Il viaggio verso il continente meridionale fu condotto come in un sogno. Non mi domandai neppure quanto potesse essere saggio intraprendere un simile viaggio, né mi fermai a chiedermi perché fosse necessario che prendessi parte alla spedizione invece di lasciare che andasse Schweiz, o di pagare qualcuno che andasse a prendere la droga per conto nostro. Feci semplicemente i preparativi per la partenza.
Non c’è una linea commerciale regolare tra Velada e Sumara Borthan. Chi vuole andare nel continente meridionale, deve noleggiare una nave per proprio conto. Fu proprio quel che feci, tramite l’Alto Tribunale, servendomi di intermediari e di prestanome.
Non scelsi un vascello manneriano, perché non ci tenevo ad essere riconosciuto alla partenza, ma uno della provincia occidentale di Velis, che era rimasto attraccato nel porto di Manneran per la maggior parte dell’anno a causa di una vertenza giudiziaria. Sembrava che fossero sorte delle dispute a proposito della proprietà della nave mentre questa si stava dirigendo in patria e la gran mole di ingiunzioni e controingiunzioni avevano impedito al vascello di lasciare Manneran. Il capitano e la ciurma erano inferociti per quell’ozio forzato e avevano già rivolto una protesta al Tribunale; ma l’Alto Giudice non aveva giurisdizione su una questione che veniva trattata solo dai tribunali di Velis, perciò avevamo l’obbligo di impedire che il vascello partisse prima che la questione venisse chiarita. Sapendo tutto questo, emanai in nome dell’Alto Giudice un decreto che concedeva allo sfortunato vascello di accettare per il momento dei noleggi per viaggi «tra il fiume Woyn e la spiaggia orientale del golfo di Sumar». Per tradizione, questo significava da qualunque punto della costa della provincia di Manneran, ma io volli specificare anche che il comandante avrebbe potuto accettare dei viaggi verso la costa settentrionale di Sumara Borthan. Senza dubbio quella clausola sorprese il pover’uomo, e ancor di più deve averlo meravigliato il fatto di venir avvicinato, alcuni giorni dopo, dai miei agenti che gli proponevano un viaggio proprio a Sumara Borthan.
Non dissi dove andavo né a Loimel né ad Halum né a Noim né a nessun altro. Spiegai soltanto che per questioni del Tribunale era necessario che io partissi per un breve viaggio. Al Tribunale fui ancora più vago: chiesi un permesso a me stesso, me lo concessi immediatamente e comunicai soltanto all’ultimo momento all’Alto Giudice che non sarei stato disponibile nell’immediato futuro.
Tra le altre cose, per evitare complicazioni con gli agenti della dogana, decisi di partire dal porto della città di Hilminor, nella parte sudoccidentale di Manneran, sul Golfo di Sumar. Hilminor è un porto di media grandezza che vive principalmente di pesca ma che serve anche come scalo per le navi che viaggiano tra Città di Manneran e le province occidentali, dato che si trova a metà strada. Stabilii di incontrare là il capitano della nave che avevamo preso a nolo; egli dunque si mise in viaggio per Hilminor per mare, mentre Schweiz ed io la raggiungemmo con un carro da terra.
Erano due giorni di viaggio lungo la strada costiera e il paesaggio diveniva ancora più lussureggiante, più tropicale, man mano che ci si avvicinava al Golfo di Sumar. Schweiz era di buon umore, e anch’io. Parlavamo sempre in prima persona. Per lui era una cosa da nulla, è naturale, ma personalmente mi sentivo come un cattivo ragazzo che si nasconda a mormorare «io» e «me» nell’orecchio di un compagno. Ci chiedevamo quanta droga saremmo riusciti ad ottenere e cosa ne avremmo fatto. Non era più solo questione di prenderne un pò perché io potessi usarla con Halum: si parlava di far proseliti e di liberare dalla morsa dell’autocontrollo tutti i miei concittadini. Quest’evangelico proposito si era pian piano insinuato nei nostri progetti senza che io me ne rendessi conto, ed alla fine era diventato l’idea dominante.
Quando arrivammo a Hilminor, la giornata era caldissima, e sembrava che anche il cielo avrebbe cominciato a bollire. Tutto era ricoperto da una luccicante cupola di calore e il Golfo di Sumar, che si stendeva dinnanzi a noi nella feroce luce del sole, sembrava patinato d’oro. Hilminor è circondata da una catena di basse colline ricoperte di folte foreste dalla parte del mare e desertiche dal lato di terra; la strada si snodava tra le alture e ci fermammo in un punto dal quale mostrai a Schweiz gli alberi-carne che nascono sui brulli pendii del versante interno. Da una parte c’era una dozzina di alberi vicini: attraversammo l’arido sottobosco che scricchiolava come carbone per raggiungerli. Gli alberi erano alti il doppio di un uomo, avevano i rami contorti e la scorza pallida, spessa e spugnosa al tatto come la pelle di una donna molto vecchia; le cicatrici delle numerose incisioni che vi erano state praticate per estrarre il succo li rendevano ancora più ripugnanti. — Possiamo assaggiare il liquido? — chiese Schweiz. Non sapevamo con che cosa incidere il tronco, ma proprio in quel momento passò di lì una ragazza del paese. Avrà avuto dieci anni, forse, era mezza nuda e il bruno profondo della sua abbronzatura nascondeva molta sporcizia. Aveva con sé un coltello e una fiasca, ed evidentemente era stata mandata dalla sua famiglia a raccogliere un po’ di liquore degli alberi-carne. Ci guardò accigliata; tirai fuori una moneta e dissi: — Si vorrebbe far assaggiare a questo amico l’albero-carne. — La ragazza ci lanciò un’altra occhiata burbera, ma conficcò il coltello nell’albero più vicino con una forza sorprendente, lo rigirò, lo estrasse e raccolse il denso liquido chiaro che zampillava. Sempre con aria scontrosa, porse la fiasca a Schweiz che annusò il liquore, l’assaggiò prudentemente e alla fine ne inghiottì un sorso. — Come mai non si vende questa roba a Velada Borthan? — gridò, deliziato.
— Il liquore viene prodotto soltanto in una piccola zona del golfo — spiegai. — La maggior parte viene consumata sul posto e una buona parte viene esportata a Threish, dove è diventata un’abitudine. Perciò non ne rimane molto per il resto del continente. A Manneran puoi trovarlo, certo, ma devi sapere dove andarlo a cercare.
— Sai cosa mi piacerebbe fare, Kinnall? Vorrei metter su una piantagione di alberi-carne, a migliaia. Potremmo imbottigliare tanto di quel liquore da venderlo non solo a Velada Borthan, ma anche da esportarlo. Io…
— Diavolo! — gridò la ragazza, e aggiunse qualcosa d’incomprensibile nel suo dialetto della costa. Strappò la fiasca dalle mani di Schweiz e scappò via selvaggiamente, a ginocchia alte, con i gomiti spinti all’infuori. Si girò diverse volte a farci un segno di spregio contro il malocchio,
Schweiz, sbalordito, scosse la testa. — È matta? — chiese.
— Hai detto «io» — risposi. — Molto imprudente.
— A parlare con te, ho finito per prendere delle cattive abitudini. Ma è proprio una cosa così terribile a dirsi?
— Peggiore di quanto tu possa immaginare. Quella ragazza probabilmente sta correndo a raccontare ai suoi fratelli che un vecchio sporcaccione le ha detto delle oscenità sulle falde della collina. Forza, andiamocene in città prima che ci saltino addosso.
— Vecchio sporcaccione — mormorò Schweiz. — Io!
Lo spinsi nel carro e ci affrettammo verso il porto di Hilminor.