Il Duca è uno degli uomini più ricchi di Manneran. Le sue tenute si stendono lungo il Golfo e sulle pendici degli Huishtor, e nella capitale ha una splendida villa in un parco degno del palazzo di un imperatore. È Guardiano ereditario delle dogane del Passo di Stroin ed è questa la fonte dell’opulenza della sua famiglia: da anni si riservano una parte di tutto quel che viene portato sul mercato dalle Terre Basse Bagnate. Di persona, il Duca è un uomo di grande bruttezza o di notevole bellezza, non so: ha una larga testa piatta, triangolare, labbra sottili, naso imponente, strani, folti capelli molto ricci, che gli stanno attaccati al cranio come un tappeto. I capelli sono completamente bianchi, ma il suo viso non ha nemmeno una ruga. Ha occhi enormi, scuri, profondi, guance infossate. Un viso ascetico, che a me sembrava alternativamente santo e mostruoso, ed a volte tutt’e due le cose insieme. Eravamo diventati amici poco dopo il mio arrivo a Manneran, tanti anni prima: aveva aiutato Segvord Helalam a raggiungere il potere ed era stato legatore di anime per Loimel alle nostre nozze. Quando cominciai a prendere la droga sumariana, egli lo indovinò subito, come per telepatia. Con un discorso di meravigliosa astuzia venne a sapere da me che avevo la droga e decise di prenderla con me. Tutto questo era successo quattro lune prima, verso la fine dell’inverno.
Arrivando a casa sua, trovai in pieno svolgimento una concitata conferenza. Era presente la maggior parte degli uomini importanti che avevo coinvolto nel mio circolo di esibizionisti: il Duca di Mannerangu Smor, il Marchese di Woyn, il direttore di banca, il Commissario del Tesoro e suo fratello, il Procuratore Generale di Manneran, il Ministro dell’Economia e altri cinque o sei non meno importanti. L’archivista Mihan arrivò poco dopo di me.
— Ora ci siamo tutti — disse il Duca di Mannerangu Smor. — Potrebbero prenderci tutti in una volta sola. È ben guardato il terreno?
— Non verrà nessuno — rispose gelido il Duca di Sumar, chiaramente offeso dall’idea che dei comuni poliziotti potessero far irruzione in casa sua. Volse i suoi strani occhi enormi verso di me. — Kinnall, questa sarà la tua ultima notte a Manneran, non si può fare diversamente. Tu devi essere il capro espiatorio.
— Per scelta di chi? — chiesi.
— Non nostra — replicò il Duca. Spiegò che quel giorno a Manneran si era tentato qualcosa di simile ad un colpo di Stato, e poteva ancora darsi che riuscisse, una rivolta dei burocrati più giovani contro i loro padroni. Tutto era cominciato, disse, dal fatto che avevo ammesso con il confessore Jidd di aver preso la droga sumariana. (Nella stanza, i volti si rabbuiarono. L’implicazione sottintesa era che ero stato uno sciocco a fidarmi di un confessore e che perciò adesso dovevo pagare la mia follia. Non ero stato astuto come loro.) Jidd, pareva, aveva fatto lega con un gruppo di insoddisfatti ufficiali minori, affamati del loro turno di potere. Dato che egli era il confessore della maggior parte degli uomini importanti di Manneran, si trovava nella migliore delle posizioni per dare aiuto a quegli ambiziosi, poiché poteva rivelare i segreti dei potenti. Perché Jidd avesse scelto di venir meno in quel modo al suo giuramento, ancora non era chiaro. Il Duca di Sumar sospettava che in Jidd la familiarità avesse finito col generare il disprezzo, che dopo aver ascoltato per anni i malinconici sfoghi dei suoi potenti clienti avesse finito con l’odiarli; esasperato dalle loro confessioni, aveva provato piacere nel collaborare alla loro distruzione. (Questo mi suggerì un nuovo punto di vista su quel che può essere l’animo di un confessore.) Perciò Jidd, ormai da diversi mesi, passava utili informazioni ai rapaci subordinati che se ne servivano contro i loro padroni, spesso con effetti considerevoli. Confessandogli di aver preso la droga, mi ero reso vulnerabile ed egli mi aveva venduto a della gente del Tribunale che desiderava togliermi di mezzo.
— Ma è assurdo! — gridai. — L’unica prova che esiste contro di me è tutelata dalla santità del tempio! Come può Jidd impiantare un’accusa contro di me basandosi soltanto su quel che gli ho confessato? Gli farò causa per violazione di contratto!
— Ci sono altre prove — disse tristemente il Marchese di Woyn.
— Altre?
— Servendosi di quel che aveva sentito dalle tue stesse labbra — disse il Marchese, — Jidd ha aperto ai tuoi nemici diverse vie di ricerca. Hanno trovato una donna che vive nelle casupole dietro alla Cappella di Pietra che ha ammesso di aver avuto da te una strana bevanda che ti ha aperto la sua mente…
— Sono anche riusciti — aggiunse il Duca di Sumar, a ricollegare a te diversi di noi. Non tutti, ma molti. Questa mattina alcuni di noi hanno ricevuto dai loro stessi subordinati l’ingiunzione di dimettersi; l’alternativa era la pubblica esposizione. Abbiamo tenuto testa con fermezza alle minacce, e quelli che le hanno fatte sono ora in prigione, ma non si può dire quanti alleati possano avere in posizioni importanti. È anche possibile che al prossimo levarsi della luna noi si sia tutti caduti in disgrazia, e altri occupino i nostri posti. In ogni modo ne dubito perché, per quel che ne sappiamo, finora l’unica prova tangibile è la confessione di quella donna di malaffare che coinvolge soltanto te, Kinnall. Le accuse di Jidd ovviamente non avranno nessun valore, anche se potrebbero comunque risultare dannose.
— Possiamo infirmare la sua credibilità — dissi. — Dirò che non l’ho mai conosciuta. Io…
— Troppo tardi — ribatté il Procuratore generale. — La sua deposizione è stata trascritta, ne ho avuta una copia dal Giudice Supremo. È inoppugnabile. Sei coinvolto senza speranza.
— Che succederà? — chiesi.
— Infrangeremo le ambizioni dei ricattatori — disse il Duca di Sumar, — e li faremo cadere in miseria. Distruggeremo il potere di Jidd e lo cacceremo dalla Cappella di Pietra. Negheremo tutte le accuse di esibizionismo che potranno essere fatte contro di noi. Ma tu devi lasciare Manneran.
— Perché? — Guardai perplesso il Duca. — Anch’io sono una persona influente. Se voi potete far fronte alle accuse, perché io no?
— La tua colpevolezza è sui registri — disse il duca di Mannerangu Smor. — Se tu fuggi, si può sempre dire che tu e la ragazza che hai corrotto eravate gli unici implicati in questo affare, e che tutte le altre accuse sono soltanto invenzioni di ambiziosi dipendenti, ansiosi di cacciare i loro padroni. Se invece rimani e cerchi di combattere una battaglia senza speranze finirai col farci cadere in trappola uno per uno, man mano che l’inchiesta su di te procede.
Ormai, era tutto chiarissimo.
Per loro ero un pericolo. In un tribunale potevano spezzare la mia resistenza, le loro colpe potevano venir fuori. Fino a quel momento io ero l’unico indiziato, l’unico passibile di processo. Loro erano vulnerabili soltanto per tramite mio: se io me ne andavo, non avrebbero potuto colpirli. La salvezza della maggioranza imponeva che partissi. C’era dell’altro: la mia ingenua fede nel tempio, che mi aveva stupidamente indotto a confessarmi a Jidd, aveva scatenato quella tempesta, che altrimenti sarebbe stata evitata. Ero stato io la causa di tutto, ed ero io quello che doveva andarsene.
Il Duca di Sumar disse: — Rimarrai con noi fino a quando la notte sarà buia, poi il mio carro da terra privato, scortato dalla guardia del corpo come se fossi io a viaggiare, ti porterà alla tenuta del Marchese di Woyn, dove ti attende un battello. All’alba avrai attraversato il Woyn e sarai a Salla, dove sei nato. Possano gli dèi viaggiare al tuo fianco.