44 La caccia

Perrin scese dal letto e iniziò a vestirsi, senza curarsi se Zarine guardava. Sapeva che cosa doveva fare, ma chiese ugualmente conferma a Moiraine: «Ce ne andiamo?»

«Se non vuoi conoscere di persona Sammael» rispose lei, ironica. Il tuono parve sottolineare la frase. Balenò il lampo. L’Aes Sedai diede appena un’occhiata a Zarine.

Infilandosi nelle brache i lembi della camicia, Perrin rimpianse all’improvviso di non avere indosso giubba e mantello: nominare un Reietto aveva reso gelida la stanza. Non bastava Ba’alzamon, si disse; bisognava pure che i Reietti fossero liberi. Contava ancora, adesso, trovare Rand? Non era troppo tardi? Ma continuò a vestirsi e s’infilò gli stivali. Trovare Rand o darsi per vinti. Gli abitanti dei Fiumi Gemelli erano noti perché non si davano mai per vinti.

«Sammael?» disse debolmente Zarine. «Un Reietto governa... Luce santa!»

«Hai ancora voglia di seguirci?» domandò piano Moiraine. «Non ti costringerei a restare qui, non ora, ma ti offro un’ultima possibilità: giura che andrai da un’altra parte, senza venirmi dietro.»

Zarine esitò. Perrin si bloccò, con la giacca infilata a metà. Di sicuro nessuno avrebbe scelto di andare con gente incorsa nella collera di un Reietto. Soprattutto sapendo in parte che cosa loro avrebbero dovuto affrontare. A meno d’avere un motivo veramente valido. Se per questo, chi avesse saputo che c’era un Reietto in libertà avrebbe dovuto correre alla prima nave del Popolo del Mare e chiedere un passaggio fino all’altro capo del Deserto Aiel, non stare seduto lì a riflettere.

«No» disse infine Zarine. Perrin cominciò a rilassarsi. «No, non giurerò di andare da un’altra parte» riprese Zarine. «Anche se non mi guiderete al Corno di Valere, neppure chi troverà il Corno vivrà un’avventura come questa. La mia sarà narrata per secoli e secoli, Aes Sedai, e io ne farò parte.»

«No!» sbottò Perrin. «Questa spiegazione non basta! Cosa vuoi realmente?»

«Non ho tempo per i bisticci» intervenne Moiraine. «Da un momento all’altro lord Brend può scoprire che uno dei suoi Segugi Neri è morto. Capirà subito che è stato un Custode e cercherà l’Aes Sedai del Gardin. Volete stare qui finché non avrà scoperto dove siete? Movetevi, stupidi bambocci! Movetevi!» Scomparve nel corridoio, prima che Perrin potesse aprire bocca.

Anche Zarine non perdette tempo e uscì di corsa dalla stanza, senza riprendersi la candela. Perrin raccolse in fretta le sue cose e si lanciò verso la scala posteriore, agganciandosi nel frattempo il cinturone con l’ascia. Raggiunse Loial che scendeva e intanto cercava d’infilare nelle bisacce un libro dalla copertina in legno e di mettersi il mantello. Perrin lo aiutò e Zarine li raggiunse prima che uscissero nella pioggia a dirotto.

Perrin ingobbì le spalle per bagnarsi il meno possibile e corse alla stalla, attraversando il cortile reso buio dall’acquazzone, senza perdere tempo a mettersi il cappuccio. “Ha di sicuro un motivo” pensò. “Diventare il personaggio d’una storia è ragione valida solo per una pazza!" Prima di varcare al volo la porta della stalla, aveva i ricci fradici di pioggia, incollati alla testa.

Moiraine, in un mantello di tela cerata ancora imperlato di pioggia, li aveva preceduti; Nieda reggeva una lanterna, in modo che Lan terminasse di sellare i cavalli. C’era un quinto animale, un castrone baio dal muso più pronunciato del naso di Zarine.

«Manderò piccioni ogni giorno» diceva il quel momento Nieda. «Nessuno sospetterà niente. Porca Fortuna! Perfino i Manti Bianchi parlano bene di me!»

«Stammi bene a sentire, donna!» replicò Moiraine, brusca. «Non si tratta di un Manto Bianco né di un Amico delle Tenebre. Te ne andrai da Illian e porterai con te chiunque ti stia a cuore. Per dodici anni mi hai ubbidito. Ubbidisci anche ora!» Nieda annuì, riluttante. Moiraine brontolò d’esasperazione.

«Il baio è tuo, ragazza» disse Lan a Zarine. «Monta in sella. Se non sai cavalcare, o impari strada facendo, o accetti la mia offerta.»

Zarine posò la mano sul pomo della sella e volteggiò in groppa, con grande facilità. «Ora che ci penso, Faccia di Pietra, una volta sono andata a cavallo» replicò. Si girò a legare dietro la sella il fagotto di bagagli.

«Cosa intendevi, Moiraine?» domandò Perrin, gettando sulla groppa di Stepper le bisacce. «Hai detto che avrebbe scoperto dov’ero. Lo sa già! I Grigi.» Nieda ridacchiò e Perrin si domandò, irritato, quanto la donna sapesse realmente e quanto credesse, delle cose che diceva di non credere.

«Non è stato Sammael a mandare i Grigi» rispose Moiraine, montando in groppa, con fredda precisione di movimenti, come se non avesse alcuna fretta. «Però il Segugio Nero era suo. Credo che abbia seguito la mia pista. Lui non avrebbe mandato gli uni e l’altro. Qualcuno vuole te, ma a mio parere Sammael non sa neppure che esisti. Per il momento.» Perrin si bloccò con un piede sulla staffa e fissò Moiraine, ma l’Aes Sedai pareva più interessata ad accarezzare il collo della giumenta che alla domanda sul viso di Perrin.

«Per fortuna ti ho seguito» disse Lan.

Moiraine sbuffò rumorosamente. «Mi dispiace che tu non sia donna, Gaidin» replicò. «Ti manderei come novizia alla Torre per farti imparare l’ubbidienza!» Lan inarcò il sopracciglio e sfiorò l’elsa; poi montò in sella. Moiraine sospirò. «Forse è una fortuna che tu sia disubbidiente. A volte. E poi, neppure Sheriam e Siuan Sanche insieme t’insegnerebbero a ubbidire, penso.»

«Non capisco» disse Perrin... una frase che da un po’ di tempo ripeteva spesso e che era stufo di ripetere. Voleva risposte comprensibili! Montò in arcione, in modo che Moiraine non lo guardasse dall’alto in basso: l’Aes Sedai aveva già tutti i vantaggi dalla sua, senza concederle anche questo. «Se non è stato lui, chi ha mandato i Grigi? Se un Myrddraal o un altro Reietto...» S’interruppe. Luce santa, un altro Reietto! «Se li ha mandati un altro, perché non l’ha informato? Sono tutti Amici delle Tenebre, no? E perché ce l’ha con me? Perché proprio con me? Il maledetto Drago Rinato è Rand!»

Udì l’ansito di Zarine e di Nieda: solo in quel momento si rese conto di ciò che aveva detto. Lo sguardo di Moiraine parve scorticarlo vivo. Maledetta linguaccia! Da quando aveva smesso di riflettere, prima di parlare? Gli parve che fosse accaduto da quando, per la prima volta, si era sentito fissato da Zarine. La ragazza ora lo guardava a bocca aperta.

«Adesso sei legata a noi» disse Moiraine, rivolta a Zarine. «Non potrai più ritirarti. Mai.» Zarine parve sul punto di replicare e anche timorosa di farlo, ma l’Aes Sedai aveva già rivolto altrove l’attenzione. «Nieda, lascia Illian stanotte stessa. Immediatamente! E tieni la bocca più chiusa di quanto tu non abbia fatto in questi ultimi anni. C’è chi ti taglierebbe la lingua per ciò che potresti dire, prima ancora che io possa trovarti.» Il tono duro lasciava qualche dubbio sul vero senso dell’ultima frase. Nieda annuì con vigore, come se l’avesse interpretata nei due sensi.

«In quanto a te, Perrin...» Moiraine spinse la giumenta accanto a lui e Perrin, malgrado tutto, si ritrasse. «Nel Disegno sono intessuti molti fili, alcuni neri come l’Ombra stessa. Star attento che uno di essi non ti strangoli.» Diede di tallone e la giumenta si lanciò sotto la pioggia, seguita da presso da Mandarb.

Maledizione a te, Moiraine, pensò Perrin, seguendoli. A volte non sapeva proprio da quale parte stesse l’Aes Sedai. Diede un’occhiata a Zarine, che gli cavalcava a fianco come se fosse nata in sella. Anche lei... da che parte stava?

La pioggia teneva lontano da vie e canali la gente (quindi nessun occhio visibile osservò la loro partenza) ma rendeva incerto ai cavalli l’appoggio sull’irregolare acciottolato. Quando raggiunsero l’ampia strada rialzata, di terra battuta, che attraversava la palude verso tramontana, l’acquazzone si era calmato un poco. Si udivano ancora i tuoni, ma i lampi balenavano molto più indietro, forse sopra il mare aperto.

Perrin ebbe l’impressione che un pizzico di fortuna girasse dalla loro parte. La pioggia era durata quanto bastava a nascondere la loro partenza; ora pareva che avrebbero cavalcato in una notte serena. Lo disse agli altri, ma Lan scosse la testa.

«I Segugi Neri, fabbro, preferiscono le notti serene e il chiaro di luna. Odiano la pioggia. Un buon temporale li terrebbe lontano.» Come evocata dalle sue parole, una pioggerellina sostituì l’acquazzone. Perrin udì, alle proprie spalle, il lamento di Loial.

Strada rialzata e palude terminavano insieme a un paio di miglia dalla città, ma la strada proseguiva con una lieve deviazione verso levante. La sera si mutò in notte e la pioggerella continuò a cadere. Moiraine e Lan mantennero un’andatura decisa che divorava il terreno. I cavalli traevano schizzi dalle pozzanghere. La luna splendeva tra gli squarci della nuvolaglia. Ora tutt’intorno c’erano basse alture e sempre più spesso comparivano alberi. Perrin pensò che più avanti ci fosse una foresta, ma non sapeva se esserne contento. I boschi li avrebbero nascosti a eventuali inseguitori, ma avrebbero permesso a questi ultimi d’avvicinarsi senza farsi scorgere.

Un debole ululato si levò lontano alle loro spalle. Per un attimo Perrin pensò che si trattasse di un lupo e, con propria sorpresa, quasi cercò il contatto mentale, prima di dominarsi. L’ululato si ripeté e Perrin capì che non era di lupo. Altri risposero, tutti a miglia di distanza: spettrali lamenti che contenevano sangue e morte, che parlavano d’incubi. Vide, sorpreso, che Lan e Moiraine rallentavano: l’Aes Sedai esaminava le colline circostanti.

«Sono molto lontano» disse Perrin. «Non ci raggiungeranno, se manteniamo l’andatura.»

«I Segugi Neri?» borbottò Zarine. «Quelli sono Segugi Neri? Sei sicura che non si tratti della Caccia Furiosa, Aes Sedai?»

«Ma è proprio questa» rispose Moiraine. «Proprio questa.»

«Non puoi battere in velocità i Segugi Neri, fabbro» disse Lan. «Nemmeno sul più veloce dei cavalli. Alla fine devi sempre affrontarli e ucciderli, altrimenti ti distruggeranno.»

«Potevo restarmene nello stedding, sapete» disse Loial. «A quest’ora mia madre m’avrebbe trovato moglie, certo, ma non sarebbe stata una brutta vita. Tutti i libri che volevo. Non dovevo venire all’Esterno.»

«Laggiù» disse Moiraine, indicando un’altura disalberata, molto sulla destra. In un raggio di duecento passi non c’erano alberi e più in là erano ancora radi. «Dobbiamo vederli arrivare, per avere una probabilità.»

Gli ululati dei Segugi Neri si levarono di nuovo, ancora lontani, ma meno di prima.

Ora che Moiraine aveva scelto la posizione, Lan fece allungare un poco il passo a Mandarb. Mentre salivano l’altura, gli zoccoli dei cavalli colpivano rumorosamente sassi semisepolti e resi scivolosi dalla pioggerella. Agli occhi di Perrin, molti sassi avevano spigoli troppo squadrati per essere naturali. In cima all’altura, smontarono intorno a quello che pareva un basso macigno arrotondato. La luna comparve da uno squarcio delle nubi e Perrin si trovò a guardare una faccia di pietra, rovinata dalle intemperie, lunga due passi. Una faccia di donna, ritenne, dalla lunghezza dei capelli. Per la pioggia, pareva che piangesse.

Moiraine smontò e rimase a fissare nella direzione da cui provenivano gli ululati. Era una sagoma incappucciata, in ombra; il chiaro di luna faceva scintillare le gocce di pioggia che rotolavano lungo il mantello di cerata.

Loial si avvicinò a scrutare la scultura, si chinò e tastò i lineamenti. «Credo che lei fosse Ogier» disse infine. «Ma questo non è un antico stedding: lo sentirei. Lo sentiremmo tutti. E saremmo al sicuro dalla Progenie dell’Ombra.»

«Cosa fissate, voi due?» domandò Zarine, guardando a occhi socchiusi la pietra. «Cos’è? Lei, chi?»

«Dalla Frattura, molte nazioni sono sorte e cadute» disse Moiraine, senza girarsi. «Alcune hanno lasciato solo un nome sopra una pagina ingiallita o dei contorni in una mappa sbrindellata. Anche noi non ci lasceremo altro alle spalle?»

Gli ululati assetati di sangue si levarono di nuovo, sempre più vicino. Perrin provò a calcolare la velocità dei Segugi e ritenne che Lan avesse ragione: i cavalli non li avrebbero battuti, dopotutto. E i Segugi non avrebbero tardato molto ad arrivare.

«Ogier» disse Lan «tu e la ragazza tenete i cavalli.» Zarine protestò, ma il Custode si avvicinò a lei, deciso. «I tuoi coltelli qui non serviranno, ragazza» soggiunse. Sguainò la spada, che brillò al chiaro di luna. «Anche questa è l’ultima risorsa. Pare che siano una decina, non uno. Tocca a voi impedire che i cavalli fuggano, appena li avranno fiutati. Neppure a Mandarb piace l’odore dei Segugi Neri.»

Se la spada del Custode non serviva, non sarebbe stata utile neppure l’ascia. Al pensiero, anche se quelli erano Progenie dell’Ombra, Perrin provò qualcosa di assai simile al sollievo: non avrebbe dovuto usare l’ascia. Dalle cinghie della sella sfilò l’arco. «Forse questo servirà» disse.

«Prova pure, fabbro» replicò Lan. «Non muoiono facilmente. Forse ne ucciderai uno.»

Perrin tolse di tasca una corda nuova e cercò di non bagnarla sotto la pioggerella: il velo di cera d’api era sottile e non costituiva grande protezione contro l’umidità prolungata. Bloccò fra le ginocchia l’arco, lo piegò con facilità e agganciò la corda. Quando si raddrizzò, vide i Segugi Neri.

Correvano come cavalli al galoppo e aumentavano ancora velocità. Erano solo dieci grosse sagome nella notte, che sciamavano fra gli alberi radi. Perrin tolse dalla faretra una freccia dalla punta larga, la incoccò, ma non tese l’arco. Non era mai stato fra i migliori arcieri di Emond’s Field; però, fra i giovani, era superato solo da Rand.

Avrebbe tirato da trecento passi, decise. Che idea sciocca! A questa distanza, avrebbe avuto le sue brave difficoltà a colpire un bersaglio fermo. Ma se avesse aspettato, vista la loro velocità... Si mise accanto a Moiraine, alzò l’arco, portò alla guancia l’impennatura e scagliò la freccia. Era sicuro che la freccia si era confusa con la sagoma più vicina, ma l’unico risultato fu un ringhio. Non avrebbe funzionato: arrivavano troppo velocemente! Aveva già teso l’arco. Ma perché Moiraine non faceva qualcosa? Scorgeva gli occhi dei Segugi, lucidi come argento, e le zanne che risplendevano come acciaio brunito. Neri come la notte stessa e grossi come un piccolo pony, i Segugi correvano verso di lui, in silenzio, pronti a uccidere. Il vento portava un puzzo di zolfo bruciato: i cavalli, anche il morello di Lan, nitrirono, atterriti. “Maledizione, Aes Sedai, fai qualcosa!" pensò Perrin. Scagliò la seconda freccia; il primo Segugio incespicò e continuò ad avanzare. Non sono immortali! Scagliò un’altra freccia: il primo Segugio ruzzolò, si rialzò barcollando, ricadde. Eppure Perrin provò un attimo di disperazione: uno era caduto, ma gli altri nove avevano già superato due terzi della distanza e parevano correre più velocemente, come ombre che scivolassero sul terreno. “Ancora una freccia” pensò Perrin. “Ho il tempo per una, forse. Poi tocca all’ascia. Maledizione, Aes Sedai!" Tese l’arco.

«Ora» disse Moiraine, mentre la freccia partiva. L’aria fra le sue mani prese fuoco e saettò verso i Segugi Neri, squarciando la notte. I cavalli nitrirono e s’impennarono per liberarsi.

Col braccio Perrin si protesse gli occhi dal bagliore e dal calore degno d’una forgia spalancata. Nella notte fiorì all’improvviso la luminosità del mezzogiorno e subito svanì. Perrin riaprì gli occhi: vedeva tremolare puntini luminosi e l’immagine residua di quella saetta di fuoco. Dove si erano trovati i Segugi Neri, rimanevano soltanto terreno oscurato dalla notte e pioggerella; le uniche ombre in movimento erano gettate dalle nubi che passavano davanti alla luna.

Perrin aveva immaginato che Moiraine scagliasse contro i Segugi fuoco o fulmini, non quella... «Cos’era?» domandò, con voce rauca.

Moiraine scrutava di nuovo dalla parte di Illian, come se potesse vedere al di là delle miglia di tenebra. «Forse lui non ha visto» disse, quasi tra sé. «Considerata la distanza, se non guardava da questa parte, forse non ha notato niente.»

«Chi?» domandò Zarine, con voce scossa. «Sammael? Hai detto che era a Illian. Come può vederci? Cos’hai fatto?»

«Una cosa proibita» rispose Moiraine, gelida. «Proibita da voti forti quasi quanto i Tre Giuramenti.» Prese dalle mani della ragazza le redini di Aldieb e accarezzò il collo della giumenta, per calmarla. «Una cosa mai più usata da quasi duemila anni. Potrebbero quietarmi solo perché ne sono a conoscenza.»

«E se... e se ce ne andassimo?» disse Loial, con voce debole. «Potrebbero essercene altri.»

«Non credo» replicò Moiraine, montando in sella. «Anche se li avesse avuti, non avrebbe sguinzagliato due branchi insieme: si sarebbero lanciati l’uno contro l’altro, anziché sulla preda. E non credo che siamo noi la sua preda principale, altrimenti sarebbe venuto di persona. Siamo... una seccatura, credo.» Lo disse in tono calmo, ma era chiaro che non le piaceva che la tenessero in così poco conto. «E forse un extra da mettere in carniere senza troppo scomodarsi. Però è meglio non rimanergli vicino più del necessario.»

«Rand?» domandò Perrin. Quasi sentì Zarine sporgersi per udire meglio. «Se non siamo noi, la preda è Rand?»

«Forse» rispose Moiraine. «O forse Mat. Anche lui è ta’veren. E ha suonato il Corno di Valere.»

Zarine parve strozzarsi. «Ha suonato? Hanno già trovato il Corno di Valere?»

Moiraine non le badò; si sporse dalla sella per guardare negli occhi Perrin. «Ancora una volta gli eventi mi lasciano indietro» disse. «Non mi piace. E non dovrebbe piacere neppure a te. Se gli eventi mi precedono, potrebbero anche calpestarti e calpestare insieme con te il resto del mondo.»

«Mancano ancora molte leghe per arrivare a Tear» disse Lan. «Il suggerimento dell’Ogier è saggio.» Era già in sella.

Moiraine si raddrizzò e diede di tallone. Era già a metà della discesa, prima che Perrin staccasse la corda dell’arco e prendesse da Loial le redini di Stepper. Maledizione a Moiraine! Avrebbe trovato da qualche parte le risposte!

Appoggiato a un tronco caduto, Mat si godeva il calore del fuoco da campo (da tre giorni la pioggia si era spostata verso meridione, ma lui si sentiva ancora umido) eppure al momento quasi non s’accorgeva delle fiamme danzanti. Teneva in mano un cilindretto coperto di cera e lo esaminava pensierosamente. Thom era impegnato ad accordare l’arpa; borbottava tra sé di pioggia e di umidità, senza guardare dalla parte di Mat. Nel folto d’alberi, i grilli cantavano. Colti dal tramonto a metà strada fra due villaggi, avevano scelto quel boschetto a una certa distanza dalla carreggiata. Due notti avevano provato ad affittare una stanza; due volte un contadino aveva scatenato contro di loro i suoi cani.

Mat tolse dalla cintura il coltello ed esitò. “Fortuna” pensò. “Non sempre esplodono, ha detto. Ci vuole fortuna." Con la massima cautela praticò un taglio lungo il cilindretto. Come pensava, era davvero un tubo di carta, in vari strati (al paese aveva trovato per terra pezzetti di carta, dopo l’esplosione dei fuochi d’artificio) ma pareva pieno di terriccio o di ghiaietta grigia mista a terriccio. Ne mise un pizzico sul palmo e smosse i granelli. Com’era possibile che i sassolini esplodessero?

«La Luce m’incenerisca!» sbottò Thom. Infilò nell’astuccio l’arpa, come per proteggerla dalla roba in mano a Mat. «Vuoi uccidere tutt’e due, ragazzo? Non hai sentito che esplodono anche a contatto dell’aria? I fuochi d’artificio sono la cosa più vicina al lavoro delle Aes Sedai, ragazzo.»

«Può darsi» replicò Mat. «Però Aludra non m’è sembrata un’Aes Sedai. Pensavo la stessa cosa dell’orologio di mastro al’Vere... cioè, che era opera delle Aes Sedai... ma poi ho aperto la parte posteriore e ho visto che era pieno di pezzettini metallici.» Al ricordo, provò un certo disagio: quella volta, comare al’Vere era stata la prima ad agguantarlo, precedendo di poco la Sapiente, suo padre e il Sindaco; ma nessuno aveva creduto che lui volesse soltanto dare un’occhiata. Se l’avessero lasciato fare, avrebbe rimesso a posto tutti i pezzetti. «Perrin avrebbe potuto fabbricarne uno, se avesse visto le rotelline e le piccole molle e non so cos’altro.»

«Saresti rimasto sorpreso, ragazzo» disse Thom, ironico. «Anche un cattivo fabbricante d’orologi è notevolmente ricco: gli orologiai si sudano quel che guadagnano. Ma un orologio non ti esplode in faccia!»

«Nemmeno questo. Be’, ormai è rovinato.» Gettò nel fuoco la manciata di carta e di ghiaietta, provocando lo strillo di Thom: i sassolini mandarono scintille, piccoli lampi, fumo e un puzzo acre.

«Cerchi davvero di ucciderci!» sbottò Thom, scosso, continuando ad alzare la voce. «Se ho voglia di morire, appena a Caemlyn andrò al Palazzo Reale e darò un pizzicotto a Morgase!» Agitò i baffi. «Non farlo mai più!»

«Non è esploso» disse Mat, perplesso, guardando il fuoco. Prese dal rotolo di tela cerata un tubo più grosso del precedente. «Chissà perché non c’è stato il botto.»

«Me ne frego se non c’è stato! Non riprovarci!»

Mat lo guardò e si mise a ridere. «Smettila di tremare, Thom. Niente paura, ora so cosa contengono. Almeno, so quale aspetto ha il contenuto, ma... Sì, ho capito, non ne apro altri. E poi, è più divertente farli esplodere.»

«Non ho paura, brutto porcaro dai piedi infangati» replicò Thom, con grande dignità. «Tremo di rabbia perché vado in giro con un buzzurro dal cervello di gallina, che potrebbe uccidere tutt’e due solo perché non riesce a pensare al di là del proprio...»

«Ehi del fuoco!»

Mat e Thom si scambiarono un’occhiata, nell’udire il rumore di zoccoli di cavallo. A quell’ora di notte, la gente perbene in genere non andava in giro. Ma le Guardie della Regina, così vicino a Caemlyn, mantenevano sicure le strade e i quattro che entrarono nel cerchio di luce del fuoco non avevano di certo l’aria di briganti. Erano tre uomini e una donna: i primi portavano mantello lungo e parevano scortare la donna, graziosa, dagli occhi azzurri, con collana d’oro, veste di seta grigia e mantello di velluto dall’ampio cappuccio. Gli uomini smontarono; uno resse le redini e l’altro la staffa, mentre la donna scendeva da cavallo, sorrideva a Mat, si toglieva i guanti e si accostava al fuoco.

«La notte ci ha colti per strada, mio giovane signore» disse. «Se non ti disturbo troppo, potresti darci indicazioni per trovare una locanda?»

Mat sorrise e si mosse per alzarsi. Non terminò il gesto: udì un uomo borbottare qualcosa e vide un altro estrarre da sotto il mantello una balestra già incoccata.

«Uccidilo, stupido!» gridò la donna. Mat gettò nel fuoco il tubo di carta e si lanciò verso il bastone. Ci fu un forte scoppio e un lampo.

«Aes Sedai!» strillò uno dei tre.

«Fuochi d’artificio, idiota!» gridò la donna.

Mat rotolò e si rialzò impugnando il bastone, in tempo per vedere il dardo conficcarsi nel tronco, dove lui era appoggiato l’attimo prima, e l’uomo armato di balestra cadere a terra, con il petto ornato dall’elsa di uno dei coltelli da lancio di Thom.

Non ebbe tempo di vedere altro: i due uomini rimasti sguainarono la spada e si avventarono contro di lui. Uno dei due cadde in ginocchio, lasciò la spada nel tentativo di strappare il coltello che gli si era conficcato nella schiena e crollò bocconi. L’altro non vide cadere il compagno; ovviamente intendeva attaccare in coppia con lui per dividere l’attenzione dell’avversario. Vibrò un affondo al bersaglio grosso: Mat, con aria quasi sprezzante, gli spezzò il polso, facendogli volare via la spada, e gli fratturò la fronte. L’uomo rovesciò gli occhi e crollò.

Con la coda dell’occhio Mat vide la donna avanzare. Puntò contro di lei il dito, come un coltello. «Per essere una ladra, hai vestiti troppo eleganti, donna!» disse. «Mettiti a sedere finché non avrò deciso cosa fare di te, altrimenti...»

Lei parve sorpresa quanto Mat per il coltello che all’improvviso le spuntò dalla gola facendo schizzare sangue. Mat mosse un passo come per afferrarla al volo, pur sapendo che era la cosa sbagliata. Il mantello ricadde su di lei e ricoprì tutto il corpo, tranne il viso e l’elsa del coltello di Thom.

«Maledizione» brontolò Mat. «Accidenti a te, Thom Merrilin! Era una donna! Luce santa, potevamo legarla e consegnarla domani alle Guardie della Regina. Forse l’avrei perfino lasciata andare. Non avrebbe derubato nessuno, senza quei tre. L’unico scampato impiegherà giorni per rimettersi in piedi e mesi prima d’impugnare di nuovo una spada. Accidenti a te, Thom, non era necessario ucciderla!»

Il menestrello si accostò zoppicando alla donna e con un calcio scostò il mantello. La donna reggeva ancora con dita inerti un pugnale dalla lama larga come il pollice di Mat e lunga una spanna. «Dovevo aspettare che ti piantasse il pugnale nelle costole, ragazzo?» Ricuperò il proprio coltello e lo pulì sul manto.

Mat si rese conto di canticchiare a bocca chiusa. “Una maschera le celava il viso". Smise e si chinò a coprire col cappuccio il viso della donna. «Meglio allontanarci» disse piano. «Non vorrei essere obbligato a spiegare l’accaduto a una pattuglia di Guardie della Regina.»

«Con quei vestiti?» disse Thom. «Figuriamoci! Avranno derubato la moglie d’un mercante o la carrozza di qualche nobile.» Addolcì il tono. «Se ce ne andiamo, ragazzo, ti conviene sellare il cavallo.»

Mat trasalì e staccò gli occhi dal cadavere della donna. «Sì, mi conviene, vero?» rispose. Non guardò più dalla parte del cadavere.

Non aveva altrettanto rimorso per gli uomini: chi decideva di derubare e uccidere, meritava la sorte che gli toccava se perdeva la partita. Non si soffermò a guardarli, ma non distolse lo sguardo, se gli cadeva sui ladroni. Sellò il castrone, legò dietro la sella il fagotto e poi, mentre a calci copriva di terriccio il fuoco, si trovò a guardare l’uomo che aveva scoccato il dardo di balestra. Notò qualcosa di familiare nei lineamenti, messi in risalto dalla luce delle ultime braci. Fortuna, pensò; sempre la fortuna.

«Quello con la balestra era un buon nuotatore, Thom» commentò, montando in sella.

«Che sciocchezze dici, adesso?» replicò il menestrello, già in arcione, preoccupato più per le custodie degli strumenti che per i morti. «Come fai a sapere che era un buon nuotatore?»

«Ha raggiunto la riva da una barchetta nel bel mezzo dell’Erinin, nel cuore della notte. Immagino che con quell’impresa abbia esaurito tutta la sua parte di fortuna.» Controllò di nuovo le cordicelle del rotolo di fuochi d’artificio. Se quello stupido aveva pensato alle Aes Sedai, nell’udire lo scoppio di uno di essi, chissà che cosa avrebbe creduto, se fossero esplosi tutti!

«Sei sicuro, ragazzo? Le possibilità che si tratti della stessa persona... Be’, nemmeno tu ci scommetteresti.»

«Sono sicuro, Thom.» “Elayne” si disse “ti torcerò il collo, appena ti metterò le mani addosso. E lo torcerò anche a Egwene e a Nynaeve." «Appena arriviamo a Caemlyn, voglio liberarmi di questa maledetta lettera.»

«Ti ripeto che nella lettera non c’è niente, ragazzo. Quand’ero più giovane di te, giocavo già il Daes Dae’mar: riconosco un codice o un messaggio cifrato, anche se non so interpretarlo.»

«Be’, Thom, io non ho mai giocato il tuo Grande Gioco, il tuo Gioco delle Case, ma capisco quando qualcuno mi dà la caccia; quelli non si prenderebbero tanta briga solo per l’oro che ho in tasca e neppure per un baule di monete. Si tratta di sicuro della lettera.» Maledizione, pensò, finiva sempre per cacciarsi nei guai a causa di qualche graziosa ragazza! «Stanotte hai ancora voglia di dormire?»

«Dormirei come un bimbo innocente, ragazzo. Ma se vuoi cavalcare, cavalchiamo pure.»

Mat rivide per un attimo il viso grazioso della donna e il coltello piantato nel collo. Non aveva avuto fortuna, quella donna graziosa. «Allora cavalchiamo!» disse ferocemente.

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