XVII

Dopo che mi fui diplomato Corriere temporale, e poco prima che partissi per la rotta di Bisanzio, Sam diede una festa d’addio in mio onore. Aveva invitato quasi tutti quelli che avevo conosciuto a New Orleans di sotto, e ci stipammo tutti nelle due stanze di Sam. C’erano le ragazze del fiutatolo, e un poeta orale disoccupato che si chiamava Shigemitsu e parlava solo in pentametri giambici, e cinque o sei del Servizio temporale, e una venditrice di aleggiatori, e una ragazza scatenata, con i capelli verdi, che lavorava come separatrice in un centro genetico, e altri. Sam invitò perfino Flora Chambers, ma lei era già partita per il tragitto del sacco di Roma.

Ognuno di noi ricevette un aleggiatore appena arrivò. Così cominciarono a succedere in fretta molte cose. Pochi istanti dopo aver avvertito il ronzio della siringa contro il braccio, mi sentii espandere la coscienza come un pallone: si gonfiò al punto che il mio corpo non poté più contenerla, e irruppe oltre i confini della mia epidermide. Con un pop! mi ritrovai libero e aleggiai. Gli altri stavano vivendo la stessa esperienza. Liberati dalle catene della carne aleggiammo intorno al soffitto in una nebulosità ectoplasmica, godendo l’assurdità della sensazione. Inviai tentacoli nebbiosi ad avvolgersi intorno alle forme fluttuanti di Betsy e Helen, e ci godemmo un sereno accoppiamento triplice di tipo psichedelico. Intanto la musica filtrava da mille punti nella vernice della parete, e lo schermo del soffitto era sintonizzato sul canale dell’astratto per accentuare gli effetti. Fu una cosa deliziosa.

— Ci addolora che tu debba lasciarci — disse teneramente Shigemitsu. — Già la tua assenza crea un dolente vuoto. Il mondo, tuttavia, ti si dischiude…

Continuò così per cinque minuti almeno. La poesia diventò veramente erotica, verso la fine. Mi piacerebbe ricordare quella parte.

Aleggiammo più su, sempre più su. Sam, da perfetto padrone di casa, si prodigava perché nessuno si annoiasse neppure un minuto. Il suo enorme corpo nero luccicava di olio. Una giovane coppia del Servizio temporale aveva portato la propria bara: era incantevole, foderata di seta, con tutti gli impianti sanitari. I due vi entrarono, e lasciarono che noi li osservassimo con gli strumenti telemetrici. Poi la provammo tutti, a due o tre per volta, e alcuni accoppiamenti suscitarono molte risate. La mia compagna era la venditrice di aleggiatori, e proprio nel bel mezzo delle cose ricominciammo da capo.

Le ragazze del fiutatolo ballarono per noi, e tre dei Corrieri temporali (due uomini e una giovane donna dall’aria fragile e dal perizoma d’ermellino) organizzarono un’esibizione di acrobazie biologiche molto affascinanti. Avevano imparato i passi a Cnosso, dove avevano visto i danzatori di Minosse, e avevano semplicemente adattato i movimenti al gusto moderno inserendo accoppiamenti nei momenti opportuni. Durante l’esibizione, Sam distribuì degli sfasatori sensoriali. Li mettemmo, e si verificarono bellissime sinestesie. Per me, quella volta, il tatto diventò l’olfatto: accarezzavo le fresche natiche di Betsy e mi giungeva il fresco profumo primaverile dei lillà; stringevo un cubetto di ghiaccio e sentivo l’odore dell’oceano durante l’alta marea; toccavo la tappezzeria di stoffa costolata e i polmoni mi si riempivano del vertiginoso aroma di una pineta in fiamme. Poi facemmo cambio, e per me l’udito diventò il tatto: Helen mi mugolava agli orecchi suoni appassionati che diventavano muschio morbido; la musica usciva ruggendo dagli altoparlanti in un torrente di panna densa; Shigemitsu cominciò a gemere in versi sciolti e i ritmi scanditi della sua voce mi arrivavano come piramidi di ghiaccio.

Continuammo a fare varie cose con i colori, il gusto e la durata. Tra tutti i piaceri inventati negli ultimi cent’anni, credo che lo scambio sensoriale sia di gran lunga il mio preferito.

Più tardi mi si avvicinò Emily, la ragazza del centro genetico. Era magrissima, come denutrita, con gli zigomi sporgenti, una massa scarmigliata di capelli verdi, e gli occhi verdi più belli e penetranti che abbia mai visto. Sebbene fosse ubriaca di tutto simultaneamente, sembrava calma e controllata; ma era solo un’impressione, come scoprii presto. Stava aleggiando. — Ascolta attentamente quello che dice — mi consigliò Sam. — Sotto l’influsso degli aleggiatori diventa chiaroveggente. Dico sul serio: è proprio vero.

Emily mi si rovesciò tra le braccia. La sorressi, incerto, mentre la sua bocca cercava la mia. Mi mordicchiò leggermente le labbra. Ci sdraiammo con mosse delicate sul tappeto, che sotto il nostro peso emise lievi suoni ronzanti. Emily portava un mantello di strisce di rete di rame, allacciato intorno alla gola. Cercai pazientemente i suoi seni sotto quella cappa. Lei disse, con voce rauca e profetica: — Presto comincerai un lungo viaggio.

— Sì.

— Andrai su per la linea.

— Esatto.

— A Bisanzio.

— Bisanzio, sì.

— Non è un paese per i vecchi, quello! — gridò una voce da un angolo della stanza. I due giovani l’uno tra le braccia dell’altro, gli uccellini tra i rami…

— Bisanzio — mormorò esausto un danzatore sdraiandosi accanto ai miei piedi.

— Gli orafi illustri dell’imperatore! — gridò Shigemitsu. — Spirito! Gli orafi infrangono il diluvio! Fiamme che nulla accende e alimenta!

— L’imperial soldataglia è a letto sbronza — dissi io.

Emily, fremendo, mi morse un orecchio e disse: — A Bisanzio troverai ciò che più desideri.

— Sam mi ha detto la stessa cosa.

— E là la perderai. E soffrirai, e proverai rimpianto, e ti pentirai, e non sarai più quello di prima.

— Mi sembra una faccenda seria — dissi io.

— Guardati dall’amore a Bisanzio! — strillò la profetessa. — Guardatene!

Guardatene!

— … mordon le fauci, affondano gli artigli — cantilenò Shigemitsu. Promisi a Emily di essere prudente.

Ma la luce della profezia era scomparsa dai suoi occhi. Si raddrizzò a sedere, sbatte più volte le palpebre, sorrise incerta, e domandò: — Chi sei? — Le sue cosce erano strette con forza intorno alla mia mano sinistra.


— Sono l’ospite d’onore. Jud Elliott.

— Non ti conosco. Cosa fai?

— Il Corriere temporale. Lo farò. Domani parto per cominciare il servizio.

— Adesso mi sembra di ricordare. Io sono Emily.

— Sì, lo so. Lavori in un centro genetico.

— Qualcuno ha parlato di me!

— Non molto. Com’è il tuo lavoro?

— Faccio la separatrice — disse lei. — Separo i geni. Vedi: quando qualcuno è portatore del gene dei capelli rossi e lo vuole trasmettere ai figli ma il gene è connesso (diciamo) a quello dell’emofilia, io separo il gene indesiderato e lo elimino.

— Dev’essere un lavoro molto difficile — osservai.

— No, se uno sa il fatto suo. C’è un corso d’addestramento di sei mesi.

— Capisco.

— È un lavoro interessante. Vedendo come la gente vuole che risultino i figli, s’imparano molte cose sulla natura umana. Sai, non tutti desiderano includere delle migliorie. Certe volte riceviamo richieste sorprendenti.

— Immagino che tutto dipenda da quello che s’intende per migliorie — dissi.

— Ecco, ci sono certe norme. Noi presumiamo che sia meglio avere capelli folti e lucidi piuttosto che non averne. Meglio un uomo alto due metri che alto un metro soltanto. Meglio avere i denti regolari piuttosto che storti. Ma tu cosa diresti se arrivasse una donna e ti dicesse di modellarle un figlio con i testicoli che non discendono?

— E perché qualcuno dovrebbe volere un figlio simile?

— Perché non le va l’idea che il figlio se la spassi con le ragazze — disse Emily.

— E tu l’hai accontentata?

— La richiesta era di due punti interi al di sotto del limite nell’indice delle deviazioni genetiche. Tutte le richieste del genere dobbiamo sottoporle alla commissione della revisione genetica.

— E quelli l’approverebbero? — chiesi io.

— Oh, no, mai. Non autorizzano mutazioni controproducenti di quel tipo.

— Immagino che quella povera donna dovrà accontentarsi di un figlio con le balle, allora.

Emily sorrise. — Può rivolgersi ai genetisti clandestini, se ci tiene. Quelli sono disposti a fare di tutto. Non lo sai?

— Non proprio.

— Producono le mutazioni più eccentriche per gli ambienti d’avanguardia. I bambini con branchie e scaglie, i bambini con mani a venti dita, quelli con la pelle zebrata. I clandestini modificano qualunque gene: basta pagare. Costa un patrimonio.

Ma è la moda del futuro.

— Davvero?

— Stanno per entrare in voga le mutazioni cosmetiche — dichiarò Emily. — Non fraintendermi: il nostro centro non farebbe mai una cosa simile. Ma questa è l’ultima generazione uniforme nella specie umana. Varietà di genotipi e di fenotipi, ecco cosa ci aspetta! — Gli occhi le brillarono di una follia improvvisa, e mi resi conto che negli ultimi minuti doveva esserle esploso nelle vene un aleggiatore ad azione ritardata. Stringendosi a me, bisbigliò: — Cosa te ne pare della mia idea? Facciamo un bambino, subito, e tra qualche ora io lo rimodellerò al centro! Seguiremo la nuova tendenza!

— Mi dispiace — dissi io. — Ho preso la pillola, questo mese.

— Proviamo lo stesso — fece lei, e m’infilò nei pantaloni una mano avida.

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