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Una donna vestita in seta bianca e argento entrò, chiuse la porta e si appoggiò al battente, scrutò Mat, con gli occhi più neri che lui avesse mai visto. Era talmente bella da mozzare il fiato: capelli neri come la notte, trattenuti da una fascia d’argento finemente intessuta, atteggiamenti aggraziati da danzatrice. Mat ebbe l’impressione di conoscerla, ma scartò subito il pensiero: nessuno poteva dimenticare una donna così bella.

«Un po’ più in carne, saresti forse passabile» disse la donna. «Ma per il momento sarebbe meglio che ti coprissi.»

Mat continuò a fissarla ancora un istante e a un tratto si rese conto d’essere nudo. Rosso in viso, andò al letto e si mise sulle spalle la coperta come se fosse un mantello, poi, più che sedersi, si lasciò cadere sul bordo del materasso. «Chiedo scusa per... voglio dire... insomma, non m’aspettavo...» Trasse un gran respiro. «Chiedo scusa per essermi fatto trovare in questo stato.»

Si sentiva ancora bruciare le guance. Per un attimo desiderò che Rand o Perrin fossero lì a consigliarlo. Loro parevano cavarsela sempre, con le donne; lui invece, per quanto si sforzasse, riusciva ogni volta a fare la figura dello sciocco. Come era appena accaduto.

«Non ti avrei fatto visita così all’improvviso, Mat; ma mi trovavo qui nella... nella Torre Bianca...» sorrise, come se il nome la divertisse «per altri motivi e desideravo vedervi tutti.» Mat arrossì di nuovo e si strinse nella coperta; ma pareva che lei non avesse intenzione di prenderlo in giro. Con la grazia d’un cigno si accostò al tavolo. «Sei affamato» proseguì. «Era prevedibile, visto come operano. Cerca di mangiare tutto quello che ti danno. Sarai sorpreso nel vedere con quanta rapidità ti rimetterai in carne e ritroverai le forze.»

«Chiedo scusa» disse Mat, diffidente «ma ti conosco? Senza offesa, mi sembri... familiare.» Lei lo fissò e Mat si mosse a disagio, una donna come quella s’aspettava che chiunque la ricordasse.

«Forse mi hai già visto» disse lei infine. «Da qualche parte. Puoi chiamarmi Selene.» Inclinò leggermente la testa; pareva aspettare che lui riconoscesse il nome.

Mat aveva un vago ricordo: era convinto d’avere udito quel nome, ma non sapeva né quando né dove. «Sei Aes Sedai, Selene?» domandò.

«No» rispose lei, piano, ma con enfasi sorprendente.

Per la prima volta Mat la studiò: ora riusciva a vedere qualcosa di più della semplice bellezza. La donna era alta quasi come lui, snella e forte. Mat non seppe darle un’età — un paio d’anni più di lui, forse, o anche dieci — ma notò che non aveva la minima ruga. Portava una collana di lucide pietre bianche e d’argento intrecciato, che faceva il paio con l’ampia cintura, ma non aveva l’anello col Gran Serpente. Lui non avrebbe dovuto sorprendersi per la mancanza dell’anello (nessuna Aes Sedai avrebbe dichiarato schiettamente di non essere Aes Sedai) eppure si sorprese. La donna aveva una certa aria... una fiducia in sé, una sicurezza nel proprio potere... che non avrebbe sfigurato in una regina e che lui aveva associato subito con le Aes Sedai.

«Per caso non sei una novizia, vero?» domandò. Aveva sentito dire che le novizie vestivano di bianco, ma in realtà non credeva che lei fosse una novizia. Al suo confronto, si disse, Elayne sarebbe parsa una sguattera. Elayne. Un altro nome che emergeva dalla confusione dei suoi ricordi.

«Non direi proprio» rispose Selene, con una smorfia. «Mettiamola a questo modo: sono una persona i cui interessi coincidono con i tuoi. Queste... Aes Sedai intendono usarti; ma a te piacerà, penso, in linea di massima. E accetterai. Tu non hai bisogno di spinte, per cercare la gloria.»

«Usarmi?» A volte, ricordò, aveva pensato che le Aes Sedai volessero usare Rand, non lui; maledizione, per lui non avevano alcun uso, non potevano averne! «Cosa vuoi dire? Io non conto niente. Non sono utile a nessuno, escluso me stesso. Quale gloria?»

«Sapevo che l’accenno alla gloria ti avrebbe colpito. Te, su tutti.»

Il suo sorriso gli faceva girare la testa. Mat si ravviò i capelli e afferrò al volo la coperta che era scivolata. «Le Aes Sedai non sono interessate a me» disse. Però aveva suonato il Corno, pensò; forse questo era motivo d’interesse. «Sono soltanto un contadino.» Forse lo ritenevano legato a Rand in qualche modo. Ma no, Verin aveva detto... Non era sicuro di che cosa avesse detto Verin... o Moiraine; ma riteneva che le altre Aes Sedai non sapessero di Rand. E voleva che la situazione perdurasse, almeno finché lui non fosse stato molto lontano da Tar Valon. «Sono un semplice campagnolo. Voglio vedere un poco il mondo e tornare alla fattoria di mio padre, nient’altro.» E pensò: “Cosa vorrà dire, parlando di gloria?".

Selene scosse la testa, come se gli avesse letto nel pensiero. «Ancora non conosci la tua importanza» disse. «Un’importanza sicuramente superiore a quella che ti attribuiscono queste cosiddette Aes Sedai. Puoi davvero conquistare la gloria, se ne sai quanto basta a non fidarti di loro.»

«Tu di sicuro non ti fidi di loro» replicò Mat. Cosiddette? Ebbe un sospetto, ma non riuscì a esprimerlo. «Sei una...? Sei una...?» Non era il genere d’accusa da rivolgere a nessuno.

«Un Amico delle Tenebre?» terminò lei, beffarda. Parve divertita, non arrabbiata. Sprezzante. «Uno di quei patetici seguaci di Ba’alzamon, che pensano di ricevere da lui immortalità e potere? Io non seguo nessuno. C’è un solo uomo al cui fianco potrei stare, ma non seguo nessuno.»

Mat ridacchiò nervosamente. «No, certo» disse. Sangue e ceneri, pensò, se fosse stata un Amico delle Tenebre, non l’avrebbe certo ammesso; ma probabilmente avrebbe avuto un pugnale avvelenato. Lui ricordava vagamente una donna, un’Amica delle Tenebre, vestita come le dame della nobiltà e armata d’un micidiale stiletto. «Non intendevo una simile sciocchezza. Hai l’aria... Hai l’aria d’una regina. Ecco cosa volevo dire. Sei una dama?»

«Mat, Mat, devi imparare a fidarti di me. Oh, ti userò anch’io... sei per natura troppo diffidente, soprattutto da quando hai tenuto su di te quel pugnale, perché mi convenga negarlo... ma ti farò guadagnare ricchezza, potere, gloria. Non ti costringerò. Sono sempre stata convinta che gli uomini agiscono meglio se convinti, anziché costretti. Queste Aes Sedai non hanno la minima idea della tua importanza e lui proverà a dissuaderti o cercherà di ucciderti, ma io posso darti ciò che desideri.»

«Lui?» domandò Mat, in tono penetrante. “Uccidermi?" pensò. “Luce santa, davano la caccia a Rand, non a me. E come mai Selene è al corrente del pugnale? Immagino che ne sia al corrente tutta la Torre." «Chi è questo “lui” che vuole uccidermi?»

Selene serrò le labbra, come se avesse parlato troppo. «Tu sai cosa vuoi, Mat» disse «e io lo so bene quanto te. Devi scegliere di chi fidarti, per ottenerlo. Io ammetto che ti userò. Le Aes Sedai non lo ammetteranno mai. Io ti guiderò alla ricchezza e alla gloria. Loro ti terranno legato al guinzaglio, finché non morirai.»

«Dici un mucchio di cose, ma come faccio a sapere che sono vere? Come faccio a sapere che posso fidarmi di te e non di loro?»

«Facendo attenzione a ciò che ti diranno e a ciò che non ti diranno. Ti diranno che tuo padre è stato a Tar Valon?»

«Mio padre è stato qui?»

«Un certo Abell Cauthon e un certo Tam al’Thor, a furia d’insistere, hanno ottenuto udienza. Volevano sapere dov’eravate, tu e i tuoi amici. Siuan Sanche li ha rimandati nei Fiumi Gemelli, senza dire loro neppure che eravate vivi. Le Aes Sedai te lo diranno, se non sarai tu a domandarlo? Forse non te lo diranno nemmeno se domanderai, perché potresti fuggire per tornare a casa.»

«Mio padre pensa che io sia morto?» disse lentamente Mat.

«Gli si può far sapere che sei vivo. Me ne posso occupare io. Rifletti su chi merita fiducia, Mat Cauthon. Le Aes Sedai ti diranno che in questo stesso momento Rand al’Thor è in fuga e che Moiraine lo insegue? Ti diranno che l’Ajah Nera infesta la loro amata Torre Bianca? Ti diranno che intendono usarti?»

«Rand è fuggito? Ma...» Forse Selene sapeva già che Rand si era proclamato il Drago Rinato, ma in ogni caso lui non le avrebbe detto niente. L’Ajah Nera! Sangue e ceneri! «Chi sei, Selene? Se non sei un’Aes Sedai, chi sei?»

Lei nascose dietro un sorriso i propri segreti. «Ricorda solo che esiste un’altra scelta» disse. «Non devi essere il burattino della Torre Bianca né la preda degli Amici delle Tenebre di Ba’alzamon. Il mondo è più complesso di quanto non immagini. Per il momento fai come vogliono le Aes Sedai, ma ricorda che puoi scegliere. Lo ricorderai?»

«Non mi pare d’avere la minima possibilità di scelta» replicò Mat, torvo. «Ma lo ricorderò, penso.»

Selene lo fissò con occhi penetranti; dalla sua voce la benevolenza scivolò via come pelle di serpente nella muta. «Pensi? Non sono venuta per farti piacere, per sentirti parlare a questo modo, per farmi dire che pensi, Matrim Cauthon.» Protese la mano sottile.

La mano era vuota e lei stava quasi al centro della stanza, ma Mat si piegò all’indietro, come se lei gli fosse addosso e stringesse un pugnale. Non sapeva spiegarsi la reazione, ma aveva scorto negli occhi di lei una minaccia ed era sicuro che fosse reale. Si sentì formicolare la pelle e gli tornò il mal di testa.

All’improvviso formicolio e dolore svanirono; Selene girò di scatto la testa, come se avesse udito un rumore al di là delle pareti. Si accigliò un poco e abbassò la mano. Si rasserenò subito. «Parleremo di nuovo, Mat» disse. «Ho molto da dirti. Ricorda le scelte. Ricorda che molte mani vorrebbero ucciderti. Solo io posso garantirti la vita e tutto ciò che cerchi, se fai come dico.» Scivolò fuori della porta, con movimenti aggraziati e silenziosi, così com’era entrata.

Mat lasciò uscire il fiato. Colava sudore. Luce santa, chi era quella donna? Un’Amica delle Tenebre, forse. Ma aveva mostrato per Ba’alzamon lo stesso disprezzo che provava per le Aes Sedai. Gli Amici delle Tenebre parlavano di Ba’alzamon come un altro avrebbe parlato del Creatore. E lei non gli aveva detto di nascondere alle Aes Sedai la propria visita.

Già, pensò Mat, cosa poteva dire? “Scusatemi, Aes Sedai, quella donna è venuta a farmi visita. Non era Aes Sedai, ma penso che avesse iniziato a usare su di me l’Unico Potere; ha detto di non essere Amica delle Tenebre, ma sosteneva che voi intendete usarmi e che nella vostra Torre c’è l’Ajah Nera. Oh, e ha detto che io sono importante. Come, non so. Non vi dispiace se ora me ne vado, vero?"

Andarsene diventava di minuto in minuto l’idea migliore. Mat si lasciò scivolare goffamente dal letto e, stringendosi ancora nella coperta, barcollò fino all’armadio. Gli stivali erano sul ripiano inferiore; il mantello pendeva da un piolo, sotto la cintura con la borsa e il fodero con il coltello. Un semplice coltello di campagna, con lama robusta, ma pericoloso come qualsiasi stiletto elegante. Il resto degli abiti — due resistenti giubbe di lana, tre paia di brache, cinque o sei camicie di lino e la biancheria — era stato spazzolato o lavato a seconda della necessità e ripiegato per bene sui ripiani laterali. Mat tastò la borsa: il contenuto era ammucchiato su di un ripiano, insieme con la roba tolta dalle tasche.

Spinse da parte una piuma di falco rosso, un sasso levigato e screziato di cui gli erano piaciuti i colori, il rasoio e il coltello da tasca, col manico d’osso; sciolse la corda d’arco, tenuta di scorta e usata per legare la borsa, e vide che in questo caso la sua memoria era stata fin troppo buona.

«Due marchi d’argento e qualche monetina di rame» brontolò. «Con questi soldi non andrò molto lontano.» Un tempo gli sarebbe parsa una piccola fortuna, prima però di lasciare Emond’s Field.

Si chinò a guardare in fondo al ripiano. Dov’erano? Cominciò a temere che le Aes Sedai li avessero gettati via, come avrebbe fatto sua madre, se li avesse trovati. Poi sentì un’ondata di sollievo. Proprio in fondo, dietro la scatola con l’occorrente per accendere il fuoco e il gomitolo di corda per le trappole, trovò i due astucci di cuoio per i dadi.

Gli astucci produssero un acciottolio, mentre lui li prendeva; ma Mat li aprì ugualmente. Tutto era a posto. Cinque dadi intagliati con i simboli per il gioco delle corone e cinque marcati con punti. Questi ultimi servivano per un certo numero di giochi, ma pareva che il gioco più diffuso fosse quello delle corone. Con i dadi, si disse Mat, i suoi due marchi si sarebbero moltiplicati quanto bastava per portarlo lontano da Tar Valon. Dalle Aes Sedai e anche da Selene.

Udì un colpo perentorio alla porta, subito seguito dal rumore del battente che si apriva. Si girò di scatto e vide entrare l’Amyrlin Seat e la Custode degli Annali. Le avrebbe riconosciute anche senza l’ampia stola a strisce dell’Amyrlin e la stretta stola azzurra della Custode. Le aveva viste una volta sola, molto lontano da Tar Valon; ma non poteva dimenticare le due Aes Sedai ai vertici della gerarchia.

L’Amyrlin inarcò le sopracciglia vedendolo lì fermo, con la coperta sulle spalle, la borsa e i dadi in mano. «Non credo che ti serviranno, figliolo, ancora per un poco» disse, ironica. «Posa quella roba e torna a letto, prima di cadere lungo e disteso.»

Mat esitò, irrigidì la schiena; ma le sue ginocchia scelsero proprio quel momento per vacillare e le due Aes Sedai lo guardavano come se leggessero ogni suo pensiero di ribellione. Seguì il loro consiglio e si avvolse nella coperta. Si distese dritto come un’asse, senza sapere bene cos’altro avrebbe potuto fare.

«Come ti senti?» domandò vivacemente l’Amyrlin, toccandogli la testa. A Mat venne la pelle d’oca. L’Amyrlin aveva fatto uso dell’Unico Potere? O bastava il semplice tocco di un’Aes Sedai a provocargli quella sensazione di gelo?

«Bene» rispose. «Sono pronto ad andare per la mia strada. Dico addio a Egwene e a Nynaeve e mi tolgo dai piedi. Voglio dire... e me ne vado... ah... Madre.» Moiraine e Verin non badavano al suo modo d’esprimersi, ma lei era l’Amyrlin Seat, in fin dei conti.

«Sciocchezze» disse l’Amyrlin. Tirò accanto al letto la poltrona dall’alto schienale e si accomodò. Si rivolse a Leane: «Gli uomini non ammettono mai d’essere ammalati, finché non stanno tanto male da raddoppiare il lavoro delle donne. Poi sostengono che presto staranno bene, con identico risultato.»

La Custode diede un’occhiata a Mat e annuì. «Sì, Madre; però costui non può sostenere di stare bene: si regge a stento in piedi. Almeno ha mangiato tutto ciò che c’era sul vassoio.»

«Sarei stata sorpresa se avesse lasciato tante briciole da far gola a un canarino. Se non sbaglio, ha ancora fame.»

«Gli farò portare una crostata, Madre. O qualche focaccia.»

«No, credo che ora abbia mangiato il massimo che può trattenere. Se rimette tutto, non gli farà bene.»

Mat la guardò di storto. Secondo lui, se uno si ammalava, diventava invisibile per le donne, a meno che non dovessero proprio parlare con lui. E poi, gli toglievano almeno dieci anni, lo trattavano come un ragazzino. Sua madre, le sue sorelle, Nynaeve e l’Amyrlin Seat si comportavano tutte allo stesso modo.

«Non ho affatto fame» dichiarò. «Sto benissimo. Se mi lasci vestire, ti dimostro quanto sto bene. Uscirò di qui prima che te ne accorgi.» Ora tutt’e due lo guardavano. Mat si schiarì la voce. «Ah... Madre» soggiunse.

L’Amyrlin sbuffò. «Hai mangiato un pasto per cinque e per un bel po’ di tempo ne mangerai ancora tre o quattro al giorno, come quello, altrimenti morirai di fame. Sei stato appena Guarito da un legame col male che uccise ogni uomo, donna e bambino di Aridhol; in quasi duemila anni d’attesa, non si è affatto indebolito. Ti stava uccidendo, con la stessa certezza con cui ha ucciso loro. Non è come avere nel pollice una spina di pesce, ragazzo. Nel tentativo di salvarti, noi stesse abbiamo rischiato di ucciderti.»

«Non ho fame» ribatté Mat, testardo. Ma fu smentito dal rumoroso brontolio dello stomaco.

«Non ho sbagliato a giudicarti, la prima volta che t’ho visto» disse l’Amyrlin. «Ero sicura che saresti schizzato via come un martin pescatore spaventato, se pensavi che cercassero di trattenerti. Ho fatto bene a prendere precauzioni.»

Mat guardò con diffidenza le due donne. «Precauzioni?» disse. Loro gli restituirono lo sguardo, serene. Mat provò l’impressione che i loro occhi lo inchiodassero al letto.

«Ho appena trasmesso alle guardie ai ponti il tuo nome e la tua descrizione» disse l’Amyrlin. «E anche ai responsabili del porto. Non ti costringerò a stare nella Torre; ma non lascerai Tar Valon, finché non starai bene davvero. Se ti venisse in mente di nasconderti nella città, alla fine la fame ti farebbe uscire. Altrimenti, ti troveremmo noi, prima che tu muoia di fame.»

«Perché hai tanta voglia di tenermi qui?» domandò Mat. Gli parve di udire la voce di Selene: “Vogliono usarti". «Perché ti preoccupi se muoio di fame? Posso nutrirmi da solo.»

L’Amyrlin ridacchiò senza tanta allegria. «Con due marchi d’argento e qualche moneta di rame, figliolo? Dovresti avere davvero una gran fortuna a dadi, per comprare tutto il cibo di cui avrai bisogno nei prossimi giorni. Non Guariamo le persone perché poi sprechino la nostra fatica quando hanno ancora bisogno di cure. Inoltre, forse la Guarigione sarà ancora necessaria.»

«Ancora? Hai detto d’avermi Guarito. Perché dovrei averne ancora bisogno?»

«Figliolo, hai tenuto per mesi quel pugnale. Credo che abbiamo estirpato ogni traccia, ma se ci fosse sfuggito anche il più piccolo frammento, per te sarebbe fatale E chissà quali saranno gli effetti dovuti al prolungato contatto con il pugnale. Fra sei mesi, un anno, potresti rimpiangere di non avere a portata di mano un’Aes Sedai che ti Guarisca di nuovo.»

«Vuoi che resti qui un anno?» replicò Mat, incredulo, alzando la voce. Leane si agitò e gli scoccò un’occhiata penetrante, ma l’Amyrlin non si scompose.

«Forse non così a lungo, figliolo, ma quanto basta a essere sicuri. Di certo interessa anche a te. Faresti vela in una barca, senza sapere se il calafataggio terrà o se qualche tavola non sia marcia?»

«Non ho avuto molto a che fare con le barche» borbottò Mat. Forse era vero, si disse. Le Aes Sedai non mentivano mai. Tuttavia c’erano troppi se e ma, nel suo caso. «Manco da casa da parecchio, Madre» proseguì. «Mio padre e mia madre mi riterranno morto.»

«Se vuoi scrivere una lettera, provvederò a farla recapitale a Emond’s Field.»

Mat aspettò che proseguisse, ma restò deluso. «Grazie, Madre» disse allora. Provò a sorridere. «Sono sorpreso che mio padre non sia venuto a cercarmi È proprio il tipo.» Non ne fu sicuro, ma credette di cogliere nell’Amyrlin una breve esitazione, prima della risposta.

«Infatti è venuto. Leane gli ha parlato.»

Subito la Custode intervenne: «A quel tempo non sapevamo dov’eri, Mat. Gliel’ho detto e lui se n’è andato prima che iniziassero le grosse nevicate. Gli ho dato un po’ d’oro per facilitargli il viaggio.»

«Senza dubbio sarà contento di ricevere tue notizie» disse l’Amyrlin. «Anche tua madre sarà contenta. Scrivi la lettera e penserò io a farla consegnare.»

Gliel’avevano detto. Ma aveva dovuto domandarlo lui. E non avevano accennato al padre di Rand. Forse pensavano che non gli interessasse, forse... Maledizione, chi poteva capire i motivi delle Aes Sedai?

«Viaggiavo con un amico, Madie» disse. «Rand al’Thor. Lo ricorderai di certo. Sai se sta bene? Anche suo padre sarà preoccupato per lui.»

«Per quanto ne so» disse con calma l’Amyrlin «il ragazzo sta abbastanza bene, ma chi può dirlo con esattezza? L’ho visto soltanto una volta, a Fal Dara, quando ho visto te.» Si rivolse alla Custode. «Forse gli andrebbe bene un pezzo di crostata, Leane. E da bere, visto che non la smette più di parlare. Ti dispiace occupartene?»

«Ai tuoi ordini, Madre» mormorò Leane, dirigendosi alla porta.

L’Amyrlin si girò verso Mat: sorrideva, ma con occhi gelidi. «Ci sono argomenti che per te sarebbe pericoloso discutere... anche di fronte a Leane, forse. Una lingua troppo sciolta ha ucciso più persone delle tempeste improvvise.»

«Pericoloso, Madre?» A un tratto Mat si sentì la bocca secca, ma dominò l’impulso di umettarsi le labbra. Fino a che punto era informata su Rand? Se solo Moiraine non avesse avuto tutti quei segreti! «Madre, non so niente di pericoloso. Non ricordo neppure la metà di ciò che sapevo.»

«Ricordi il Corno?»

«Quale corno, Madre?»

L’Amyrlin si alzò e si stagliò su di lui, con un movimento così rapido che Mat quasi non se ne accorse. «Ti diverti a giocare con me, ragazzo, ma ti farò piangere e chiamare la mamma. Non ho tempo per i giochi e tu neppure. Allora... lo ricordi?»

Mat si strinse nella coperta e deglutì. «Lo ricordo, Madre.»

L’Amyrlin parve rilassarsi un poco; Mat si strinse nelle spalle, a disagio. Si sentiva come se l’avessero appena fatto scendere dal patibolo.

«Bene. Questo è un bene, Mat.» Tornò a sedersi lentamente, scrutandolo. «Sei legato al Corno, lo sai?» Mat, sconvolto, ripeté in silenzio la parola “legato". L’Amyrlin annuì. «Non credevo che lo sapessi. Sei stato il primo a suonare il Corno di Valere, dopo il suo ritrovamento. Per te, il Corno evocherà dalla tomba gli eroi defunti. Per tutti gli altri, sarà soltanto un corno... finché tu sarai vivo.»

Mat trasse un lungo respiro. «Finché sarò vivo» disse, con voce spenta. L’Amyrlin annuì. «Potevi lasciare che morissi» riprese Mat. Lei annuì di nuovo. «Allora l’avresti fatto suonare a chi volevi e il Corno sarebbe stato al suo servizio.» Un altro cenno d’assenso. «Sangue e ceneri! Tu vuoi che lo suoni per te! Quando inizierà l’Ultima Battaglia, vuoi che richiami dalla tomba gli eroi per combattere il Tenebroso per conto tuo. Maledizione e ancora maledizione!»

L’Amyrlin appoggiò sul bracciolo il gomito e con la mano si sostenne il mento. Continuò a fissarlo. «Preferiresti l’alternativa?»

Dopo un attimo di perplessità, Mat ricordò di quale alternativa si trattasse. Se un altro doveva suonare il Corno... «Vuoi che suoni il Corno? Va bene, lo suonerò. Non ho mai detto che non lo avrei suonato, giusto?»

«Mi ricordi mio zio Huan» sospirò l’Amyrlin, esasperata. «Nessuno riusciva a inchiodarlo. Anche lui amava il gioco d’azzardo e preferiva divertirsi, anziché lavorare. Morì tirando fuori da una casa in fiamme dei bambini. Avrebbe continuato, finché non li avesse salvati tutti. Sei come lui, Mat? Sarai lì, quando le fiamme divamperanno?»

Mat non riuscì a sostenere il suo sguardo. Si fissò le dita che stuzzicavano nervosamente la coperta. «Non sono un eroe» replicò. «Faccio il mio dovere, ma non sono un eroe.»

«Per la maggior parte coloro che chiamiamo eroi fecero solo il proprio dovere. Basterà, per il momento. Non devi parlare del Corno a nessuno, figliolo. Né accennare al tuo legame con esso.»

"Per il momento?" pensò Mat. “Sarà tutto quello che avrai, maledizione, per il momento e per sempre."

«Non intendevo parlarne a tutte le maledette...» iniziò. L’Amyrlin inarcò il sopracciglio e Mat usò un tono più calmo. «Vorrei che nessuno lo sapesse. Ma perché deve restare un segreto? Non ti fidi delle tue Aes Sedai?»

Per un istante che gli parve eterno pensò d’essersi spinto troppo oltre. L’Amyrlin indurì il viso e il suo sguardo avrebbe potuto trinciare manici d’ascia.

«Se potessi fare in modo che fossimo solo noi due a sapere» replicò, gelida «non ci penserei due volte. Più gente conosce una cosa, più questa si diffonde, anche con la migliore volontà del mondo. La maggior parte della gente crede che il Corno di Valere sia solo una leggenda; chi sa come stanno realmente le cose, crede che i Cercatori debbano ancora trovarlo. Ma a Shayol Ghul sanno che è stato trovato; quindi alcuni Amici delle Tenebre sono informati. Ma non sanno dove si trova e, la Luce risplenda su di noi, ignorano che l’hai suonato. Vuoi davvero che gli Amici delle Tenebre ti diano la caccia? Mezzi Uomini o altra Progenie dell’Ombra? Anche loro vogliono il Corno: funziona sia in favore dell’Ombra, sia in favore della Luce. Ma se lo vogliono per loro, devono catturarti o ucciderti. Vuoi correre questo rischio?»

Mat avrebbe voluto avere una seconda coperta e magari anche una trapunta di piumino d’oca: a un tratto la stanza gli pareva freddissima. «Stai dicendo che gli Amici delle Tenebre potrebbero darmi la caccia anche qui? Pensavo che non potessero entrare nella Torre Bianca.» Ricordò le parole di Selene a proposito dell’Ajah Nera e si domandò come avrebbe risposto l’Amyrlin, se vi avesse accennato.

«Una buona ragione per stare qui, non credi?» disse lei. Si alzò e si lisciò le sottane. «Riposa, figliolo. Presto ti sentirai molto meglio. Riposa.» Uscì e si chiuse alle spalle la porta, senza fare rumore.

Per un bel pezzo Mat rimase disteso a fissare il soffitto. Quasi non si accorse che una cameriera era entrata, aveva messo sul tavolo un pezzo di crostata e una caraffa di latte ed era uscita portando via il vassoio con i piatti vuoti. Sentì brontolare lo stomaco, al profumo di mele calde e di spezie, ma non vi badò. L’Amyrlin pensava di tenerlo come pecora nel recinto. E Selene... Luce santa, chi era, quella? E che cosa voleva? Aveva avuto ragione, in alcune cose; ma l’Amyrlin aveva detto di volerlo usare e in quale modo. Be’, più o meno. C’erano troppi buchi, in ciò che aveva detto; e a lui la cosa non andava a genio. L’Amyrlin voleva qualcosa, Selene voleva qualcosa... e lui era la fune che le due tiravano. Avrebbe preferito affrontare i Trolloc, anziché essere preso in mezzo fra loro.

Doveva esserci un modo per uscire da Tar Valon, per sgusciare dalle dita di tutt’e due. Attraversato il fiume, poteva tenersi fuori delle grinfie delle Aes Sedai e anche di Selene e degli Amici delle Tenebre. Ne era sicuro. Non doveva fare altro che riflettere sulla situazione, esaminarla da tutti i lati.

Sul tavolo, la crostata divenne fredda.

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