Avevamo bisogno di solitudine. Il Tribunale del Porto possiede una villetta di campagna sulle colline a Nord-Ovest, a due ore da Città di Manneran, dove si intrattengono i dignitari in visita e dove vengono conclusi i trattati commerciali. Sapevo che sul momento la villetta era libera e me la riservai per un periodo di tre giorni. A mezzogiorno andai a prendere Schweiz con una macchina del Tribunale e guidai rapidamente fuori di città. C’erano tre domestici di servizio alla villetta, una cuoca, una cameriera e un giardiniere; li avvisai che si sarebbero tenute delle discussioni delicatissime, per cui non avrebbero dovuto per nessuna ragione interromperci o distrarci, quindi Schweiz e io ci chiudemmo nelle stanze più interne. — Sarebbe meglio — disse, — non prendere cibo, stasera. Inoltre, il corpo deve essere assolutamente pulito.
La villetta aveva un ottimo bagno turco. Ci strofinammo vigorosamente e quando uscimmo indossammo delle vestaglie sciolte di morbida seta. Gli occhi di Schweiz avevano il luccichio vitreo dei momenti di grande eccitazione. Mi sentivo a disagio, impaurito, e cominciai a pensare che quella serata mi avrebbe portato qualche terribile male. In quel momento, mi sentivo come uno che sta per sottoporsi ad un’operazione chirurgica con poche probabilità di riuscita. Ero in uno stato d’animo di stanca rassegnazione: volevo farlo, ero là, ansioso di fare il tuffo e di farla finita.
— Ultima possibilità — disse Schweiz con un sogghigno. — Potete ancora tirarvi indietro.
— No.
— Vi rendete conto che ci sono dei rischi? Non abbiamo nessuna esperienza di questa droga. È pericoloso.
— Lo so — dissi.
— Capite anche che lo fate di vostra spontanea volontà, senza alcuna coercizione?
Dissi: — Perché quest’indugio, Schweiz? Tirate fuori la bevanda.
— Ci si vuol assicurare che Vostra Grazia è veramente disposto ad affrontare le conseguenze, quali esse siano.
Con pesante sarcasmo dissi: — Dovremmo forse stendere un regolare contratto che vi liberi da ogni responsabilità, nel caso che più in là vi si volesse querelare per danni?
— Se volete, Vostra Grazia, ma non sembra una cosa necessaria.
— Non si parlava seriamente — dissi. Ero inquieto. — Può essere che anche voi stiate diventando nervoso Schweiz? Che abbiate dei dubbi?
— È un passo ardito, quello che stiamo per fare.
— E facciamolo, dunque, prima che il momento passi! Portate la droga, Schweiz, portate la droga.
— Sì — disse, e mi dette una lunga occhiata, gli occhi fissi nei miei; batté le mani con l’allegria di un bimbo e rise, trionfante. Mi resi conto di come mi aveva manovrato: adesso ero io a pregare per avere la droga! Che diavolo! Che diavolo!
Dalla sua borsa da viaggio tirò fuori il pacchetto di polvere bianca. Mi disse di procurare del vino e io ordinai dalla cucina due boccali di Mannerangi dorato freddo: egli versò metà del pacchetto nel mio e metà nel suo. La polvere si sciolse quasi all’istante: per un attimo lasciò una traccia torbida e grigia e poi sparì. Afferrammo i nostri boccali: ricordo di aver guardato Schweiz dall’altra parte del tavolo e di avergli rivolto un rapido sorriso. Più tardi, egli lo descrisse come il pallido, tremulo sorriso di una vergine timida sul punto di allargare le gambe. — Deve andar giù tutto in un sorso — disse Schweiz. Inghiottì il suo vino ed io inghiottii il mio; poi mi appoggiai all’indietro, pensando che la droga avrebbe avuto un effetto immediato. Avvertii un leggero giramento di testa, ma era solo il vino che faceva effetto nel mio stomaco vuoto. — Quanto ci vuole, prima che cominci? — chiesi. Schweiz alzò le spalle. — Ci vorrà ancora un po’ — rispose. Aspettammo in silenzio. Facendo esperimenti per conto mio, tentai di costringere la mia mente ad uscir fuori, a incontrare la sua, ma non sentii nulla. I suoni della camera ridivennero amplificati: lo scricchiolio delle tavole del pavimento, il ronzio degli insetti fuori della finestra, la piccola vibrazione della forte luce elettrica. Potete spiegarmi — dissi con voce roca, — in che modo si crede funzioni questa droga? — Schweiz rispose: — Vi si può dire solo quello che si è sentito, cioè che in tutti noi, fin dalla nascita, esiste la capacità, allo stato potenziale, di unire la mente ad un’altra; soltanto che con l’evoluzione abbiamo sviluppato nel sangue una sostanza chimica che inibisce questo potere. Pochissimi nascono senza l’inibitore e questi hanno il potere di leggere nella mente; ma la maggior parte di noi non potrà mai raggiungere questa silenziosa comunicazione se non quando, per una ragione o per l’altra, la produzione di quest’ormone cessa da se stessa e le nostre menti possono schiudersi per un poco. Ciò viene spesso scambiato per pazzia. Dicono che questa droga di Sumara Borthan neutralizzi l’inibitore, almeno per un breve periodo di tempo, e permetta di prendere contatto gli uni con gli altri come faremmo normalmente se non avessimo nel sangue quella sostanza ad impedircelo. Per lo meno, questo è quel che si è sentito. — Dissi: — Allora potremmo essere tutti superuomini, se non fossimo limitati dalle nostre stesse ghiandole? — E Schweiz rispose, tra grandi gesti: — Forse ci furono delle buone ragioni biologiche per sviluppare una simile protezione contro i nostri stessi poteri. Eh? O forse no. — Si mise a ridere. Aveva il volto molto arrossato. Gli chiesi se credeva davvero alla storia di un ormone-freno e di una droga liberatrice, ed egli rispose che non aveva elementi per giudicare. — Sentite ancora niente? — chiesi. — Soltanto il vino — disse. Aspettammo e aspettammo. Forse non farà niente, pensavo, forse avrò una dilazione. Aspettammo. Finalmente Schweiz disse: — Può darsi che ora cominci.