Egwene ricambiò con un cenno il rispettoso inchino del marinaio che le passò accanto, scalzo, per andare a tirare una gomena che pareva già ben tesa, ma forse leggermente fuori posto, a giudicare da come si moveva una delle grosse vele quadrate. Mentre tornava verso il capitano fermo accanto al timoniere, il marinaio ripeté l’inchino; Egwene lo ricambiò ancora e riportò l’attenzione alla riva boscosa del Cairhien, che meno di venti braccia d’acqua separavano dalla Gru Azzurra.
In quel momento un villaggio scivolava via... o quello che un tempo era un villaggio. Metà delle case erano soltanto cumuli fumanti di macerie da cui sporgevano camini. Nelle altre, le porte sbattevano al vento; pezzi di mobilio, vestiti, stoviglie ingombravano la via di terra battuta, sparsi come rifiuti gettati via. Nel villaggio non si moveva anima viva, a parte un cane mezzo morto di fame che non si curò della nave e trotterellò fuori vista dietro le macerie di quella che pareva una locanda. Egwene non poteva vedere scene del genere senza provare un senso di nausea, ma cercò di mantenere la spassionata serenità che pensava dovesse avere un’Aes Sedai. Non ne trasse gran giovamento. Al di là del villaggio si alzava un denso pennacchio di fumo. Distante forse quattro miglia, stimò Egwene.
Non era la prima colonna di fumo che vedeva, da quando l’Erinin aveva iniziato a scorrere lungo il confine del Cairhien, né il primo villaggio in quelle condizioni. Almeno stavolta non c’erano cadaveri in vista. Spesso il capitano Ellisor era costretto a costeggiare la riva, a causa dei banchi di fango che in quel tratto del fiume cambiavano posizione, ma Egwene non aveva ancora visto un’anima.
Villaggio e pennacchio scivolarono alle spalle della nave, ma già una nuova colonna di fumo compariva più avanti, a maggiore distanza dalla riva. La foresta si diradava: frassini, ericacee e sambuchi lasciavano posto a salici, betulle, querce e altri alberi che Egwene non riconobbe.
Il vento le afferrò il mantello, ma lei lasciò che svolazzasse e gustò l’aria fredda e pulita, la libertà d’indossare abiti marrone anziché bianchi, anche se non erano stati la sua prima scelta. Tuttavia veste e mantello erano d’ottima lana e di buon taglio.
Passò un altro marinaio e le rivolse un inchino. Egwene portava alla destra l’anello col Gran Serpente e questo giustificava la quantità d’inchini, dal momento che capitano ed equipaggio erano nati e cresciuti a Tar Valon.
Nynaeve era convinta d’essere l’unica delle tre abbastanza matura da poter passare per Aes Sedai agli occhi della gente. Ma si sbagliava. Egwene aveva vinto la discussione ed era pronta ad ammettere che quel pomeriggio, al Porto Meridionale, nel salire a bordo della Gru Azzurra lei ed Elayne avevano ricevuto occhiate di stupore e che il capitano Ellisor aveva inarcato le sopracciglia fin quasi all’attaccatura dei capelli, se gliene fossero rimasti, ma si era mostrato tutto sorrisi e inchini.
«Quale onore, Aes Sedai» aveva detto. «Tre Aes Sedai sulla mia nave? Un onore davvero. Vi prometto un viaggio rapido fin dove volete. E nessun fastidio da parte dei briganti cairhienesi. Non faccio più scalo da quel lato del fiume. A meno che voi non lo chiediate, naturalmente. Soldati andorani tengono sotto controllo alcuni paesi sulla riva cairhienese. Un onore, Aes Sedai.»
Aveva di nuovo inarcato le sopracciglia, perché loro avevano chiesto una sola cabina per tutt’e tre... neppure Nynaeve voleva stare da sola di notte, se poteva farne a meno. Ciascuna di loro, aveva risposto il capitano, poteva avere una cabina personale, senza sovrapprezzo: non c’erano altri passeggeri e il carico era a bordo; se le Aes Sedai avevano affari urgenti a valle del fiume, lui non avrebbe aspettato nemmeno un’ora che altri s’imbarcassero. Loro avevano ribadito che una sola cabina sarebbe stata sufficiente.
Il capitano era rimasto sorpreso e dal suo viso era chiaro che non capiva; ma Chin Ellisor, nato e cresciuto a Tar Valon, non era tipo da fare domande alle Aes Sedai, una volta ricevute le istruzioni. E se due di loro parevano giovanissime... be’, esistevano anche Aes Sedai giovani.
Le rovine deserte svanirono alle spalle di Egwene. La colonna di fumo si avvicinò e comparvero anche i primi segni di un altro incendio ancora più lontano dalla riva. La foresta si mutava in colline erbose punteggiate di boschetti. Alberi a fioritura primaverile mostravano minuscoli boccioli, bianchi le torrubie, rosso vivo i bagolari. Un tipo d’albero a lei sconosciuto era coperto di fiori rotondi, bianchi, più granai di una mano. Di tanto in tanto un roseto rampicante metteva pennellate di giallo e di bianco fra i rami verdi di foglie o rossi di gemme. La scena formava un contrasto troppo netto con le ceneri e le macerie, per essere interamente piacevole.
Egwene avrebbe voluto avere in quel momento un’Aes Sedai a cui fare domande. Una di cui potesse fidarsi. Sfiorò con le dita la borsa e sentì appena il contorno dell’anello di pietra, il ter’angreal.
Dalla partenza da Tar Valon, l’aveva provato ogni notte, tranne due; e l’anello non aveva mai reagito allo stesso modo. Certo, ogni volta lei si era trovata nel Tel’aran’rhiod, ma vi aveva visto una sola cosa potenzialmente utile, ancora il Cuore della Pietra, ma senza Silvie. Di sicuro, niente che riguardasse l’Ajah Nera.
I suoi sogni, senza il ter’angreal, erano stati pieni d’immagini che parevano occhiate di sfuggita nel Mondo Invisibile. Rand con in pugno una spada che fiammeggiava come il sole, tanto da renderle difficile vedere che era una spada e distinguere che si trattava di Rand. Rand minacciato in decine di modi, nessuno minimamente reale. In un sogno Rand si trovava sopra un enorme tavoliere di pietra i cui sassolini bianchi e neri erano grossi come macigni ed evitava le mani mostruose che li muovevano e parevano volerlo schiacciare. Forse il sogno aveva un significato. Anzi, molto probabilmente. Ma, a parte il fatto che Rand era minacciato da un’entità, o da due entità, lei non capiva altro. E ora non poteva aiutarlo. Aveva un compito da portare a termine. Non sapeva neppure dove Rand si trovasse: probabilmente era a cinquecento leghe da lì.
Aveva sognato Perrin con un lupo, Perrin con un falco, Perrin con uno sparviero (falco e sparviero combattevano), Perrin che scappava da un’entità micidiale, Perrin che si gettava volontariamente in un baratro dicendo: «Devo farlo. Devo imparare a volare prima di toccare il fondo». Aveva fatto un sogno in cui c’era un Aiel e pensava che anch’esso riguardasse Perrin, ma non ne era certa. E un sogno in cui Min faceva scattare una trappola d’acciaio, entrandoci senza neppure vederla. In altri sogni compariva Mat, anche. Mat con dadi che gli turbinavano intorno (aveva l’impressione di sapere da dove proveniva questo sogno), Mat seguito da un uomo che non era lì (questo ancora non lo capiva: un uomo, o forse più d’uno, seguiva Mat, ma là non c’era nessuno), Mat che cavalcava disperatamente verso qualcosa d’invisibile in lontananza e che doveva raggiungere, Mat con una donna che pareva scagliare tutt’intorno fuochi d’artificio. Un Illuminatore, immaginava lei; ma il sogno non aveva più senso degli altri.
Aveva fatto tanti di quei sogni che cominciava a dubitare di tutti. Forse era dovuto all’uso frequente del ter’angreal o forse al semplice fatto di tenere su di sé l’anello. Forse imparava finalmente che cosa faceva una Sognatrice. Sogni frenetici, sogni sfrenati. Uomini e donne che uscivano da una gabbia e si mettevano la corona. Una donna che manovrava burattini. Un altro sogno in cui i fili dei burattini pendevano dalle mani d’altri burattini più grossi e così via, finché svanivano in altezze inimmaginabili. Sovrani morenti, regine in lacrime, infuriare di battaglie. Manti Bianchi che devastavano i Fiumi Gemelli. Aveva anche sognato di nuovo i Seanchan, più d’una volta. Questi sogni li aveva rinchiusi in un angolino buio, non voleva neppure pensarci. E sognava sua madre e suo padre, ogni notte.
Almeno, era certa del significato di quest’ultimo sogno. “Sono a caccia dell’Ajah Nera” pensò “e non so cosa significano i miei sogni né come fare per costringere quello stupido ter’angreal a comportarsi come dovrebbe e ho paura e... e nostalgia." Per un istante pensò a quanto sarebbe stato bello avere la mamma che la mandava a letto e sapere che al mattino tutto sarebbe andato meglio. “Solo, mia madre non può più risolvere per me i problemi e mio padre non può promettermi di cacciare via i mostri e fare in modo che ci creda. Ora devo farlo da sola."
Com’era lontano nel passato, tutto questo, adesso! Non lo rivoleva, in realtà, ma era stato un bel periodo e pareva trascorso da tantissimo tempo. Sarebbe stato magnifico rivedere i genitori, ascoltare la loro voce. Ma portava al dito l’anello e aveva fatto la scelta giusta.
Alla fine aveva permesso che Nynaeve e Elayne provassero, una notte ciascuna, a dormire con l’anello (si era sorpresa della riluttanza provata a lasciarlo) e le due al risveglio avevano parlato di un mondo che era di sicuro il Tel’aran’rhiod, ma nessuna aveva avuto più d’una fuggevole occhiata del Cuore della Pietra, niente che fosse utile.
Ora la densa colonna di fumo si trovava all’altezza della Gru Azzurra. Forse a cinque, sei miglia dalla riva, si disse Egwene. L’altra colonna era solo una macchia all’orizzonte, poteva quasi passare per una nuvola. Piccoli folti d’alberi crescevano lungo la riva; fra l’uno e l’altro, l’erba arrivava fino all’acqua, tranne nei punti dove una parte di sponda era franata.
Elayne venne sul ponte e le si affiancò alla murata; anche il suo mantello scuro svolazzava al vento. Pure lei indossava abiti di buona lana pesante. I vestiti erano stati l’oggetto di una discussione vinta da Nynaeve. Egwene aveva sostenuto che le Aes Sedai indossavano sempre gli abiti migliori, anche in viaggio (pensava alle vesti di seta che portava nel Tel’aran’rhiod) ma Nynaeve aveva fatto notare che, pur avendo in fondo all’armadio la borsa gonfia di monete d’oro ricevuta dall’Amyrlin, non sapeva quali sarebbero stati i prezzi a valle del fiume. Le cameriere dicevano che Mat aveva ragione sulla guerra civile nel Cairhien e sull’aumento dei prezzi. Con sorpresa di Egwene, Elayne aveva fatto notare che le Sorelle Marrone portavano abiti di lana più spesso che di seta. Elayne era così ansiosa d’allontanarsi dalle cucine, si era detta Egwene, che avrebbe indossato anche stracci.
Ora si domandò come se la cavava Mat. Senza dubbio avrebbe cercato di giocare a dadi con il capitano della nave su cui viaggiava.
«Terribile» mormorò Elayne. «Davvero terribile.»
«Cosa?» domandò distrattamente Egwene. Si augurò che Mat non mostrasse troppo in giro il documento che gli avevano dato.
Elayne le rivolse un’occhiata di sorpresa e si accigliò. «Quello!» rispose, indicando il fumo lontano. «Come puoi ignorarlo?»
«Posso ignorarlo perché non voglio pensare a cosa deve sopportare la popolazione, perché non posso modificare lo stato di cose e perché dobbiamo andare a Tear. Perché ciò che cerchiamo si trova a Tear.» Rimase sorpresa della propria veemenza. Ma non poteva davvero modificare la situazione. E l’Ajah Nera era davvero a Tear.
Più ci pensava, più era certa che avrebbero dovuto trovare un modo per entrare nel Cuore della Pietra. Forse l’ingresso era consentito solo ai Sommi Signori di Tear, ma lei era convinta che la chiave per far scattare la trappola e frustrare i piani dell’Ajah Nera si trovava nel Cuore della Pietra.
«Lo so anch’io, Egwene; ma questo non m’impedisce di rattristarmi per i cairhienesi.»
«Ho ascoltato resoconti delle guerre fra l’Andor e il Cairhien» replicò Egwene, ironica. «Bennae Sedai dice che fra voi e il Cairhien le guerre sono state più frequenti che fra ogni altra nazione, tranne Tear e Illian.»
Elayne le diede un’occhiata di traverso. Non si era mai abituata al rifiuto di Egwene d’ammettere d’essere anche lei andorana. Le linee sulle carte dicevano che i Fiumi Gemelli facevano parte dell’Andor e lei credeva alle carte.
«Abbiamo fatto molte guerre contro di loro, Egwene; ma dopo i danni che hanno subito nella Guerra Aiel, abbiamo venduto al Cairhien tanto grano quasi quanto Tear. Ora invece il commercio si è fermato. Ogni Casa cairhienese lotta contro tutte le altre per il Trono del Sole: chi comprerebbe il grano o lo farebbe distribuire alla popolazione? Se gli scontri sono brutti come lasciano credere le rovine viste lungo il fiume... Be’, non puoi nutrire un popolo per vent’anni e poi restare indifferente, quando di sicuro è ridotto alla fame.»
«Un Grigio» disse Egwene; Elayne sobbalzò e cercò di guardare in ogni direzione nello stesso istante. Era circondata dall’alone di Saidar.
«Dove?»
Egwene diede lentamente un’occhiata sui ponti, ma per assicurarsi che nessuno fosse tanto vicino da origliare. Il capitano Ellisor era sempre a poppa, accanto al marinaio a torso nudo che reggeva la lunga barra del timone. Un altro marinaio, a prua, scrutava l’acqua per avvistare banchi di fango sommersi; altri due giravano sul ponte e di tanto in tanto sistemavano una gomena legata alle vele. Il resto dell’equipaggio era tutto sottocoperta. Uno dei due sul ponte si fermò a controllare le funi che legavano la scialuppa capovolta; Egwene aspettò che si fosse allontanato.
«Stupida» brontolò sottovoce. «Io, non tu; perciò non guardarmi tanto di storto.» Proseguì in un bisbiglio: «Un Grigio dà la caccia a Mat. Ecco cosa significa il sogno. Non ci avevo mai pensato, però. Sono davvero una stupida!»
L’alone intorno a Elayne scomparve. «Non rimproverarti» rispose in un bisbiglio la ragazza. «Forse il significato è questo, ma neanche a me è venuto in mente e nemmeno a Nynaeve.» Esitò, poi scosse la testa, facendo ondeggiare i ricci rossodorati. «Però non ha senso, Egwene. Perché un Grigio darebbe la caccia a Mat? Nella lettera a mia madre non c’è nulla che possa minimamente danneggiarci.»
«Non lo so» rispose Egwene, perplessa. «Ci sarà una ragione. Sono sicura che il significato del sogno è proprio questo.»
«Anche se hai ragione, Egwene, non puoi farci niente.»
«Lo so» replicò Egwene, amara. Non sapeva neppure se lui fosse avanti a loro o dietro di loro. Avanti, sospettava: Mat sarebbe partito senza il minimo indugio. «Avanti o dietro» borbottò tra sé «non cambia niente. Finalmente scopro il significato di un sogno e non ne ricavo il minimo vantaggio!»
«Ma se sai il significato di uno» disse Elayne «forse potrai scoprire quello degli altri. Se li esaminiamo ancora insieme, forse...»
La Gru Azzurra sbandò all’improvviso: Elayne finì distesa sul ponte ed Egwene le cadde addosso; si rialzò e vide che la nave era ferma, prua in alto, ponte inclinato da una parte. Le vele sbattevano rumorosamente al vento.
Chin Ellisor si tirò in piedi e corse a prua, lasciando che il timoniere si rialzasse da solo. «Verme con occhi foderati di prosciutto!» inveì contro il marinaio di vedetta a prua, che si era aggrappato alla vela per non cadere sul ponte. «Figlio d’un caprone! Ancora non sai riconoscere come l’acqua s’increspa sopra un banco?» Lo afferrò per le spalle e lo tirò giù, ma solo per spingerlo da parte e guardare di persona. «Se c’è una falla, userò le tue viscere per tapparla!»
Gli altri marinai si rialzavano e quelli sottocoperta accorsero sul ponte. Tutti si radunarono intorno al capitano.
Nynaeve comparve in cima alla scaletta delle cabine passeggeri, sistemandosi le sottane. Si diede uno strattone alla treccia, guardò di storto il gruppo d’uomini a prua e si diresse a passo deciso verso Egwene e Elayne. «Ha fatto finire la nave contro una secca, vero? E diceva di conoscere il fiume meglio della propria moglie! Quella povera donna probabilmente non ha da lui neppure un sorriso.» Diede un altro strattone alla treccia, si aprì la strada fra i marinai e raggiunse il capitano. Tutti guardavano l’acqua in basso.
Seguire Nynaeve era inutile, pensò Egwene. Il capitano li avrebbe rimessi in viaggio più rapidamente, se si lasciava fare a lui. Con ogni probabilità, in quel momento Nynaeve gli insegnava il mestiere. Elayne pareva pensarla allo stesso modo, da come scosse tristemente la testa, guardando capitano ed equipaggio distogliere l’attenzione da ciò che si trovava sotto la prua, qualunque cosa fosse, per guardare rispettosamente Nynaeve.
Un’ondata d’agitazione corse lungo l’equipaggio e s’intensificò. Per un momento furono visibili le mani del capitano, agitate in segno di protesta, sopra la testa degli altri; poi Nynaeve si allontanò a passo deciso (ora le facevano strada, con inchini) seguita da Ellisor che si asciugava con un fazzolettone il viso tondo. Mentre si avvicinavano, si udì la sua voce ansiosa.
«...Quindici miglia buone fino al prossimo villaggio sulla riva andorana, Aes Sedai, e almeno sei miglia a valle su quella cairhienese! Soldati andorani controllano il villaggio, è vero, ma non le miglia da qui a laggiù!» Ellisor si asciugò il viso, come se colasse sudore.
«C’è una nave colata a picco» spiegò Nynaeve alle altre due. «Dai briganti del fiume, pensa il capitano. Vuol provare a disincagliarsi a forza di remi, ma non è convinto che funzionerà.»
«Andavamo a tutta forza, quando l’abbiamo urtata, Aes Sedai» protestò Ellisor. «Volevo navigare velocemente per voi.» Si strofinò più forte il viso. Temeva che le Aes Sedai incolpassero lui, capì Egwene. «Siamo incagliati, ma non credo che lo scafo imbarchi acqua. Non c’è da preoccuparsi. Passerà un’altra nave. Due serie di remi basteranno di sicuro a disincagliarci. Non occorre che sbarchiate, Aes Sedai. Ve lo giuro, Luce santa!»
«Pensavi di abbandonare la nave?» domandò Egwene. «Ti sembra un’idea saggia?»
«Ma certo che è...» Nynaeve s’interruppe e la fissò di storto. Egwene le restituì l’occhiataccia. Nynaeve proseguì in tono più calmo, seppure teso: «Secondo il capitano potrebbe trascorrere un’ora, prima che passi un’altra nave con remi sufficienti ad aiutarci. Oppure un giorno. Due, forse. Non possiamo sprecare due giorni ad aspettare. Possiamo essere in quel villaggio... come l’hai chiamato, capitano? Jurene?... possiamo andare a piedi a Jurene in due ore o anche meno. Se il capitalo Ellisor disincaglia la nave nel poco tempo che si augura, saliamo di nuovo a bordo. Dice che si fermerà a vedere se ci siamo. Se non si disincaglia, però, possiamo imbarcarci a Jurene. Forse lì troveremo un battello. Il capitano dice che i mercanti fanno scalo a Jurene, poiché ci sono i soldati andorani.» Trasse un respiro profondo, ma indurì il tono di voce. «Ho spiegato abbastanza bene il mio ragionamento? Volete sapere altro?»
«Per me è chiaro» si affrettò a dire Elayne, prima che Egwene obiettasse. «Mi pare una buona idea. Anche tu la ritieni una buona idea, vero, Egwene?»
Egwene annuì di malavoglia. «Direi di sì» rispose.
«Scendete almeno sulla riva andorana» protestò Ellisor. «C’è la guerra, Aes Sedai. Ci sono banditi e ogni sorta di malviventi e soldati non molto migliori di loro. Proprio il relitto sotto la nostra prua ve lo dimostra!»
«Sulla riva cairhienese non abbiamo visto anima viva» disse Nynaeve. «In ogni caso, non siamo affatto inermi, capitano. Non intendo fare quindici miglia a piedi, se posso farne solo sei.»
«Certo, Aes Sedai, certo.» Ora Ellisor sudava davvero. «Non volevo insinuare... Certo, non siete inermi, Aes Sedai. Non volevo insinuarlo.» Si asciugò furiosamente il viso, che però tornò subito lustro di sudore.
Nynaeve aprì bocca, guardò Egwene e parve cambiare idea. «Scendo a prendere le mie cose» disse, all’aria fra Egwene e Elayne; si rivolse a Ellisor. «Capitano, fai preparare la scialuppa.» Ellisor le rispose con un inchino e si allontanò in fretta, ancora prima che Nynaeve si girasse verso il boccaporto; prima che lei fosse scesa, già gridava ai suoi uomini di calare la scialuppa.
«Se una di voi due dice “alto"» mormorò Elayne «l’altra dice subito “basso". Se non la piantate, non arriveremo mai a Tear.»
«Ci arriveremo» replicò Egwene. «E faremo più in fretta, appena Nynaeve avrà capito di non essere ancora la Sapiente del villaggio. Siamo tutte...» Non disse Ammesse, perché c’era troppa gente in giro. «Siamo tutte allo stesso livello, ora.»
Elayne sospirò.
In breve furono a riva; avevano in mano il bastone e in spalla il fagotto con le cose che non avevano trovato posto in borse e sacchetti appesi alla cintura. Praterie ondulate, interrotte qua e là da piccoli folti d’alberi, si estendevano verso l’entroterra, ma a qualche miglio dal fiume le colline erano coperte di foresta. I remi della Gru Azzurra riempivano l’acqua di spuma, ma non smuovevano la nave. Senza altre occhiate, Egwene si girò e puntò a meridione. Prima che Nynaeve prendesse l’iniziativa.
Quando la raggiunse, Elayne le rivolse un’occhiata di rimprovero. Nynaeve camminava guardando fisso avanti. Elayne riferì a Nynaeve ciò che Egwene aveva detto a proposito di Mat e di un Grigio. Nynaeve ascoltò in silenzio e, senza perdere il passo, si limitò a commentare: «Mat dovrà cavarsela da solo.» Dopo un poco, Elayne rinunciò ai tentativi di conversazione e procedettero in silenzio.
Gruppi d’alberi cresciuti lungo la riva, querce e salici assai fitti, presto nascosero la Gru Azzurra. Egwene e le altre evitarono di attraversare i boschetti, anche se poco estesi, perché nell’ombra sotto i rami poteva nascondersi di tutto. Lungo il fiume crescevano bassi cespugli, ma troppo radi per nascondere anche solo un bambino, altro che briganti, e ampiamente distanziati.
«Se incontreremo dei briganti» annunciò Egwene «io mi difenderò. Qui non c’è l’Amyrlin a guardare da sopra la spalla.»
Nynaeve serrò le labbra. «Se occorre» disse all’aria davanti a sé «possiamo spaventare i briganti e metterli in fuga, come abbiamo fatto con i Manti Bianchi. Se non ci sono alternative.»
«Vorrei che non parlaste tanto di briganti» disse Elayne. «Vorrei giungere al villaggio senza...»
Da dietro un solitario cespuglio quasi di fronte a loro, sbucò una figura vestita di grigio e di marrone.