XV

Facemmo colazione da Brennan e pranzammo da Antoine, e poi facemmo il giro del Garden District e tornammo alla città vecchia per visitare la cattedrale di Jackson Square, e poi proseguimmo a piedi per dare un’occhiata al Mississippi. Andammo anche al cinema a vedere Clark Gable e Jean Harlow in Red Dust, visitammo l’ufficio postale e la biblioteca, comprammo una quantità di giornali (sono souvenir autorizzati) e trascorremmo qualche ora ad ascoltare la radio. Viaggiammo sul Tram Chiamato Desiderio, e Jeff ci portò a fare una gita con un’automobile presa a nolo. Si offrì di lasciarci guidare: ma avevamo tutti il terrore di metterci al volante, dopo averlo visto alle prese con le complicazioni del cambio. E facemmo molte altre cose del ventesimo secolo. Assimilammo veramente il sapore dell’epoca.

Poi andammo a Baton Rouge, a vedere l’assassinio del senatore Long.

Arrivammo sabato 7 settembre, e prendemmo alloggio in quello che, a quanto giurava Jeff, era il miglior albergo della città. Il parlamento era in seduta, e il senatore Huey era arrivato da Washington per pilotare la situazione. Girammo senza meta la città fino a domenica pomeriggio. Poi Jeff ci fece preparare per assistere allo spettacolo.

Si era messo una maschera di termoplastica, per camuffarsi. Adesso il suo volto roseo e regolare era olivastro e butterato; aveva i baffi e portava occhiali neri che sembravano presi in prestito da Dajani. — È la terza volta che guido questa visita — ci spiegò. — Penso che farebbe un brutto effetto, se qualcuno notasse nel corridoio tre gemelli identici mentre si spara a Huey. — Ci avvertì di non badare agli altri due Jeff Monroe che eventualmente avessimo visto sulla scena dell’assassinio; lui, con la faccia butterata, i baffi e gli occhiali, era il nostro Corriere autentico, e agli altri due non dovevamo neppure avvicinarci.

Verso sera andammo a piedi al colossale Campidoglio, alto trentaquattro piani, ed entrammo con fare disinvolto: eravamo turisti venuti ad ammirare il palazzo di Huey, costato cinque milioni di dollari. Entrammo senza farci notare. Jeff controllava l’ora ogni due o tre secondi.

Ci piazzò dove avremmo potuto vedere tutto benissimo pur restando fuori tiro dei proiettili.

Non ci sfuggì la presenza di altri gruppi di turisti che si appostavano lì vicino. Vidi un uomo che era inequivocabilmente Jeff Monroe, insieme a una comitiva; un’altra era radunata intorno a un individuo della sua stessa taglia che però portava occhiali cerchiati di metallo e aveva una voglia di vino su una guancia. Con molto impegno cercammo di non guardare quei turisti, i quali si sforzavano di non guardare noi.

Io ero preoccupato per il paradosso cumulativo. Avevo l’impressione che tutti quelli che sarebbero venuti su per la linea ad assistere all’assassinio di Huey Long fossero lì in quel momento… magari migliaia di persone, tutte accalcate lì, che si spintonavano per vedere meglio. Eppure ce n’erano solo poche decine: coloro che erano partiti dal 2059 e da periodi precedenti. Perché gli altri non c’erano? Il tempo era così fluido che lo stesso evento poteva essere ripetuto infinite volte, e ogni volta per un pubblico più numeroso?

— Eccolo — bisbigliò Jeff.

Il grande capo si diresse in fretta verso di noi, scortato dalla guardia del corpo. Era basso e grassoccio, con la faccia florida, il naso a patata, i capelli biondorossicci, le labbra carnose, il mento segnato da una profonda fossetta. Mi dissi che percepivo il potere di quell’uomo, e mi chiesi se non era un’illusione. Mentre si avvicinava si grattò la natica sinistra, disse qualcosa a un uomo che gli stava a lato, e tossì. L’abito era un po’ gualcito; i capelli erano scomposti.

Poiché eravamo stati catechizzati dal nostro Corriere, sapevamo dove guardare per vedere l’assassino. A un segnale mormorato da Jeff — non prima! girammo la testa e vedemmo il dottor Carl Austin Weiss che si staccava dalla folla, si accostava al senatore e gli puntava contro lo stomaco una pistola automatica calibro 22. Sparò un colpo. Huey, sbalordito, cadde riverso, ferito mortalmente. Le sue guardie del corpo estrassero immediatamente la pistola e uccisero l’assassino. Pozze lucenti di sangue cominciarono a formarsi sul pavimento; la gente urlava; le guardie del corpo, rosse in faccia, ci spinsero, ci presero a pugni, ci dissero di stare indietro, indietro, indietro!

Tutto lì. L’evento che eravamo venuti a vedere era concluso.


Era apparso irreale, una scena registrata di storia antica, una ricostruzione in tredì, abile ma non del tutto convincente. Eravamo impressionati dall’ingegnosità della procedura, ma non sconvolti dall’avvenimento.

Non ci era sembrato completamente vero neppure quando volavano le pallottole.

Eppure quei proiettili erano veri e se ci avessero colpiti saremmo morti sul serio.

E per i due uomini che giacevano sul pavimento lucido, era stato un avvenimento estremamente reale.

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