Egwene si era appena allontanata dalle stanze di Verin, quando incontrò Sheriam. La Maestra delle Novizie aveva l’aria alquanto preoccupata.
«Se non t’avessero visto parlare con Verin, non ti avrei trovata» disse, con una certa irritazione. «Vieni, bambina. Cos’hai in mano? Cosa sono, quei fogli?»
Egwene li strinse più forte. Cercò di rendere umile e rispettoso il tono di voce. «Verin Sedai ritiene che debba studiarli, Sheriam Sedai» rispose. Che cosa avrebbe fatto, se la Maestra delle Novizie avesse chiesto di darvi un’occhiata? Quale scusa poteva escogitare per un rifiuto? Quale spiegazione, per fogli che parlavano di tredici donne dell’Ajah Nera e dei ter’angreal da loro rubati?
Ma Sheriam parve dimenticare subito la richiesta. «Lascia perdere» disse. «Ti aspettano.» Prese per il braccio Egwene e la costrinse a camminare più velocemente.
«Mi aspettano, Sheriam Sedai? Per cosa?»
Sheriam le scoccò un’occhiata d’esasperazione. «Hai dimenticato che stai per diventare Ammessa? Domani, quando verrai nel mio studio, avrai al dito l’anello, anche se non ti sarà di grande consolazione.»
Egwene cercò di fermarsi, ma l’Aes Sedai proseguì di fretta e imboccò una stretta rampa di scale che scendeva a chiocciola dentro le pareti della biblioteca.
«Stanotte?» protestò Egwene. «Di già? Ma sono mezzo addormentata, Sheriam Sedai, e sporca, e... Pensavo che mancassero ancora diversi giorni. Per prepararmi.»
«L’ora non aspetta nessuno» replicò Sheriam. «La Ruota gira e ordisce come vuole e quando vuole. E poi, come ti prepareresti? Sai già l’indispensabile. Più di quanto non sapesse la tua amica Nynaeve.» Spinse Egwene attraverso una porticina ai piedi delle scale e percorse in fretta un altro corridoio, fino a una rampa che s’incurvava sempre più in basso.
«Ho ascoltato le lezioni» protestò Egwene «e le ricordo, ma... non posso avere una notte di sonno, prima?» La rampa a chiocciola le pareva interminabile.
«L’Amyrlin Seat ha deciso che non ha senso aspettare» rispose Sheriam, con un’occhiata di traverso. «Le sue parole esatte sono state: “Se hai deciso di sventrare un pesce, non ha senso aspettare che puzzi". A quest’ora Elayne ha già attraversato gli archi e l’Amyrlin Seat vuole che anche tu li attraversi stanotte. Non capisco il motivo di tanta fretta» soggiunse, quasi tra sé. «Però, quando l’Amyrlin Seat ordina, noi ubbidiamo. Egwene si lasciò tirare in silenzio giù per la rampa. Aveva un nodo allo stomaco. Nynaeve era stata tutt’altro che disponibile a parlare della propria esperienza durante la cerimonia per diventare Ammessa: si era limitata a fare una smorfia e a dire: «Odio le Aes Sedai!». Quando finalmente la rampa sbucò in un ampio corridoio nei sotterranei della Torre, Egwene ormai tremava.»
In fondo al corridoio, scavato nella roccia chiara e privo di decorazioni, c’era una porta a due battenti, di legno scuro, alta e larga come quella d’una fortezza e altrettanto semplice, anche se le assi erano ben rifinite e accostate ad arte. Ma i battenti erano ben bilanciati e Sheriam non ebbe difficoltà ad aprirne uno; varcò la soglia e tirò Egwene in un’ampia sala dal soffitto a cupola.
«Era ora!» sbottò Elaida. Portava lo scialle rosso e stava accanto al tavolo sul quale c’erano tre grossi calici d’argento.
Lampade su alti sostegni illuminavano la sala e la costruzione posta al centro, sotto la cupola: tre arcate d’argento con la parte superiore a contatto, di forma arrotondata, alte quanto bastava a permettere il passaggio, poste sopra un massiccio cordolo circolare d’argento. Un’Aes Sedai sedeva a gambe incrociate, sulla nuda pietra, davanti a ciascun punto d’unione fra le arcate e il cordolo; delle tre, Egwene riconobbe Alanna, una Sorella dell’Ajah Verde, ma non le altre due, una dell’Ajah Gialla e una della Bianca.
Circondate dall’alone che rivelava il contatto con Saidar, le tre Aes Sedai fissavano gli archi, all’interno dei quali diventava sempre più luminoso un analogo bagliore tremolante. Quei tre archi erano un ter’angreal: non si sapeva bene per quale uso li avessero costruiti nell’Epoca Leggendaria, ma ora servivano per la cerimonia della nomina e le novizie dovevano attraversarli, per diventare Ammesse. All’interno degli archi ogni candidata affrontava le proprie paure. Ora la luce non tremolava più: pareva prigioniera all’interno delle arcate, ma riempiva lo spazio e lo rendeva opaco.
«Non agitarti, Elaida» disse Sheriam, con calma. «Faremo in un attimo.» Si rivolse a Egwene. «Alle novizie sono concesse tre possibilità» spiegò. «Puoi rifiutare due volte di entrare sotto gli archi, ma al terzo rifiuto sarai allontanata per sempre dalla Torre. Questa è la prassi. Hai il diritto di rifiutare, certo, ma non credo che l’Amyrlin Seat ne sarebbe contenta.»
«Non bisognerebbe darle questa possibilità» disse Elaida, con voce ferrea e viso altrettanto duro. «Non m’interessa il suo potenziale. Bisognerebbe allontanarla dalla Torre. O almeno metterla a pulire pavimenti per i prossimi dieci anni.»
Sheriam rivolse alla Sorella Rossa un’occhiata penetrante. «Non sei stata così inflessibile nei riguardi di Elayne» replicò, «Hai chiesto tu di partecipare alla cerimonia, forse proprio a causa di Elayne. Farai la tua parte anche per questa ragazza, come previsto; altrimenti, puoi andartene: troverò un’altra.»
Le due Aes Sedai rimasero a fissarsi con tale intensità che Egwene non si sarebbe stupita di veder spuntare intorno a loro l’alone dell’Unico Potere. Alla fine Elaida scosse la testa e sbuffò rumorosamente.
«Se dobbiamo farlo, facciamolo. Diamo a questa insopportabile ragazza la possibilità di rifiutare e procediamo. È tardi.»
«Non rifiuterò» disse Egwene, con voce un po’ tremante; ma la rese ferma e soggiunse: «Voglio andare avanti.»
«Bene» disse Sheriam. «Bene. Ora ti dirò due cose che nessuna donna ode finché non si trova dove sei tu. Se inizi, devi andare fino in fondo: se in qualsiasi momento ti rifiuti, sarai allontanata dalla Torre. Seconda cosa: tentare, sforzarsi, è conoscere il pericolo.» Dal tono pareva che avesse ripetuto molte volte quegli ammonimenti. Aveva negli occhi una luce di simpatia, ma viso duro quanto quello di Elaida. La simpatia spaventò Egwene più dell’espressione dura. «Alcune donne sono entrate, ma non sono mai uscite» proseguì Sheriam. «Quando il ter’angreal si è spento, non c’erano più! E non sono state riviste. Se vuoi sopravvivere, devi essere decisa. Vacilla, fallisci e...» Una smorfia sostituì la conclusione della frase. Egwene rabbrividì. «Questa è la tua ultima possibilità» continuò Sheriam. «Se rifiuti adesso, vale come primo rifiuto: avrai a disposizione altri due tentativi. Se accetti adesso, non puoi più ritirarti. Non è vergogna, rifiutare. La prima volta, io ho rifiutato. Decidi.»
"Non sono mai uscite?" pensò Egwene. Deglutì con forza. “Voglio essere Aes Sedai. Ma prima devo diventare Ammessa."
«Accetto» rispose.
Sheriam annuì. «Allora, preparati.»
Egwene batté le palpebre, sorpresa; poi ricordò. Doveva entrare nuda negli archi. Si chinò per posare i fogli avuti da Verin... ed esitò. Se li lasciava lì, Sheriam o Elaida potevano leggerli, mentre lei era dentro il ter’angreal. Potevano anche trovare il piccolo ter’angreal chiuso nella borsa. Se rifiutava la prova, poteva nasconderli o forse affidarli a Nynaeve. Si sentì mancare il respiro. Ormai non poteva più rifiutare: aveva già iniziato.
«Hai già cambiato idea, bambina?» domandò Sheriam, perplessa. «Pur sapendo quali saranno le conseguenze?»
«No, Sheriam Sedai» rispose subito Egwene. Si svestì in fretta e ripiegò gli abiti, posandoli sopra borsa e fogli. Non poteva fare di meglio.
Accanto al ter’angreal, Alanna esclamò all’improvviso: «C’è una sorta di... di risonanza.» Continuò a fissare gli archi. «Come un’eco. Non so da dove provenga.»
«Ci sono problemi?» domandò Sheriam, brusca. Pareva sorpresa, anche. «Non mando là dentro nessuno, se ci sono problemi.»
Egwene guardò con desiderio i vestiti. Pregò la Luce che ci fosse davvero un imprevisto, qualcosa che le permettesse di nascondere i fogli senza rifiutare la prova.
«No» rispose Alanna. «È come se un moscerino ti ronzasse intorno alla testa mentre cerchi di riflettere, ma senza interferire. Non ne avrei parlato, però è la prima volta che si verifica, a quanto mi risulta.» Scosse la testa. «Ora la risonanza è scomparsa.»
«Forse» commentò Elaida, ironica «altre hanno ritenuto che non valesse la pena menzionare una cosa di così scarsa importanza.»
«Procediamo» disse Sheriam; dal tono, era chiaro che non avrebbe ammesso altre distrazioni. «Vieni.»
Con un’ultima occhiata ai vestiti e ai fogli, Egwene seguì Sheriam verso gli archi. Sotto i piedi scalzi la pietra le pareva fredda come ghiaccio.
«Chi porti con te, Sorella?» intonò Elaida.
Procedendo a passi misurati, Sheriam rispose: «Una candidata all’Ammissione, Sorella.» Le tre Aes Sedai intorno al ter’angreal non si mossero.
«È pronta?»
«È pronta a lasciarsi alle spalle quel che era e, passando attraverso le paure, a guadagnarsi l’Ammissione.»
«Conosce le proprie paure?»
«Non le ha mai affrontate, ma ora è disposta a farlo.»
«Lasciamo allora che affronti quel che teme.» Malgrado il tono formale, nella voce di Elaida c’era una nota di soddisfazione.
«La prima volta» disse Sheriam «è per quel che fu. La via del ritorno si presenterà solo una volta. Non esitare.»
Egwene inspirò a fondo, mosse un passo; varcò l’arco e fu inghiottita dal bagliore.
«È passato Jaim Dawtry. Il venditore ambulante ha portato da Baerlon notizie bizzarre.»
Egwene continuò a far dondolare la culla e alzò la testa. Vide Rand, fermo sulla soglia. Per un istante si sentì girare la testa. Spostò lo sguardo, stupita, da Rand — suo marito — alla bambina nella culla — sua figlia — e viceversa.
"La via del ritorno si presenterà solo una volta. Non esitare."
Non era un suo pensiero, ma una voce disincarnata che forse era nella sua testa e forse fuori, forse maschile e forse femminile, eppure priva d’emozioni e inconoscibile. Tuttavia non le pareva insolita.
L’istante di stupore passò: Egwene si domandò per quale motivo avesse pensato che qualcosa non quadrava. Rand era suo marito, certo, e Joiya era sua figlia... la più bella, la più dolce bimbetta dei Fiumi Gemelli. Tam, padre di Rand, aveva portato al pascolo il gregge, con la scusa di consentire a Rand di lavorare nel fienile, ma in realtà per dargli più tempo per giocare con Joiya. Nel pomeriggio sarebbero venuti in visita i suoi genitori e forse anche Nynaeve, per vedere se la maternità interferiva con i suoi studi che un giorno le avrebbero permesso di sostituirla come Sapiente del villaggio.
«Quali notizie?» domandò. Riprese a far dondolare la culla. Rand si avvicinò e sorrise alla bimbetta avvolta in fasce. Egwene ridacchiò piano fra sé: quando era con la figlia, non udiva più niente. «Rand?» ripeté. «Quali notizie? Rand?»
«Cosa?» disse Rand, tornando serio. «Ah, notizie curiose. Guerra. C’è una guerra che coinvolge tutto il mondo, secondo Jaim.» Di rado le notizie di guerre arrivavano nei Fiumi Gemelli prima che i conflitti si fossero conclusi da tempo. «Dice che tutti combattono contro un popolo chiamato Shawkin o Sanchan o qualcosa del genere. Non ne ho mai sentito parlare.»
Egwene seppe... pensò di sapere... L’impressione era già svanita.
«Ti senti male?» domandò Rand. «Non è niente che ci sconvolga, amore mio. Le guerre non toccano mai i Fiumi Gemelli. Siamo troppo lontano dal resto del mondo, perché qualcuno s’interessi a noi.»
«Non sono sconvolta. Jaim ha detto altro?»
«Cose da non credere. Jaim pareva un Coplin. L’ambulante gli ha detto che per combattere si servono delle Aes Sedai, ma che danno un premio di mille marchi d’oro a chiunque ne consegni una e che uccidono chi le nasconde. Non ha senso. Be’, non ci riguarda. Qui siamo molto lontano da loro.»
Aes Sedai. Egwene si toccò la testa. “La via del ritorno si presenterà solo una volta. Non esitare."
Notò che pure Rand si toccava la testa. «I soliti dolori?» domandò.
Rand annuì, a occhi chiusi. «La polverina di Nynaeve in questi ultimi giorni non mi fa effetto, a quanto pare.»
Egwene esitò. Era preoccupata per le emicranie di Rand: da qualche tempo erano sempre più forti. Ma la cosa peggiore era ciò che sulle prime non aveva notato e che quasi rimpiangeva d’avere notato: quando Rand aveva mal di testa, subito dopo accadevano fatti bizzarri. Un fulmine a ciel sereno aveva fatto a pezzi l’enorme ceppo di quercia che Rand aveva impiegato due giorni a sradicare, quando con Tam aveva ripulito un nuovo campo. Tempeste che Nynaeve non udiva arrivare anche se ascoltava il vento. Incendi nella foresta. Più il dolore era intenso, peggiori erano gli eventi che seguivano. Per fortuna, nessuno li aveva collegati a Rand, nemmeno Nynaeve. Egwene non voleva neppure pensare quale fosse il loro possibile significato.
Sono sciocchezze belle e buone, si disse. Doveva sapere, se voleva aiutarlo. Infatti anche lei aveva un segreto, un segreto che le metteva paura e di cui cercava ancora di scoprire il significato. Nynaeve le insegnava a distinguere le erbe medicinali, in modo che un giorno la sostituisse come Sapiente. Le cure di Nynaeve spesso avevano un effetto quasi miracoloso... ferite che si rimarginavano quasi senza lasciare cicatrici, guarigione di ammalati ormai con un piede nella fossa. Eppure già tre volte Egwene aveva guarito persone che Nynaeve riteneva bell’e morte. Tre volte era rimasta a tenere per mano un ammalato durante l’ultima ora e l’aveva visto alzarsi dal letto di morte. Nynaeve l’aveva interrogata a fondo per sapere quali erbe avesse usato, in quale mistura. Ma lei non aveva ancora trovato il coraggio di confessare: non aveva fatto niente. Eppure era impossibile. Una volta poteva essere un caso, ma tre volte... Doveva scoprirlo. Doveva imparare. Si senti vibrare la testa, come se le parole le ronzassero nel cranio: se aveva potuto fare qualcosa per quelle tre persone, forse poteva aiutare anche suo marito.
«Lasciami provare, Rand» disse. Si alzò e dalla porta vide un arco argenteo davanti alla casa, un arco pieno di luce bianca. “La via del ritorno si presenterà solo una volta. Non esitare." Mosse due passi verso la porta, si fermò.
Si girò, guardò Joiya che farfugliava nella culla, guardò Rand che ancora si stringeva la testa e la fissava come se si domandasse dove andava. «No» disse. «No, questo è ciò che voglio! Perché non posso avere anche questo?» Non capiva le sue stesse parole. Certo, era ciò che voleva, e l’aveva.
«Cos’è che vuoi, Egwene?» domandò Rand. «Se posso comprarlo, lo comprerò. Se non posso comprarlo, lo costruirò con le mie mani.»
"La via del ritorno si presenterà solo una volta. Non esitare."
Egwene mosse un passo, fu nel vano della porta. L’arco argenteo la chiamava. Qualcosa aspettava dall’altra parte. Qualcosa che lei voleva più di tutto al mondo. Qualcosa che doveva fare.
«Egwene...»
Udì un tonfo e girò la testa: Rand, sulle ginocchia, piegato in due, si stringeva le tempie. Il dolore non l’aveva mai colpito con tanta forza come in quel momento. Che cosa sarebbe accaduto, dopo?
«Ah, Luce santa!» ansimò Rand. «Luce santa, che male! Che male! Egwene?»
"Non esitare."
Qualcosa aspettava. Qualcosa che lei doveva fare. Egwene mosse un passo. Era difficile, il passo più difficile della sua vita. Fuori, verso l’arco. Dietro di lei, Joiya rideva.
«Egwene? Egwene, non posso...» Rand s’interruppe, con un gemito.
"Non esitare."
Egwene irrigidì la schiena e continuò a camminare, ma non poté impedire che le lacrime le rotolassero lungo le guance. I gemiti di Rand divennero un urlo, soffocarono le risate di Joiya. Con la coda dell’occhio Egwene vide Tam arrivare di corsa.
Lui non può aiutarlo, si disse; le lacrime si mutarono in singhiozzi. Tam non poteva fare niente. Ma lei sì... lei avrebbe potuto fare qualcosa.
Entrò nella luce e ne fu consumata.
Tremante, scossa dai singhiozzi, Egwene uscì dall’arco... lo stesso dal quale era entrata, ricordò all’improvviso nel trovarsi di fronte Sheriam. Sentì acqua fredda e chiara cancellare le lacrime: Elaida le vuotava lentamente sulla testa un calice d’argento. Egwene continuò a piangere... non credeva che sarebbe mai riuscita a smettere.
«Sei mondata» intonò Elaida «da qualsiasi peccato tu abbia commesso e da quelli commessi contro di te. Sei mondata da qualsiasi crimine tu abbia commesso e da quelli commessi contro di te. Vieni a noi pulita e pura, nel cuore e nell’anima.»
"Luce santa, fosse vero” pensò Egwene, mentre l’acqua le scorreva lungo il corpo. “L’acqua potrà mai lavare quel che ho fatto?"
«Si chiamava Joiya» disse a Sheriam, tra i singhiozzi. «Joiya. Niente merita ciò che ho appena... che ho...»
«Bisogna pagare un prezzo, per diventare Aes Sedai» replicò Sheriam; ma negli occhi aveva di nuovo una luce di simpatia, più intensa di prima. «Bisogna sempre pagare un prezzo.»
«Era reale? L’ho sognato?» Il pianto inghiottì quel che Egwene avrebbe voluto dire: l’ho lasciato morire? Ho abbandonato mia figlia?
Sheriam le circondò le spalle e la guidò intorno agli archi. «Ogni donna da me vista uscire di qui mi ha rivolto la stessa domanda. La risposta è: non lo sa nessuno. Ma è stata fatta un’ipotesi: coloro che non tornano, hanno trovato un luogo più felice e lì hanno scelto di restare per tutta la vita.» Indurì il tono di voce. «Se è un mondo reale e se sono rimaste lì per propria scelta, allora mi auguro che la loro vita sia tutt’altro che felice. Non ho simpatia per chi si sottrae alle proprie responsabilità.» Ammorbidì un poco il tono. «Secondo me, non si tratta di un mondo reale. Ma è reale il pericolo. Ricordalo.» Si fermò davanti al secondo arco. «Sei pronta?»
A disagio, Egwene annuì. Sheriam ritrasse il braccio.
«La seconda volta è per quello che è. La via del ritorno si presenterà solo una volta. Non esitare.»
Egwene tremava. Ma la nuova esperienza, si disse, non poteva essere peggiore di quella appena affrontata. No di certo. Entrò nel bagliore.
Si guardò la veste, seta azzurra con motivi a perline, lacera e impolverata. Alzò la testa e vide tutt’intorno le macerie di un grande edificio. Il Palazzo Reale dell’Andor, a Caemlyn. Lo riconobbe ed ebbe voglia di gridare.
"La via del ritorno si presenterà solo una volta. Non esitare."
Il mondo non era come lo voleva lei, non poteva pensarci senza avere voglia di piangere, ma da tempo aveva esaurito le lacrime e il mondo era rimasto uguale. Si era aspettata di vedere rovine.
Incurante di altri strappi nella veste, ma attenta come un topolino a eventuali rumori, si arrampicò sopra un cumulo di macerie e scrutò le vie curve della Città Interna. Da ogni parte vedeva rovine e devastazione, edifici che parevano squarciati da creature impazzite, fitte colonne di fumo che si alzavano dagli incendi. C’era gente, nelle vie: bande di uomini armati che giravano in cerca di preda, che frugavano. E Trolloc. Gli uomini si ritraevano davanti ai Trolloc, i Trolloc ringhiavano e sghignazzavano, con risate aspre e gutturali. Ma si conoscevano, facevano parte dello stesso gruppo.
Lungo la strada giunse un Myrddraal, a passo deciso, col mantello nero che si muoveva appena, anche se il vento soffiava raffiche piene di terriccio e di detriti. Sotto il suo sguardo, uomini e Trolloc si fecero piccoli per il terrore. «Cercate!» disse il Myrddraal, con voce che pareva lo sbriciolio di cose morte da secoli. «Non restate qui a tremare. Trovatelo!»
Egwene tornò al riparo del mucchio di macerie, cercando di fare meno rumore possibile.
"La via del ritorno si presenterà solo una volta. Non esitare."
Si fermò, con la paura che quel bisbiglio provenisse dalla Progenie dell’Ombra. Si diede un’occhiata alle spalle, con il terrore di vedere il Myrddraal fermo dove lei era stata l’attimo prima; entrò in fretta nel palazzo in rovina, scavalcò travi cadute, s’infilò a forza tra blocchi di muratura. Pestò un braccio femminile che sporgeva da una montagnola d’intonaco e di mattoni, resti della parete interna e forse del pavimento superiore. Prestò scarsa attenzione al braccio, come all’anello col Gran Serpente intorno a un dito: si era allenata a non vedere i morti fra i cumuli di macerie in cui era ridotta Caemlyn per opera dei Trolloc e degli Amici delle Tenebre.
Si aprì la strada attraverso una stretta breccia e si trovò in una stanza mezzo sepolta dalle macerie dei locali sovrastanti. Rand era disteso per terra, bloccato da una pesante trave che gli premeva sul ventre, con le gambe nascoste dai blocchi di pietra. Aveva il viso impiastrato di polvere e di sudore. Quando lei si avvicinò, apri gli occhi.
«Sei tornata» disse a fatica, in un mormorio stridulo. «Temevo... Non importa. Devi aiutarmi.»
Egwene si lasciò cadere per terra. «Con Aria posso sollevare facilmente la trave; ma se la sposto, ci crolla addosso tutto. Non posso sollevare le macerie, Rand.»
Lui rispose con una breve risata piena d’amarezza e di sofferenza. Sul viso gli luccicavano nuove gocce di sudore. Parlò a fatica. «Posso spostare anch’io la trave. Lo sai. La trave e le pietre. Ma, per farlo, devo lasciarmi andare e non mi fido. Non mi fido di...» S’interruppe, cercò di riprendere fiato.
«Non capisco» disse Egwene, lentamente. «Lasciarti andare? Di cosa non ti fidi?»
"La via del ritorno si presenterà solo una volta. Non esitare." Egwene si sfregò con forza le orecchie.
«La pazzia, Egwene. La tengo... realmente... a bada.» La sua risata ansimante le diede la pelle d’oca. «Ma mi occorre tutta la forza di cui dispongo» proseguì Rand. «Se mi lascio andare, anche un poco, anche per un istante, la pazzia mi prenderà. Non voglio pensare cosa farò, allora. Devi aiutarmi.»
«Come, Rand? Ho tentato in ogni modo! Dimmi come e ti aiuterò.»
Rand sollevò la mano e la lasciò cadere a breve distanza da un pugnale che giaceva nella polvere. «Il pugnale» mormorò. Riportò a fatica la mano al petto. «Qui. Nel cuore. Uccidimi.»
Egwene fissò Rand, fissò il pugnale, come se tutt’e due fossero serpenti velenosi. «No! Non lo farò! Non posso! Come puoi chiedermi una cosa simile?»
Lentamente Rand allungò di nuovo la mano verso il pugnale. Di nuovo non riuscì a toccarlo. Si forzò, gemendo; lo sfiorò con la punta delle dita. Prima che potesse ritentare, Egwene allontanò con un calcio il pugnale. Rand singhiozzò e ricadde disteso.
«Dimmi perché» protestò Egwene. «Perché mi chiedi di... di assassinarti? Ti Guarirò, farò qualsiasi cosa per portarti fuori di qui, ma non posso ucciderti. Perché?»
«Possono convertirmi, Egwene. Se mi prendono... il Myrddraal... i Signori del Terrore... possono convertirmi all’Ombra. In preda alla pazzia non posso combatterli. Non saprò cosa fanno, finché non sarà troppo tardi. Se, quando mi troveranno, in me ci sarà ancora una sola scintilla di vita, potranno convertirmi. Ti prego, Egwene. Per amore della Luce, uccidimi.»
«Non... non posso, Rand. La Luce m’aiuti, non posso!»
"La via del ritorno si presenterà solo una volta. Non esitare."
Egwene si guardò alle spalle: un arco argenteo, pieno di luce bianca, occupava gran parte dello spazio libero fra le macerie.
«Egwene, aiutami.»
"Non esitare".
Egwene si alzò, mosse un passo verso l’arco. Era proprio lì davanti a lei. Ancora un passo e...
«Ti prego, Egwene. Aiutami. Non ci arrivo. Per amore della Luce, Egwene, aiutami!»
«Non posso ucciderti» mormorò lei. «Non posso. Perdonami.»
Mosse un passo.
«Aiutami, Egwene!»
La luce la bruciò, la ridusse in cenere.
Uscì barcollando dall’arco e non si accorse neppure d’essere nuda. Fu percorsa da un brivido e si coprì la bocca, con tutt’e due le mani. «Non potevo, Rand» mormorò. «Non potevo. Ti prego, perdonami.»
Si sentì inondare d’acqua fredda.
«Sei mondata del falso orgoglio» intonò Elaida.
«Sei mondata della falsa ambizione. Vieni a noi pulita e pura, nel cuore e nell’anima.»
Mentre la Sorella Rossa si girava, Sheriam circondò gentilmente le spalle di Egwene e la guidò verso l’ultimo arco. «Ancora uno, bambina» disse. «Ancora uno e avrai terminato.»
«Ha detto che potevano convertirlo all’Ombra» borbottò Egwene. «Ha detto che Myrddraal e Signori del Terrore potevano obbligarlo.»
Sheriam perdette il passo e si guardò intorno. Elaida era quasi tornata al tavolo. Le tre Aes Sedai fissavano il ter’angreal e parevano non accorgersi d’ogni altra cosa. «Un argomento sgradevole, bambina» disse infine Sheriam, a voce assai bassa. «Vieni. Ancora uno.»
«Possono farlo?» domandò Egwene, insistente.
«La consuetudine impone di non parlare di ciò che accade dentro il ter’angreal» rispose Sheriam. «Ogni donna ha le proprie paure.»
«Possono farlo?»
Sheriam sospirò, diede ancora un’occhiata alle altre Aes Sedai e ridusse la voce a un rapido bisbiglio. «È una cosa nota solo a poche, bambina, perfino nella Torre. Non dovresti apprenderla adesso, anzi forse mai; però te ne parlerò ugualmente. C’è un... un punto debole, nella capacità d’incanalare il Potere. Noi impariamo ad aprirci alla Vera Fonte, ma questo significa che possiamo aprirci anche a... ad altre cose.» Egwene rabbrividì. «Stai tranquilla, bambina» riprese Sheriam. «Non è facile. Per quanto ne so, non è più accaduto... e la Luce volesse che non fosse accaduto mai!... dalle Guerre Trolloc. In quel caso occorsero tredici Signori del Terrore... Amici delle Tenebre in grado d’incanalare il Potere... che intessevano i flussi attraverso tredici Myrddraal. Capisci? Non è facile. Oggi non ci sono Signori del Terrore. Questo è un segreto della Torre, bambina. Se altri sapessero, non potremmo mai convincerli che sono al sicuro. Solo chi ha la capacità d’incanalare può essere convertito in questo modo. Il punto debole della nostra forza. Gli altri sono sicuri come una rocca inespugnabile: solo i propri misfatti possono convertirli all’Ombra.»
«Tredici» disse Egwene, con un filo di voce. «Lo stesso numero di donne che hanno abbandonato la Torre. Liandrin e altre dodici.»
Sheriam indurì l’espressione. «Non sono cose per te. Dimenticale.» Riportò la voce al tono normale. «La terza volta è per quel che sarà» disse. «La via del ritorno si presenterà una volta sola. Non esitare.»
Egwene fissò l’arco rilucente, fissò un punto remoto al di là di esso. “Liandrin e altre dodici” pensò. “Tredici Amici delle Tenebre in grado d’incanalare il Potere. La Luce ci aiuti tutti!" Entrò nel bagliore. La luce la riempì. Brillò attraverso di lei. La bruciò fino all’osso, la cauterizzò fino all’anima. Egwene divenne un lampo incandescente. C’era soltanto la luce. E il dolore.
Egwene fissò l’alto specchio e non seppe se era più sorpresa per il viso senza età o per la stola a bande colorate che le scendeva sul petto. La stola da Amyrlin Seat.
"La via del ritorno si presenterà una volta sola. Non esitare."
"Tredici."
Vacillò, si afferrò allo specchio, rischiò di farlo cadere con lei stessa sul pavimento a piastrelle azzurre del camerino. C’era un errore, si disse. L’errore non aveva niente a che fare con l’improvviso giramento di testa. Ma lei non sapeva identificarlo.
Aveva a fianco un’Aes Sedai, una donna con zigomi alti, come Sheriam, ma con capelli scuri e occhi castani pieni di preoccupazione, che portava la stretta stola da Custode degli Annali. Non era Sheriam, però. Egwene non l’aveva mai vista. Eppure era certa di conoscerla bene quanto se stessa. Riuscì a ricordare il nome: Beldeine.
«Ti senti male, Madre?»
La stola della Custode era verde. Quindi Beldeine apparteneva all’Ajah Verde. Ma la Custode proveniva sempre dalla stessa Ajah dell’Amyrlin. Quindi anche lei, se era l’Amyrlin, proveniva dall’Ajah Verde. Fu turbata da questo pensiero. Non perché apparteneva all’Ajah Verde, ma perché aveva dovuto dedurlo. C’era qualcosa di sbagliato, in lei!
"La via del ritorno si pre..." La voce nella sua testa si perdette in un ronzio.
"Tredici Amici delle Tenebre."
«Sto bene, Beldeine» rispose. «Non dobbiamo farli aspettare.» Far aspettare chi? Non lo sapeva, ma si sentiva infinitamente triste, riluttante a porre termine all’attesa.
«Diventeranno impazienti, Madre.» C’era un’esitazione, nella voce di Beldeine, come se anche lei provasse la stessa riluttanza, ma per un motivo diverso. Se non si sbagliava di grosso, dietro la calma esteriore, Beldeine era atterrita.
«Allora sarà bene muoverci.»
Beldeine annuì, inspirò a fondo e attraversò il tappeto per prendere il bastone della carica, sormontato dalla candida goccia della Fiamma Bianca di Tar Valon, appoggiato accanto alla porta. «Immagino che sia necessario, Madre» disse. Aprì per lei la porta e la precedette, in un corteo di due sole persone, la Custode degli Annali e l’Amyrlin Seat.
Egwene non notò i particolari del corridoio che imboccarono. Tutta la sua attenzione era rivolta dentro di sé. Che cosa le accadeva? Perché non riusciva a ricordare? Perché la maggior parte dei ricordi le pareva... sbagliata? Si toccò la stola con le sette bande. Perché aveva la forte impressione d’essere ancora novizia?
"La via del ritorno si presenterà una..." Stavolta il pensiero terminò di colpo.
"Tredici dell’Ajah Nera."
Inciampò. Era un pensiero terrificante, la gelava fino al midollo, superava anche il terrore. Le pareva... personale. Avrebbe voluto urlare, correre a nascondersi. Si sentiva come se le dessero la caccia. Sciocchezze. L’Ajah Nera era stata distrutta. Anche questo pareva un pensiero bizzarro. Una parte di lei ricordava un evento definito la Grande Purga. Una parte di lei era sicura che l’evento non si era mai verificato.
Con lo sguardo fisso avanti, Beldeine non si era accorta del suo inciampone. Egwene allungò il passo per starle dietro. Beldeine, si disse, era spaventata fino alla punta dei capelli. Dove la conduceva?
La Custode si fermò davanti a una doppia porta assai alta, i cui battenti di legno scuro avevano un grande intarsio d’argento, la Fiamma di Tar Valon. Si asciugò nella veste le mani, come se all’improvviso le sentisse sudate; spalancò un battente e precedette Egwene su per una rampa dritta della stessa pietra bianca striata d’argento delle mura di Tar Valon. Anche lì la pietra pareva brillare.
La rampa conduceva in un’ampia stanza circolare dal soffitto a cupola alto almeno novanta piedi. Una piattaforma correva lungo la base delle pareti e presentava una serie di gradini, tranne nei punti dove sbucavano tre rampe equidistanti. Al centro del pavimento c’era la Fiamma di Tar Valon, circondata da spirali che si allargavano verso l’esterno, con i colori delle sette Ajah. Dalla parte opposta della stanza c’era un seggio dall’alto schienale, massiccio e riccamente intagliato a tralci e foglie nei colori di tutte le Ajah.
Beldeine batté con forza il bastone. Nella voce mostrò un leggero tremito: «Giunge» disse. «La Custode dei Sigilli. La Fiamma di Tar Valon. L’Amyrlin Seat. Ecco che giunge.»
Con un fruscio di sottane, le donne accomodate sulla piattaforma si alzarono dalla sedia. Ventun sedie in gruppi di tre, dello stesso colore della frangia dello scialle di chi le occupava.
La Sala della Torre, si disse Egwene, mentre si dirigeva al proprio seggio. Il seggio dell’Amyrlin Seat. Ecco che cos’era: la Sala della Torre e gli Scanni per le Ajah. Migliaia di volte era stata in quella sala. Ma non riusciva a ricordarne neppure una. Cosa faceva lì, in quel momento? Luce santa, l’avrebbero scorticata viva, appena avessero visto... Non sapeva con sicurezza che cosa avrebbero visto; pregava soltanto che non vedessero.
"La via del ritorno si pre..."
"La via del rito..."
"La via..."
"L’Ajah Nera aspetta." Questo pensiero, almeno, era completo. Proveniva da tutte le parti. Perché nessun’altra pareva sentirlo?
Si accomodò sul seggio dell’Amyrlin Seat e si rese conto di non avere la minima idea di che cosa bisognasse fare dopo. Le altre Aes Sedai si erano accomodate con lei, tutte tranne Beldeine, che si era messa al suo fianco, reggeva il bastone e deglutiva nervosamente.
«S’inizi» disse infine la Custode.
Parve sufficiente. Un’Aes Sedai dell’Ajah Rossa si alzò. Egwene riconobbe con sorpresa Elaida. Nello stesso tempo seppe che Elaida era la più eminente delle Rosse e sua acerrima nemica. L’espressione di Elaida, rivolta dall’altra parte della sala, procurò un brivido a Egwene. Era dura, gelida... e trionfante. Prometteva cose cui era meglio non pensare.
«Portatelo dentro» disse Elaida a voce alta.
Da una delle altre due rampe provenne lo scricchiolio di stivali su pietra. Comparvero delle persone. Dodici Aes Sedai che circondavano tre uomini, due dei quali, robuste guardie con la candida goccia della Fiamma di Tar Valon sul petto, tiravano le catene nelle quali il terzo procedeva inciampando, come intontito.
Egwene si sporse di scatto. L’incatenato era Rand. Occhi socchiusi, testa a ciondoloni, pareva quasi addormentato e si muoveva solo come le catene lo tiravano.
«Quest’uomo» proclamò Elaida «si proclama il Drago Rinato.» Seguì un mormorio di disgusto, non come se le ascoltatrici fossero sorprese, ma come se quella fosse una dichiarazione che non volevano udire. «Quest’uomo ha incanalato l’Unico Potere.» Il brusio divenne più rumoroso, mostrò una traccia di paura. «Esiste solo una sanzione penale per questo crimine, nota e accettata in ogni nazione, ma emessa solo qui, a Tar Valon, nella Sala della Torre. Chiedo che l’Amyrlin Seat pronunci la sentenza di domare quest’uomo.»
Gli occhi di Elaida scintillarono e si puntarono su Egwene. “Rand” pensò lei. “E ora cosa faccio? Luce santa, e ora cosa faccio?"
«Perché esiti?» domandò Elaida. «La sentenza è stabilita da tremila anni. Perché esiti, Egwene al’Vere?»
Una Sorella Verde scattò in piedi, con la collera che traspariva dalla calma esteriore. «Vergogna, Elaida!» esclamò. «Mostra rispetto per l’Amyrlin Seat! Mostra rispetto per la Madre!»
«Il rispetto» rispose freddamente Elaida «può essere perduto, oltre che guadagnato. Allora, Egwene? Finalmente mostrerai la tua debolezza, la tua inabilità alla carica? Forse non pronuncerai la sentenza contro quest’uomo?»
Rand cercò di sollevare la testa e fallì.
Egwene si alzò a fatica, con la testa che le girava, e cercò di ricordare d’essere l’Amyrlin Seat, d’avere il comando su tutte quelle donne, gridò d’essere una novizia, di non appartenere a quel consesso, che c’era un terribile errore. «No» disse, con voce malferma. «No, non posso! Non pronuncerò...»
«Si è tradita!» gridò Elaida, soffocando le parole di Egwene. «Si è condannata da sola! Prendetela!»
Mentre Egwene apriva bocca, Beldeine le andò a fianco. E col bastone della Custode la colpì alla testa.
Buio.
Prima ci fu il dolore alla testa. Poi qualcosa di duro e di freddo, sotto la schiena. Quindi le voci. Mormorii.
«È ancora svenuta?» Un raspio, come lima su osso.
«Non preoccuparti» disse una donna, da molto lontano. Pareva a disagio, intimorita, ma decisa a non mostrarlo. «Sarà sistemata prima di capire cosa le accade. Poi sarà nostra, per fare di lei ciò che vogliamo. Forse te la daremo perché ti ci diverta.»
«Dopo averla usata?»
«Naturalmente.»
Le voci remote si allontanarono ancora.
Con la mano Egwene si sfiorò la gamba, toccò carne nuda, ruvida. Aprì gli occhi, una fessura. Era nuda, piena di lividi, distesa sopra un tavolo di legno scabro, in quello che pareva un magazzino in disuso. Schegge le pungevano la schiena. In bocca aveva il sapore metallico del sangue.
Un capannello di Aes Sedai era fermo da un lato: le donne parlavano fra loro, a voce bassa, ma in tono pressante. Il dolore alla testa rendeva difficile pensare, ma pareva importante contare quelle donne. Tredici.
Un altro gruppo, uomini in mantello e cappuccio neri, si uni alle Aes Sedai, che parvero incerte se farsi piccole per la paura o se tentare d’imporre la propria presenza. Un uomo girò la testa e guardò in direzione del tavolo. La faccia cadaverica nell’ombra del cappuccio non aveva occhi.
Egwene non aveva bisogno di contare i Myrddraal. Sapeva. Tredici Myrddraal e tredici Aes Sedai. Urlò di puro terrore. Tuttavia, anche nel terrore, si protese verso la Vera Fonte, artigliò disperatamente Saidar.
«È rinvenuta!»
«Impossibile! Non ancora!»
«Schermatela! Presto! Presto! Non fatele toccare la Fonte!»
«Troppo tardi! È troppo potente!»
«Afferratela! Presto!»
Mani si protesero verso le sue braccia e gambe. Mani esangui come limacce sotto i sassi, comandate da menti dietro facce livide e prive d’occhi. Se quelle mani l’avessero toccata, lei sarebbe impazzita. Fu inondata di Potere.
Fiamme guizzarono dalle carni dei Myrddraal, lacerarono stoffa nera come se fossero solidi pugnali di fuoco. Mezzi Uomini urlanti sfrigolarono e bruciarono come carta oleata. Frammenti di roccia grossi un pugno si staccarono dalle pareti e sibilarono per la stanza, traendo urla e gemiti ogni volta che colpivano carne. L’aria si agitò, roteò, ululò in un turbine.
Lentamente, dolorosamente, Egwene si tirò giù dal tavolo. Il vento le sferzò i capelli e la fece barcollare, ma lei continuò a spingerlo, mentre a passi incerti si dirigeva alla porta. Un’Aes Sedai si stagliò davanti a lei, ferita e sanguinante, circondata dall’alone del Potere. Una donna con la morte negli occhi neri.
Egwene la riconobbe: Gyldan, la più intima amica di Elaida, con cui bisbigliava ogni momento negli angoli, con cui s’intratteneva di notte. Egwene serrò le labbra. Sdegnando pietre e vento, strinse il pugno e colpì Gyldan in mezzo agli occhi, con tutta la sua forza. La Sorella Rossa — la Sorella Nera — si accasciò come se le si fossero sciolte le ossa.
Strofinandosi le nocche, Egwene barcollò nel corridoio. “Grazie, Perrin” pensò “d’avermi mostrato come si fa. Ma non mi avevi detto che fa male."
Richiuse la porta contro il vento e incanalò il Potere. Le pietre intorno al vano tremarono, si scheggiarono, bloccarono i battenti. Non avrebbero resistito a lungo, ma qualsiasi cosa che ritardasse anche di un solo minuto l’inseguimento meritava la fatica. I minuti potevano significare vita. Egwene raccolse le forze e si costrinse a correre. Traballava, ma almeno correva.
Doveva trovare degli abiti, si disse. Una donna vestita ha più autorità di una donna nuda... e lei avrebbe avuto bisogno d’ogni briciolo d’autorità. Per prima cosa l’avrebbero cercata nelle sue stanze, ma lei teneva nello studio abiti e scarpe di ricambio... e un’altra stola: lo studio non era molto distante.
La snervava, correre nei corridoi deserti. La Torre Bianca ospitava meno Aes Sedai d’un tempo, ma c’era sempre qualcuno in giro. Il rumore più forte era il tonfo di piedi scalzi sulle piastrelle.
Attraversò in fretta l’anticamera dello studio, entrò nella stanza interna e finalmente trovò qualcuno: Beldeine, seduta per terra, testa fra le mani, in lacrime.
Egwene si bloccò, diffidente, mentre Beldeine alzava gli occhi arrossati a incontrare il suo sguardo. L’alone di Saidar non circondava la Custode, ma Egwene non mise da parte la cautela. Era fiduciosa in se stessa. Non vedeva il proprio alone, certo, ma sentiva il flusso di potere... del Potere. Bastava, soprattutto se aggiunto al suo segreto.
Beldeine si sfregò le guance bagnate di lacrime. «Ho dovuto farlo» disse. «Devi capirmi. Ho dovuto farlo. Loro... Loro...» Inspirò a fondo, tremando, e proseguì d’un fiato: «Tre notti fa mi hanno presa, mentre dormivo, e mi hanno quietata.» Alzò la voce, quasi un urlo. «Mi hanno quietata! Non posso più incanalare!»
«Luce santa!» ansimò Egwene. Il flusso di Saidar la protesse dallo shock. «La Luce ti aiuti e ti conforti, figlia mia. Perché non me l’hai detto? Avrei...» Lasciò morire la frase: sapeva di non poter fare niente.
«Cosa avresti fatto? Cosa? Niente! Non puoi farci niente. Ma loro hanno detto che potevano restituirmi Saidar, col potere del... col potere del Tenebroso.» Serrò gli occhi, da cui colavano lacrime. «Mi hanno fatto male, Madre, e mi hanno resa... Oh, Luce santa, quanto male mi hanno fatto! Elaida ha detto che mi avrebbero resa di nuovo intera, in grado d’incanalare di nuovo, se avessi ubbidito. Ecco perché ho... ho dovuto farlo!»
«Allora Elaida è davvero dell’Ajah Nera» disse Egwene, torva. Contro la parete c’era uno stretto armadio; vi era appesa una veste di seta verde, per quando lei non aveva tempo di tornare nelle proprie stanze. Accanto alla veste era appesa una stola a bande colorate. Egwene si vestì in fretta. «Cos’hanno fatto a Rand?» domandò. «Dove l’hanno portato? Rispondi, Beldeine! Dov’è Rand al’Thor?»
Beldeine si rincantucciò, con labbra tremanti, occhi vacui; alla fine si scosse quanto bastava per dire: «Nella Corte del Traditore, Madre. L’hanno portato nella Corte del Traditore.»
Egwene fu colta dai brividi. Brividi di paura. Brividi di rabbia. Elaida non aveva aspettato, neppure un’ora. La Corte del Traditore era usata per tre soli scopi: per un’esecuzione, per quietare un’Aes Sedai o per domare un uomo capace d’incanalare il Potere. Ma tutt’e tre richiedevano l’ordine dell’Amyrlin Seat. Allora chi portava la stola? Elaida, ne era sicura. Ma come poteva farsi accettare così in fretta, senza che lei fosse processata, condannata? Non poteva esserci un’altra Amyrlin, se prima non le avessero tolto stola e bastone. E non l’avrebbero trovata impresa facile. Luce santa! Rand! Si diresse alla porta.
«Cosa puoi fare, Madre!» gridò Beldeine. «Cosa puoi fare?» Non era chiaro se si riferisse a Rand o a se stessa.
«Più di quanto sospettino» disse Egwene. «Io non ho mai tenuto in mano la Verga dei Giuramenti, Beldeine.» L’ansito della Custode la seguì fuori della stanza.
I ricordi giocavano ancora a nascondino con lei, ma Egwene sapeva che nessuna donna avrebbe ottenuto lo scialle e l’anello senza pronunciare i Tre Giuramenti stringendo in pugno la Verga, il ter’angreal che l’avrebbe obbligata a mantenerli come se fossero stati incisi nelle ossa fin dalla nascita. Nessuna donna diventava Aes Sedai, senza essere legata dai Giuramenti. Eppure, in qualche modo che nemmeno immaginava, lei ci era riuscita.
Si mise a correre, con ticchettio di scarpe. Almeno ora sapeva perché i corridoi erano deserti. Ogni Aes Sedai, a parte forse quelle da lei lasciate nel magazzino, ogni Ammessa, ogni novizia, perfino tutte le cameriere, sarebbero state nella Corte del Traditore, secondo la consuetudine, per assistere all’attuazione della volontà di Tar Valon.
E i Custodi avrebbero circondato la corte per evitare che qualcuno tentasse di liberare l’uomo che sarebbe stato domato. I resti dell’esercito di Guaire Amalasan avevano fatto il tentativo, al termine di quella che alcuni chiamavano la Guerra del Secondo Drago, proprio prima che l’ascesa di Artur Hawkwing desse a Tar Valon altri motivi di preoccupazione; e lo stesso tentativo era stato fatto dai seguaci di Raolin Darksbane, molti anni prima. Lei non riusciva a ricordare se Rand avesse seguaci, ma i Custodi ricordavano cose del genere e se ne occupavano.
Se Elaida portava davvero la stola dell’Amyrlin, si disse Egwene, i Custodi le avrebbero impedito d’entrare nella Corte del Traditore. Sapeva di potersi aprire con la forza la strada. Doveva agire in fretta, per evitare che Rand fosse domato, mentre lei imprigionava con Aria i Custodi. Perfino i Custodi si sarebbero dati alla fuga, se lei avesse scagliato contro di loro fulmini e fuoco malefico, se avesse aperto il terreno sotto i loro piedi. Fuoco malefico? Ma sarebbe stato un grave errore anche infrangere il potere di Tar Valon per salvare Rand. Doveva salvare l’uno e l’altro.
Molto prima del corridoio che portava nella Corte del Traditore, svoltò e salì scale e rampe che diventavano sempre più strette; alla fine spalancò una botola e sbucò sul tetto inclinato di una torre, un tetto di tegole quasi bianche. Da lì poteva guardare, al di là d’altri tetti, al di là d’altre torri, l’ampia spianata della Corte del Traditore.
La corte era gremita, a parte lo spiazzo centrale. La gente si era assiepata anche alle finestre sulla corte, affollava le balconate e perfino i tetti; ma Egwene distingueva benissimo l’uomo in catene al centro dello spiazzo. Rand. Dodici Aes Sedai lo circondavano e una tredicesima, che di sicuro portava la stola a bande colorate, era ferma di fronte a lui. Elaida. A Egwene parve di udire le parole che di sicuro Elaida diceva in quel momento.
«Quest’uomo, abbandonato dalla Luce, ha toccato Saidin, la metà maschile della Vera Fonte. Perciò lo teniamo prigioniero. Cosa ancora più abominevole, quest’uomo ha incanalato l’Unico Potere, sapendo che Saidin è contaminato dal Tenebroso, contaminato per l’orgoglio degli uomini, contaminato per i peccati degli uomini. Per questo lo teniamo in catene.»
Egwene si costrinse a scacciare di mente il resto. Tredici Aes Sedai. Dodici Sorelle e l’Amyrlin: il numero tradizionale per domare un uomo. Lo stesso numero per... Scacciò anche questo pensiero. Non aveva tempo per altro, doveva agire. Ed escogitare il modo migliore.
Da quella distanza poteva usare Aria per sollevare di peso Rand, toglierlo dal cerchio di Aes Sedai e portarlo fino a lei. Forse. Anche se avesse trovato la forza, anche se non l’avesse lasciato cadere a metà strada, uccidendolo, avrebbe impiegato troppo tempo e avrebbe reso Rand un inerme bersaglio per gli arcieri. Inoltre, il bagliore di Saidar avrebbe mostrato alle Aes Sedai — e ai Myrddraal, se per questo — dove lei si trovava.
«Luce santa» mormorò «non c’è altro modo, a meno di scatenare una guerra dentro la Torre Bianca. Forse dovrò scatenarla in ogni caso.» Raccolse il potere, si mise a dirimere e a indirizzare i flussi.
"La via del ritorno si presenterà una volta sola. Non esitare."
Da parecchio tempo non aveva udito queste parole e trasalì; scivolò sulle tegole e riuscì a malapena a fermarsi prima del bordo. Il terreno si trovava trecento piedi più in basso. Egwene si guardò alle spalle.
In cima alla torre, di piatto contro le tegole in pendenza, c’era un arco d’argento pieno di luce. L’arco tremolò, ondeggiò; la luce bianca fu attraversata da saettanti striature rosse e gialle.
"La via del ritorno si presenterà una volta sola. Non esitare."
L’arco si assottigliò fin quasi a diventare trasparente, tornò solido.
Frenetica, Egwene guardò la Corte del Traditore. Doveva esserci tempo. Doveva. Le bastavano pochi minuti, forse dieci, e un po’ di fortuna.
Voci le scavarono la testa: non la voce disincarnata, inconoscibile, che l’ammoniva a non esitare, ma la voce di donne che quasi credeva di conoscere.
«...Non possiamo bloccarlo a lungo. Se lei non esce subito...»
«Bloccatelo! Bloccatelo, maledizione, o vi sventro tutte come storioni!»
«...Sta impazzendo, Madre! Non possiamo...»
Le voci si ridussero a un mormorio, il mormorio divenne silenzio. Ma l’altra voce parlò di nuovo.
"La via del ritorno si presenterà una volta sola. Non esitare."
"Bisogna pagare un prezzo, per diventare Aes Sedai."
"L’Ajah Nera aspetta."
Con un grido di rabbia, di perdita, Egwene si lanciò contro l’arco che tremolava come nebbiolina di calore. Quasi si augurò di mancarlo e di sfracellarsi al suolo.
La luce la lacerò fibra per fibra, affettò le fibre fino a farle diventare sottili come capelli, suddivise i capelli in riccioli di nulla. Tutto andò alla deriva nella luce. Per l’eternità.