XLIII

Capistrano si presentò nella locanda poco prima di mezzanotte. Sotto il mantello nascondeva una bottiglia tutta storta: la stappò e me la porse. — Cognac — disse. — Viene dal 1825, ed è stato imbottigliato nel 1775. L’ho appena portato su per la linea.

L’assaggiai. Lui si stravaccò di fronte a me. Era conciato peggio che mai: vecchio, svuotato, inaridito. Prese dalle mie mani la bottiglia e bevve avidamente.

— Prima che tu dica qualcosa — feci io, — voglio sapere qual è la tua base in tempo attuale. Le discontinuità mi spaventano.

— Non c’è discontinuità.

— No?

— La mia base è il dicembre 2059. La stessa che hai tu.

Impossibile!

— Impossibile? — ripeté Capistrano. — E come puoi dirlo?

— L’ultima volta che ti ho visto avevi meno di quarant’anni. Adesso hai passato la cinquantina. Non m’inganni, Capistrano. La tua base è intorno al 2070, no? E se è così, per amor di Dio, non dirmi niente degli anni che ancora mi attendono!

— La mia base è il 2059 — dichiarò Capistrano, affranto. Dalla sua voce impastata capii che quella bottiglia di cognac non era la prima della serata. — Non sono più vecchio di quanto dovrei esserlo per te — disse. — Il guaio è che sono morto.

— Non ti capisco.

— Il mese scorso ti ho parlato della mia bisnonna turca, vero?

— Sì.

— Stamattina sono andato giù per la linea fino all’Istanbul del 1955. La mia bisnonna aveva diciassette anni ed era ancora nubile. In un momento di disperazione l’ho strangolata e l’ho gettata nel Bosforo. Era notte e pioveva. Nessuno ci ha visti.

Sono morto, Elliott. Morto.

— No, Capistrano!

— Te l’avevo detto, molto tempo fa, che al momento opportuno sarei uscito di scena in questo modo. Una sgualdrinella turca, che ha irretito il mio bisnonno in un matrimonio vergognoso. Adesso non c’è più. Appena ritornerò nel tempo attuale, non sarò mai esistito. Cosa devo fare, Elliott? Decidi tu. Devo balzare subito giù per la linea e metter fine alla commedia?

Dopo una lunga sorsata di cognac io dissi, sudando: — Forniscimi la data esatta della tua sosta nel 1955. Andrò subito giù per la linea e t’impedirò di farle del male.

— No.

— E allora fallo tu. Arriva all’ultimo momento e salvala, Capistrano!

Mi guardò tristemente. — A che serve? Prima o poi l’ucciderò di nuovo. Devo farlo. È il mio destino. Ora mi smisterò giù per la linea. Baderai tu ai miei turisti?

— Ho una mia comitiva — gli ricordai.

— Certo. Certo. Non puoi addossartene altri. Bada solo che i miei non restino incagliati qui. Devo andare… devo…

Posò la mano sul timer.

Capis…

Portò con sé la bottiglia di cognac, quando balzò.

Andato. Estinto. Vittima di suicidio per cronoreato. Cancellato dalle pagine della storia. Non sapevo come risolvere la situazione. Se fossi andato nel 1955 e gli avessi impedito di assassinare la sua bisnonna… Lui era già inesistente nel tempo attuale: era possibile riportarlo retroattivamente in esistenza? Come funzionava, all’inverso, il paradosso del transito? Era un caso che non avevo studiato. Volevo fare del mio meglio per Capistrano, e dovevo pensare anche ai suoi turisti.

Ci rimuginai sopra per un’ora. Infine arrivai a una conclusione ragionevole, benché non romantica: non sono affari miei, decisi, e farei meglio a chiamare la Pattuglia temporale. Con riluttanza premetti il pulsante d’allarme del mio timer, il segnale che serve a chiamare subito un agente della Pattuglia.

Un agente della Pattuglia si materializzò istantaneamente. Dave Van Dam, il cafone biondo che avevo conosciuto il primo giorno a Istanbul.

— Be’? — fece.

— Suicidio per cronoreato — gli dissi. — Capistrano ha appena assassinato la sua bisnonna ed è saltato nel tempo attuale.

— Figlio di puttana. Perché dobbiamo sempre trovarci tra i piedi questi squilibrati che si fottono la madre?

Non persi tempo a fargli notare che le sue oscenità erano scelte male. Dissi: — Ha lasciato anche una comitiva di turisti incagliata qui. È per questo, che ti ho chiamato.

Van Dam sputò. — Figlio di puttana — ripeté. — Okay, ci penso io. — Premette il timer e sparì dalla mia stanza.

Avevo male, tanto ero addolorato per lo stupido spreco di una vita preziosa. Pensai al fascino di Capistrano, al suo garbo, alla sua sensibilità: tutto sprecato perché in un momento di ubriachezza e d’infelicità aveva commesso un cronoreato contro se stesso. Non piansi: ma avevo voglia di prendere a calci i mobili, e lo feci. Il rumore svegliò la Pistil, che lanciò un grido soffocato e mormorò: — Siamo aggrediti?

— Tu sì — risposi: e per sfogare la rabbia e l’angoscia mi buttai sul suo letto e mi avventai dentro di lei. Era un po’ stupita, ma cominciò a collaborare non appena si rese conto di quanto succedeva. Venni in mezzo minuto, e la lasciai tutta fremente a terminare con Bilbo Gostaman. Ancora d’umor nero, svegliai il locandiere, gli chiesi il vino migliore, e bevvi fino a ridurmi in uno stato stuporoso.

Molto più avanti venni a sapere che tutto il mio sfogo drammatico era stato inutile.

Quel viscido bastardo di Capistrano aveva cambiato idea all’ultimo minuto. Invece di smistarsi nel 2059 e di cancellare se stesso, si era aggrappato all’invulnerabilità di transito ed era rimasto su per la linea nel 1600, sposando la figlia di un pascià turco e facendole mettere al mondo tre figli. La Pattuglia temporale non riuscì a scovarlo fino al 1607: allora l’arrestò per cronoreato multiplo, lo trascinò nei 2060 e lo condannò alla cancellazione. Così se ne andò comunque, ma non in modo eroico. La Pattuglia, inoltre, dovette disassassinare la bisnonna di Capistrano, disposare lui dalla figlia del pascià nel 1600, e discreare i tre figli, e inoltre ritrovare e recuperare i suoi turisti abbandonati; quindi, nel complesso, causò una quantità di guai a tutti. — Se un uomo si vuole suicidare — disse Dave Van Dam, — perché diavolo non beve un carnifago nel tempo attuale e non facilita le cose a tutti noi? Dovetti dichiararmi d’accordo. Fu l’unica volta in vita mia in cui la Pattuglia temporale e io vedemmo le cose nello stesso modo.

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