giovane al’Thor fosse abbastanza impegnato da permetterle di avvicinarlo e abbastanza incerto sul da farsi da poterlo spingere dove voleva lei senza che se ne accorgesse. In un modo o nell’altro, qualsiasi cosa potesse interferire con le sue azioni doveva essere controllata e soppressa. Non poteva permettere che nulla lo influenzasse, turbasse o dirigesse nella direzione sbagliata. Nulla.
La carrozza nera splendente l’aspettava nel cortile, con un tiro di sei cavalli grigi. Un inserviente si precipitò per aprire la portiera, decorata con un paio di stelle d’argento su delle strisce verdi e rosse, e fece Trachino a tutte e tre fino a quando con la testa calva non raggiunse quasi le ginocchia. Era in camicia e brache. Da quando era arrivata al palazzo del sole non aveva ancora visto nessuno in livrea, a eccezione dei pochi servitori che indossavano i colori di Dobraine. Senza dubbio gli altri non sapevano quali colori mostrare, e avevano paura di commettere qualche errore.
«Forse scuoierò Elaida quando riuscirò a mettere le mani su di lei» disse Cadsuane mentre la carrozza partiva. «Quella sciocca ha reso la mia missione quasi impossibile.»
A quel punto scoppiò a ridere così di colpo che Daigian la fissò prima di riuscire a recuperare il controllo. Il sorriso di Corele si allargò a quel pensiero. Nessuna delle due aveva capito, e lei non diede spiegazioni. Per tutta la vita, il modo migliore per farla interessare a qualcosa era stato dirle che era impossibile, ma erano passati duecentosettanta anni dal suo ultimo incontro con un compito che non era riuscita a portare a termine. Ormai qualsiasi giorno per lei poteva essere l’ultimo, ma il giovane al’Thor sarebbe stato un finale perfetto.