Case di pietra grigia con tetto d’ardesia erano raggruppate lungo le vie strette e fangose di Jarra, villaggio abbarbicato sul fianco d’una collina, sopra un fiumiciattolo scavalcato da un basso ponte di legno. Le vie erano deserte, come il prato comune al centro del villaggio: un uomo scopava i gradini dell’unica locanda con annessa una stalla di pietra; ma pareva che, non molto tempo prima, parecchia gente si fosse trovata nel prato comune. Al centro della zona erbosa c’era un cerchio formata da sei archi di rami verdi intrecciati e punteggiati dei pochi fiori disponibili in quel periodo dell’anno. Sul terreno calpestato si vedevano altri segni d’un raduno: una sciarpa rossa da donna impigliata ai piedi di un arco, un berretto da bambino, di maglia, una brocca di peltro rovesciata, avanzi sbocconcellati.
Il profumo di vin dolce e di focacce spezziate aleggiava sul prato e si mescolava al fumo di decine di comignoli e all’aroma di cibi in cottura. Per un attimo Perrin colse un altro odore che non riconobbe, una debole traccia talmente orribile da fargli rizzare i capelli. Durò solo un istante, ma Perrin fu sicuro che da quella parte era passato qualcosa di... di sbagliato. Si grattò il naso, come per cancellare il ricordo del puzzo. Non poteva trattarsi di Rand! Luce santa, anche se fosse davvero impazzito, Rand non avrebbe emanato quel lezzo. O no?
L’insegna appesa sopra la porta della locanda raffigurava un uomo su di un solo piede, con le braccia lanciate in aria: il Salto di Harilin. Mentre i quattro si fermavano davanti all’edificio quadrato di pietra, l’uomo intento a spazzare i gradini si raddrizzò con un grande sbadiglio. Trasalì nel vedere gli occhi di Perrin, ma sbarrò i propri, già sporgenti per natura, alla vista di Loial. Con la bocca assai larga e il mento quasi inesistente, pareva un rospo. Aveva intorno a sé un odore di vino inacidito... per il fiuto di Perrin, almeno. Quel tizio aveva di sicuro partecipato ai festeggiamenti.
L’uomo si scosse e rivolse ai forestieri un inchino, tenendo la mano sulla doppia fila di bottoni di legno sul davanti della giubba. Saettò lo sguardo dall’uno all’altro dei nuovi venuti e sporse maggiormente gli occhi ogni volta che li posava su Loial. «Benvenuta, padrona, che la Luce t’illumini la via. Benvenuti, padroni. Desiderate cibo, stanze, un bagno? C’è tutto, al Salto di Harilin. Mastro Harod, il locandiere, ha una buona casa. Mi chiamo Simion. Se vi occorre qualcosa, chiamate Simion e lui ve la farà avere.» Sbadigliò di nuovo e si coprì la bocca, con un inchino per nascondere l’imbarazzo. «Chiedo scusa, padrona. Venite da lontano? Avete notizie della Grande Cerca? La Cerca del Corno di Valere. O del falso Drago? Si dice che ci sia un falso Drago, nel Tarabon. o forse nell’Arad Doman.»
«Non veniamo da così lontano» disse Lan, smontando di sella. «Senza dubbio sei più aggiornato di me.» Anche gli altri cominciarono a smontare.
«C’è stato uno sposalizio?» domandò Moiraine.
«Uno, padrona? Negli ultimi due giorni ce ne sono stati tanti da bastare per una vita intera. Una vera calamità. Non c’è donna che sia rimasta senza marito, nel villaggio e per un miglio tutt’intorno. Perfino la vedova Jorath ha trascinato sotto gli archi il vecchio Banas: eppure tutt’e due avevano giurato di non risposarsi. Pareva che un turbine avesse afferrato tutti. Rilith, la figlia del tessitore, ha dato il via, chiedendo a Jon il fabbro di sposarla; e lui è tanto vecchio da essere suo nonno. Quello stupido si è tolto il grembiule e ha detto di sì; e lei ha preteso che alzassero subito gli archi. Non ha voluto sentir parlare del giusto periodo d’attesa e tutte le donne le hanno dato ragione. Da allora abbiamo avuto sposalizi giorno e notte. Diamine, quasi più nessuno ha dormito.»
«Molto interessante» disse Perrin, mentre Simion s’interrompeva per sbadigliare di nuovo. «Ma per caso hai visto un giovane...»
«Interessante davvero» disse Moiraine, interrompendolo. «Più tardi, forse, ascolteremo tutta la storia. Al momento, vorremmo delle stanze e un pasto.»
Con un segno d’ammonimento Lan invitò Perrin a tenere a freno la lingua.
«Certo, padrona. Un pasto. Stanze.» Simion esitò, con un’occhiata a Loial. «Dovremo accostare due letti, per...» Si sporse verso Moiraine e abbassò la voce. «Chiedo scusa, padrona, ma... ah... quello lì cos’è esattamente? Senza voler mancare di rispetto» soggiunse in fretta.
Loial udì ugualmente e agitò le orecchie, stizzito. «Sono un Ogier!» esclamò. «Cosa credevi? Che fossi un Trolloc?»
Nell’udire quella voce rimbombante, Simion arretrò d’un passo. «Trolloc... ah... padrone? Diamine, sono un adulto! Non credo alle favole. Ah, Ogier, hai detto? Diamine, gli Ogier esistono nelle favo... cioè... ecco...» Confuso, si girò verso la stalla annessa alla locanda. «Nico! Patrim!» chiamò. «Ci sono ospiti! Venite a prendere i cavalli!»
Quasi subito, due giovanotti con fili di paglia fra i capelli uscirono dalla stalla, sbadigliando e sfregandosi gli occhi. Con un inchino, Simion indicò gli scalini, mentre i ragazzi prendevano le redini.
Perrin si mise in spalla le bisacce e il rotolo di coperte, prese l’arco e seguì all’interno Lan e Moiraine, mentre Simion fra un inchino e l’altro li precedeva. Loial fu costretto quasi a piegarsi in due, per passare sotto l’architrave e all’interno non toccava il soffitto solo per una spanna. Continuò a borbottare: non capiva perché pochissimi esseri umani ricordassero gli Ogier. La sua voce risuonava come tuono in lontananza. Perfino Perrin, proprio davanti a lui, capiva solo la metà delle parole.
La locanda puzzava di birra chiara e di vino, di formaggio e di fatica; dal retro proveniva profumo di montone arrosto. I pochi avventori nella sala comune ciondolavano la testa sul proprio boccale, come se davvero volessero distendersi sulle panche e dormire. Una cameriera grassoccia spillava un boccale di birra chiara da un barile contro la parete di fondo. Lo stesso locandiere, con un lungo grembiule bianco, seduto su di uno sgabello nell’angolo, se ne stava appoggiato alla parete, con occhi annebbiati. All’ingresso dei nuovi ospiti, alzò la testa. Rimase a bocca aperta nel vedere Loial.
«Ospiti, mastro Harod» annunciò Simion. «Vogliono delle stanze. Mastro Harod? Lui è un Ogier, mastro Harod.» La cameriera si girò, vide Loial e lasciò cadere il boccale. Degli stanchi avventori seduti ai tavoli, non uno alzò gli occhi.
Loial agitò con forza le orecchie.
Mastro Harod si alzò lentamente, senza staccare gli occhi da Loial, e si lisciò il grembiule. «Almeno non è un Manto Bianco» disse infine; trasalì, sorpreso d’avere pensato a voce alta. «Voglio dire, benvenuti, padrona, padroni. Scusate i miei modi. Posso solo appellarmi alla stanchezza, padrona.» Scoccò a Loial un’altra occhiata e mosse le labbra a formare la parola “Ogier", con aria d’incredulità.
Loial aprì bocca per replicare, ma Moiraine lo anticipò. «Come ha detto il tuo servitore, vorrei stanze per me e per i miei compagni, per stanotte, e un pasto.»
«Oh, certo, padrona. Certo. Simion, accompagna gli ospiti nelle mie stanze migliori, così poseranno i bagagli. Quando scenderete, padrona, troverete in tavola la cena. Una buona cena.»
«Se volete seguirmi...» disse Simion. Con un inchino indicò la scala su di un lato della sala comune.
Dietro di loro, un avventore esclamò: «Nome della Luce, e quello cos’è?» Mastro Harod cominciò a dare spiegazioni sugli Ogier, come se li conoscesse bene.
Al primo piano, l’Ogier sfiorava con la testa il soffitto. Lo stretto corridoio diventava sempre più buio, rischiarato soltanto dalla cruda luce del tramonto, che entrava dalla finestra in fondo.
«Nelle stanze ci sono candele, padrona» disse Simion. «Avrei dovuto prendere un lume, ma la testa mi gira ancora, con tutti quegli sposalizi. Manderò un servo ad accendere il fuoco, se siete d’accordo. E vorrete naturalmente acqua per lavarvi.» Aprì una porta. «La nostra stanza migliore, padrona. Non abbiamo molti... molti forestieri, capite... ma questa è la migliore.»
«Prenderò quella accanto» disse Lan. Portava in spalla anche le bisacce e il rotolo di coperte di Moiraine, oltre ai propri, e il fagotto con lo stendardo del Drago.
«Oh, padrone, quella stanza non va bene. Letto troppo stretto, poco spazio. Prevista per un servitore, immagino... come se avessimo mai avuto un ospite accompagnato da un servitore. Chiedo scusa, padrona.»
«Non importa, la prendo» disse Lan, fermo.
«Simion» intervenne Moiraine «mastro Harod ha scarsa simpatia per i Figli della Luce?»
«Be’, sì, padrona. Un tempo no, ma ora sì. Non è buona politica, avere in scarsa simpatia i Figli, così vicino al confine. Quelli passano da Jarra tutti i momenti, come se il confine non esistesse. Ma ieri ci sono stati disordini. Durante gli sposalizi e tutto il resto.»
«Cos’è accaduto, Simion?»
Prima di rispondere, l’uomo le lanciò un’occhiata penetrante, ma Perrin ritenne che nessuno l’avesse notato, nella penombra. «Erano circa venti, giunti ieri l’altro» disse Simion. «Niente disordini, l’altro giorno. Ma ieri... Diamine, tre sono saltati su dicendo di non essere più Figli della Luce. Si sono tolti il manto e se ne sono andati via.»
«Il giuramento dei Manti Bianchi vale per tutta la vita» borbottò Lan. «Come ha reagito, il loro comandante?»
«Diamine, sarebbe intervenuto, certo, padrone; ma un altro ha detto che sarebbe andato a cercare il Corno di Valere. Comunque, un altro ancora ha dichiarato che avrebbero dovuto dare la caccia al Drago. Quest’ultimo, andandosene, ha detto che si sarebbe diretto alla Piana di Almoth. Poi altri hanno cominciato a dire delle cose alle donne per le vie, cose che non si dovrebbero dire, e ad allungare le mani. Le donne strillavano, i Figli gridavano contro quelli che molestavano le donne. Non ho mai visto un simile trambusto.»
«Non avete cercato di fermarli?» domandò Perrin.
«Padrone, tu porti quell’ascia e hai l’aria di saperla adoperare; non è facile affrontare uomini con spada e armatura e tutto il resto, quando si sa adoperare soltanto la scopa o la zappa. I Manti Bianchi rimasti hanno messo fine alla storia. Sono arrivati quasi al punto di sguainare la spada. E c’è stato di peggio. Altri due sono impazziti... dicevano che Jarra è pieno di Amici delle Tenebre. Hanno tentato d’incendiare il villaggio... cominciando dal Salto di Harilin. Sul retro ci sono ancora segni di bruciature, dove hanno dato fuoco. E hanno lottato contro gli altri Manti Bianchi che cercavano di fermarli. I Manti Bianchi rimasti ci hanno aiutato a spegnere l’incendio, hanno legato i due colpevoli e sono tornati a cavallo nell’Amadicia. Una bella liberazione, dico io; e se non torneranno più, meglio per tutti.»
«Comportamento rude perfino per i Manti Bianchi» disse Lan.
Simion annuì. «Dici bene, padrone. Non si erano mai comportati in questo modo. Camminare impettiti, sì. Guardare la gente come se fosse immondizia e ficcare il naso dove non era affare loro, anche. Ma non avevano mai provocato incidenti, prima d’ora. Non come questi, comunque.»
«Ormai se ne sono andati» disse Moiraine. «E i guai, con loro. Sono sicura che passeremo una notte tranquilla.»
Perrin tenne la bocca chiusa, ma avrebbe avuto un mucchio di cose da dire. Sposalizi e Manti Bianchi andavano bene, ma lui avrebbe preferito sapere se Rand si era fermato lì e poi da che parte era andato. L’odore all’ingresso del villaggio non poteva essere quello di Rand!
Si lasciò guidare più avanti nel corridoio, fino a una stanza con due letti e un lavabo, un paio di sgabelli e poco d’altro. Loial si piegò in due per infilare nella stanza la testa. Dalla stretta finestrella entrava poca luce. I letti erano abbastanza grossi, con coperte e trapunte ripiegate ai piedi, ma i materassi parevano pieni di gobbe. Simion frugò sulla mensola del caminetto e alla fine trovò una candela e la scatola con acciarino, esca e pietra focaia.
«Provvederò a far unire un paio di letti per te... ah... Ogier. Sì, un momento solo.» Però rimase a giocherellare con il candeliere, come se cercasse il posto esatto dove metterlo.
"Pare a disagio” pensò Perrin. “Be’, sarei a disagio anch’io, se i Manti Bianchi si comportassero nello stesso modo a Emond’s Field."
«Simion» disse poi «per caso negli ultimi giorni è passato da qui un altro forestiero? Giovane, alto, occhi grigi, capelli rossicci. Forse ha suonato il flauto in cambio d’un pasto e d’una stanza.»
«Lo ricordo bene, padrone» rispose Simion, continuando a cambiare posto al candeliere. «È giunto ieri mattina, sul presto. Pareva affamato. Ieri ha suonato il flauto a tutti gli sposalizi. Un giovanotto dall’aria per bene. Alcune donne l’hanno preso di mira, all’inizio, ma...» Esitò, guardando di sottecchi Perrin. «È un tuo amico, padrone?»
«Lo conosco. Perché?»
Simion esitò ancora. «Niente, padrone. Era un tipo insolito, ecco. A volte parlava tra sé; e a volte rideva da solo. Ha dormito in questa stessa stanza, la notte scorsa, o una parte della notte scorsa. Ci ha svegliati tutti in piena notte, tanto gridava. Aveva soltanto avuto un incubo, ma non ha voluto fermarsi oltre. Comunque mastro Harod non si è sforzato troppo per fargli cambiare idea, dopo tutto quel frastuono.» Esitò di nuovo. «Mentre se ne andava, ha detto una frase bizzarra.»
«Quale?»
«Ha detto che lo inseguivano. Ha detto...» Deglutì e soggiunse più lentamente: «Ha detto che l’avrebbero ucciso, se non fosse andato via. “Uno di noi deve morire e voglio che quell’uno sia lui." Le sue esatte parole.»
«Non si riferiva a noi» rombò Loial. «Siamo suoi amici.»
«Ma certo... ah... Ogier. Certo, non si riferiva a voi. Non... ah... non voglio dire niente di un vostro amico, ma... ah... penso che sia ammalato. Nella testa, capite.»
«Ci prenderemo cura di lui» disse Perrin. «Lo seguiamo per questo. Da quale parte è andato?»
«Lo sapevo» disse Simion, saltellando sulla punta dei piedi. «Appena vi ho visti, sapevo che lei m’avrebbe aiutato. Da quale parte? Levante, padrone. Levante, come se avesse alle calcagna il Tenebroso in persona. Pensi che lei m’aiuterà? Che aiuterà mio fratello, cioè? Noam sta molto male e Mamma Roon dice di non poter fare niente.»
Perrin si mantenne impassibile; per riflettere sulle parole di Simion, prese tempo: appoggiò nell’angolo l’arco e posò su di un letto le bisacce e il rotolo di coperte. Purtroppo, si disse, riflettere non serviva a molto. Cercò aiuto da Loial, ma l’Ogier per la costernazione aveva le orecchie afflosciate e le sopracciglia penzoloni fino a mezza guancia.
«Cosa ti fa credere che lei possa aiutare tuo fratello?» domandò infine Perrin. Domanda stupida, si disse; quella giusta era: “Lei cosa intende fare, al proposito?".
«Diamine, padrone, una volta sono stato a Jehannah e ho visto due... due donne come lei. Dopo quell’esperienza, non posso confonderla con altre.» Ridusse la voce a un bisbiglio. «Si dice che quelle sanno risuscitare i morti, padrone.»
«Chi altri è al corrente?» domandò Perrin, brusco. E nello stesso istante Loial disse: «Se tuo fratello è morto, nessuno può farlo rivivere.»
Simion spostò ansiosamente lo sguardo dall’uno all’altro e rispose con un borbottio confuso. «Nessuno sa niente, a parte me, padrone. Noam non è morto, Ogier, solo ammalato. Nessun altro può riconoscerla, lo giuro. Perfino mastro Harod in vita sua non si è mai allontanato di qui per più di venti miglia. Noam sta davvero male. Glielo chiederei io stesso, ma le ginocchia mi tremano a tal punto che lei non riuscirebbe a udire le mie parole. E se si offendesse e scagliasse su di me un fulmine? E se mi sbagliassi? Non è il genere d’accusa da rivolgere a una donna, senza... voglio dire... ah...» Alzò le mani in un gesto che era in parte supplica, in parte tentativo di difesa.
«Non ti prometto niente» disse Perrin «ma le parlerò io. Loial, perché non tieni compagnia a Simion, mentre vado a parlare a Moiraine?»
«Certo» s’illuminò l’Ogier. Simion sobbalzò, sentendosi prendere per la spalla. «Mi mostrerà la stanza» soggiunse l’Ogier «e faremo due chiacchiere. Dimmi, Simion, cosa sai degli alberi?»
«A-alberi, O-Ogier?»
Perrin non attese oltre. Ripercorse in fretta il corridoio buio, bussò alla porta di Moiraine ed entrò quasi prima del perentorio “Avanti!".
Cinque o sei candele mostravano che la stanza migliore del Salto di Harilin non era gran cosa, anche se l’unico letto aveva un baldacchino sorretto da quattro alte colonne e il materasso pareva meno gibboso di quello di Perrin. Per terra c’era uno straccio di tappeto e due sedie imbottite, anziché sgabelli. A parte questo, la stanza non pareva diversa dall’altra. Moiraine e Lan, in piedi davanti al camino spento, parevano occupati a discutere e l’Aes Sedai non si mostrò contenta per l’interruzione. Il Custode rimase impassibile come una statua.
«Rand è stato qui, d’accordo» iniziò Perrin. «Quel Simion si ricorda di lui.»
Moiraine emise un sibilo a denti stretti.
«Ti era stato detto di tenere la bocca chiusa» ringhiò Lan.
Perrin si girò per avere di fronte il Custode: era più facile che affrontare lo sguardo furibondo di Moiraine. «Come potevamo scoprire se era stato qui, senza fare domande?» replicò. «Se n’è andato ieri notte, se v’interessa. Diretto a levante. Continuava a dire che qualcuno lo seguiva per ucciderlo.»
«Levante» annuì Moiraine. L’assoluta calma della voce era in contrasto con lo sguardo furibondo. «Buono a sapersi. Ma non poteva essere diversamente, se vuole andare a Tear. Ancora prima di sentir parlare dei Manti Bianchi, sospettavo che fosse stato qui: e quelli hanno reso certezza i miei sospetti. In una cosa, Perrin, Rand ha ragione: non credo proprio che siamo i soli a cercarlo. E questi altri, se ci scoprono, forse cercheranno di fermarci. Dobbiamo già sudare per raggiungere Rand, senza cacciarci in altri pasticci. Impara a tenere a freno la lingua, finché non ti autorizzo.»
«I Manti Bianchi?» ripeté Perrin, incredulo. «Come hanno fatto a... La pazzia di Rand. E contagiosa?»
«Non la sua pazzia, ammesso che già si manifesti. Perrin, lui è ta’veren, più potente di chiunque altro, dall’Epoca Leggendaria. Ieri in questo villaggio il Disegno si è mosso, si è sagomato intorno a lui come creta nello stampo. Gli sposalizi, i Manti Bianchi... bastavano per dire che Rand era stato qui, per chiunque sapesse ascoltare.»
Perrin trasse un lungo respiro. «E troveremo la stessa cosa dovunque lui sia stato? Luce santa, se la Progenie dell’Ombra gli sta alle calcagna, lo rintraccerà facilmente quanto noi.»
«Forse» disse Moiraine. «E forse no. Nessuno sa niente, di ta’veren potenti come Rand.» Per un attimo parve dispiaciuta della propria ignoranza. «Artur Hawkwing era il ta’veren più potente di cui rimangano documenti. E non era potente quanto Rand.»
«Secondo la leggenda» intervenne Lan «a volte la gente che si trovava nella stessa stanza di Aladifalco diceva la verità anche quando voleva mentire, prendeva decisioni di cui non si rendeva nemmeno conto. C’erano momenti in cui ogni lancio di dadi, ogni carta voltata, si risolvevano a modo suo. Ma solo certe volte.»
«Insomma, non lo sai» disse Perrin. «Potrebbe lasciare una scia di sposalizi e di Manti Bianchi impazziti da qui a Tear.»
«So quanto c’è da sapere» ribatté Moiraine, aspra. Con gli occhi parve sferzare Perrin come con una frusta. «Il Disegno s’intreccia sottilmente intorno ai ta’veren e altri possono seguire lo schema di questi fili, se sanno dove guardare. Fai attenzione che la tua lingua non riveli più di quanto tu non ti renda conto di rivelare.»
Suo malgrado, Perrin ingobbì le spalle, come se lei vibrasse colpi veri. «Be’, stavolta ti conviene rallegrarti che abbia aperto la bocca» replicò. «Simion sa che sei Aes Sedai. Vuole che tu Guarisca suo fratello Noam da non so quale malattia. Se non gli avessi parlato io, non avrebbe mai trovato il coraggio di chiedertelo, ma avrebbe potuto parlarne con gli amici.»
Lan incrociò lo sguardo di Moiraine e per un momento rimasero a fissarsi. Il Custode aveva l’aria del lupo pronto a spiccare il balzo. Alla fine Moiraine scosse la testa. «No» disse.
«Come vuoi» rispose Lan. «La decisione spetta a te.» Dal tono, parve convinto che Moiraine avesse preso quella sbagliata, ma si rilassò.
Perrin fissò gli altri due. «Pensavate di... Da morto, Simion non direbbe niente a nessuno, giusto?»
«Non morirà per opera mia» replicò Moiraine. «Ma non posso, e non voglio, promettere che sarà sempre così. Dobbiamo trovare Rand e in questo non fallirò. È chiaro?» Preso dal suo sguardo, Perrin non riuscì a replicare. Moiraine annuì, come se il silenzio fosse risposta sufficiente. «Ora conducimi da Simion.»
Dalla porta spalancata della stanza di Loial si riversava nel corridoio una pozza di luce di candela. Nella stanza i due letti erano stati accostati; Loial e Simion sedevano sul bordo. L’uomo guardava a bocca aperta l’Ogier e aveva in viso un’espressione di grande stupore.
«Oh, sì, gli stedding sono fantastici» diceva in quel momento Loial. «C’è una tale pace, sotto i Grandi Alberi! Voi esseri umani avete guerre e fatiche, ma niente turba gli stedding. Ci prendiamo cura degli alberi e viviamo in armonia...» Si bloccò nel vedere Moiraine, seguita da Lan e da Perrin.
Simion si alzò frettolosamente, s’inchinò e si ritrasse fin contro la parete. «Ah... padrona... Ah... uh...» Continuò a ballonzolare come giocattolo attaccato a una stringa.
«Mostrami tuo fratello» ordinò Moiraine «e farò il possibile. Perrin, vieni anche tu, visto che questo buon uomo ha parlato prima con te.» Lan inarcò il sopracciglio e Moiraine scosse la testa. «Se andiamo tutti, rischiamo d’attirare l’attenzione. Perrin può darmi la protezione necessaria.»
Lan annui con riluttanza e rivolse a Perrin un’occhiata dura. «Vedi di proteggerla, fabbro. Se le accade qualcosa...» I gelidi occhi azzurri terminarono per lui la minaccia.
Simion prese una candela e uscì nel corridoio. «Da questa parte... ah... padrona. Da questa parte.»
Fuori della porta in fondo al corridoio c’era una scala che portava all’angusto vicolo fra locanda e stalla. La notte ridusse la candela a un tremulo puntino luminoso. Perrin si domandò quando Moiraine avrebbe detto a Simion di smetterla con gli inchini, ma lei rimase in silenzio. Si era rimboccata le sottane per non infangarle e procedeva come se il vicolo fosse un corridoio di palazzo e lei una regina. L’aria si era rinfrescata: le notti conservavano echi dell’inverno.
«Da questa parte» disse Simion; li guidò a una piccola baracca sul retro della stalla e tolse in fretta la barra alla porta. «Da questa parte» indicò a dito. «Qua, padrona. Qua. Mio fratello. Noam.»
Il fondo della baracca era stato chiuso con assi di legno: con una certa fretta, si sarebbe detto. Un robusto catenaccio bloccava una rozza porta. Dietro le sbarre c’era un uomo, disteso bocconi sul pavimento coperto di strame. Era scalzo, con brache e camicia a brandelli, come se avesse cercato di strapparle perché non sapeva come togliersele. C’era un puzzo di corpo non lavato che, secondo Perrin, anche Simion e Moiraine non potevano non notare.
Noam alzò la testa e fissò in silenzio i nuovi venuti. Niente, nel suo aspetto, suggeriva la stretta parentela con Simion — Noam aveva mento pronunciato, fisico robusto, spalle massicce — ma Perrin barcollò per la sorpresa: gli occhi di Noam avevano il colore dell’oro brunito.
«Da quasi un anno dice cose folli, padrona... dice di poter parlare con i lupi. E i suoi occhi...» Simion lanciò un’occhiata a Perrin. «Be’, ne parlava, quando aveva bevuto troppo. Tutti ridevano di lui. Poi, circa un mese fa, non tornò in paese. Andai a cercarlo e lo trovai... in questo stato.»
Con prudenza, malvolentieri, Perrin allungò la mano verso Noam, come avrebbe fatto verso un lupo.
"Correre fra i boschi col naso al gelido vento. Schizzare dal riparo e azzannare i garretti. Gusto di sangue, ricco sulla lingua. Uccidere."
Perrin ritrasse di scatto la mano, come se si fosse scottato, e chiuse la mente. Non erano veri pensieri, solo una caotica confusione di desideri e d’immagini, in parte ricordi, in parte bramosie. Ma in essi c’era più il lupo che l’uomo. Perrin si appoggiò alla parete: si sentiva mancare le ginocchia.
Moiraine toccò il catenaccio.
«Mastro Harod ha la chiave, padrona. Non so se vorrà...»
Moiraine diede uno strattone e con uno scatto il catenaccio si aprì. Simion la fissò a bocca aperta, poi si girò verso Perrin.
«Non sarà pericoloso, padrone? Noam è mio fratello, ma ha morsicato Mamma Roon, quando lei ha cercato di curarlo, e ha... ha ucciso una vacca. A morsi» concluse debolmente.
«Moiraine» disse Perrin «quest’uomo è pericoloso.»
«Tutti gli uomini sono pericolosi» replicò lei, fredda. «Ora fate silenzio.» Aprì la porta ed entrò. Perrin trattenne il fiato.
Noam snudò i denti e cominciò a ringhiare, con un brontolio sempre più forte, fino a tremare tutto. Moiraine non gli badò. Senza smettere di ringhiare, Noam si ritrasse e si rannicchiò nell’angolo. O forse era stata lei a spingervelo.
Piano piano, con calma, l’Aes Sedai si mise in ginocchio e gli prese la testa. Il ringhio di Noam divenne un latrato, poi morì in uggiolio, prima che Perrin potesse muoversi. Per un momento Moiraine tenne stretta la testa di Noam, poi, sempre con calma, la lasciò e si alzò. Perrin si tese, nel vedere che Moiraine girava le spalle a Noam e usciva dalla gabbia; ma l’altro si limitò a fissare la donna. Moiraine chiuse la porta, rimise a posto il catenaccio senza prendersi la briga di farlo scattare... e Noam si lanciò ringhiando contro le sbarre. Le prese a morsi, a spallate, cercò d’infilarvi in mezzo la testa, sempre ringhiando e azzannando.
Con mano ferma e viso impassibile Moiraine si tolse dalla veste qualche filo di paglia.
«Corri dei rischi» mormorò Perrin. Lei lo guardò, con l’aria di chi sa bene il fatto suo. Perrin abbassò gli occhi. Occhi gialli.
Simion fissava il fratello. «Non puoi aiutarlo, padrona?» domandò, con voce rauca.
«Mi spiace, Simion» rispose Moiraine.
«Non puoi fare niente, padrona? Qualcosa? Una di quelle...» Abbassò la voce, riducendola a un bisbiglio. «Una di quelle cose Aes Sedai?»
«Guarire non è faccenda semplice, Simion; deriva tanto dal malato quanto dalla Guaritrice. Dentro di lui non esiste alcun ricordo della condizione umana. Non rimangono mappe che gli mostrino il sentiero da ripercorrere e non resta niente che voglia percorrere questo sentiero. Noam non esiste più, Simion.»
«Lui... lui diceva cose assurde, padrona, ma solo quando aveva bevuto troppo. Si limitava...» Si sfregò gli occhi, batté le palpebre. «Grazie, padrona. So che avresti fatto qualcosa, se fosse stato possibile.»
Moiraine gli toccò la spalla e gli mormorò qualche parola di conforto; poi uscì dalla baracca.
Perrin sapeva che avrebbe dovuto seguirla; ma quell’uomo... quello che un tempo era stato un uomo e che ora azzannava le sbarre... lo indusse a trattenersi. D’istinto, Perrin mosse un rapido passo e tolse dagli anelli il catenaccio. Era un buon catenaccio, opera d’un mastro fabbro.
«Padrone?»
Perrin fissò il catenaccio, fissò l’uomo in fondo alla gabbia. Noam aveva smesso d’azzannare le sbarre: guardava Perrin, con diffidenza, e ansimava. Alcuni denti gli si erano spezzati.
«Puoi tenerlo qui dentro per sempre» disse Perrin «ma non... non credo che migliorerà mai.»
«Se esce, padrone, morirà!»
«Morirà comunque, qui dentro o là fuori. Fuori, almeno, sarà libero e felice, per quanto possibile. Non è più tuo fratello, ma tocca a te decidere. Puoi tenerlo qui perché la gente lo guardi e lasciarlo a fissare le sbarre fino alla morte. Non puoi tenere in gabbia un lupo e aspettarti che sia felice. Né che viva a lungo.»
«Sì» disse lentamente Simion. «Sì, capisco.» Esitò, poi annuì e con un cenno brusco indicò la porta della baracca.
Perrin spalancò la porta e si trasse di lato.
Per un attimo Noam fissò l’apertura. All’improvviso schizzò fuori della gabbia, correndo a quattro zampe, ma con agilità sorprendente. Lasciò la baracca e sparì nella notte. “La Luce ci aiuti tutt’e due” pensò Perrin.
«Immagino che per lui sia meglio essere libero» disse Simion, scuotendosi. «Ma non so cosa dirà mastro Harod, quando scoprirà che la gabbia è aperta e Noam è fuggito.»
Perrin chiuse la gabbia e con uno scatto secco rimise a posto il catenaccio. «Lasciamo che se lo domandi» disse.
Simion ridacchiò, ma smise di colpo. «Chissà che storia ne caverà. Lui e gli altri. Alcuni dicono che Noam si mutò in lupo... pelliccia e tutto!... quando morsicò Mamma Roon. Non è vero, ma lo dicono ugualmente.»
Perrin rabbrividì e appoggiò la testa contro la porta della gabbia. “Forse non avrà la pelliccia” pensò “ma è davvero un lupo. Lupo, non uomo. Luce santa, aiutami!"
«Non lo tenevamo qui» disse a un tratto Simion. «Stava a casa di Mamma Roon, ma lei e io abbiamo convinto mastro Harod a spostarlo qui, dopo l’arrivo dei Manti Bianchi. Quelli hanno sempre elenchi di nomi, di Amici delle Tenebre di cui sono alla ricerca. Colpa degli occhi di Noam, capisci. Uno dei nomi nell’elenco era quello di un fabbro, un certo Perrin Aybara. Loro hanno detto che ha occhi gialli e che gira coi lupi. Ora capisci perché non volevo che sapessero di Noam.»
Perrin girò la testa quanto bastava a guardare da sopra la spalla Simion. «Credi che questo Perrin Aybara sia un Amico delle Tenebre?» domandò.
«A un Amico delle Tenebre non sarebbe importato che mio fratello morisse in gabbia. Immagino che lei ti abbia trovato in tempo per aiutarti. Peccato che non sia venuta a Jarra alcuni mesi fa.»
Perrin si vergognò d’avere paragonato Simion a un rospo. «Anch’io avrei voluto che avesse potuto fare qualcosa per lui» disse. A un tratto si rese conto che senza dubbio tutto il villaggio sapeva di Noam e del colore dei suoi occhi. «Simion» soggiunse «ti dispiace portarmi in camera qualcosa da mangiare?» Forse Mastro Harod e gli altri erano stati troppo occupati a fissare Loial, per notare subito il colore dei suoi occhi; ma se ne sarebbero accorti di sicuro, se avesse cenato nella sala comune.
«Certo. E anche domattina. Non dovrai scendere, finché non sarai pronto a montare a cavallo.»
«Sei una brava persona, Simion. Una brava persona.»
Simion parve così compiaciuto che Perrin si vergognò di nuovo.