— Questo vostro tabù del parlare in prima persona — mi chiese Schweiz quando ci ritrovammo. — Lo potete spiegare, Vostra Grazia?
— Volete dire la proibizione di dire «Io» e «Me»?
— No, l’intero vostro modo di pensare, che vi porta a negare l’esistenza stessa di espressioni come «Io» e «Me» — disse. — L’obbligo strettissimo di non parlare mai della vostra vita privata, se non con i parenti di legame e con i confessori. L’usanza di costruirvi intorno delle mura che finiscono per condizionare anche la grammatica.
— Volete dire il Comandamento?
— Il Comandamento — disse Schweiz.
— Voi dite di conoscere la nostra storia?
— Abbastanza.
— Sapete che i nostri progenitori erano gente del Nord, cresciuta in un clima rigido, e quindi austera, abituata alle difficoltà, che diffidava del lusso e degli agi e che venne a Borthan proprio per sfuggire quella che riteneva l’infetta decadenza del mondo d’origine?
— Ah, è stato così? Si credeva si fossero rifugiati qui per sfuggire alle persecuzioni religiose.
— Volevano sfuggire l’ozio e l’autocompiacimento — dissi. — E, quando furono arrivati qui, stabilirono un codice di comportamento per difendere i figli dei propri figli dalla corruzione.
— Il Comandamento.
— Il Comandamento, sì. Il giuramento che essi fecero l’uno all’altro, il giuramento che ciascuno di noi fa ai propri concittadini nel Giorno del Nome. Giuriamo di non riversare mai sugli altri i nostri problemi, facciamo voto di avere una volontà forte e tenace, in modo che gli dèi continuino a sorriderci. E così via. Siamo addestrati ad odiare il demonio della personalità.
— Demonio?
— Noi lo consideriamo tale. Un demonio tentatore che ci spinge ad appoggiarci agli altri invece di far conto sulle nostre stesse forze.
— Dove non c’è amore di se stessi non c’è né amicizia né altruismo — disse Schweiz.
— Forse.
— E perciò non c’è fiducia.
— Abbiamo i contratti, a definire le specifiche aree di responsabilità — dissi. — Non è necessario conoscere l’anima degli altri quando è la legge a governare. E a Velada Borthan nessuno mette in discussione il ruolo della legge.
— Voi dite di odiare il vostro io - disse Schweiz, — ma sembra invece che lo esaltiate.
— In che modo?
— Vivete separati gli uni dagli altri, ciascuno nella torre d’avorio del proprio cervello. Pieni di orgoglio, senza cedimenti, lontani da tutti. Con egoismo. È davvero il regno dell’io, e non la sua negazione.
— Fate delle strane affermazioni — dissi. — Invertite il significato delle nostre tradizioni e siete convinto di parlare saggiamente.
— È stato sempre così, a Velada Borthan — chiese Schweiz, — fin dalla colonizzazione?
— Sì — dissi. — L’unica eccezione sono stati quegli scontenti, come sapete, che fuggirono nel continente meridionale. Gli altri si assoggettano al Comandamento. E le nostre regole si inaspriscono: adesso non possiamo più parlare in prima persona, perché questa viene considerata una grossolana esibizione di se stessi, mentre nei tempi medievali lo si poteva ancora fare. In compenso, alcune cose si addolciscono: una volta ci guardavamo persino dal dire il nostro nome agli stranieri, parlavamo tra noi solo quando era assolutamente necessario. Al giorno d’oggi, siamo più fiduciosi.
— Non molto di più.
— Non molto di più — ammisi.
— Ma non soffrite ad essere divisi dagli altri? Non pensate mai che ci deve essere per gli uomini un modo più felice di vivere?
— Seguiamo il Comandamento.
— È facile o difficile, seguirlo?
— Facile — dissi. — Non soffriamo poi molto, se pensate che abbiamo dei parenti di legame coi quali non siamo costretti ad annullare la nostra personalità. E poi ci sono i confessori.
— E gli altri? Con gli altri non potete confidarvi, non potete mettere a nudo un cuore dolorante, non potete chiedere consiglio, non potete parlare dei vostri desideri, delle vostre necessità, dei sogni, delle fantasie, dell’amore. Potete parlare solo di cose fredde e impersonali. — Schweiz rabbrividì. — Scusate, Vostra Grazia, ma si trova questo un ben duro modo di vivere. Si è sempre cercato il calore, l’amore, il contatto umano, la confidenza, la partecipazione. Invece il vostro mondo esalta i valori opposti.
— Avete avuto maggior fortuna — chiesi, — nel trovare calore, amore, contatto umano?
Schweiz alzò le spalle. — Non sempre è stato facile.
— Noi non siamo mai soli, perché abbiamo i parenti di legame. Con Halum, con Noim, con altri come loro a darci conforto, perché dovremmo avere bisogno di un mondo di estranei?
— E se i parenti di legame sono lontani? Se tanto per dire, si sta vagabondando tra le nevi di Glin, lontano da loro?
— Allora si soffre. E il carattere si rafforza. Ma è una situazione eccezionale. Schweiz, il nostro sistema ci costringe all’isolamento, è vero, ma ci garantisce anche un po’ d’amore.
— Ma non l’amore del marito per la moglie, non quello del padre per il figlio.
— Forse no.
— E anche l’amore dei parenti di legame è limitato. Voi stesso, eh, avete ammesso di provare per la vostra sorella di legame un desiderio che non può…
Gli tagliai la parola, dicendo aspramente: — Parlate d’altro! — Il rossore mi salì alle guance, la pelle mi scottava.
Schweiz annuì, con un sorrisetto pentito. — Scusate, Vostra Grazia, la conversazione si è fatta troppo intensa; si è perduto il controllo, ma senza intenzione di offendere.
— Molto bene.
— L’allusione era troppo personale. Si è spiacenti.
— Non volevate offendere — dissi, pentito della mia sfuriata. Mi aveva colpito in un punto vulnerabile ed io avevo reagito in modo eccessivo al morso della verità. Versai altro vino. Bevemmo in silenzio per un poco.
Poi Schweiz disse: — È lecito fare una proposta, Vostra Grazia? Vi si può invitare a partecipare ad un esperimento che si può rivelare utile e interessante?
— Dite pure — risposi, aggrottando le sopracciglia, a disagio.
— Voi sapete — cominciò, — che per molto tempo ci si è sentiti dolorosamente consci della propria solitudine nell’universo e che si è cercato, senza successo, qualche mezzo per comprendere la propria relazione con quell’universo. Per voi il tramite è la fede, ma sfortunatamente un totale razionalismo impedisce a questa persona il raggiungimento di una simile fede. Non si riesce a conquistare quel più vasto senso di appartenenza solo con le parole, le preghiere, i riti. Voi sapete farlo e per questo vi si invidia. Ci si sente presi in trappola, isolati, sigillati nel vuoto di un cranio, condannati ad una solitudine metafisica: un uomo emarginato, solo. L’ateismo, si avverte, non è né piacevole né desiderabile. Voi di Borthan potete tollerare l’isolamento delle emozioni che vi imponete, perché potete consolarvi con la religione, perché avete i confessori, perché avete le mistiche comunioni con gli dèi che la confessione può darvi. Ma voi state parlando con uno che non possiede simili privilegi.
— Abbiamo già discusso molte volte di tutto questo — dissi. — Avete parlato di una proposta, di un esperimento.
— Abbiate pazienza, Vostra Grazia. Bisogna spiegare bene, punto per punto. Mi rivolse il più affascinante dei suoi sorrisi e mi guardò con occhi che splendevano di folli progetti. Le sue mani si agitavano nell’aria, piene di espressione, rappresentando un dramma invisibile, mentre diceva: — Forse Vostra Grazia sa che esistono delle sostanze chimiche, droghe, sì, possiamo chiamarle con questo nome, che ci permettono di aprire un varco nell’infinito, o che perlomeno ce ne danno l’impressione. Ci permettono di gettare una breve e tentatrice occhiata nei mistici reami dell’intangibile. Eh? Conosciute da migliaia di anni, queste droghe erano usate prima ancora che i Terrestri raggiungessero le stelle. Usate in antichi riti religiosi, o come alternativa alla religione: mezzo laico per trovare una fede, porta dell’infinito per gente che, come questa persona, non sa accedervi in altro modo.
— Simili droghe sono proibite, a Velada Borthan — dissi.
— Naturalmente, naturalmente! A voi potrebbero offrire un modo per superare gli schemi della religione formale. Perché perdere tempo con un confessore, quando si può dilatare la propria anima con una pillola? La legge è saggia. Come potrebbe sopravvivere il Comandamento, se l’uso di queste sostanze fosse lecito?
— La vostra proposta, Schweiz — dissi.
— Prima di tutto, bisogna confessare d’aver già usato di queste droghe, e di non averle trovate completamente soddisfacenti. È vero, schiudono l’infinito, confondono nella fonte divina: ma solo per pochi attimi, al più per poche ore. Alla fine si è più soli di prima. L’animo non si schiude veramente, se ne ha soltanto l’illusione. Questo pianeta produce, invece, una droga che provoca veramente l’aprirsi dell’anima.
— Che cosa?
— A Sumara Borthan — disse Schweiz, — vivono quelli che hanno rifiutato l’imposizione del Comandamento. Si dice che siano selvaggi, che girino nudi e che si nutrano di radici, di semi e di pesce; il mantello della civiltà è scivolato dalle loro spalle ed essi sono ricaduti nella barbarie. Questo è quel che ha detto un viaggiatore che ha visitato quel continente non molto tempo fa. Si è venuto a sapere, anche, che a Sumara Borthan si fa uso di una droga fatta con una certa radice polverizzata, droga che ha il potere di schiudere le menti alle menti, perché ciascuno legga i pensieri più intimi dell’altro. Non vedete? È proprio l’opposto del vostro Comandamento. Si conoscono fin nell’anima, con quella droga.
— Sono arrivate anche a questa persona delle voci sullo stato selvaggio di quella gente — dissi.
Schweiz avvicinò il suo volto al mio. — Bisogna confessare che la droga sumarana è una grande tentazione. C’è la speranza, penetrando la mente di un altro, di riuscire a trovare quella comunione di spirito che si cerca da tanto tempo. Potrebbe essere l’ambito ponte verso l’infinito, la trasformazione spirituale. Eh? Durante la ricerca della rivelazione sono state provate molte sostanze. Perché non questa?
— Se pure esiste.
— Esiste, Vostra Grazia. Quel viaggiatore venuto da Sumara Borthan l’ha portata e ne ha venduta una parte al curioso Terrestre. — Schweiz tirò fuori dalla tasca una bustina lucida e la porse. Conteneva una piccola quantità di polvere bianca, simile a zucchero. — Eccola qui — disse. Rimasi lì a fissarla, come se fosse un flacone di veleno.
— La vostra proposta? — domandai. — Il vostro esperimento, Schweiz?
— Prendiamo insieme la droga sumarana — disse.