XLVII

Pulcheria parlò a un servitore: gli disse che il giovane visitatore dell’Epiro aveva bevuto troppo e desiderava sdraiarsi in una delle stanze degli ospiti. Mi mostrai adeguatamente alticcio e insonnolito. Metaxas mi trovò e mi augurò buona fortuna.

Poi, a lume di candela, pellegrinai nel labirinto del palazzo dei Dücas e venni accompagnato in una semplice stanzetta, sul retro dell’edificio. L’arredamento consisteva esclusivamente in un letto basso. Un mosaico rettangolare, al centro del pavimento, era l’unica decorazione. La stretta finestra lasciava passare un fascio di raggi di luna. Il servitore mi portò un bacile d’acqua, mi augurò buon riposo, e mi lasciò solo.

Io attesi un miliardo di anni.

Mi giungevano rumori di baldorie lontane. Pulcheria non arrivava.

È tutto uno scherzo, pensai. Un inganno. La giovane ma raffinata padrona di casa si diverte alle spalle del cugino di campagna. Mi lascerà aspettare impaziente e agitato fino al mattino, poi manderà un servo a portarmi la colazione e a farmi uscire.

O magari, tra un paio d’ore, dirà a una delle sue schiave di venire qui spacciandosi per Pulcheria. O magari mi manderà una vecchia sdentata, mentre gli ospiti osservano attraverso spioncini nascosti nella parete. Oppure…

Pensai mille volte di fuggire. Basta toccare il timer e sfrecciare su per la linea fino al 1204, dove Conrad Sauerabend e Palmyra Gostaman e i coniugi Haggins e gli altri miei turisti dormono indifesi.

Battermela? Adesso? Quando finora è andato tutto così bene? Cosa mi avrebbe detto Metaxas, quando avesse scoperto che avevo perso il coraggio?

Ricordai il mio guru, il nero Sam, che mi domandava: — Se avessi la possibilità di ottenere ciò che desideri di più, ne approfitteresti?

Pulcheria era ciò che più desideravo: adesso lo sapevo.

Ricordai il nero Sam che mi diceva: — Tu sei un perdente ossessivo. I perdenti scelgono infallibilmente l’alternativa meno desiderabile.

Vattene, bis-bis-multi-bisnipote. Vattene da qui prima che la splendida e primordiale antenata possa offrirti il suo grembo muschiato e scuro.

Ricordai Emily, la ragazza del centro genetico fornita del dono della profezia, che gridava con voce stridula: — Guardati dall’amore a Bisanzio! Guardatene!

Guardatene!

Io amavo. A Bisanzio.

Mi alzai, camminai avanti e indietro mille volte, mi accostai alla porta ascoltando le risate smorzate e i canti lontani, e poi mi svestii completamente ripiegando con cura ogni indumento e deponendolo sul pavimento accanto al letto. Rimasi nudo, a parte il timer, e mi chiesi se era meglio togliermi anche quello. Cos’avrebbe detto, Pulcheria, vedendomi con quella fascia di plastica marrone alla cintola? Come l’avrei spiegata?

Slacciai anche il timer, separandomene per la prima volta nella mia carriera su per la linea. M’invasero ondate di terrore autentico: mi sentivo più nudo ancora, senza: mi sentivo spogliato fino alle ossa. Senza il timer intorno ai fianchi ero schiavo del tempo, come tutti gli altri. Non avevo la possibilità di fuggire rapidamente. Se Pulcheria progettava uno scherzo crudele, e io fossi stato sorpreso senza il timer a portata di mano, sarei stato spacciato.

Mi affrettai a rimettere il timer.

Poi mi lavai meticolosamente, dappertutto, purificandomi per Pulcheria. E rimasi in piedi, nudo, accanto al letto, e attesi un altro miliardo di anni. E pensai con desiderio alle punte scure e turgide dei seni di Pulcheria, alla morbidezza della pelle tra le sue cosce. E la mia virilità prese vita, salendo a proporzioni così stravaganti da rendermi nel contempo fiero e imbarazzato.

Non volevo che Pulcheria entrasse e mi trovasse così, accanto al letto, con quell’albero di carne che mi spuntava tra le gambe. Sembravo un tripode inclinato: accoglierla in quel modo era troppo brutale, troppo diretto. Mi rivestii in fretta, sentendomi molto sciocco. E attesi un altro miliardo di anni. E vidi la luce dell’alba che cominciava a mescolarsi col chiaro di luna, oltre la finestrella.

E la porta si aprì, e Pulcheria entrò, e si sprangò la porta alle spalle.

Si era tolta tutto il pesante trucco e si era levata tutti i gioielli tranne un pettorale d’oro, e al posto dell’abito che portava al ricevimento aveva indossato una leggera vestaglia di seta. Nonostante la luce fioca vidi che sotto era nuda, e le dolci curve del suo corpo m’infiammarono quasi alla follia. Avanzò verso di me.

La presi tra le braccia e cercai di baciarla. Lei non capiva il bacio: la posizione che bisogna adottare per il contatto bocca a bocca le era ignota. Dovetti inclinarle delicatamente la testa. Lei sorrise, perplessa ma docile.

Le nostre labbra si toccarono. La mia lingua scattò fremendo.

Pulcheria rabbrividì, si strinse contro di me. Imparò fulmineamente la teoria del bacio.

Le mie mani le scesero sulle spalle. Le tolsi la vestaglia: tremava un poco, mentre la denudavo.

Le contai i seni. Due. Capezzoli rosei. Le misurai le natiche con le mani aperte.

Una bella taglia. Le feci scorrere sulle cosce la punta delle dita. Splendide cosce.

Ammirai le due profonde fossette sulle reni.

Lei era contemporaneamente timida e lussuriosa, una combinazione supèrba.

Quando io mi svestii, Pulcheria vide il timer e lo toccò: ma non chiese spiegazioni, e le sue mani scivolarono più in basso. Piombammo insieme sul letto.

Vedete, il sesso è veramente una cosa ridicola. L’atto fisico, voglio dire. Quello che chiamano «far l’amore» nei romanzi del ventesimo secolo, quello che chiamano «dormire insieme». Voglio dire: pensate a tutto l’impegno letterario che è stato dedicato a scrivere rapsodie della scopata. E a cosa si riduce tutto quanto, in effetti?

Si prende questa rigida e corta asta carnosa e la si mette in questo solco lubrificato, strofinandola avanti e indietro finché si accumula una carica sufficiente per rendere possibile la scarica. E come accendere il fuoco facendo ruotare un bastoncino contro una tavola. In effetti, non è niente di straordinario: inserire il tenone A nella mortasa B, e far vibrare fino alla conclusione.

Considerate l’atto e capirete che è assurdo. Le natiche che sobbalzano in su e in giù, le gambe che si agitano, i gemiti soffocati, le accelerazioni e i rallentamenti… può esistere qualcosa di più sciocco, per un atto centrale che governa i sentimenti umani?

No, naturalmente. Eppure perché quella sudata transazione con Pulcheria fu tanto importante per me (e forse anche per lei)?

La mia teoria è che il vero significato del sesso, di un bell’atto sessuale, è simbolico. È qualcosa al di là del fatto che durante tutte quelle manovre si prova per un breve tempo un «solletico» di piacere. In fin dei conti il medesimo piacere si può provare anche senza prendersi la briga di procurarsi compagnia; eppure non è la stessa cosa, vero?

No, il sesso è qualcosa di più di una contrazione dell’inguine: è la celebrazione dell’unione spirituale, della fiducia reciproca. A letto ci diciamo a vicenda: ecco, io mi do a te con la speranza che mi darai piacere, e cercherò di dare piacere anche a te.

Il contratto sociale, chiamiamolo così. E il brivido sta nel contratto, non nel piacere che è il suo pagamento.

E ci si dice, anche: ecco il mio corpo nudo, con tutti i suoi difetti, che ti mostro fiduciosamente, sapendo che non ne riderai. E ci si dice: io accetto questo contatto intimo con te, sebbene sappia che puoi trasmettermi una malattia ripugnante; non esito a correre il rischio, perché tu sei tu. E la donna usava dire, almeno fino al diciannovesimo secolo o all’inizio del ventesimo: mi apro a te anche se tra nove mesi potranno esserci conseguenze biologiche.

Tutte queste cose sono molto più vitali del rapido sfogo. E per questo che i congegni meccanici per la masturbazione non hanno mai sostituito il sesso e non lo sostituiranno mai.

È per questo che quanto accadde tra me e Pulcheria Dücas, in quel mattino bizantino del 1105, fu una transazione molto più significativa di quanto era accaduto tra me e l’imperatrice Teodora mezzo millennio prima, e più significativo di quanto era accaduto tra me e un numero imprecisabile di donne un millennio dopo. In Teodora, in Pulcheria, e in tutte quelle donne giù per la linea, avevo riversato approssimativamente lo stesso numero di centimetri cubi di fluido salato: ma con Pulcheria era diverso. Con Pulcheria, il nostro orgasmo fu solo il sigillo simbolico di qualcosa di più grande. Per me Pulcheria era l’incarnazione della bellezza e della grazia, e la sua facile resa fece di me un imperatore più potente di Alessio, e né lo spruzzo del mio getto né il suo fremito di risposta contavano un decimo del fatto che io e lei ci eravamo uniti nella fiducia, nella fede, nel desiderio condiviso… nell’amore. Questo è il nucleo della mia filosofia. Ecco cosa sono: un romantico.

Questa è la profondità che ho estratto da tutte le mie esperienze: il sesso con l’amore è meglio del sesso senza amore. Come volevasi dimostrare. Posso anche dimostrarvi, se volete, che essere sani è meglio che essere malati, e che essere ricchi è meglio che essere poveri. Le mie capacità di pensiero astratto sono illimitate.

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