39 Fili nel Disegno

Incerta, Jolien posò la mano nel punto dove Dailin era stata ferita; toccò pelle liscia e ansimò come se non credesse ai propri occhi.

Nynaeve si rialzò e si asciugò nel mantello le mani. Egwene ammise fra sé che la buona lana era molto meglio della seta o del velluto, per asciugarsi.

«Avevo detto di lavarla e di rivestirla» disse Nynaeve, brusca.

«Subito, Sapiente» rispose in fretta Jolien; imitata da Chiad e da Bain, scattò a ubbidire.

Aviendha si lasciò sfuggire una breve risata, quasi sull’orlo delle lacrime. «Ho sentito dire che una Sapiente della Cupola Frastagliata e una dei Quattro Fori sono in grado di fare ciò che hai fatto tu, ma ho sempre creduto che fossero vanterie» disse. Inspirò a fondo e si ricompose. «Aes Sedai, ti sono debitrice. La mia acqua è tua e sarai la benvenuta nell’ombra della mia setta. Dailin è mia sorella seconda.» Notò l’aria perplessa di Nynaeve. «Figlia della sorella di mia madre» spiegò. «Parentela assai stretta, Aes Sedai. Ho nei tuoi confronti un debito di sangue.»

«Se dovrò versare sangue» rispose Nynaeve, in tono asciutto «lo verserò io stessa. Se proprio vuoi sdebitarti, dimmi se c’è una nave, a Jurene. Il primo villaggio a meridione.»

«Il villaggio dove i soldati hanno lo stendardo col Leone Bianco? Ieri, quando ho fatto un sopralluogo, c’era una nave. Le antiche storie parlano di navi, ma vederne una mi ha fatto un certo effetto.»

«Voglia la Luce che ci sia ancora» disse Nynaeve. Cominciò a riporre le bustine di erbe in polvere. «Per la ragazza ho fatto quanto potevo, Aviendha, e noi dobbiamo andarcene. Dailin avrà bisogno di cibo e di riposo. E non lasciare che la gente la infilzi di nuovo.»

«Ciò che avviene, avviene, Aes Sedai» rispose la Aiel.

«Aviendha, come attraversate i fiumi, vista l’impressione che vi fanno?» domandò Egwene. «Sono sicura che fra qui e il Deserto c’è almeno un fiume largo quanto l’Erinin.»

«L’Alguenya» precisò Elayne. «A meno che non abbiate fatto il giro intorno alla sorgente.»

«Voi avete molti fiumi, ma sopra alcuni c’erano quelle cose che chiamate ponti; altri li abbiamo guadati; per il resto, Jolien ha ricordato che il legno galleggia.» Diede una manata al tronco di un’alta betulla. «Sono grossi, ma galleggiano bene come un ramo. Ne abbiamo trovati di morti e ci siamo fatte una... una nave... una piccola nave, legando insieme tre o quattro tronchi, per attraversare il fiume grande.»

Egwene la guardò, stupita. Se lei avesse avuto paura di qualche cosa come le Aiel avevano paura dei fiumi, sarebbe riuscita ad affrontarla con lo stesso loro spirito pratico? Non ne era tanto sicura. “E l’Ajah Nera?" le disse una vocina. “Ti è passata la paura delle Nere?" “È diverso” si rispose. “In questo caso, il coraggio non c’entra. O do loro la caccia, oppure me ne sto come coniglio in attesa del falco. Conviene essere il martello, anziché il chiodo."

«Meglio incamminarci» disse Nynaeve.

«Ancora un momento» disse Elayne. «Aviendha, perché avete fatto tutta questa strada e affrontato tutte queste difficoltà?»

«Non abbiamo fatto molta strada» rispose Aviendha, scuotendo la testa, con aria disgustata. «Siamo state fra le ultime a partire. Le Sapienti hanno cercato di bloccarmi come cani selvatici intorno a un vitello, dicevano che avevo altri doveri.» A un tratto sorrise e indicò le altre Aiel. «Loro sono rimaste a prendere in giro la mia disperazione, così hanno detto; ma non penso che le Sapienti mi avrebbero lasciata partire, se con me non ci fossero state anche loro.»

«Cerchiamo colui di cui parlano le profezie» disse Bain. Reggeva Darlin, addormentata, in modo che Chiad le infilasse una camicia di lino marrone. «Colui Che Viene con l’Alba.»

«Lui ci guiderà fuori della Triplice Terra» aggiunse Chiad. «Le profezie dicono che nacque da Far Dareis Mai.»

Elayne parve sorpresa. «Non dicevate che alle Fanciulle della Lancia non è permesso avere figli?» domandò. «Così mi hanno insegnato.»

Chiad e Bain si scambiarono un’altra di quelle occhiate, come se Elayne fosse andata vicino alla verità, ma l’avesse mancata di nuovo.

«Se una Fanciulla genera un figlio» spiegò Aviendha «lo consegna alle Sapienti della propria setta, che lo affidano a un’altra donna, in modo che nessuno sappia di chi è figlio.» Usò anche lei il tono di chi debba spiegare che la roccia è dura. «Ogni donna vuole adottare un figlio del genere, con la speranza che si tratti di Colui Che Viene con l’Alba.»

«Oppure la madre può rinunciare alla lancia e maritare il padre» disse Chiad; e Bain aggiunse: «A volte esistono motivi che costringono a rinunciare alla lancia.»

Aviendha le guardò, ma proseguì come se non avessero parlato. «Ma ora le Sapienti dicono di cercarlo qui, al di là del Muro del Drago. “Sangue del nostro sangue mischiato al sangue antico, allevato da un sangue antico non nostro." Non ci capisco niente, ma le Sapienti parlano in modo tale da non lasciare dubbi.» Esitò, per scegliere con cura le parole. «Hai fatto molte domande, Aes Sedai. Vorrei farne una anch’io. Sappi che cerchiamo presagi e portenti. Perché tre Aes Sedai camminano in un territorio dove l’unica mano che non stringa un coltello è quella di chi è troppo indebolito per la fame? Dove andate?»

«A Tear» rispose vivacemente Nynaeve «se non restiamo qui a parlare finché il Cuore della Pietra non si riduce in polvere.»

Elayne cominciò a stringere per bene la cordicella del proprio fagotto e la cinghia della sacca; dopo un momento, Egwene la imitò.

Le Aiel si guardavano l’un l’altra, Jolien impietrita nell’atto di chiudere la giubba grigiomarrone di Dailin. «Tear?» ripeté Aviendha, in tono prudente. «Tre Aes Sedai che attraversano a piedi questo territorio, dirette a Tear. Insolito. Perché andate a Tear?»

Egwene scoccò un’occhiata a Nynaeve. Luce santa, un attimo fa ridevano e adesso erano tese come corde.

«Diamo la caccia ad alcune donne malvagie» rispose, cauta, Nynaeve. «Amici delle Tenebre.»

«Servi dell’Ombra» disse Jolien, storcendo la bocca come se avesse addentato una mela marcia.

«Servi dell’Ombra a Tear» disse Bain; e, come a concludere la frase, Chiad soggiunse: «E tre Aes Sedai dirette al Cuore della Pietra.»

«Non ho detto che andiamo al Cuore della Pietra» replicò Nynaeve, brusca. «Ho solo detto che non voglio stare qui finché non sarà caduto in polvere. Egwene, Elayne, siete pronte?» Senza aspettare risposta, uscì dal folto d’alberi, a lunghi passi, battendo per terra il bastone.

Egwene e Elayne salutarono frettolosamente e la seguirono. Le quattro Aiel rimasero a guardarle.

Quando si furono un poco allontanate, Egwene disse a Elayne: «Mi si è fermato il cuore, quando ti sei presentata. Non temevi che tentassero di ucciderti o di prenderti prigioniera? La Guerra Aiel è ancora abbastanza recente. Dicevano che non avrebbero toccato donne che non portino la lancia, ma a me parevano pronte a usare le loro lance su qualsiasi cosa.»

Elayne scosse tristemente la testa. «Ho appena imparato quante cose non conosco sugli Aiel; ma mi è stato insegnato che per loro quella non era affatto una guerra. Da come si sono comportate nei miei confronti, ritengo che molto di ciò che mi è stato insegnato sia vero. Ma forse si sono comportate così perché mi ritenevano Aes Sedai.»

«Gli Aiel saranno bizzarri, Elayne, ma per chiunque tre anni di battaglie sono una guerra. Non m’interessa quanto combattano tra loro: una guerra è una guerra.»

«Non per loro. Migliaia di Aiel attraversarono la Dorsale del Mondo, ma si consideravano guardie o carnefici, venuti a punire re Laman del Cairhien per il crimine d’avere abbattuto Avendoraldera. Per gli Aiel non era una guerra: era un’esecuzione.»

Avendoraldera, secondo una lezione di Verin, era una piantina ricavata dallo stesso Albero della Vita, portata a Cairhien circa quattrocento anni prima, come dono di pace degli Aiel, gesto senza precedenti, unito al diritto d’attraversare il Deserto, concesso solo a venditori ambulanti, menestrelli e Tuatha’an. Gran parte della ricchezza del Cairhien derivava dal commercio dell’avorio, dei profumi, delle spezie e soprattutto della seta, tutte mercanzie provenienti dalle terre al di là del Deserto. Neppure Verin aveva idea di come gli Aiel avessero ottenuto un alberello di Avendesora (intanto gli antichi libri dicevano chiaramente che l’albero non produceva semi; e poi nessuno sapeva dove si trovasse, a parte alcune indicazioni in certe storie, chiaramente false; ma di sicuro l’Avendesora non aveva niente a che fare con gli Aiel) né sapeva come mai gli Aiel avessero “diviso l’acqua” con i cairhienesi o insistessero perché sulle carovane di mercanti sventolasse la bandiera con la foglia trilobata dell’Avendesora.

Di malavoglia Egwene ammise di capire come mai gli Aiel avessero dato inizio a una guerra, dopo che re Leman aveva abbattuto il loro dono per farsi fare un trono diverso da tutti gli altri. Il Peccato di Laman, l’aveva udito definire. Secondo Verin, non solo il commercio cairhienese attraverso il deserto era cessato allo scoppio della guerra, ma ora i cairhienesi che si avventuravano nel territorio Aiel non facevano più ritorno. Secondo Verin, si diceva che fossero “venduti come animali” nelle terre al di là del Deserto, ma neppure lei capiva come si potesse vendere un uomo o una donna.

«Egwene» disse Elayne «sai chi dev’essere Colui Che Viene con l’Alba, vero?»

Fissando la schiena di Nynaeve, ancora un bel tratto più avanti, Egwene scosse la testa ("Non avrà intenzione di correre fino a Jurene?") e subito si bloccò. «Non alluderai a...»

«Proprio a lui» disse Elayne. «Non conosco molto le Profezie del Drago, ma ricordo qualche brano: “Nascerà sulle pendici di Montedrago, da una fanciulla maritata a nessun uomo". Egwene, Rand ha davvero l’aspetto fisico di un Aiel. Be’, assomiglia anche a Tigraine come è ritratta nei quadri, ma Tigraine scomparve prima che lui nascesse e non penso che possa essere stata sua madre. Secondo me, la madre di Rand era una Fanciulla della Lancia.»

Egwene riprese a camminare a passo svelto e ripassò tutto ciò che sapeva della nascita di Rand. Era stato allevato da Tam al’Thor, dopo la morte di Kari al’Thor; però, se Moiraine non aveva mentito, quei due non erano i veri genitori. A volte Nynaeve pareva a conoscenza di un segreto sulla nascita di Rand... ma tanto non sarebbe riuscita a cavarglielo neppure con le pinze.

Raggiunsero Nynaeve... Egwene accigliata con i propri pensieri, Nynaeve con lo sguardo fisso avanti a sé verso Jurene e l’ipotetica nave, mentre Elayne osservava perplessa le altre due, che parevano due bambine imbronciate per chi dovesse prendere la fetta di dolce più grossa.

Dopo un poco Elayne disse: «Te la sei cavata molto bene, Nynaeve. La Guarigione e anche il resto. Non credo che abbiano mai dubitato che tu non sei Aes Sedai. E che non lo siamo pure noi, grazie a te.»

«Hai fatto un ottimo lavoro» disse Egwene, dopo qualche secondo. «Per la prima volta ho visto cosa si fa durante una Guarigione. Al confronto, fare fulmini pare mescolare farina d’avena.»

Nynaeve sorrise, sorpresa. «Grazie» mormorò e diede ai capelli di Egwene un piccolo strattone, come soleva fare quando l’altra era bambina.

"Non sono più una bambina” pensò Egwene. L’istante passò con la rapidità con cui era venuto e continuarono di nuovo in silenzio. Elayne sospirò forte.

Percorsero ancora un miglio o poco più, rapidamente, malgrado le deviazioni per girare intorno a qualche boschetto lungo la riva del fiume. Nynaeve pretese che stessero ben lontano dagli alberi. Egwene ritenne sciocco pensare che nei boschetti fossero nascosti altri Aiel, ma le deviazioni verso l’entroterra non allungavano di molto il percorso, perché i boschetti erano assai piccoli.

Elayne però teneva d’occhio gli alberi e fu l’unica a gridare a un tratto: «Attente!»

Egwene girò di scatto la testa: da dietro gli alberi erano sbucati alcuni uomini che roteavano fionde. Si protese verso Saidar, ma fu colpita alla testa e sprofondò nel buio.

Egwene ondeggiava e sentiva qualcosa muoversi sotto di lei. Al posto della testa aveva una massa di dolore. Alzò la mano per toccarsi le tempie, ma qualcosa le penetrò nel polso e le impedì il gesto.

«...Meglio che stare là distesi per tutto il giorno ad aspettare il buio» disse un uomo dalla voce rauca. «Chi può dire se un’altra nave passerà così vicino? E non mi fido della barca. Fa acqua.»

«Spera che Adden ti creda, quando gli dirai d’avere visto quegli anelli e di avere cambiato decisione per questo» disse un altro. «Vuole ricchi carichi, non donne.»

Il primo borbottò qualcosa di triviale, alludendo a che cosa Adden poteva farsene, della barca piena di falle e anche dei carichi.

Egwene aprì gli occhi. Puntini argentei le danzarono davanti. Sotto di lei scorreva il terreno: era legata di traverso sulla groppa d’un cavallo, con polsi e caviglie collegati da una corda che passava sotto la pancia dell’animale.

Era ancora giorno. Egwene piegò il collo per guardarsi intorno. Era circondata da uomini a cavallo, rozzamente vestiti, così numerosi che non riuscì a stabilire se anche Nynaeve e Elayne erano state catturate. Alcuni indossavano parti d’armatura — un elmo ammaccato, un pettorale con qualche intaccatura, un farsetto a scaglie metalliche — ma per la maggior parte portavano giubbe non pulite da mesi. Dal puzzo, anche gli uomini non si lavavano da mesi. Tutti portavano la spada, appesa alla cintola o sulla schiena.

Egwene fu invasa dalla rabbia e dalla paura, ma soprattutto dalla rabbia. Non voleva essere prigioniera! Non voleva essere legata! Si protese verso Saidar e le parve che le scoperchiassero la testa, tanto sentì male; riuscì a stento a soffocare un gemito.

Il cavallo si fermò un momento, fra grida e cigolio di cardini arrugginiti; poi proseguì ancora un poco e gli uomini cominciarono a smontare. Quando si spostarono, Egwene riuscì a vedere in parte dove si trovava. Una palizzata di tronchi circondava la cima d’una vasta montagnola; uomini armati d’arco montavano la guardia lungo un camminamento di legno che permetteva appena di guardare al di sopra dei tronchi rozzamente tagliati. Una baracca di tronchi, bassa e priva di finestre, pareva costruita nel terriccio ammonticchiato contro la palizzata. Non c’erano altre costruzioni, oltre alcune tettoie a una falda. Senza contare gli uomini e i cavalli appena entrati, nello spiazzo c’erano fuochi di cottura, cavalli impastoiati e altri uomini sporchi. In tutto, forse un centinaio. Capre, maiali e polli in gabbia riempivano l’aria di belati e grugniti e chioccolii che si mescolavano alle grida rauche e alle risate, in un frastuono che le trapassava la testa.

Scoprì Nynaeve e Elayne, legate come lei a testa in giù su cavalli non sellati. Nessuna delle due si muoveva: la treccia di Nynaeve strusciava per terra a ogni movimento del cavallo. Egwene vide svanire la piccola speranza che una delle altre due fosse in libertà e potesse aiutarle a fuggire. Luce santa, non poteva sopportare di nuovo la prigionia! Con cautela provò di nuovo a toccare Saidar. Stavolta il dolore fu meno intenso — come se qualcuno le avesse semplicemente fatto cadere una pietra sulla testa — ma frantumò il vuoto, prima ancora che lei potesse pensare anche solo a una rosa.

«Quella è sveglia!» gridò un uomo, con voce impaurita.

Egwene cercò di restare inerte e di non sembrare minacciosa. Luce santa, come potevano considerarla una minaccia, così legata come un sacco di farina? Ma doveva guadagnare tempo. «Non ti farò niente» disse all’uomo dal viso sudato che arrivò di corsa. Almeno, cercò di dirglielo: qualcosa la colpì di nuovo sulla testa e l’oscurità la travolse in un’ondata di nausea.

Il secondo risveglio fu meno penoso. La testa le doleva ancora e i pensieri parevano un turbine confuso. Almeno non aveva dato di stoma... Luce santa, meglio non pensarci. Aveva in bocca sapore di vino inacidito e un gusto amaro. Strisce di luce di lanterna trapelavano dalle fessure orizzontali della rozza parete, ma lei era nel buio, distesa sulla schiena. Per terra, pensò. Anche la porta combaciava male con gli stipiti, ma pareva fin troppo robusta.

Si alzò carponi e scoprì con sorpresa di non essere legata. A parte quella di tronchi non scortecciati, le pareti parevano di pietra. La luce delle fessure bastava a mostrare che Nynaeve e Elayne giacevano scompostamente per terra. L’Erede aveva il viso sporco di sangue. Tutt’e due erano immobili, ma respiravano. Egwene esitò: non sapeva se cercare subito di svegliarle o guardare prima che cosa c’era al di là della parete di tronchi. Solo un’occhiata, si disse; tanto valeva scoprire com’erano tenute prigioniere, prima di svegliarle...

Non aveva preso questa decisione, cercò di convincersi, perché temeva di non riuscire a svegliarle. Mentre accostava l’occhio a una fessura accanto alla porta, pensò al sangue sul viso di Elayne e cercò di ricordare con esattezza che cosa aveva fatto Nynaeve per Guarire Dailin.

La stanza contigua era più ampia — di sicuro si trattava dal resto della costruzione di tronchi vista all’arrivo — e priva di finestre, ma ben illuminata da lampade d’oro e d’argento appese a chiodi conficcati nelle pareti e nelle travi del soffitto. Non c’era focolare. Sul pavimento di terra battuta, sedie e tavoli da casa di campagna si mescolavano a cassapanche con dorature e intarsi in avorio. Un tappeto lavorato a pavoni era steso accanto a un grosso letto munito di baldacchino, stracolmo di coperte e di piumini, con colonnine intagliate e dorate.

Diversi uomini, una decina, stavano in piedi o sedevano per la stanza, ma tutti guardavano un tipo grande e grosso, dai capelli biondi, che sarebbe stato bello se si fosse ripulito. Costui guardava il piano del tavolo dalle gambe scanalate e adorno di volute dorate; teneva una mano sull’elsa e col dito spingeva in piccoli cerchi un oggetto che Egwene non riusciva a vedere.

La porta sull’esterno si aprì e rivelò il buio notturno; entrò un uomo assai magro, privo dell’orecchio sinistro. «Non è ancora giunto» disse senza preamboli. Mancava anche di due dita della sinistra. «Non mi piace trattare con gente come lui.»

Il biondo non gli badò e continuò a muovere l’oggetto sul tavolo. «Tre Aes Sedai» mormorò; poi rise. «Le Aes Sedai spuntano buoni prezzi, se si ha il fegato di trattare con l’acquirente giusto. Se si è pronti a rischiare di farselo strappare dalla bocca, nel caso che si tenti di vendergli un gatto nel sacco. Non è facile come tagliare la gola all’equipaggio di un mercantile, eh, Coke? Non così facile, vero?»

Gli altri si agitarono, innervositi; colui al quale il biondo si era rivolto, un tipo basso e robusto dagli occhi mai fermi, si sporse ansiosamente. «Sono davvero Aes Sedai, Adden» disse. Egwene riconobbe la voce: l’uomo che aveva fatto i triviali suggerimenti. «Gli anelli lo dimostrano, ti dico!»

Adden prese dal tavolo un cerchietto che alla luce delle lampade mandò lo scintillio dell’oro.

Con un ansito, Egwene si toccò il dito. Le avevano portato via l’anello!

«Non mi piace» brontolò il magro privo dell’orecchio. «Aes Sedai. Una di loro potrebbe ucciderci tutti. Porca Fortuna! Sei uno stupido tagliato nella pietra, Coke, e dovrei tagliarti la gola. Se una si sveglia prima che lui sia arrivato?»

«Dormiranno per ore» intervenne un grassone dalla voce rauca e dal ghigno che mostrava spazi vuoti fra i denti. «Ho imparato da mia nonna come si fa la miscela che gli abbiamo fatto inghiottire. Non si sveglieranno fino all’alba e lui arriverà molto prima.»

Egwene ricordò il sapore di vino inacidito e di roba amara. “Tua nonna ti ha insegnato male” pensò. “Avrebbe dovuto strangolarti nella culla!" Prima dell’arrivo dell’uomo misterioso che poteva comprare Aes Sedai — come un maledetto Seanchan! — avrebbe rimesso in piedi Nynaeve e Elayne. Strisciò verso Nynaeve.

Per quanto ne capì, Nynaeve pareva addormentata; così iniziò semplicemente a scuoterla. Con sua sorpresa, Nynaeve spalancò subito gli occhi.

«Cosa...»

Egwene le tappò la bocca. «Siamo prigioniere» bisbigliò. «Nell’altra stanza ci sono almeno dieci uomini e molti di più all’esterno. Ci hanno dato una roba per farci dormire, ma senza grande successo. Ricordi qualcosa?»

Nynaeve scostò la mano di Egwene. «Ricordo tutto» rispose, con voce calma e spietata. Fece una smorfia e all’improvviso rise senza emettere suono. «Radice di dormibene. Quegli sciocchi ci hanno dato radice di dormibene mescolata al vino. Vino quasi aceto, dal sapore. Svelta, ricordi cosa ti ho insegnato? Cosa fa la radice di dormibene?»

«Toglie il mal di testa, così si può dormire» rispose Egwene, con voce altrettanto calma e spietata. «Provoca un po’ di sonnolenza, nient’altro.» Il grassone non aveva ascoltato bene le parole della nonna. «Sono solo riusciti a farci passare il dolore del colpo alla testa.»

«Appunto» disse Nynaeve. «Ora svegliamo Elayne, poi daremo loro un ringraziamento che non scorderanno.» Si alzò e si accovacciò accanto a Elayne.

«Quando ci hanno portate qui dentro, m’è parso d’avere visto più di cento uomini» mormorò Egwene alla schiena di Nynaeve. «Sono sicura che non avrai niente da ridire, se stavolta uso come arma il Potere. E a quanto pare è in arrivo un tizio che ci comprerà! Voglio dargli una lezione che lo farà camminare nella Luce finché non sarà morto!» Notò che Nynaeve era sempre accovacciata accanto a Elayne e che nessuna delle due si muoveva. «Cosa c’è?»

«Brutta ferita. Credo che abbia il cranio fratturato: respira appena. Sta morendo, come stava morendo Dailin.»

«Non puoi fare qualcosa?» Cercò di ricordare i rivoli di Potere intessuti da Nynaeve per guarire l’Aiel, ma non ne ricordava neppure uno su tre. «Devi fare qualcosa!»

«Mi hanno preso le erbe» borbottò ferocemente Nynaeve, con voce che tremava di rabbia. «Non posso! Senza le erbe, non posso!» Egwene, sconvolta, si accorse che Nynaeve stava per mettersi a piangere. «Maledizione a loro, non posso fare niente, senza le...» All’improvviso afferrò per le spalle Elayne, come se volesse alzarla e scuoterla dallo stato d’incoscienza. «Maledizione anche a te, ragazza, non ti ho condotta fin qui per farti morire! Dovevo lasciarti a sfregare pentole! Dovevo legarti in un sacco e dire a Mat di portarti da tua madre! Non ti lascerò morire fra le mie braccia! Mi senti? Non lo permetterò!» A un tratto fu avvolta dal bagliore di Saidar, mentre Elayne spalancava occhi e bocca.

Egwene le tappò la bocca appena in tempo per soffocare il grido; però, appena toccò Elayne, fu presa nella marea della Guarigione operata da Nynaeve, come pagliuzza in un gorgo. Il freddo la gelò fino al midollo e si scontrò col calore che la bruciava esteriormente come se volesse abbrustolirle la carne; il mondo svanì in una sensazione di corsa, di caduta, di volo, di turbinio.

Alla fine, Egwene respirava a fatica e fissava Elayne, che la fissava a sua volta da sopra le mani che Egwene le premeva ancora sulla bocca. Egwene non sentiva più i residui d’emicrania: la ripercussione di ciò che aveva fatto Nynaeve era bastata a farglieli passare. Il mormorio di voci proveniente dall’altra stanza non era aumentato; se Elayne aveva fatto rumore, Adden e gli altri non l’avevano notato.

Nynaeve era carponi, a testa bassa, scossa dai tremiti. «Luce santa!» borbottò. «Farlo in questo modo... era come pelare via... la mia stessa pelle!» Scrutò Elayne. «Come ti senti?» le domandò. Egwene ritrasse le mani.

«Stanca» mormorò Elayne. «E affamata. Dove siamo? C’erano alcuni uomini armati di fionda...»

Egwene le raccontò rapidamente che cos’era accaduto. Molto prima della fine, Elayne si era scurita in viso.

«E ora» disse Nynaeve, con voce dura come acciaio «mostreremo a questi bastardi cosa significa impicciarsi nei nostri affari.» Intorno a lei brillò di nuovo Saidar.

Elayne si alzò, malferma, ma circondata dal bagliore. Egwene si protese quasi con gioia verso la Vera Fonte.

Quando guardarono di nuovo dalle fessure per sapere esattamente con chi avevano a che fare, nella stanza c’erano tre Myrddraal.

Con l’abbigliamento nero che pendeva immobile in maniera innaturale, erano fermi accanto al tavolo; ognuno, Adden escluso, si era spostato il più lontano possibile e teneva la schiena contro la parete e gli occhi fissi sul pavimento di terra battuta. Dall’altra parte del tavolo rispetto ai Myrddraal, Adden affrontava quelle facce prive d’occhi, ma il sudore gli colava in rivoli sul viso sporco.

Un Fade raccolse dal tavolo un anello. Egwene vide che si trattava di un cerchietto d’oro molto più pesante di quelli col Gran Serpente.

Con il viso premuto contro la fessura fra due tronchi, Nynaeve ansimò piano e si frugò nel collo della veste.

«Tre Aes Sedai» sibilò il Mezzo Uomo, divertito, con un suono simile a cose morte che si riducano in polvere. «E una aveva addosso questo anello.» Lo gettò sul tavolo. Il cerchietto d’oro produsse un tonfo sordo.

«Sono quelle che cerco» gracchiò un altro Myrddraal. «Sarai ben ricompensato, uomo.»

«Dobbiamo prenderli di sorpresa» disse piano Nynaeve. «Che tipo di lucchetto c’è alla porta?»

Egwene lo scorgeva appena: un affare di ferro in una catena tanto grossa da trattenere un toro infuriato. «Sii pronta» disse.

Assottigliò un rivolo di Terra fino a renderlo più sottile d’un capello, augurandosi che i Mezzi Uomini non lo percepissero, e lo intessé nella catena nei suoi più piccoli componenti.

Un Myrddraal alzò la testa. Un altro si sporse sul tavolo, verso Adden. «Sento prurito, uomo» disse. «Sei sicuro che dormano?» Adden deglutì con forza e annuì.

Il terzo Myrddraal si girò a fissare la porta della stanza dove Egwene e le altre due erano acquattate.

La catena cadde a terra, il Myrddraal ringhiò e la porta esterna si spalancò, lasciando entrare dalla notte la morte velata di nero.

La stanza divenne un vulcano di urla e di grida, mentre uomini artigliavano la spada per reagire alle lance Aiel. I Myrddraal sguainarono lame più nere delle proprie vesti e combatterono anch’essi per la propria vita. Egwene una volta aveva assistito a uno scontro fra sei gatti: era la stessa scena, ingrandita cento volte. Eppure nel giro di qualche secondo regnò il silenzio. O quasi.

Ogni essere umano che non avesse sul viso un velo nero giaceva cadavere, trafitto da una lancia; un’altra lancia teneva inchiodato alla parete Adden. Anche due Aiel giacevano immobili nella confusione di mobilio e di cadaveri. I tre Myrddraal erano al centro della stanza, schiena contro schiena, spada in pugno. Uno si stringeva il fianco, come se l’avessero ferito. Un altro aveva un lungo squarcio sul viso livido, ma non sanguinava. Intorno a loro si muovevano, tenendosi acquattati, i cinque Aiel velati ancora vivi. Dall’esterno provennero urla e clangore di ferro, segno che altri Aiel combattevano nella notte, ma nella stanza c’era un altro rumore, meno forte.

Nel girare intorno ai Myrddraal, gli Aiel battevano la lancia contro il piccolo scudo di cuoio. Tum-tum-TUM-tum... tum-tum-TUM-tum... tum-tum-TUM-tum. I Myrddraal seguivano il movimento degli Aiel e parevano incerti, a disagio perché la paura provocata dal loro sguardo pareva non toccare il cuore di questi avversari.

«Danza con me, Uomo Ombra» gridò a un tratto un Aiel, con tono provocatorio. Aveva voce giovanile.

«Danza con me, Senzocchi.» Era un donna.

«Danza con me.»

«Danza con me.»

Nynaeve si raddrizzò. «Penso che sia il momento» disse. Spalancò la porta. Tre donne avvolte nel bagliore di Saidar entrarono nella stanza.

Parve che per i Myrddraal gli Aiel avessero smesso d’esistere. E viceversa. Gli Aiel fissarono da sopra il velo Egwene e le altre due, come se non fossero del tutto sicuri di ciò che vedevano; una delle donne ansimò forte. Lo sguardo dei Myrddraal era diverso, rivelava la consapevolezza della morte. I Fade riconoscevano una donna in contatto con la Vera Fonte, quando la vedevano. Egwene fu sicura di percepire anche un desiderio della sua morte, se la loro stessa morte avrebbe ottenuto la sua, e un desiderio ancora più forte di strapparle l’anima e farne un giocattolo per l’Ombra, un desiderio di...

Era appena entrata nella stanza, eppure aveva l’impressione di sostenere da ore quello sguardo. «Ne ho abbastanza» ringhiò. Scatenò un flusso di Fuoco.

Fiamme eruttarono dai Myrddraal e schizzarono in ogni direzione, mentre i tre urlavano col rumore d’ossa scheggiate che inceppassero un tritacarne. Tuttavia Egwene aveva dimenticato di non essere da sola, aveva dimenticato che Elayne e Nynaeve erano con lei. Mentre le fiamme consumavano i Mezzi Uomini, l’aria stessa parve all’improvviso spingerli uno contro l’altro, schiacciarli in una palla di fuoco e di tenebra che diventava sempre più piccola. Le urla dei Myrddraal straziavano la spina dorsale di Egwene e qualcosa saettò dalle mani di Nynaeve... una sottile barra di luce così bianca da far sembrare scuro il sole di mezzogiorno, una barra di fuoco da far sembrare gelido il metallo fuso, che collegò ai Myrddraal le sue mani. E i Mezzi Uomini cessarono d’esistere, come se non ci fossero mai stati. Nynaeve sobbalzò, sorpresa, e il bagliore intorno a lei svanì.

«Che... che cos’era?» disse Elayne.

Nynaeve scosse la testa, stupita quanto Elayne. «Non lo so... Ero... ero così inferocita, così atterrita per quel che volevano... Non so cosa fosse.»

Fuoco malefico, pensò Egwene. Non sapeva come l’avesse riconosciuto, ma era sicura. Con riluttanza si staccò da Saidar. Non aveva visto niente di ciò che Nynaeve aveva fatto!

Allora gli Aiel abbassarono il velo. Con una certa fretta, notò Egwene, come per dire loro che non intendevano combattere. Tre Aiel erano maschi, uno dei quali abbastanza anziano, a giudicare dal grigio nei capelli rossicci. Erano alti di statura e tutti, giovani e anziani, avevano negli occhi la calma, la sicurezza, la micidiale grazia di movimento che Egwene associava ai Custodi; sulle loro spalle cavalcava la morte: loro lo sapevano e non ne erano spaventati. Una delle donne era Aviendha. All’esterno, urla e grida si affievolivano e svanivano.

Nynaeve si mosse verso gli Aiel caduti.

«È inutile, Aes Sedai» disse l’Aiel più anziano. «Hanno preso acciaio degli Uomini Ombra.»

Nynaeve si chinò ugualmente a controllare ciascuno, scostando il velo per rovesciare loro le palpebre e tastare la gola in cerca di pulsazioni. Quando si rialzò, era bianca in viso: il secondo Aiel era Dailin. «Maledizione! Maledizione!» Non fu chiaro se si riferisse a Dailin o all’uomo dai capelli brizzolati, o a Aviendha o a tutti gli Aiel. «Non l’ho Guarita perché morisse così!»

«La morte viene a noi tutti» cominciò Aviendha; ma quando Nynaeve si girò verso di lei, tacque. Gli Aiel si scambiarono occhiate, incerti se Nynaeve avrebbe fatto loro ciò che aveva fatto ai Myrddraal. Nei loro occhi non c’era paura, soltanto consapevolezza.

«Il ferro degli Uomini Ombra uccide, non ferisce» disse Aviendha. L’Aiel più anziano la guardò con lieve sorpresa (Egwene si disse che, come per Lan, per quell’uomo un battito di palpebre equivaleva all’aperto stupore d’ogni altro) e Aviendha soggiunse: «Di certe cose sanno ben poco, Rhuarc.»

«Ci scusiamo» disse Elayne, con voce chiara «d’avere interrotto la vostra... danza. Forse non dovevamo interferire.»

Egwene, stupita, si girò a guardarla, ma subito capì la sua intenzione: voleva mettere a loro agio gli Aiel e dare a Nynaeve il tempo di calmarsi.

«Riuscivate a cavarvela benissimo» disse. «Forse vi abbiamo offesi mettendo il naso nei vostri affari.»

Rhuarc ridacchiò. «Aes Sedai, io per primo sono felice del... del vostro intervento.» Parve un attimo insicuro, ma tornò subito di buonumore. Aveva un bel sorriso, faccia forte e squadrata; era un bell’uomo, anche se un po’ stagionato. «Potevamo ucciderli, ma tre Uomini Ombra... Di sicuro avrebbero ucciso due, tre di noi, forse tutti; e non posso garantire che li avremmo uccisi. Per i giovani, la morte è una nemica contro cui misurare la propria forza. Per quelli un po’ più anziani, è una vecchia amica, una vecchia amante, che non c’è fretta d’incontrare.»

A queste parole, Nynaeve parve rilassarsi, come se l’incontro con un Aiel poco ansioso di morire l’avesse liberata della tensione. «Dovrei ringraziarvi» disse «e vi ringrazio. Però sono sorpresa di vedervi. Aviendha, t’aspettavi di trovarci qui? Come mai?»

«Vi ho seguite» rispose l’Aiel, senza imbarazzo. «Per vedere cosa avreste fatto. Ho visto quegli uomini catturarvi, ma ero troppo distante per intervenire. Ero sicura che mi avreste scorta, se mi fossi avvicinata, così mi sono tenuta un centinaio di passi più indietro. Quando ho capito che non ce l’avreste fatta, era troppo tardi per provarci da sola.»

«Sono sicura che hai fatto il possibile» disse debolmente Egwene. Era a soli cento passi da loro? I banditi non avevano visto niente!

Aviendha lo considerò un invito a proseguire. «Sapevo dove si trovava Coram, e lui sapeva dov’erano Dhael e Luaine, e loro sapevano...» S’interruppe, con uno sguardo perplesso verso l’Aiel più anziano. «Non m’aspettavo di trovare un capoclan, tanto meno il mio, fra coloro che sono venuti. Rhuarc, chi guida gli Aiel Taardad, visto che tu sei qui?»

Rhuarc si strinse nelle spalle, come se la cosa non avesse alcuna importanza. «I capisetta faranno a turno e decideranno se vogliono davvero andare a Rhuidean, quando morirò. Non sarei venuto, ma Amys e Bain e Melarne e Seana mi stavano addosso come gatti di montagna dietro un caprone selvatico. I sogni dicevano che dovevo andare. Mi hanno domandato se davvero volevo morire in un letto, vecchio e grasso.»

Aviendha rise, come se fosse una bella battuta di spirito. «Si è sempre detto che un uomo preso fra la moglie e una Sapiente spesso rimpiange di non dover combattere invece dieci vecchi nemici» commentò.

«Un uomo preso fra la moglie, lei stessa Sapiente, e tre Sapienti, deve prendere in considerazione la possibilità di uccidere l’Accecatore in persona.»

«L’idea m’è già venuta» rispose Rhuarc. Guardò, perplesso, i tre anelli col Gran Serpente, finiti per terra, insieme con un anello d’oro, molto più pesante, adatto al dito d’un uomo. «E mi viene ancora. Tutto deve cambiare, ma non voglio far parte del cambiamento, se posso stare in disparte. Tre Aes Sedai in viaggio per Tear.» Gli altri Aiel si guardarono come se non volessero farsi notare da Egwene e dalle altre due.

«Hai accennato ai sogni» disse Egwene. «Le vostre Sapienti sanno cosa significano i loro sogni?»

«Alcune, sì. Se vuoi saperne di più, devi parlare con loro. Forse a un’Aes Sedai lo direbbero. A noi uomini non ne parlano, se non quando i sogni dicono cosa dobbiamo fare.» A un tratto parve assai stanco. «In genere sono cose che eviteremmo di fare, se ci fosse possibile.»

Si chinò a raccogliere l’anello da uomo. Vi era riprodotta una gru in volo sopra una lancia e una corona. Ora Egwene lo riconobbe: l’aveva visto spesso penzolare da una correggia intorno al collo di Nynaeve. Quest’ultima pestò gli altri anelli, per la fretta di strapparlo di mano a Rhuarc; era arrossita, di collera e di altre emozioni: troppe, perché Egwene le identificasse. Rhuarc non si oppose e continuò, nello stesso tono pieno di stanchezza.

«E una delle Aes Sedai ha un anello di cui da bambino ho sentito parlare. L’anello dei re del Malkier. Ai tempi di mio padre, cavalcarono con gli shienaresi contro gli Aiel. Erano bravi, nella danza delle lance. Ma poi il Malkier fu inghiottito dalla Macchia. Si dice che sia sopravvissuto soltanto un re ancora bambino, il quale corteggia la morte che gli strappò il regno come altri corteggerebbero le belle donne. In verità, è una cosa bizzarra, Aes Sedai. Di tutte le cose bizzarre che pensavo di vedere, quando Melaine mi ha spinto lontano dalla mia casa e al di là del Muro del Drago, nessuna è stata così bizzarra. Il sentiero che mi hai assegnato è un sentiero che non avrei mai creduto di percorrere.»

«Non ti ho assegnato alcun sentiero» replicò Nynaeve, brusca. «Voglio solo proseguire il viaggio. Questi uomini avevano cavalli. Ne prenderemo tre e ci metteremo in cammino.»

«In piena notte, Aes Sedai?» obiettò Rhuarc. «Il viaggio è tanto urgente da farvi percorrere nel buio queste zone pericolose?»

«No» rispose Nynaeve, dopo una chiara indecisione. «Ma voglio partire all’alba» soggiunse, in tono più fermo.

Gli Aiel portarono al di là della palizzata i morti. Né Egwene né le altre due vollero usare il letto lurido in cui aveva dormito Adden: ripresero ciascuna il proprio anello e dormirono all’aperto, avvolte in coperte avute dagli Aiel.

Quando l’alba imperlò il cielo, gli Aiel prepararono una colazione composta di carne secca e coriacea (Egwene esitò a mangiarla, finché Aviendha non le disse che era di capra), di gallette quasi altrettanto difficili da masticare e di un formaggio dalle venature bluastre e dal sapore piccante, tanto duro da far mormorare a Elayne che gli Aiel si allenavano sgranocchiando sassi. Ma l’Erede mangiò quanto Egwene e Nynaeve messe insieme. Gli Aiel scelsero i tre cavalli migliori e lasciarono liberi gli altri: loro non andavano a cavallo, se non vi erano costretti, spiegò Aviendha, col tono di chi preferirebbe andare di corsa anche con le vesciche ai piedi. I tre animali erano alti e grossi quasi come i destrieri da guerra, con collo dritto e occhi fieri: un morello per Nynaeve, una giumenta dal mantello roano per Elayne e una grigia per Egwene.

Egwene decise di chiamarla Nebbia, con l’augurio che un nome gentile la tranquillizzasse; e a dire il vero Nebbia parve muoversi con leggerezza quando si avviarono a meridione, mentre il sole faceva capolino all’orizzonte.

Tutti gli Aiel sopravvissuti allo scontro le accompagnarono a piedi. Avevano avuto altri tre caduti, oltre ai due uccisi dai Myrddraal. Adesso erano in diciannove e seguivano con facilità l’andatura dei cavalli. All’inizio Egwene cercò di far tenere a Nebbia un passo lento, ma gli Aiel la ritennero un’idea molto buffa.

«Farò con te una corsa di dieci miglia» disse Aviendha «e vedremo chi vincerà, se il tuo cavallo o io.»

«E io di venti miglia!» disse Rhuarc, ridendo.

Probabilmente dicevano sul serio, pensò Egwene: i cavalli allungarono il passo e di certo gli Aiel non rimasero indietro.

Quando comparvero i tetti di stoppie di Jurene, Rhuarc disse: «Addio, Aes Sedai. Possiate trovare sempre acqua e ombra. Forse ci incontreremo di nuovo, prima che avvenga il cambiamento.» Aveva un tono sinistro. Mentre gli Aiel deviavano verso meridione, Aviendha, Chiad e Bain alzarono la mano in segno di saluto. Non parvero rallentare l’andatura, adesso che non seguivano cavalli; anzi, parvero andare più speditamente. Egwene sospettò che avrebbero mantenuto quell’andatura fino dove erano diretti.

«Cosa voleva dire, con quella frase?» domandò. «"Forse ci incontreremo di nuovo, prima che avvenga il cambiamento."»

Elayne scosse la testa.

«Non importa cosa volesse dire» rispose Nynaeve. «Sono contenta che stanotte siano comparsi, ma sono anche contenta che se ne siano andati. Mi auguro che qui ci sia una nave.»

Jurene era un villaggio piccolino, di case di legno alte solo un piano, ma vi sventolava la bandiera con il Leone Bianco dell’Andor e vi stazionavano cinquanta Guardie della Regina, uomini in giubba rossa con ampio colletto bianco sotto lucenti pettorali di ferro. Erano stati dislocati lì, disse il loro capitano, per offrire rifugio sicuro ai profughi che volessero riparare nell’Andor; ma ne giungevano assai pochi. Ora la maggior parte andava nei villaggi più a valle, nei pressi di Aringill. Loro tre avevano avuto la fortuna di giungere in tempo, perché da un momento all’altro lui aspettava l’ordine di riportare nell’Andor la sua compagnia. Era probabile che i pochi abitanti di Jurene andassero con loro e abbandonassero quel poco che restava ai briganti e ai soldati delle Case cairhienesi in guerra.

Elayne tenne il viso nascosto nel cappuccio, ma nessuno parve associare all’Erede quella ragazza dai capelli rosso oro. Alcuni le chiesero di trattenersi lì; Egwene non capì se Elayne ne fosse compiaciuta o sconvolta. Lei stessa rispose, agli uomini che glielo chiesero, di non avere tempo per loro. Faceva piacere, in un certo senso, che chiedessero; di sicuro lei non aveva la minima voglia di baciare uno di loro, ma gradiva che alcuni almeno la ritenessero graziosa quanto Elayne. Nynaeve schiaffeggiò un uomo. Egwene quasi scoppiò a ridere e Elayne sorrise apertamente. Egwene pensò che Nynaeve avesse ricevuto un pizzicotto; però, malgrado lo sguardo feroce, non pareva troppo dispiaciuta.

Non portavano l’anello Nynaeve le aveva facilmente convinte che proprio Tear era l’unico posto in cui era meglio non farsi ritenere Aes Sedai, soprattutto se in città circolava l’Ajah Nera. Egwene aveva messo nella borsa l’anello, insieme al ter’angreal di pietra; spesso li toccava per ricordare a se stessa che erano ancora lì. Nynaeve aveva appeso il suo alla cordicella con l’anello di Lan.

C’era una nave, a Jurene, ormeggiata all’unico molo di pietra che si protendeva nell’Erinin. Nel vederla, Egwene si demoralizzò: larga il doppio della Gru Azzurra, la Perca smentiva il proprio nome, con la prua rotonda come la pancia del capitano.

Costui guardò con sorpresa Nynaeve e si grattò l’orecchio, quando lei domandò se la nave era veloce. «Veloce?» rispose. «Sono carico di legname pregiato dello Shienar e di tappeti del Kandor. A cosa serve la velocità, con un carico del genere? Tanto, i prezzi continuano a salire. Sì, immagino che dietro la mia ci siano navi più veloci, ma qui non si fermeranno. Nemmeno io mi sarei fermato, se non avessi trovato vermi nella carne. Ma sbagliavo, a pensare che nel Cairhien abbiano carne da vendere. La Gru azzurra? Sì, stamattina ho visto Ellisor incagliato più a monte. Non si disincaglierà tanto presto, ritengo. Ecco dove porta, una nave veloce.»

Nynaeve pagò le tariffe (e il doppio, per i cavalli) con una tale faccia che Egwene e Elayne non le rivolsero parola, finché la Perca non si fu allontanata da Jurene.

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