Il varco nella barriera fu molto piccolo. Dapprima tutto ciò che lasciò passare fu l’aria, ricca dell’odore di ortaggi maturi e del dolce profumo del grano dorato. Questo fu notato con curiosità da chi abitava in quella strada periferica di Levitt-Chicago, dove da vent’anni l’unico odore era fornito dagli scappamenti delle auto. Poi un uccello, a cui nessuno fece caso, attraversò il varco. Svolazzò qua e là sperduto, senza capire dove fosse il suo nido. Non lo trovò mai più. E poiché era un uccello riprese a fare ciò che fanno gli uccelli, mangiare ed evacuare. Il mondo non notò la sua presenza… senonché, nella sua linea temporale, aveva mangiato delle bacche di kudzu. Quando evacuò i semi in un campo abbandonato essi crebbero fra le erbacce. E per un intero secolo da quel giorno l’Illinois dovette lottare contro il flagello esplosivo, devastante e irrefrenabile del kudzu che cresceva dappertutto.


27 Agosto 1983
Ore 9,40 del mattino — Dr. Dominic DeSota-Arbenz

Appena il pulsojet fu decollato e le scritte in rosso si spensero, sganciai la cintura e mi alzai. Non ero stato il più svelto: una ragazza in muu-muu purpureo era scivolata nel passaggio fra le poltroncine davanti a me, e da sopra la spalla mi rivolse un gentile sorrisetto di trionfo. Ma non era il caso. Lei era diretta alla toeletta, ed io fui il primo a raggiungere il visifono.

A dire il vero ci arrivai troppo presto. Quando composi il nome di casa mia ebbi soltanto una luce gialla, perché non eravamo ancora in quota e il pilota stava tenendo per sé tutte le frequenze video. Rifeci il nome. Ero impaziente. Mancavo già da troppo tempo per i miei gusti. La prima volta che avevo dovuto andare in un’altra linea temporale mia moglie m’aveva tenuto sveglio tutta la notte con le sue paure: non riusciva a dimenticare quel che era successo con Larry Douglas. Sklodowska-Curie distava comunque appena sei chilometri da casa mia e quel primo balzo, nel Paratempo-Rho, era stato un semplice passaggio avanti e indietro fatto più che altro per collaudare la nuova apparecchiatura.

La faccio sembrare più semplice di quello che era. In realtà avevo la pelle d’oca. Ma quando poi dirigemmo le nostre ricerche sulle linee temporali che potevano sviluppare studi sul paratempo, o almeno sulla fisica dei quanta, le zone da esplorare cominciarono a incrementarsi anche geograficamente. Il Paratempo-Beta possedeva un’installazione giusto a sud di San Francisco. Il Phi ne aveva una a Red Bank, nel New Yersey. Significava balzare in un portale, tornarne fuori, imbarcarsi su un pulsojet e fare qualche ora di volo, balzare in un altro portale… e avevo una moglie e un figlio con cui mi sarebbe piaciuto trascorrere più tempo.

La terza volta che composi il nome sullo schermo apparve finalmente la sigla «DeSota-Arbenz» che pulsava a ogni squillo. Dorothy rispose al primo. Poche cose mi smorzavano l’ansia come il volto dolce e calmo di lei che mi sorrideva dal visifono.

— Hai un aspetto incantevole, Do — le dissi, dopo averla salutata con un bacio. Lei studiò il mio volto, dalla sua parte. E poiché l’apparecchio di casa nostra aveva la telecamera posta sopra lo schermo il suo sguardo mi apparve fuori fuoco, come se avesse dimenticato le lenti a contatto, ma la sua vista era perfetta.

— Vorrei poter dire lo stesso di te, caro — rispose. — Le cose non vanno bene?

Non potevo dirle fino a che punto non andassero bene, da un apparecchio pubblico. Ma non aveva bisogno di risposte: poteva vedere la mia faccia. Dissi: — Abbastanza male. Come sta Barney?

— Sente la mancanza del suo papi. Per il resto tutto bene. Ha perso un dente. — L’avevo sorpresa con una tazza di caffè in mano e ne bevve un sorso, scrutandomi. — Non è soltanto che hai dei problemi… mh? — osservò. — Hai qualcos’altro per la mente. Di che si tratta, Dominic?

Dovetti ridacchiare, sorpreso. — Hai detto bene, Do. Mi sento… strano. Non so perché.

Lei annuì. Stavo solo confermando quello che sapeva già. Quando Dorothy Arbenz era stata assunta all’istituto, fresca di laurea in psicologia, mi era bastato guardarla negli occhi per capire che dietro quel volto incantevole c’era un cervello. Più tardi ero stato costretto a riflettere che mi avrebbe praticamente letto nella testa per tutta la vita, ma l’avrei sposata lo stesso in ogni caso. Lasciò che il mio subconscio si preoccupasse di quello che lo preoccupava e cambiò argomento. — Stai tornando a casa, adesso?

— Vorrei. Non è una faccenda di cui ci si possa occupare a Sklodowska, tesoro.

— Vai a Washington?

— Ho paura di sì.

Bevve un altro lungo sorso di caffè. Anch’io avevo cominciato a leggere un po’ nella mente di Dorothy, così sapevo cosa stava per dire. — Ti faranno saltare ancora in qualche portale? — chiese.

Non le diedi una risposta diretta. — Non dipende più da me, adesso — le ricordai. Lei sapeva che quella non era una risposta. E sapeva, come lo sapevo io, che se fossi ripassato in un portale non sarebbe stata una passeggiatina tanto per guardarmi intorno.

Così la salutai e le mandai un bacio, e lei me ne soffiò un altro dalla mano. Poi riappesi e indugiai sul sedile davanti al visifono, cercando di scoprire cosa mi stava preoccupando.

Sapevo cos’era. L’avevo saputo fin dall’inizio, solo che non avevo voluto pensarci.

C’erano troppi me.

Quando m’ero infiltrato nel Tau e nell’Epsilon avevo visto gli altri Dominic DeSota, ma soltanto nel trovarmi con loro nella stessa stanza quel fremito di meraviglia — arcano timore, incredulità, un senso di gelo nelle ossa — mi aveva realmente scosso. Voglio dire, loro erano me. Non quel «me» con cui avevo vissuto la mia vita, bensì le persone che avrei potuto essere… che nella loro linea temporale ero. Avrei potuto nascere in una variante della realtà dove scienza era una parola oscena, o dove sarei divenuto un adultero indaffarato a cercare furtivi incontri con una donna che non potevo sposare, o un individuo terrorizzato dal mio governo, tenuto in riga da un sistema oppressivo che mi costringeva a vergognarmi della mia stessa nudità. Avrei potuto, senza accorgermene, diventare quel Nicky DeSota la cui nuca potevo scorgere una dozzina di file più avanti, e in un certo senso io ero lui. O avrei potuto lasciare la scienza per la politica e finire eletto senatore degli Stati Uniti. Be’, questo non era certo un destino malvagio — prestigio, potere, la stima di tutti i miei conoscenti — ma aveva qualcosa di vacillante: là lui era, o io ero, assillato dai sotterfugi di una relazione illegale con un’altra donna poiché avevo una moglie che non amavo e di cui non potevo liberarmi senza dolore e rimorsi, per non parlare della rovina politica e finanziaria.

O avrei potuto intraprendere la carriera militare come l’altra mia incarnazione, il maggiore, che si sentiva realizzato in atti di conquista e di disonestà intellettuale… O avrei potuto morire giovane per una ragione o per l’altra, come sembrava esser successo al Dominic DeSota di Rho.

E tutti quei me erano me.

Questo era frustrante. Ne sentivo minacciata la stabilità della mia vita in modi a cui non mi era mai accaduto di riflettere. Chiunque, certo, sapeva dirsi che le cose avrebbero potuto andare diversamente per lui… ma era un’altra cosa toccare con mano il fatto che, da qualche altra parte, questo era successo.

Riportai lo sguardo sui due che viaggiavano con me. Anche da una dozzina di file di distanza potevo intuire che Nicky stava vivendo il momento magico della sua vita nel grande pulso-jet, che con lo scarso traffico del sabato prima del Labor Day era mezzo vuoto. Anche il senatore appariva eccitato. Invidiavo la gioia che riuscivano a ricevere da ciò che li circondava, malgrado dovessero sentirsi sperduti in una linea temporale aliena dalla loro quanto il pianeta Marte…

Poi gli occhi mi caddero sul tipo dall’aria manageriale del 32-C, che aveva aperto la ventiquattrore sul posto vuoto accanto al suo. Ne aveva estratto dei documenti, ma stava lanciando occhiate irritanti e allusive a me e al visifono.

Gli volsi le spalle e feci l’altra chiamata.

Non composi la sigla del suo ufficio all’Istituto Sklodowska-Curie. Chiamai Harry Rosenthal sulla linea privata, attesi, e quando lo ebbi in linea sullo schermo vidi che la parete dietro di lui non apparteneva alla sua casa di Chicago: l’automatico lo aveva rintracciato dove si trovava in quel momento. — Ah, sei a Washington — dissi.

— Hai maledettamente ragione — brontolò. — E sto aspettando te. Qui arrivano chiamate ogni cinque minuti, dall’Esercito, dal segretario della Ricerca Scientifica e dalla CIA. Vorrei che tu fossi già qui, Dom!

Non gli chiesi il perché.

La conversazione con Dorothy non era stata precisamente allegra. Non lo fu neppure questa. Chiesi subito delle due cose che mi preoccupavano di più: l’invasione di Epsilon da parte di Gamma ed i rimbalzi balistici. Non venni confortato né sull’una né sull’altra. Anzi, il contrario. — Gli avvenimenti su cui stiamo scandagliando — rispose con voce piatta, — sono in via di evoluzione. In quanto ai rimbalzi… hai visto i notiziari televisivi?

— Dove diavolo lo trovavo il tempo di guardare la TV, Harry?

— Dovresti fare in modo di trovarlo — disse cupamente. — Ci sono intrusioni attraverso la barriera su ogni angolo del continente. Non riusciamo a spostare la strumentazione abbastanza in fretta per tener dietro a tutte. Ma quando grandina sui tavoli da picnic di una scuola domenicale mentre tutto attorno splende il sereno, non c’è bisogno di strumenti per capire cosa sta succedendo. — Poi mi fornì un altro motivo di preoccupazione: — Il segretario vuol sapere perché hai portato qui quella gente di Tau.

— Ma Douglas ha vuotato il sacco con loro! — protestai. — È semplice politica preventiva! L’hai dichiarato anche tu: limitare le ricerche pericolose, tenerne alla larga quelli che non le hanno ancora raggiunte.

Mi fissò duramente. — Eri stato mandato a riportare indietro Douglas, e a salvare due emigrati involontari. Nessuno ti ha chiesto di tornare con quattro nuovi emigrati. Cosa ne farai di loro, adesso?

Poiché non avevo una risposta da dargli fui lieto di riappendere, e lasciai libero il visifono per il manager impaziente del 32-C.

Mi diressi poi al locale delle hostess, a metà del velivolo, e mentre oltrepassavo gli altri due Dominic mi accorsi che entrambi erano ansiosi di parlarmi. Io non ne avevo voglia. Rivolsi loro un cenno amichevole e tirai diritto. Avrebbero dovuto aspettare. Volevo riflettere un po’ su quel che Harry Rosenthal mi aveva detto.

Le hostess erano occupatissime a rifarsi il trucco, salvo una che conscia dei suoi doveri si stava chiedendo che diavolo fosse l’orribile cosa nera rimasta a cuocere nel forno a microonde. Ma quando dissi — Terza classe, prego — nessuna fece obiezioni. Sapevano cosa stavano trasportando in terza classe. Lo steward smise di dipingersi le unghie e mi aprì il piccolo ascensore, scortandomi nel vasto compartimento sottostante.


Le aviolinee usavano il compartimento di terza classe passeggeri per scopi di diverso genere. Alcune lo attrezzavano a bar-ristorante, altre lo riempivano fittamente di poltroncine da classe turistica… ma non c’era il modo di abbandonarlo con sicurezza in caso d’incidenti, cosicché non era molto popolare fra i viaggiatori. Le linee transcontinentali utilizzavano quello spazio dei pulsojet suddividendolo in cuccette, per chi voleva dormire nei voli a lunga distanza, o altre volte per casi speciali su percorsi brevi.

Noi eravamo uno dei loro casi speciali.

Anzi, eravamo molto più speciali di quelli che definivano eufemisticamente «casi speciali», ovverosia il trasporto di prigionieri. A dire il vero essi non erano prigionieri lì. C’erano i due dell’FBI del Paratempo-Tau e il loro Larry Douglas, che nella loro linea temporale non avevano commesso alcun crimine e tantomeno nella nostra. E poi c’era l’altro Larry Douglas, il nostro, il cui stato legale era abbastanza oscuro e il cui processo, se mai ne avesse avuto uno, avrebbe originato un precedente per chissà quanti altri casi consimili. Avevo già sentito giudici e avvocati domandarsi ciò che il termine «giurisdizione» poteva significare circa il luogo dove aveva infranto la legge. Non erano prigionieri. Il sorvegliante che sedeva da un lato, con una rivista fra le mani, non era un agente di polizia. Solo una precauzione.

Entrai dalla parte frontale del compartimento. C’erano sedili per una trentina di persone, e lo spazio per i nostri ospiti non mancava. La donna dell’FBI e il suo antropoide sedevano in fondo alla fila di sinistra e stavano confabulando fra loro. O meglio, la donna parlottava e il grosso individuo la ascoltava in rispettoso silenzio. Nessuno dei due si girò a guardarmi. Il loro Larry Douglas stava nella fila accanto, al di là del passaggio centrale, e sembrava ansioso d’essere invitato a partecipare alla conversazione. I due lo ignoravano completamente. E il nostro Larry Douglas sedeva a testa bassa in prima fila, immagine stessa dell’abbattimento. Non alzò gli occhi, ma sapevo che mi aveva visto uscire dall’ascensore.

Lo studiai per un momento. Che razza di vespaio era riuscito a sollevare quest’uomo! Quando avevamo finalmente scoperto in quale paratempo era andato (e per allora la gente per cui lavorava al balzo-quantum era già passata dalla teoria alla pratica) avevamo dovuto decidere cosa fare di lui. Io avevo votato per mandarlo a recuperare. La decisione era stata presa all’unanimità. Ma il mio primo impulso sarebbe stato quello di spedirgli dietro una tigre affamata, come segno della nostra stima. E anche se non avevo osato dirlo quella mi sembrava ancora un’idea molto attraente.

Così attraente che dovette leggermela nella testa, perché alzò lo sguardo e gemette: — Io non ho potuto farci niente, Dom! Quelli stavano cominciando a torturarmi!

La risata da contralto che giunse dal fondo del compartimento mi sorprese. L’istinto di cospiratrice della donna dell’FBI l’aveva indotta ad ascoltare, e sembrava che avesse già udito canzoni di quel genere.

— Ma è vero! — insisté disperatamente lui. — E comunque la colpa di tutto è tua, Dom.

Questo mi stupì. Aprii la bocca per chiedergli cosa intendeva dire, e lui mi precedette: — Avresti potuto fermarli! Avresti potuto seguirmi. Perché non hai fatto scandagliare quella linea temporale?

La sfacciataggine di quell’individuo! La sua fuga era avvenuta nei primi tempi del progetto, molto tempo prima che avessimo sviluppato la tecnica per montare il portale e l’apparato spia da usarsi contemporaneamente. — Non l’abbiamo fatto perché non potevamo — sbottai. Lui mi elargì un’occhiata acre.

L’antropoide dell’FBI agitò minacciosamente un dito. — Cosa vi siete messi in testa di fare con noi, eh? — grugnì.

La donna aveva incrociato le braccia sul petto, ed ebbi la strana impressione che il pupazzo si stesse muovendo e parlando senza l’aiuto del ventriloquo. — Come avvocato — ruggì l’uomo-scimmia, sorprendendomi ancor di più, — ti avverto che stai violando i nostri diritti civili in un milione di modi, Charlie. Tanto per cominciare non ci hai lasciato telefonare, per impedirci l’habeas corpus. E non ci hai letto i nostri diritti. E non ci hai detto quali sono gli indizi o le accuse a nostro carico. Esigiamo di metterci in contatto col nostro avvocato. Chiaro?

— Hai appena detto di essere tu un avvocato — ritorsi.

— Anche un avvocato ha il diritto di avere un avvocato — protestò virtuosamente lui. — Così che accidenti pensi di fare, eh, Charlie?

A disagio mi rivolsi alla donna. — Questo scimmione è veramente un avvocato?

Lei sogghignò e si strinse nelle spalle. — Dice di esserlo. È così che è stato assunto nel Bureau. Personalmente credo che abbia comprato il titolo da un venditore di diplomi. Comunque, lei che mi dice?

— Di cosa?

— Di quello che intende farci — disse con calma. — Perché, onestamente, Moe ha ragione. Qui dovete pur avere un codice penale, e io sono pronta a scommettere che lo state infrangendo da cima a fondo.

Era maledettamente troppo vicina a quel che pensavo anch’io per farmi sentire a mio agio su quell’argomento. Cercai di prenderla da un altro lato. — Lei che farebbe, se fosse al mio posto?

— Aah! — Sorrise. — Comincerei a mettere da parte ogni cent di paga per saldare l’avvocato, se andremo in tribunale. Così dopo averci pagato i danni forse le resterà anche abbastanza da abbonarsi per dieci anni filati alla «Rivista del carcerato».

E anche questa non sembrava un’ipotesi troppo irreale. Voglio dire, se avessero assunto un avvocato di media abilità costui si sarebbe messo a ridere, e avrebbe fatto l’elenco dei modi in cui mangiarmi vivo. Non era questo il genere di grane a cui m’ero preparato, entrando a far parte del progetto.

Era un rospo duro da ingoiare. Io avevo visto i lividi sul corpo di Nicky DeSota. L’avevo sentito raccontare ciò che gli avevano fatto questi due. Diritti civili? E loro, quali diritti civili avevano dato a lui?

Tuttavia nella linea temporale da cui venivano non avevano certo infranto la legge. Loro erano la legge!

Strinsi le palpebre. — Penso che non abbiate ancora capito in che situazione state sbattendo la faccia.

— Allora ditecelo — mi invitò lei.

Esitai. Poi tornai all’ascensore e sollevai l’interfono. Quando la capo-hostess rispose, dissi: — Vuole per favore chiedere ai signori del 22-A e del 22-F di scendere qui? E già che c’è, può portare un po’ di colazione per tutti?


Guardare se stessi è più spiacevole di quanto non crediate. L’avevo fatto abbastanza spesso attraverso gli apparecchi-spia, sbirciando l’uno o l’altro Dominic DeSota in questa o quella linea temporale… anche se era peggio quando non riuscivo a trovare proprio nessun Dominic DeSota (o qualche volta nessun essere umano. Ma non mi soffermavo volentieri a riflettere su quelle linee temporali).

Ciò che mi metteva più a disagio era chiedermi dove io avevo sbagliato. O qualche volta dove avevo agito bene. Non avrei potuto accusare il senatore Dom d’aver fatto degli errori; anche in quella sudicia e sformata tuta da fatica, mentre masticava le poco appetitose polpette del suo vassoio, aveva l’aspetto di un uomo che era riuscito a costruire bene la sua vita.

Ma che dire dell’altro?

Certamente non sembrava un individuo destinato al successo personale. Un vestito completo tutto spiegazzato… pantaloni lunghi! Immaginate un po’, pantaloni lunghi in Agosto! Non potevo definirlo uno sciocco, delresto. Parlava come se fosse molto deluso del suo mondo, e il paragone col nostro l’aveva infine alquanto immalinconito.

Adesso, mentre mangiava, vedevo il suo morale risalire un po’. Al momento del decollo la potenza con cui il pulsojet s’era sollevato lo aveva scosso; s’era schiacciato nella poltroncina a occhi chiusi, quasi cercasse di sparirvi dentro. Io bado ad avere sempre con me delle pillole contro il mal d’aria, quando l’aereo entra ed esce dalla stratosfera, perciò non me l’ero sentita di biasimarlo. Non aveva mai visto un pulsojet, e certo era salito di rado sui goffi velivoli col motore a pistoni del suo mondo.

Non sapevo se avrei fatto una riuscita migliore al suo posto. No, ora stavo sbagliando. Non avrei fatto né di meglio né di peggio.

D’altronde non ero sicuro che sarei giunto in alto come il senatore, benché il fatto che lui c’era riuscito fosse incoraggiante. Seduto accanto a Nicky lo stava aiutando a togliere dalla plastica le uova in camicia, e mi gettò un’occhiata come in attesa che dicessi qualcosa. Quando vide che tacevo, senza sapere come cominciare una conversazione, parlò lui. — Dom — disse, — apprezzo molto che tu ci abbia portato in salvo, ma nella mia linea temporale ho delle responsabilità. Puoi rimandarmi là?

— Spero di sì, Dom — dissi.

Mi fissò negli occhi. — Avresti potuto risparmiarci un sacco di guai se mi avessi detto cosa stava succedendo, la prima volta che ci siamo visti.

— Io faccio quel che mi vien detto di fare, Dom — risposi. — Qui abbiamo molte difficoltà. — La donna sbuffò; doveva aver sentito spesso la gente tenersi sulle generali, quando scendere in particolari sarebbe stato imbarazzante. Arrossii. — Vi dirò quello che vorrete sapere — dichiarai, — poiché tutti voi ne avete il diritto. Ma lasciatemi partire dalle premesse, d’accordo? Sapete già che ci sono universi paralleli. In numero infinito. Noi non possiamo raggiungerli tutti, neppure coi soli apparati-spia… be’, questo è implicito nella parola «infinito» dopotutto. Le sole linee temporali che siamo riusciti a contattare sono quelle che si sono separate dalla nostra negli ultimi novanta o novantacinque anni al massimo. Appena poche centinaia, fino a oggi, e non poche di esse sono interessanti. In alcune i comunisti si sono impadroniti dell’Europa dal 1933, grazie a quel genio militare che era Trotsky. Poi ce n’è un intero gruppo dove Franklin D. Roosevelt è sfuggito al tentativo d’assassinio ed è diventato Presidente, e in tal modo la nazione non è caduta sotto il potere dei militari e il successivo interregno, causato dal fatto che la Costituzione non dice chi deve diventare Presidente quando un Presidente appena eletto muore prima di assumere il mandato. Fu così che Garner e Hoover reclamarono entrambi la presidenza, finché l’esercito intervenne imponendo la legge marziale. Poi ci sono altre…

— Dom — disse il senatore, paziente. — Suppongo che non ci sia nulla di meglio con cui ammazzare il tempo fino all’atterraggio, ma non so se la storia sia l’argomento che più ci interessa.

— Stavo solo dandovi un’infarinatura.

— Sicuro. Ma abbiamo già capito questa faccenda degli universi paralleli… be’, no, questo non è vero. Io non capisco. Ma ne so abbastanza per capirci fra noi. Ogni volta che, tanto per dire, un sasso cade da una parte invece che dall’altra, ci sono due linee temporali e da lì si crea tutto un nuovo universo. Giusto? Qualcosa di questo genere? Bene, perché non siete passati nel mondo più vicino, invece che in altri diversi dal vostro in una quantità di particolari?

— Ah! — dissi, annuendo. — Questa è una buona domanda. — Ora mi sentivo un terreno più solido sotto i piedi: avevo dovuto spiegarlo alla commissione senatoriale quando s’era trattato di ottenere i fondi. — Prima vi darò la risposta tecnica: la causa è quella che Steve Hawking chiama «permeabilità alla vicinanza n-dimensionale», se questa definizione vi è di qualche aiuto. — Non lo era, naturalmente: un grugnito da parte di Moe, l’antropoide, ed espressioni di vacuo distacco degli altri uomini. Fatto abbastanza curioso, Nyla Christophe era la sola a mostrare un amichevole interesse. M’incoraggiò con un cenno del capo, spazzando via con la forchetta le sue uova in camicia. Non guardava il vassoio ma, pollici o meno, non lasciava cadere una briciola. E non si perdeva una parola. — Vi farò un’analogia. Pensate alle relazioni fra gli universi come a quelle che ci sono fra i vari punti di una molla d’acciaio, e immaginateli allineati lungo la curva a spirale, uno dietro l’altro. Se voi li numerate, naturalmente il numero cinque si troverà fra il quattro e il sei, e questi dunque sono vicini. Ma sopra e sotto ci sono le altre spirali della molla. Di conseguenza il cinque potrà sfiorare anche il seicentocinquantadue, per dire un numero, e dall’altra parte anche il millecinquecento e qualcosa. Questo dipenderà da quanto larga è la curvatura. Mi state seguendo finora?

— Forse — disse la Christophe, fungendo da portavoce per tutti.

— Bene. Senonché, e odio dire questo, l’esempio è complicato dal fatto che la curva della molla non segue le tre normali dimensioni dello spazio. Essa curva in n dimensioni, e io non so che numero rappresenti n. Così è la vicinanza a essere determinante… ecco il motivo per cui non riusciamo a raggiungere linee temporali dove la separazione dalla nostra è avvenuta più di circa novant’anni fa, salvo che per occhiate vaghe e occasionali. Inoltre la più vicina non è necessariamente la più facile da raggiungere. Vi ho perduto per strada?

— Più o meno — ammise Nicky, sorridendo per la prima volta. — Ma è divertente cercare di capire.

Speranzoso dissi: — Se volete correre il rischio, c’è un opuscolo di Asimov dal titolo: La guida dell’uomo intelligente alla fisica dei quanta.

— No, grazie — disse Nicky. — Ma vai avanti, per favore.

— Bene. Come teoria questo può bastare. Alcuni di voi la conoscevano già, naturalmente. — Gettai un’occhiata blanda al nostro rinnegato Larry Douglas, che si accigliò e aprì il suo cartone di succo d’arancia. — Così abbiamo realizzato l’apparato-spia, e poi il portale. Non voglio entrare nei particolari tecnologici. Un po’ perché non posso…

— Ma lei è quello che lo ha inventato — osservò la Christophe.

Scossi le spalle. — Se volete attribuirmi questo merito… be’, no. Non è il prodotto di una sola testa. Qui abbiamo Gribbin e Hawking, in Inghilterra; Sverdlich a Smolensk… e naturalmente tutti gli scienziati francesi emigrati dopo Bartholomew Two, perciò disponiamo di un forte gruppo di matematici e fisici nucleari. Ma se volete accusare me… be’, mi batterò il petto. — Feci un profondo respiro. — Perché ciò che non avevamo preso in considerazione era il rimbalzo balistico.

Non so che specie di reazione mi fossi atteso, ma ne ebbi tre diverse. Quattro se contavo il sorvegliante, che mi fissava preoccupato. Lawrence appariva depresso. L’altro Larry e i due dell’FBI erano imperscrutabili: la faccia da poker era tipica di Tau, come avevo già notato, probabilmente perché era una linea temporale dove la gente non ci teneva a lasciarsi leggere in viso ciò che pensava. E i due Dominic esibivano un ansioso interesse. Bevvi un sorso del mio caffè, sospirai sulla colazione che non avevo ancora toccato, e continuai a spiegare:

— Fra gli universi c’è una barriera in forte tensione. Chiamiamola un rivestimento protettivo. Una volta perforato in un punto, esso cede un po’ ovunque. Come la pellicola di plastica in cui è contenuta la carne o la frutta al supermarket, capite? — Non capirono. — È una superficie in stato di tensione: bucarla costa fatica, ma quando accade essa s’indebolisce dappertutto. È difficile prevedere dove, poiché curva in uno spazio n dimensionale e… be’, lasciamo perdere questo, è troppo complicato. Comunque vi si aprono dei varchi. Dapprima tutto ciò che li attraversa sono radiazioni, onde elettromagnetiche, poi gas. Poi… cose più concrete dei gas. — Gettai un’occhiataccia al nostro Larry. — Da quando tu sei, uh, emigrato, ne abbiamo scoperto alcuni pericolosi. Varchi aperti su vaste zone d’atmosfera, in cui si sono originate violente tempeste. E uno di essi ha causato la morte di molta gente. Nel Paratempo Eta avevano costruito delle case d’abitazione proprio sul percorso di quella che da loro era una strada abbandonata. Una dozzina di autotreni lanciati a ottanta l’ora le hanno ridotte a un ammasso di macerie e corpi umani, prima che il varco si richiudesse.

Nicky alzò una mano. — Dom? Ho sentito parlare di strani rumori intorno a un piccolo campo d’aviazione… poteva trattarsi di questo? Di una linea temporale dove avevano dei razzi, come quello su cui viaggiamo.

Fui sul punto di dirgli che un pulsojet non era un razzo, poi accennai di si. — È probabile — ammisi. — E sembra che ci manchi la capacità tecnica di prevenire questi fatti. All’inizio ci dicemmo che dovevano esser stati causati da perdite d’energia nel generatore del nostro portale, e che tenendole sotto controllo avremmo eliminato i rimbalzi balistici. Ma ora sappiamo che in questi rimbalzi è coinvolta la legge della conservazione dell’energia. Se una quantità x di massa o di energia passa dal mio Paratempo al vostro, subito esso ne fa rimbalzare fuori un’identica quantità x. E non necessariamente nel mio. Può essere proiettata in un terzo Paratempo. Oppure può frammentarsi verso innumerevoli altri, causando a sua volta la stessa reazione. — Li guardai l’uno dopo l’altro. — E noi non possiamo fermare il processo.

— Gesù Cristo! — esplose Nyla Christophe. — Voi state giocando con la dinamite. Siete degli irresponsabili!

Il senatore Dom intervenne, in tono meno accusatorio ma tutt’altro che amichevole: — Non sarebbe una buona idea smetterla, finché non avrete imparato come tener sotto controllo questa faccenda?

— Un’idea dannatamente buona — dissi con fervore. — Solo che la cosa ci è sfuggita di mano quando Larry è stato catturato in Gamma. Noi potremmo fermarci. Ma non possiamo contemporaneamente fermarci e tenere sotto sorveglianza Gamma… per non parlare di altre linee temporali prossime a realizzare la tecnica, come la vostra, o di quelle che se ne venissero in possesso diventerebbero assai pericolose, come quella di miss Christophe.

Il senatore annuì, accigliato. — Io non sono certo quello che può tirare la prima pietra, Dom. Se avessimo dato più impulso alle nostre ricerche saremmo stati noi a fare quel passo, e non ho ragione di credere che avremmo fatto di meglio. Ma… quel che hai detto mi preoccupa, Dom. Vorrei che fossimo capaci di pensare alle conseguenze, prima di buttarci in certe ricerche. Questi sono rischi troppo grossi, per il solo gusto di sviluppare una nuova arma.

Provai un impulso di rabbia. Non per lui. Contro me stesso, perché non stava dicendo nulla che non mi fossi detto mille volte in quegli anni. — Non puoi fermare la ricerca scientifica perché riempie il futuro d’incognite pericolose! — sbottai. — Comunque, chi ha parlato di armi?

Sembrò sorpreso. — Pensavo che fosse ovvio…

— Forse per dei selvaggi le implicazioni militari sono ovvie! Hai un’idea di quello che il Paratempo significa per la ricerca in generale? Specialmente per le scienze che non hanno possibilità di sperimentare?

— Non capisco di quali stai parlando, esattamente — borbottò lui.

— Rifletti un momento! La sociologia, per esempio. Tu non puoi isolare una società e sperimentare su di essa una teoria evolutiva. Ma qui abbiamo un numero infinito di società, vuoi quasi simili alla nostra, vuoi enormemente diverse: possiamo sviluppare studi scientifici di sociologia comparata! O economici, o politici, o in tutte le scienze che riguardano l’uomo come animale sociale. E non solo in questi campi! Ad esempio noi abbiamo un meteorologo che è quasi impazzito per l’eccitazione quando ha scoperto che nel tuo Paratempo, Nicky, non c’è mai stato un uragano sulla costa atlantica in tutto il secolo. Noi ne abbiamo un paio all’anno, e causano danni tremendi. Sembra che da voi la Corrente del Labrador, che scende a sud fra la costa e la Corrente del Golfo, abbia subito una minima deviazione con conseguenze enormi per i gradienti di pressione atmosferica nella zona. E… il commercio.

Il Larry Douglas di Tau rizzò gli orecchi. — Non capisco quel che stai dicendo, DeSota — osservò. — Che genere di commercio può esserci fra due popoli che producono gli stessi oggetti?

— Due popoli con storie leggermente diverse significano costumi leggermente diversi. Ad esempio… un anno fa con l’apparato-spia abbiamo scoperto l’esistenza dell’hula-hoop, ed è stato un affare da venti milioni di dollari.

Per una volta la reazione dei miei ospiti fu identica: tutti mi fissarono sbalorditi. — Che cos’è l’hula-hoop? — chiese Larry Tau.

— Un giocattolo, nulla di più. Ma non sto parlando solo di robetta simile, ci sono cose che valgono molto di più. Cercate di vederla a questo modo: se ogni Paratempo spende, diciamo, un miliardo di dollari l’anno in ricerche industriali, e voi avete la possibilità di scremare i risultati da cinquanta Paratempi diversi… be’, non occorre la calcolatrice per fare il conto dei quattrini che avete risparmiato e dei vantaggi che avete ottenuto!

Ci furono alcuni secondi di silenzio mentre digerivano quella riflessione. Poi Nicky disse, pensoso: — Credo di capire cosa volevi dire, Dom. Non puoi sapere esattamente cosa scopri finché non l’hai scoperto, e così c’è un rischio in ogni ricerca scientifica. Va bene. E suppongo che aggiungere le scoperte di altri popoli a quelle del tuo sia un grosso aiuto. Va bene anche questo. Però… onestamente, Dom, io non vedo come tu possa aspettarti che questo sia davvero qualcosa di buono per l’uomo della strada, come me.

— Si potrebbero salvare milioni di vite, per dirne una — ribattei.

— Ma via! Stai parlando di annientare un nemico prima che lui annienti te, o roba di questo genere?

— Niente affatto. Forse sarebbe fattibile, certo, ma non è a questo che mi riferivo. Sapete cos’è l’inverno nucleare? La morte ecologica conseguente al pulviscolo disperso nell’atmosfera dalle esplosioni atomiche, a causa del quale non passerebbero abbastanza raggi solari per consentire la vita alla maggior parte delle piante, agli animali, e forse anche all’uomo?

Non ne avevano mai sentito parlare, ma afferrarono il concetto. Nyla Christophe sbuffò acremente: — E questo tu lo chiami un beneficio? Ammazzare tutti quanti?

— Naturalmente no, ma ci sono linee temporali dove questo è accaduto. Abbiamo raggiunto universi paralleli dove non restano in vita mammiferi più grossi di un topo… perché cinque o dieci anni prima la razza umana si è semplicemente sterminata con le sue stesse mani.

— Divertente!

Repressi un fremito d’ira. Non fu facile. Quella donna riusciva a penetrarmi sotto la pelle… e aveva lo stesso effetto, o un effetto equivalente, anche sul senatore, perché vedevo che la fissava con un’espressione che potrei definire quasi affascinata. — No — borbottai fra i denti, — non è divertente per nulla. È solo un fatto. In alcune linee temporali c’è un pianeta tornato alla preistoria. Ci sono terre e foreste, qualche volta ci sono anche le città in rovina, ma non ci sono esseri umani sotto il sole.

«E poi ci sono altre linee temporali, inclusa la nostra, dove esiste gente che muore di fame, e non ha terra arabile, non ha una casa o una patria. Negli ultimi decenni la nostra Africa è piombata da una calamità all’altra. Certe zone dell’Asia vanno altrettanto male. Vi sono linee temporali in cui l’America Latina è in perpetua carestia.

«Supponiamo di prendere questi popoli affamati, senza terra, per lasciarli emigrare in un pianeta fertile e disabitato — conclusi.

Nicky DeSota esclamò: — Questo è meraviglioso, Dom! Voi avete dato una nuova vita a milioni di persone! Come se la cavano nel loro nuovo mondo?

Era estasiato. Capivo bene quel che provava. Io stesso l’avevo provato… una volta. Cautamente dissi: — Avranno bisogno di aiuto. Non si tratta solo di spostare gente. Occorreranno mandrie e greggi, macchinari, e spesso dottori e tecnici che mostrino loro come coltivare terreni a loro sconosciuti… o almeno questo sarebbe ciò che accadrebbe. Non lo abbiamo mai fatto.

L’euforia di Nicky crollò come un castello di carte. Nyla Christophe ebbe una smorfia sprezzante. — L’inferno è lastricato di buone intenzioni — disse, e scosse il capo.

— Perché no? — mi chiese Nicky.

— Per tre ragioni — risposi. — La prima è che ci scontreremmo col problema del rimbalzo balistico. Se anche riuscissimo a prevenirlo, o almeno a controllarlo, non potremmo rischiare trasferimenti su larga scala. Anzi, potremmo dover rinunciare del tutto all’uso dei portali. E, secondo… — Tornai a fissare il nostro Larry Douglas. — C’è la situazione che si sta sviluppando in Gamma.

Lui si agitò a disagio ma non disse verbo. S’era già lamentato d’esser stato costretto a fornire loro il portale, e non aveva nulla da aggiungere.

Il senatore aggrottò le sopracciglia. — Stai parlando della gente che ha invaso Sandia.

Sospirai. — La cosa non è più circoscritta a Sandia, Dom. Adesso sta scoppiando una guerra. Non molto grossa. Riguarda solo Washington. Ma Gamma ha occupato i ponti sul Potomac, la stessa Casa Bianca e il National Airport… quello che voi chiamate il Campo Hoover. E lì si sono liberate grosse quantità di energia. A un nostro primo calcolo, hanno generato almeno cinquecento rimbalzi balistici chissà dove. E quel che dobbiamo fare adesso, visto che siamo in parte responsabili, è di mettere fine a questo sconquasso… se ci sarà possibile.

L’attenzione del senatore s’era fatta spasmodica. — Oh, Dio! — disse.

Cercai di rassicurarlo. — In questo momento i combattimenti sono cessati — lo informai. — Un’ora fa non si segnalava che qualche fucilata occasionale… naturalmente ci sono ancora delle perdite di vite umane, fra la popolazione civile…

Avevo toccato un tasto sbagliato. — Civili! — gridò. — Ma perché non li… voglio dire, avrebbero almeno potuto… perché non hanno evacuato la popolazione civile, per l’amor di Dio?

— Credo che stiano facendo qualcosa del genere, sì — dissi, stupito dalla sua reazione. Mi aveva già detto che la sua famiglia era distante un migliaio di miglia, a Chicago.

— Devo tornare indietro — dichiarò con fermezza.

— È quello che stiamo cercando di fare, Dom — dissi. — Almeno credo. Tu capisci che non dipende da me. Però è quanto ho caldamente raccomandato. In realtà ho proposto che tutti noi possiamo trasferirci alla Washington di Epsilon, la tua linea temporale, senatore, per spiegare loro quel che sta succedendo e offrire l’aiuto che possiamo dare. Quasi tutti, cioè — mi corressi, con un’occhiata eloquente a Douglas, che si strinse nelle spalle rassegnato.

L’altro Larry Douglas intervenne dicendo: — Io non voglio tornare proprio da nessuna parte.

— Prego?

— Reclamo il diritto d’asilo! — esclamò vivacemente. — Non voglio tornare nel mio mondo a causa di… uh, persecuzioni politiche. E non voglio che mi si costringa a saltare di qua e di là per essere coinvolto in qualche dannata guerra da qualche parte. Voi avete degli obblighi verso di me. Voglio restare qui.

Il grosso scagnozzo dell’FBI si alzò minacciosamente. Il sorvegliante della compagnia aerea lo imitò all’istante, mettendo mano alla fondina della pistola ad aghi che aveva al fianco. La Christophe fu però svelta a placare Moe con un cenno, e l’individuo tornò a sedersi, non senza aver incenerito Douglas-Tau con uno sguardo omicida.

— Di questo riparleremo dopo — disse la Christophe, conciliante. — Occupiamoci di una cosa alla volta. Ci ha detto che i vostri problemi sono tre. Ma ha parlato soltanto dei primi due.

— Già, certo — mormorai. — L’elemento nuovo di questa equazione. Ci siamo accorti che qualcun altro ci spia. Non sappiamo chi, né che scopi abbia. Ma ne siamo certi.

La Christophe ridacchiò. — Benvenuti al club!

Il nostro Larry la rimbeccò rabbiosamente — Aah, chiudi la bocca, tu! Dom, è questo che è successo da quando io, mmh, sono andato via?

Accennai di sì. — Non ne conosciamo l’origine. Non siamo riusciti a seguire il raggio-spia e… ci sono elementi probanti che costoro usino una tecnologia molto superiore alla nostra. Ma abbiamo letture strumentali da almeno cinquanta posti diversi. Qualcuno ci sta guardando, e lo sta facendo da ormai tre mesi.

— Così siete immersi negli stessi indovinelli in cui navigavamo noi qualche giorno fa — disse il senatore, in tono neutro.

— Ho paura di sì — fu la mia risposta.

Si mordicchiò le labbra con aria pensosa. — E adesso che programmi avete, Dom? — chiese. — Intendete rimandarmi nel mio tempo o no?

— Penso che abbiano in mente questo per te, Dom — dissi. — In effetti credo che ci andremo tutti. Tu perché vivi là. Io e Larry perché possiamo dar loro informazioni utili alla loro difesa. E gli altri perché… be’, come prova vivente dell’esistenza di altri universi. — E perché sono una gran seccatura, pensai, ma non lo dissi: una coppia di scagnozzi dell’FBI e un sensale d’ipoteche, chi aveva bisogno di loro nel nostro mondo?

Mi decisi a inghiottire una forchettata delle mie uova in camicia. Erano fredde e insipide, comunque non avevo più molto appetito.

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